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Il silenzio irato dell’Achille eschileo

Nel documento a cura di Mattia De Poli (pagine 179-186)

dalla Grecia antica ad oggi

3. Il silenzio irato dell’Achille eschileo

Rispetto all’Iliade, in cui si dava voce alle ragioni del conflitto fra Agamen-none e Achille, che ne scatenava la furia irosa, i Mirmidoni iniziano in medias res. Il fr. 131.1-4 Radt, affidato alla voce del Coro, introduce gli antefatti della vicenda e spiega agli spettatori le ragioni dell’ambasceria presso la tenda di Achille.

’τάδε μὲν λεύσσεις, φαίδιμ’ Ἀχιλλεῦ,’

δοριλ⌊υμάντους Δαναῶν μόχθους,⌋ 2 οὓς σὺ π̣⌊ροπιν εἴσω⌋

κλισία⌊ς

Queste cose tu vedi, o illustre Achille,

le pene dei Danai uccisi dalle lance, 2 che tu tradisci, standotene seduto

in una tenda

Il ritiro dal campo di battaglia viene presentato dal Coro eschileo36 in toni che decostruiscono l’immaginario eroico di Achille. Emerge, così, una figura

de-34  Cf. Aesch. T 1.20 Radt ἐν δὲ τοῖς Ἔκτορος Λυτροῖς Ἀχιλλεὺς ὁµοίως ἐγκεκαλυµµένος, οὐ φθέγγεται πλὴν ἐν ἀρχαῖς ὀλίγα πρὸς Ἑπµῆν ἀµοιβαῖα, “ne Il riscatto di Ettore, allo stesso modo, Achille ha il capo velato e non parla, fatta eccezione per un breve scambio di battute all’inizio con Hermes”. Sul passo del bios eschileo, vd. Frassoni 2013, p. 100.

35  Sul dolore di Achille nei Frigi, si veda quanto riportato da Athen. 13.601a-b οὓτω δ’ ἐναγώνιος ἦν ἡ περὶ τὰ ἐροτικὰ πραγματεία, καὶ οὐδεὶς ἡγεῖτο φορτικοὺς τοὺς ἐρωτικούς, ὣστε καὶ Αἰσχύλος μέγας ὢν ποιητὴς καὶ Σοφοκλῆς ἦγον εἰς τὰ θέατρα διὰ τῶν τραγωδιῶν τοὺς ἒρωτας, ὁ μὲντὸν Ἀχιλλέως πρὸς Πάτροκλον, ὁ δ’ ἐντῆι Νιόβηι τὸν τῶν παίδων, “così veemente era la trattazione riguardante le faccende d’amore, e nessuno riteneva volgari gli amanti, che sia Eschilo, che era un grande poeta, sia Sofocle portarono a teatro nelle tragedie gli amori, l’uno di Achille per Patroclo, l’altro di Niobe per i figli”.

36  Sull’identità di coloro che compiono l’ambasceria presso la tenda del Pelide vd. Cagnazzo 2019, pp. 36-37 con relativa bibliografia.

potenziata delle proprie qualità eroiche, quali la lealtà e l’azione gloriosa, poiché non solo tradisce i compagni, violando i patti d’amicizia che lo legano all’inter-vento in guerra, ma trascorre anche il suo tempo seduto nella tenda (cf. **132a Radt fr. 8.3-4), in una posizione che demistifica le connotazioni tipiche dell’eroe.

La tenda, infatti, evocata anche nell’Iliade (cf. 1.185, 322, 341, 391; 9.107) durante il conflitto fra Achille e Agamennone, è il luogo dove il guerriero trova ristoro per una breve durata, ma mai il luogo dove sosta a oltranza37. A ciò, si deve ag-giungere il rifiuto di intrattenere un dialogo con gli ambasciatori e la mancanza di gestualità che lo relegano all’immobilismo, secondo quanto ricordato da Ari-stofane nelle Rane (vv. 911-913 ed. Wilson):

πρώτιστα μὲν γὰρ ἕνα τιν’ ἄν καθῖσεν ἐγκαλύψας Ἀχιλλέα τιν’ ἢ Νιόβην, τὸ πρόσωπον οὐχὶ δεικνύς, πρόσχημα τῆς τραγῳδίας, γρύζοντας οὐδὲ τουτί.

Per prima cosa metteva a sedere un personaggio tutto velato, un Achille o una Niobe, non mostrandone neppure la faccia

– pura apparenza di una tragedia – che non grugnivano neanche una parola.

Un’allusione che, secondo gli scholia vetera alle Rane38, sarebbe da ricondur-re non solo ai Frigi, dove puricondur-re Achille era portato in scena silente, ma anche ai Mirmidoni:

911b. (β.) εἰκὸς τὸν ἐν τοῖς ‛Φρυξὶν’ Ἀχιλλέα ἢ ‛Ἕκτορος λύτροις’

[VEBarb(Ald)], 912. ἢ τὸν ἐν ‛Μυρμιδόςιν’, ὃς μέχρι τριῶν ἡμερῶν οὐδὲν φθέγγεται [VEBarb(Ald)].

911b. (β.) È verosimile che sia Achille nei Frigi ovvero Il riscatto di Ettore [VEBarb(Ald)], 912. o nei Mirmidoni, il quale per tre giorni non disse niente [VEBarb(Ald)].

Pur trascurando, in questa sede, i problemi ecdotici posti dal passo aristo-faneo e dagli scholia ad esso relativi39, si può affermare che le fonti indirette40 restituiscono un ulteriore tassello per la ricostruzione del profilo di Achille, il cui silenzio diventa espediente scenico per l’esternazione dell’ira. Si veda, a

ri-37  Cf. Il. 13.240-273.

38  Scholl. vet. et rec. in Ar. Ra. 911b-912 (p. 117 Chantry).

39  Vd. Bergk 1883, pp. 483-484; Taplin 1972, pp. 63-68; Ferrari 1982, p. 65; Garzya 1995, pp. 48-49;

Hadjicosti 2007, p. 102.

40  Difficile ricondurre schol. [B*NcP*SjWXcYa] ad A. Pr. 437a (p. 139 Herington) all’episodio dei Mirmidoni: il silenzio citato dallo scoliasta farebbe, infatti, riferimento non ad Achille, bensì all’ambasceria di Taltibio ed Euribate, timorosi di fronte all’eroe irato, che viene narrata in Il.

1.320-332. Diversamente ritengono Di Benedetto 1967, p. 375 n. 6, e Taplin 1972, p. 65.

guardo, quanto scrive Eustazio a commento del v. 115 del XXIII canto dell’Odis-sea (p. 1940.65ss.)41:

καὶ γὰρ τοι παρὰ Αἰσχύλῳ κάθηνταί που πρόσωπα σιωπῶντα ἐφ’ ἱκανὸν κατὰ σχῆµα ἤ πένθους ἤ θαυµασµοῦ ἤ τινος ἑτεροίου πάθους. καὶ ἒοικεν ἡ τραγῳδία ἐντεῦθεν λαβοῦσα τὰ τοιαῦτα σοφίζεσθαι.

e, infatti, nelle rappresentazioni di Eschilo se ne stanno lì seduti personaggi che restano in silenzio per un bel pezzo, in atteggiamento o di dolore o di stupore o di qualche altro sentimento. E la tragedia sembra, avendo preso di lì tali cose, essere fatta ad arte.

L’immobilismo silente di alcuni personaggi, quali Achille, Niobe, Prometeo e Atossa, è espediente scenico, tipicamente eschileo, per evidenziare sentimenti altrimenti inesprimibili e per rendere più verosimili espressioni e tratti peculiari dei singoli caratteri42.

L’atteggiamento del Pelide trova, altresì, spazio negli schemi iconografici ricorrenti nella produzione vascolare della prima metà del V secolo a.C., forse influenzati proprio dall’Achilleide di Eschilo43. Di particolare interesse la posa di Achille: l’eroe è raffigurato seduto su uno sgabello, con lo sguardo rivolto verso il basso senza alzare il viso verso il proprio interlocutore, mentre si porta la mano alla fronte, con il corpo avvolto in un mantello che, a volte, ne copre il viso; e le armi appese alla tenda44. A titolo esemplificato, si veda l’hydria di Berlino (cf. Berlin, Antikensammlung, inv. F 2176), in cui compare Achille vela-to, seduto su uno sgabello e lo sguardo fisso a terra; di fronte vi è Odisseo, che lascia intravedere il corpo nudo dal mantello aperto, con accanto Fenice, che regge nella mano destra un bastone, mentre il braccio sinistro è alzato nell’atto di richiamare l’attenzione su di sé per parlare ad Achille.

41  Per un’analisi del silenzio in Omero, vd. Montiglio 1993.

42  Si legga anche Eust. ad Hom. Il. 24.162 (p. 1343.60ss. [= IV, 188.13-18 van der Valk]) ἀξίαν οὐχ ποιητὴς τῷ γέροντι περιθεῖναι, καλύπτει αὐτόν, καὶ οὐ µόνον ςιγῶντα ποιεῖ, ἀλλὰ καὶ µηδὲ βλεπόµενον. ἐντεῦθεν φαςιν, ὁ Σικυώνιος γραφεὺς Σηµάνθες τὴν ἐν Αὐλιδι γράφων ςφαγὴν τῆς Ἰφιγενείας ἐκάλυψε τὸν Ἀγαµέµνονα, ὃπερ καὶ Αἰσχύλος µιµησάµενος τήν τε Νιόβη καὶ ἂλλα πρόςωπα ὁµοίως ἐςχηµάτιςε, ςκωπτόµενος µὲν ὑπὸ τοῦ Κωµικοῦ, ἐπαινούµενος δὲ ἂλλως διὰ τὸ τῆς µιµνήςεως ἀξιόχρεων, “il poeta non trovando conveniente alcuna espressione per l’affanno grandissimo del vecchio [scil. Priamo], lo coprì, e non solo lo fece silente, ma anche lo rese invisibile allo sguardo altrui. Di qui, dicono, il pittore Semante [corr. Timante] di Sicione, dipingendo il sacrificio di Ifigenia in Aulide, raffigurò Agamennone velato. Come anche Eschilo, imitandolo, rappresentò in modo simile la Niobe e altri personaggi, ed essendo così deriso dal Comico [scil. Aristofane], ma lodato altrimenti per la corrispondenza mimetica”.

43  Vd. LIMC I.1, figg. 439-454.

44  Vd. Taplin 1972, pp. 70-71; Kossatz-Deissmann 1978, pp. 10-13; Kossatz-Deissmann 1981, pp.

113-114; Knittlmayer 1997, pp. 22-45; Michelakis 2002, pp. 31-37; Totaro 2010, pp. 161-162.

È, dunque, evidente che ciò resta dell’Achille omerico è, oltre la μῆνις, la ὔβρις intollerabile, rese entrambe ancor più esacerbate dal rifiuto della comu-nicazione verbale. Il silenzio, infatti, non pone Achille in una posizione di su-bordine, consueta a chi non usa il linguaggio45, ma di superiorità. L’eroe non riveste propriamente i panni di un personaggio muto, ruolo tipico di schiavi e comparse46, ma egli, in quanto protagonista, sceglie consapevolmente di tacere per manifestare tutta la propria potenza47. La decisione di non avvalersi della parola si pone così sullo stesso piano della negazione di imbracciare le armi, e trasforma la non verbalità in uno strumento di provocazione e distruzione.

La scena tragica eschilea riprende il modello dell’ambasceria epica, attestata nel IX canto dell’Iliade (vv. 185-189):

Μυρμιδόνων δ’ ἐπί τε κλισίας καὶ νῆας ἱκέσθην, τὸν δ’ εὗρον φρένα τερπόμενον φόρμιγγι λιγείῃ καλῇ δαιδαλέῃ, ἐπὶ δ’ ἀργύρεον ζυγὸν ἦεν, τὴν ἄρετ’ ἐξ ἐνάρων πόλιν Ἠετίωνος ὀλέσσας·

τῇ ὅ γε θυμὸν ἔτερπεν, ἄειδε δ’ ἄρα κλέα ἀνδρῶν Giunsero alle tende e alle navi dei Mirmidoni, e lo trovarono intento a godere la cetra armoniosa, bella, ben lavorata, e la traversa in alto era in argento,

predata da lui nel saccheggio, quando abbatté la città di Etione:

rallegrava con questa il suo cuore e cantava gesta d’eroi.

Nei versi iliadici, l’eroe di Ftia si palesa agli occhi di Fenice, Odisseo, Aiace, Odio ed Euribate mentre siede davanti alla tenda con accanto Patroclo silente (vv. 190-191), ignorandoli, poiché intento a suonare la cetra. Soltanto, in un se-condo momento, si alza per riceverli all’interno della tenda, facendo dei sacrifici e offrendo loro del cibo (vv. 200-221). Tuttavia, a differenza del passo tragico, Achille non si mostra reticente né ignora il discorso di Odisseo, cui risponde con toni accesi (cf. vv. 308-429), esponendo la volontà di lasciare Ilio. Vani sono anche i discorsi successivi, sia di Fenice (cf. vv. 434-605), che punta a far leva sul lato emozionale dell’eroe cercando di mitigarne l’ira, sia di Aiace (cf. vv. 624-642), che si limita a consigliare di andar via. Sembra, dunque, che Eschilo tra-sponga il silente immobilismo del Patroclo omerico nel personaggio di Achille.

L’eroe eschileo non appare più corazzato nella propria irremovibile supe-riorità, in grado di replicare senza tentennamenti alle proposte dell’ambasce-ria, ma impone a se stesso una condizione di semi-coscienza, di «death-like»

(Michelakis 2002, p. 39), di estraneità alla realtà. Si tratta, verosimilmente, di

45  Vd. Taplin 1972, pp. 77-97; Montiglio 2000, passim.

46  Per uno studio generale sui personaggi muti, vd. Montiglio 2000, pp. 116- 117, 190, 192, 203. La frequenza di tali ruoli è amplissima in Euripide, per cui vd. Stanley-Porter 1973.

47  Sulla differenza fra silenzi eschilei e silenzi di Eschilo, vd. Taplin 1972, pp. 57-97.

un modo che decostruisce la tipologia eroica convenzionalmente rappresentata dall’Achille omerico. La tragedia porta in scena l’affermazione del sé, il volersi negare alla collettività, l’incomunicabilità fra l’io e gli altri. La ribellione irosa di Achille non è più rappresentata soltanto attraverso l’allontanamento dal campo di battaglia, ma anche attraverso la prospettiva del silenzio, che simboleggia il rifiuto alla performance. Accanto ad essa, l’immobilismo pone maggiormente in risalto la decisione del singolo che si oppone alla necessità dei tanti in una sorta di sfida: nel teatro eschileo, infatti, la τιμή epica (cf. Il. 9.245, 302, 603) non può esser accettata se si oppone al bene collettivo. L’uomo dell’Atene del V se-colo a.C. deve sottostare al volere dell’autorità politica statale, servire la πόλις prima come soldato semplice e infine come stratego; riveste, così, un ruolo che comporta obblighi e responsabilità, la cui non osservanza determina una giusta punizione. Nei Mirmidoni, il disagio psicologico e interiore «non è più soltan-to dell’eroe, è della comunità, la quale si sente tradita ed è pronta a ricorrere alla pena che spetta ai disertori, così come proclama Eteocle nei Sette (196ss.)»

(Garzya 1995, p. 50). Pertanto, il rifiuto di Achille di qualsiasi tipo di approccio dimostra non solo la sua ira, ma anche il suo essere aristocraticamente solitario, che porta gli Achei – se si dovesse accettare l’attribuzione del fr. **132c Radt – a voler punire con il linciaggio ciò che interpretano come tradimento48.

A provocare la rottura del silenzio di Achille sarà Fenice, che con l’eroe ha un legame affettivo poiché un tempo suo tutore. Il dialogo fra i due, però, non è immediato: Fenice sembra aver a lungo tentato di instaurare una conversazione con tutti i mezzi a sua disposizione (cf. fr. **132b.3-5 Radt):

]. ἐπῳδὴν |ο|ὐκ ἔχω̣ σο[

]π̣εσεισαπ|α|σαν̣ ἡνίαν̣ [

].. δ’ Ἀχιλ̣λ̣εῦ |π|ρᾶσσ’ ὅπῃ [ 5 non posseggo più altra risorsa[…]

ho fatto tutto il possibile […]

ma tu Achille fa’ quello che vuoi […] 5

Solo a questo punto, Achille scioglie il suo silenzio (cf. fr. **132b.6-9 Radt):

Φοῖ]νιξ γεραιέ, τῶν | ἐμῶν φρε[νῶν

48  Michelakis 2002, pp. 24-26, ravvisa nella pena della lapidazione una trasposizione della pratica dell’ostracismo, che proprio durante le guerre persiane diventa frequente ad Atene, come strumento per allontanare il timore della tirannide e del tradimento: le pietre scagliate contro il condannato a morte sono i cocci (ostraka) sui quali i cittadini ateniesi scrivevano i nomi di coloro che desideravano condannare all’ostracismo. «When Achilles is charged with treason because of his hatred of the leader of the expeditions, a hated which grants the Trojans glory on the battlefield and threatens his Greek community, a parallel suggests itself with the historical individuals whose names we find on ostraca» (Michelakis 2002, p. 25).

πολ]λ̣ῶν ἀκούων |δ|υσ̣τ̣όμων λ[

πάλ]αι ςιωπῶ κο̣ὐ̣δ|εν̣ [.]σ̣τ̣.μ[ 8 ] ἀντέλεξα.

vecchio Fenice, caro al mio cuore, mentre ascoltavo molti discorsi duri

a lungo sono stato in silenzio senza 8 replicare.

L’eroe rimarca la precedente scelta di restare silente, esprimendo un tono di emozione (v. 6: “caro al mio cuore”) verso Fenice e ricordando la durezza dei discorsi degli altri Achei dell’ambasceria, contro i quali egli ha preferito tacere per orgogliosa rabbia. La scena è ripresa, in parte, da Aristofane ai vv. 923-926 delle Rane, in cui si porta all’iperbole la presa di parole di Achille, e forse anche di Niobe:

κἄπειτ’ ἐπειδὴ ταῦτα ληρήσειε καὶ τὸ δρᾶμα ἤδη μεσοίη, ῥήματ’ ἂν βόεια δώδεκ’ εἶπεν,

ὀφρῦς ἔχοντα καὶ λόφους, δείν’ ἄττα μορμορωπά, 925 ἄγνωτα τοῖς θεωμένοις.

e poi, quando ebbe finito con quelle sciocchezze e il dramma era già a metà, pronunciava una dozzina di parole grosse come buoi, con cipiglio e creste, spaventosi spaventapasseri

di cui il pubblico 925 non aveva mai sentito parlare.

Il gioco parodico attuato dall’Euripide aristofaneo è volto a esasperare la rottura del silenzio d’Achille, il quale utilizza le parole come armi da guerra, pronte a rompere la barriera della reticenza e a disarmare gli uomini dell’amba-sceria. Achille recupera la parola con toni feroci che si addicono al suo status di eroe, probabilmente coniando dei neologismi, di cui non resta alcuna traccia nei frammenti eschilei. È, inoltre, indubbio che egli conservi nel linguaggio verbale il precedente tratto della rabbia.

Il cedere alla forza della comunicazione, a discapito del silenzio, con cui è presentato inizialmente sulla scena, non è dovuto alla fine della μῆνις, ma a due cause principali: la prima, legata all’aspetto drammaturgico, è la necessità dell’evolversi dell’azione e dell’avanzare della trama; la seconda, limitata all’a-spetto psicologico del personaggio, è l’impossibilità di negare la parola a una persona cara come il proprio tutore. In una prospettiva agonistica del singolo contro la collettività, il silenzio, inizialmente espressione del rapporto di forza di Achille contro gli altri personaggi, può essere interrotto soltanto attraverso il riconoscimento di un pari, quali il tutore Fenice.

Il ritorno alla verbalità non sembra, però, risolvere completamente i conflitti interni del campo acheo. Difatti, il discorso enfaticamente contrito di Achille (cf.

fr. **132c.7-14 Radt) rimarca la propria rabbia contro il tentativo dell’esercito di delegittimare il suo codice di vendetta e il suo diritto di essere una fonte autore-vole, capace di infliggere dolore49.

]ιδ’ Ἀχαιῶν χεῖρ’ ἐφορμήσω δορὶ

…]ωσαν ὀρ̣γῇ ποιμένος κακοῦ διαὶ

….]περ εἷς ὤν, ὡς λέγουσι σύμμαχοι

…..]ν τοσαύτην ἔκτισ’ οὐ παρὼν μάχῃ 10

…..]μ’ ἐγὼ τὰ πάντ’ Ἀχαιϊκῷ στρατῷ

…..].’ ἀφεῖναι τοὖπος οὐκ αἰδώς μ’ ἔχει

……] τ̣οιούτ[ο]υ̣ς̣ εὐγενεστέρους ἐμοῦ

……]ν̣…οι καὶ στρατοῦ τὰ β̣έ̣λ̣τ̣ατα.

]degli Achei, ecciterò la mia mano che brandisce la lancia ]arrabbiato a causa di un indegno pastore del suo popolo?

]mentre sono solo, come dicono i miei compagni, ho provocato una così grande disfatta allontanatomi dalla battaglia. 10 ]sono tutto per l’esercito acheo.

]non è vergognoso astenersi dal dire ciò.

]uomini del genere, capi più nobili di me ]e migliori dell’esercito?

Da tali parole si rileva che lo scontro epico Achille-Agamennone è stato sostituito dal conflitto irrisolvibile fra il Pelide e il gruppo degli eroi achei. Per quanto possa essere rispettoso di Fenice, Achille è ancora un generale irato e arrogante che non ha risolto il problema dell’onore violato dagli altri Achei.

I restanti frammenti non restituiscono, purtroppo, la risoluzione dell’ira del personaggio, ma denotano, di certo, un cambiamento nella rappresentazione della figura dell’eroe con l’introduzione di un nuovo tema: l’omoerotismo50. Il fr.

*134a Radt, tramandato dal Simposio platonico (cf. 180a) descrive l’esplicita na-tura del rapporto fra Achille e Patroclo: contrariamente al poema epico, infatti, l’eroe riconosce l’amore carnale per l’amico51. La morte del giovane si consuma sul campo di battaglia, a sèguito dell’incendio delle navi achee (cf. fr. 134 Radt), con indosso l’armatura del suo erastes. L’arrivo del cadavere in scena, anticipa-to dalla notizia portata da Antiloco, dà avvio al soliloquio di Achille denso di lamenti pieni di pathos (cf. frr. 135-137 Radt), nel ricordo degli ultimi momenti

49  Su tale aspetto della tragedia, vd. Deschamps 2010, pp. 195-196.

50  Per un’analisi degli aspetti del rapporto omoerotico fra i due personaggi tragici, vd. Hadjicosti 2007, pp. 123-129.

51  Vd. Moreau 1995, pp. 16-20.

trascorsi assieme e nella colpa di non aver dissuaso l’eromenos dall’andare a combattere. Il dolore distoglie il personaggio dal sentimento d’ira per l’offesa inizialmente subita e riconosce di essere stato la cagione della sua stessa soffe-renza (fr. 139 Radt):

ὧδ’ ἐστὶ μύθων τῶν Λιβυστικῶν κλέος, πληγέντ’ ἀτράκτῳ τοξικῷ τὸν αἰετὸν εἰπεῖν ἰδόντα μηχανὴν πτερώματος·

’τάδ’ οὐχ ὑπ’ ἄλλων, ἀλλὰ τοῖς αὑτῶν πτεροῖς

ἁλισκόμεσθα’. 5 Questo è ciò che dice il racconto dei Libici:

l’aquila, trafitta da un dardo avvelenato, disse, vedendo quel congegno alato:

’Questi mali non vengono da altri, ma per le nostre stesse ali

siamo catturate’. 5

Il disegno epico è arricchito da Eschilo col passaggio sul rapporto omoeroti-co interrotto dalla morte e omoeroti-con l’indugiare sul disfacimento emotivo di Achille, il cui lamento funebre ricorda quello delle donne per i mariti e i figli52. Il dramma, il cui finale non ci è pervenuto53, doveva probabilmente preparare il terreno al ritorno in battaglia dell’eroe per consumare la vendetta contro l’uccisore del proprio amato. L’ira contro Agamennone si mutava così nell’ira contro Ettore, portata in scena probabilmente nei due drammi successivi della trilogia, Nereidi e Frigi.

Nel documento a cura di Mattia De Poli (pagine 179-186)