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Le prospettive metodologiche di Roberto Longh

II.2 I due volti del giovane Longh

Le Avvertenze per il lettore del 1961, poste a introduzione degli Scritti giovanili, rappresentano un valido supporto per la comprensione dei propositi e della biografia culturale di Longhi e offrono una visione più meditata e strutturata dell’apporto metodologico scientifico, essendo state concepite a una distanza cronologica di quasi quarant’anni dalla pubblicazione degli scritti stessi. Gli anni che abbracciano la formazione universitaria e giungono sino al 1914 sono probabilmente i più densi e decisivi, poiché egli consuma esperienze che per qualità e quantità rivelano la vastità e la profondità della sua ricerca, desiderosa di valicare i limiti di una critica oramai sepolta e avvizzita.

Alla severa linea di filologia visiva del periodo accademico, trascorso sotto l’egida prima di Pietro Toesca a Torino e poi di Adolfo Venturi a Roma, si affianca un’indagine

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Briganti, La giornata di Longhi, in L’arte di scrivere sull’arte, a cura di Previtali, p. 42

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autonoma e alternativa che parte dal confronto con l’estetica di Benedetto Croce per approdare dapprima ai saggi di Bernard Berenson e poi ai teorici della puravisibilità. Le restrizioni accademiche, in cui si forma, sono ben tracciate a posteriori sempre nelle

Avvertenze per il lettore:

Basti rammentare che, ferma restando la presenza di due grandi figure di studiosi come il vecchio Venturi e il Toesca, storia e critica d’arte procedevano disgiunte. La ricerca storica durava in un indistinto carattere tra archivistico e informativo, puramente nozionale; la critica, specialmente d’arte moderna, non aveva alcun sentore del grande rinnovamento artistico europeo del cinquantennio precedente.50

Sarà la formula del docente torinese, «parole non possono dire», a instillare nel giovane la necessità di una soluzione critica che risolva l’impossibilità di tradurre il fatto figurativo in linguaggio cui si aggiungeranno, tra l’altro, la presa di coscienza di agire in un ambiente universitario arroccato in teorie stantie e limitanti e la consequenziale esigenza di partecipare a quelle «discussioni sbandate» sulla critica d’arte esterne proprio a questo contesto. Infatti, nel 1912, sebbene continui la carriera accademica presso la scuola di perfezionamento di Adolfo Venturi a Roma, il discrimine tra ricerca storica e critica figurativa continua a crucciare Longhi i cui tentativi di risoluzione si possono dedurre dalle collaborazioni intraprese con «La voce» e «L’Arte», le quali gli consentono sia di cimentarsi in una critica militante sia di soddisfare, per il differente spirito editoriale delle due riviste, l’ambivalenza intellettuale che lo pungola. «Per un giovine lacerato dai contrasti delle idee e

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tendenze circostanti è destino mostrare due volti»51 ancipiti, manifesti appunto nella continuazione di un percorso accademico tradizionale e negli interventi editoriali innovativi e sperimentali. D’altronde, le vivaci intenzioni e le ardite promesse della «Voce» lo avevano affascinato sin dagli esordi della rivista, tanto da tentare, ancora studente a Torino, una collaborazione che però dovrà attendere il 1912 per essere concretizzata. Le motivazioni di questo ritardo sono chiare nelle parole del direttore Prezzolini, quando ricorda le difficoltà incontrate nel pubblicare gli interventi del giovane giacché «suscitavano la più terribile delle ostilità che non nasce dai sentimenti urtati ma dalla incomprensione».52 «E in effetti gli scritti […] apparsi sulla Voce tra il 1912 e il 1914, così imbevuti di voglie innovatrici e sovraccarichi di spirito polemico, risultano talvolta difficilmente comprensibili, spesso pericolosamente astratti; ma questi anni furono per Longhi un periodo di ricerche concitate in cui il corso delle sue idee sulle arti figurative procedeva a tratti rapido e tumultuoso».53

L’inarrestabile attivismo di Longhi produce nello stesso periodo due recensioni, l’una alla traduzione italiana del Rinascimento di Walter Pater e l’altra a Correspondance et

fragments inedits di Eugène Fromentin, che evidenziano da un punto di vista

argomentativo la curiosità circa la critica d’arte militante e da un punto di vista terminologico due influenze teoretiche fondamentali. Leggendo gli elaborati, espressioni quali «doti fantastiche», «lirismo visuale», «purità fantastica», «intento illustrativo», «inconciliabile dissidio fra critica illustrativa e estetica», rimandano palesemente sia a Benedetto Croce sia a Bernard Berenson. Ed è proprio in questo

51

Ibidem

52

Giuseppe Prezzolini, Il tempo della voce, p. 477

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Fiora Bellini, Una passione giovanile di Roberto Longhi: Bernard Berenson, in L’arte di scrivere sull’arte, p. 13

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frangente che s’incontra la difficoltà principale: districare gli intricati e complessi rapporti tra lo studioso piemontese e la cultura filosofica coeva dell’estetica delle arti figurative, con un più mirato riguardo all’idealismo crociano e alle teorie berensoniane.

Pur ammettendo la sua appartenenza alla schiera degli idealisti crociani e pur apprezzandone la capacità di «campire liricamente tutta l’arte», Longhi ne avverte «l’impossibilità congenita a fornire risposte valide e coerenti in materia di arti figurative». Infatti, già in uno scritto del 1912, Rinascimento fantastico, ne riconosce il demerito di «indistinguere fra i campi specifici ad ogni arte» e nel 1961, riandando a quegli anni, dirà: «Quell’idealismo indistintivo […] già mi sembrava portare a una forma di misticismo estetizzante, e, ciò che più mi disperava, ad una ineffabilità di giudizio critico che avrebbe precluso ogni possibilità di risposta parlata alle opere d’arte».54 È proprio la perdita di un contatto diretto con il prodotto artistico, possibile esito dell’estetica idealista, che lo intimorisce e vedremo nel successivo paragrafo con quali mezzi eluderà il rischio di astrazioni, a suo dire, improduttive.

Anche nei riguardi della critica di Berenson nutre alcune perplessità. Nello specifico la componente psicologico-empirica, riguardante gli elementi dell’opera (quali forma, movimento e spazio) che accrescono la capacità vitale dell’astante mediante procedimenti e stimoli psicofisici e che implicano un’esperienza conoscitiva di tipo sensoriale, gli risulta difficilmente comprensibile e soprattutto inconciliabile, almeno a questa altezza cronologica, con la formazione filologica sino ad allora esperita. Tuttavia, lo studio e la traduzione dei saggi di quest’ultimo, definiti «incantevoli» e

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«indimenticabili», lo condurranno all’incontro diretto con le teorie della puravisibilità cui essi lo avevano solo, indirettamente, introdotto.

Nel 1913, sollecitato anche dalla lettura del saggio crociano La teoria dell’arte come

puravisibilità (1912), Longhi approfondisce la conoscenza del teorico tedesco Fiedler, il

cui intento principale era di costruire una specifica teoria dell'arte figurativa che fosse indipendente dalle affermazioni di tipo valutativo in ambito artistico da parte di altre discipline, quali l'estetica, la storia dell’arte, l'iconografia e l'antropologia. Si trattava di sgomberare il campo da precedenti teorie non strettamente pertinenti all'Arte, per assegnare a quest'ultima un proprio campo disciplinare autonomo. Fiedler trova le basi della sua teoria nell'atto del vedere: soltanto svincolando la percezione visiva dal supporto del linguaggio e del pensiero e assegnandole una propria autonomia di giudizio, di conoscenza e significazione, sarebbe stato possibile studiare, a suo avviso, l'arte con i mezzi che le sono propri. Infatti, Croce nel saggio poc’anzi menzionato,

appoggiandosi al Fiedler asseriva: «L’arte figurativa è chiarezza del vedere autonomo…» e questo concetto «è la condizione indispensabile per intendere e narrare la storia dell’arte, alla quale tutti lavorano sterilmente poiché la scambiano con la storia delle idee, dei sentimenti, dei bisogni pratici, con la biografia e la psicologia degli artisti».55

Tali riflessioni, insieme a quelle desunte dall’altro importante saggio teoretico in merito, Problema della forma di Hildebrand, sono saggiate da Longhi nella Critica

figurativa pura, che occupa un intero numero della Voce nel 1913. Uno studio, che pur

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F. Bellini, Una passione giovanile di Roberto Longhi: Bernard Berenson, in L’arte di scrivere sull’arte, p. 23

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seducente nella terminologia, paleserà al critico l’impossibilità di seguire le teorie della puravisibilità, essendo esse inconciliabili con il sostrato filologico della sua formazione accademica.

Questo periodo di floride e multiformi sperimentazioni sembra concludersi con un momento di chiarezza e con il relativo sforzo di sistematizzazione presente nelle pagine della Breve ma veridica storia della pittura italiana (1914), dove l’affermazione riportata di seguito segna il momento prominente della sua ricerca.

Il processo spirituale della creazione è identico per l’artista e per il poeta: ma il campo di realtà che interessa l’uno non riguarda l’altro. […] mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l’essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l’essenza visiva. Il sentire per l’artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l’arte sua, si costruisce tutto quanto sugli elementi lirici della sua visione.56

Occorre precisare che questa riflessione determina sì la conclusione di una ricerca durata anni, ma reca in sé anche il principio di una nuova sfida: trovare la metodologia opportuna e soddisfacente per tradurre sulla pagina gli elementi lirici della visione di ciascun artista. Ed è qui che le coordinate salienti dell’itinerario umano e intellettuale di Longhi escono dai limiti di questa breve analisi, confinata all’ambito filosofico, e abbracciano l’operato ecfrastico di autori ottocenteschi, di cui abbiamo avuto già modo di citare Pater e Fromentin e ai quali si aggiungono Baudelaire e Ruskin. L’attenzione del critico, nel corso di questa nuova quête, s’indirizzerà proprio sugli esiti di questa critica d’arte militante da cui estrapolerà una serie di componenti che

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plasmerà in un gioco stilistico sapientemente articolato in punte liricizzanti, fermo restando il codice critico specificamente filologico. In sintesi,

la critica longhiana nasce dalla confluenza di diverse e spesso dissonanti prospettive sull’arte: quella della tradizione critica e storiografica rinsaldata dalla filologia e dall’attribuzionismo tra Sette e Ottocento; quella dell’indagine sulle tecniche del laboratorio artistico, il lavoro artigiano che forgia la materia; ed ancora quel modello di scrittura, che costruisce secondo uno schema narrativo la griglia interpretativo del testo pittorico.57

Adesso procediamo nel sondare le ragioni di questo schema narrativo che tanto rende Longhi un unicum nella critica d’arte del Novecento.

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