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Le connotazioni dell’ira di Achille nell’Iliade

Nel documento a cura di Mattia De Poli (pagine 173-177)

dalla Grecia antica ad oggi

1. Le connotazioni dell’ira di Achille nell’Iliade

È significativo che il proemio dell’Iliade inizi con la parola μῆνις (cf. v. 1:

Μῆνιν ἄειδε θεὰ Πηληϊάδεω Ἀχιλῆος)1, a evidenziare, sin da subito, il tema cardine della trama epica, in cui le vicende dell’ultimo anno della guerra ilia-dica sono condizionate dal sentimento iracondo di Achille, oltraggiato da Aga-mennone a causa della schiava Briseide. Del resto, cosa potrebbe spingere degli uomini a stringere d’assedio la città di Ilio, bramando di uccidersi a vicenda, se non un sentimento come l’ira? La caratterizzazione dei personaggi nel mondo epico dell’Iliade, dunque, sembra trascendere dal motivo della rabbia, che non qualifica soltanto gli eroi2, ma anche gli dèi3. Dalla violazione della τιμή, alla

1  Vd. Watkins 1977, p. 187.

2  Cf. e.g. Paride: 3.245, Deifobo: 13.517, Achille: 1.181.

3  Cf. e.g. Afrodite: 14.191, Apollo: 10.157, Zeus: 16.449.

colpa di ὔβρις, sino alla punizione divina, tutte le azioni sono guidate da questo sentimento4.

Nel solo I canto si contano 13 parole diverse per indicare lo stato d’ira: μῆνις, χόλος, κότος, χώομαι, ὀδύσσομαι, μένος, ἔχθος, μισέω, ἀλαστέω, σκύζομαι, ἄγαμαι, νέμεσις, χαλεπαίνω. Tra le varie forme presenti nell’intero poema, μῆνις non viene mai adoperata dai parlanti per indicare il proprio sentimento;

e soltanto κότος, χόλος e ὄπις hanno lo stesso valore semantico, ponendosi strettamente in relazione con le nozioni di ὔβρις, δίκη, τιμή. Difatti, secondo Voegelin (1956, p. 89), il χόλος sarebbe assimilabile all’inimicitia dei Romani, dal momento che non coinvolge la caratterizzazione di un personaggio solamente a livello emozionale, ma ne regola lo status e i costumi. È senz’altro un’osserva-zione degna di nota, sebbene tale valore si adatti meglio al concetto di μῆνις più che di χόλος. L’ira investe, dunque, non solo il campo morale, ma anche sociale, culturale e politico5: è un sistema relazionale di azioni dirette, destinato a mani-festarsi, indipendentemente dal personaggio, attraverso la parola e, in seguito, attraverso le armi. Pertanto, è il sentimento violento a guidare la vendetta per l’offesa e l’oltraggio subìti, che non possono restare impuniti.

Nel background acheo del κότος, che porta alla spedizione antitroiana6, la figura del Pelide si muove tra μῆνις e χόλος. Trascurando i precipui aspetti della caratterizzazione dell’ira dì Achille, secondo le dinamiche dei diversi rapporti e dei singoli eventi, è possibile individuare sommariamente due macrotipologie:

1) la μῆνις, dagli esordi dal proemio sino al XV canto, con un intermezzo di appianamento fra l’XI e il XIV canto;

2) il χόλος dal XVI sino alla fine del poema.

La prima tipologia, la μῆνις, solitamente riferita alla divinità, è una forza inarrestabile e perigliosa in grado di generare una violenta vendetta come ri-sposta alla trasgressione di un ordine o di un torto subìto7. In particolare, se l’ira della divinità ha il compito di mantenere rigorosamente stabile la gerarchia dèi-uomini, attraverso la punizione della ὕβρις di quanti sfidano gli abitanti dell’Olimpo, il sentimento iracondo dell’eroe mantiene lo stesso valore sacrale, poiché deve essere garantita la conservazione del proprio status eroico e

l’or-4  Codino 1965, p. 143, allude alla società omerica come alla società della rabbia.

5  Vd. MacCary 1982; Holway 1989.

6  Si ipotizza che il lemma derivi dalla radice indoeuropea *koi-/*ko- ed esprima l’idea di qualcosa di acuminato. La parola, dunque, rinvia al rancore che si cova dentro l’animo e che punge dentro di sé. Secondo le parole di Calcante, nel I canto dell’Iliade (vv. 78-83), sarebbe un’ira duratura e tenace, che non scompare e non si appaga se non nel momento della vendetta.

7  Vd. Giordano 2010, p. 117.

dine naturale delle cose8. A tal proposito, Considine (1985, p. 144) è del parere che il vocabolo abbia un’accezione eroico-divina9 e sia da porre in relazione con la μανία, che indica non solo la follia, ma anche l’invasamento da parte di una divinità10: l’essere posseduto è un essere fuori di sé e indica, di conseguenza, l’essere irato. Non sarebbe forse un caso se nel poema il termine connota, oltre che gli dèi (cf. 5.34, 444), Agamennone (in soli due luoghi, per cui cf. 1.123, 247) e Achille, la cui posizione non è certamente ascrivibile a quella di un comune mortale.

È questo tipo d’ira che corrode l’animo di Achille per il ratto di Briseide e per l’oltraggio di Agamennone. Il dolore iroso è inizialmente riconosciuto come giusto e non biasimevole da parte degli altri eroi achei (cf. 9.523), poiché se la donna simboleggia l’onore del Pelide (cf. 1.185, 9.111), questa va vendicata e la collera può essere giustificata (cf. 1.506-507, 9.648)11. Tuttavia, il persistere della condizione (portata all’estremo con il rifiuto dell’aiuto in guerra12, la volontà del ritorno a Ftia13, la negazione dei doni di Agamennone14) determina la riqualifi-cazione degli atteggiamenti e del carattere di Achille, considerato superbo (cf.

9.699) e ἄγριος (cf. 9.629)15. Difatti, non accettare i doni di riparazione inviati dall’Atride significa infrangere i legami che vincolano gli ἑταῖροι e macchiar-si di ὕβρις16. Soltanto l’attesa del ritorno di Patroclo, andato a combattere in sua vece, e la paura per la sua sorte mitigano il sentimento d’ira di Achille (cf.

15.138), che decide, infine, di accettare la restituzione della schiava e gli splen-didi doni degli Achei (cf. 16.55-86), accompagnati, però, dal corpo privo di vita di Patroclo17.

Se la μῆνις coinvolge le istituzioni, il χόλος, pur indicando una potenza non dissimile, è un sentimento di rabbia astratto e privato che coinvolge sia gli

8  Vd. Cordano 1998.

9  A parere dello studioso (Considine 1966, p. 21), «μῆνις is not pre-eminently a term for divin wrath, but a solemn epic term for any wrath, divine or human […] μῆνις is not a religious term simply in the sense that it is characteristically used of divine subjects, it is a word belonging to the field of numinous and expressing the characteristic response of offended deity to human presumption».

10  Per Considine (1985, p. 59) μῆνις potrebbe ricollegarsi alla radice indoeuropea *man/*men, che esprime l’idea della follia e dell’eccitamento mentale, associandosi a un’ampia gamma di parole quali μαίνομαι (“essere folle”), μανία (“follia”), μάντις (“indovino”) e μαινάς (“menade”).

Vd. Considine 1986.

11  Vd. Finley 1978, pp. 65-72, 135-141.

12  Cf. Il. 9.315-317.

13  Cf. Il. 9.354-363.

14  Cf. Il. 9.497-498.

15  Vd. Schnapp-Gourbeillon 1981, pp. 86-89.

16  Vd. Ciani 1988, pp. 20-21.

17  Sulla figura di Patroclo come capro espiatorio per il ritorno di Achille in guerra, vd. Cavallini 2009.

dèi sia i mortali ed è più frequentemente adoperato nel poema rispetto ad altri lemmi indicanti la rabbia. Il χόλος è malleabile, soggetto agli umori e alle azioni umane, non mira a un τέλος, come il κότος, ma si inserisce in un lasso tempo-rale che si conclude solo attraverso un’azione svolta in prima persona, spesso con la morte di chi l’ha provocato18. Interessante e controversa è l’etimologia del lemma, in cui si riconosce una radice indoeuropea *ghel- (vd. DELG s.v.), estremamente produttiva in greco e da cui trae origine χλωρός, nome riferito al colore “giallo-verde”, passato poi a qualificare la “bile” nello stomaco, sede di alcune sensazioni fisiche e psichiche come la rabbia. Χόλος indica, pertanto, lo scoppio di collera aspra e amara, che, producendo un travaso di secrezione biliare, provoca dolore fisico19.

Con il XVI canto, questa tipologia sostituisce la μῆνις, e il soggetto contro cui la rabbia viene riversata non è più Agamennone, bensì Ettore. Si tratta, dun-que, di un’ira che nasce dal dolore non dall’onore ferito. Dell’ira passata rimane, oltre all’ardore della vendetta che si moltiplica e infuria selvaggia, la trasgres-sione di ogni norma (cf. 21.214, 221, 314), che porta l’eroe a fare scempio del cadavere del nemico Ettore (cf. 24.40-54, 113-115) senza trovar pace20. In Achille la prima forma d’ira è già scemata quando nel XVIII canto (vv. 107-109) la depre-ca, riconoscendovi una furia che spinge anche i più saggi all’errore. Adesso, è il χόλος a farsi strada, seguendo un percorso di vendetta strettamente personale (cf. 18.102-105), che riporta l’eroe sul campo di battaglia, prima abbandonato per la μῆνις, col solo scopo di uccidere l’omicida di Patroclo, non di porre fine alla guerra. Anche quando il motivo ritornerà in 19.65-67 per introdurre il tema del perdono21, la deposizione della collera sarà soltanto nei confronti di Agamen-none22, non di Ettore, verso cui si spegnerà solo una volta morto. Nel passaggio al XXIV canto, l’accumulo di χόλος, dirottato sul cadavere dell’eroe troiano, conduce la figura di Achille a due punti nevralgici: la morte della sua sfera più umana, nonostante il pieno reintegro nella comunità durante i giochi funebri in onore di Patroclo, narrati nel XXIII canto; e la violazione dell’ordine di Zeus a rinunciare alla collera. Soltanto l’intervento della madre Teti (cf. 24.139-140) e il confronto con un padre gemente (cf. 24.470-580), permettono ad Achille, mediante la comprensione del sé, di uscire dal ciclo della violenza e di abban-donare il χόλος, accettando il riscatto del corpo di Ettore offerto da Priamo (cf.

24.582-590).

18  Si veda quanto riferisce Calcante nel discorso (1.78-83) sulle differenze fra χόλος e κότος che è tipica del βασιλεύς.

19  Vd. Volteggio 2003.

20  Vd. Ciani 1974, pp. 124-125.

21  Vd. Kim 2000.

22  Vd. Zubiria 2014.

È, dunque, evidente come in una società vincolata a norme e procedure consuetudinarie, la trasgressione di una di esse produca effetti e reazioni violente, che necessitano della potenza dell’ira per essere ristabilite. Achille non è un eroe che usa l’arte della guerra per esprimere una ferocia immotivata, ma è un re, vittima dei soprusi e degli eventi23, di cui l’ira è naturale conseguenza.

Nel documento a cura di Mattia De Poli (pagine 173-177)