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Le prospettive metodologiche di Roberto Longh

III.3 Una critica narrativa

II.3.1 L’invenzione stilistica della pagina longhiana

Quando Contini nel 1973 pubblica Da Cimabue a Morandi, un’antologia di scritti longhiani dati alle stampe senza il supporto di riproduzioni fotografiche da opere figurative, sembra intenzionalmente confermare il ruolo autonomo della scrittura del critico, che si rivela affascinante e poetica.

La personale trama longhiana, ai fini di contrastare il partito teorico della non piena traducibilità dell’iconico nel verbale, è modulata sull’impiego di accorgimenti retorici di tipo fonico, in particolare di tendenza onomatopeica, o stilistico, con il ricorso soprattutto alla raffinatezza dell’abbondante e selezionata aggettivazione, su un lessico variamente prezioso e umile debitore della letteratura, su «sistemi di metafore, adibiti da un’euristica fertilissima»66 e, infine, su numerose similitudini. Le metafore e le similitudini rispondono alla natura analogica delle equivalenze verbali suddette. Le prime, sempre raffinatissime, amplificano le potenzialità e gli effetti del dato figurativo e nella loro analisi possono essere estrapolati dei veri e propri campi metaforici atti a restituire tendenze precipue della pittura in causa, tra cui quello, particolarmente presente, che si concentra «fra lo scultoreo, il geologico, il petroso e il cristallografico, il materiale grezzo e no»;67 altro aspetto è la derivazione di metafore o

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Andrea Mirabile, Scrivere la pittura. La ‘funzione Longhi’ nella letteratura italiana, p. 19

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G. Contini, La letteratura italiana. Otto-Novecento, p. 248

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«paratecnicismi» dalla filologia e critica letteraria e dalla linguistica: ritmo, ellissi,

locuzioni, micrografia. Le seconde, punto focale del descrittivismo longhiano,

rispondono a due istanze: l’una consiste nel paragone dell’opera o dell’artista in oggetto con altre opere e artisti, anche lontani nel tempo e nello spazio, con la volontà di straniamento e di arricchimento che procede dalla considerazione dell’arte figurativa come insieme di parentele e di continuità; l’altra risiede nell’analogia con la realtà umana e naturale con dipendente sgranamento temporale della descrizione.

Inoltre, alcune delle pagine dello studioso sembrano investite dalla dimensione più sensibilmente poetica a tal punto da riprodurre in alcuni luoghi la raffigurazione pittorica attraverso l’osservanza di precise regole versificatorie. Corrado Bologna ha notato soprattutto nelle analisi dedicate a Piero della Francesca o a Caravaggio una solida impalcatura metrica, sebbene Mengaldo suggerisca di non sopravvalutarle e di non eccedere nel scovarne, «dato che nulla è più facile in italiano che fabbricare, in particolare, endecasillabi scrivendo prosa».68 Proprio la prosa della monografia Piero

della Francesca (1927) reca in nuce, pur nella sua veste più classica e rondesca rispetto

all’Officina ferrarese (1934), un’estrema ricercatezza e un’evidente consapevolezza letteraria, manifeste nell’orditura continua «di registri e generi, descrizioni e digressioni, precisazioni erudite e conversazioni mondane, sintesi ellittiche ed enumerazioni baroccheggianti».69

Anche l’uso di coppie e terne, specie aggettivali, che può sembrare semplicemente un retaggio della prosa d’arte dell’epoca, si nutre di una veste semantica

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P.V. Mengaldo, Tra due linguaggi. Arte figurativa e critica, p.98

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anticonvenzionale, perché spesso non si tratta di consuete dittologie sinonimiche, bensì di quelle che Cecchi chiamava coppie divaricate.

Dalle più tenui, come «stride e si torce», «ritmo diabolico e interrogativo», […] a quelle che contengono o creano un’antitesi e dunque formano un ossimoro, o fra i due termini di egual categoria o fra gli aggettivi e il sostantivo qualificato. Esempi: «ad un tempo legnosi e fioriti», «mistico insieme e grottesco», «strada lucida e ombrosa». […] Passiamo senza troppo distinguere alle terne: «città vetuste, malariche e spopolate», «umori segaligni, grassi, sensuali», […] e come si vede sono spesso serie a elementi sillabicamente in crescita.70

L’intento è immergere due o più significati semplici e netti in un composto semantico fluido e complesso, che spazia dall’aggettivazione rara, eletta e inconsueta all’uso avverbiale in –mente sempre raffinato, e dove talvolta giocano la categoria dell’attenuazione e quella della correctio, sebbene secondo Mengaldo «la tipologia dei giudizi longhiani è superbamente se non protervamente affermativa ed egocentrica».71

Per quanto concerne le specifiche descrizioni dei dipinti, se ne possono distinguere tre tipi, sempre avvalendoci dello studio di Mengaldo. Il primo in cui prevale la reazione emotiva del soggetto ammirante, spesso espressa da frasi esclamative; il secondo è una descrizione seriale, in cui tutti gli elementi, privati di connessioni subordinative e verbi, sono posti su uno stesso piano a imitazione dell’astanza del dipinto e la cui trama sintattica tipica è modulata sullo stile nominale e sulle frasi scisse; il terzo tipo prevede una descrizione assorbita nella narrazione, che si presenta sia come

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P.V. Mengaldo, Tra due linguaggi. Arte figurativa e critica, p. 100

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sincronica, quale genesi ideale e storia interna della tela, sia come diacronica, quale svelamento della stessa come un’esperienza che si svolge nel tempo. Infine, non andrebbe dimenticato un altro aspetto della prosa longhiana, ossia l’ironia, che talvolta, sottile e discreta, genera un gioco intellettuale di rinvii cifrati e tal altra, istrionica e tagliente, ricalca il parlato.

Sebbene sia «davvero arduo delineare […] una sorta di filo rosso metodologico e insieme stilistico soggiacente ad una scrittura tanto mutevole e variegata»,72 risulta comunque agevole comprenderne la risonanza che ha investito la cultura italiana del secondo Novecento. Alla ricerca longhiana, infatti, vanno attribuiti due grandi meriti che lo stesso Arbasino perseguirà nella sua critica artistica: il primo è la formalizzazione di una scrittura che, tesa all’interdisciplinarietà, ambisca alla combinazione di letteratura e pittura e di critica d’arte e romanzo; il secondo è la realizzazione di una critica che, lambendo questioni sociologiche, storiche, di ricezione e di valorizzazione, si raffronti costantemente con la realtà fattuale del bene artistico.

Conclusa questa breve disamina delle principali peculiarità della prosa longhiana, è giunto il momento di prestare attenzione alla scrittura di Arbasino, partendo da un inquadramento generico e giungendo alla messa a fuoco di quella propriamente artistica, nella quale molte tipicità stilistiche del critico d’Alba, sebbene rimodulate in maniera personale, sono rintracciabili.

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CAPITOLO III

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