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e andamento temporale del rischio in Italia

Nel documento Mortalità nel diabete mellito tipo 1 (pagine 129-135)

M. Porta

14

grammazione dell’assistenza al paziente dia- betico di molti paesi europei, con riferimento specifico anche alla prevenzione della cecità, con la realizzazione di programmi nazionali di screening.

I progressi più consistenti sono stati re- alizzati nel Regno Unito, dove Inghilterra, Galles e Scozia si sono dotate di network per l’effettuazione dello screening sui rispettivi territori nazionali mediante funduscamere digitali operate da personale tecnico oppor- tunamente addestrato, nell’ambito di un processo sottoposto a verifica continua della qualità. Nella sola Inghilterra sono attivi 93 centri di screening in un’attività che coinvol-

ge circa 2500 operatori4. I dati indicano un

progressivo aumento della copertura della popolazione diabetica e nei prossimi anni questo si dovrebbe tradurre in una riduzione della cecità secondaria al diabete.

I paesi Scandinavi sono storicamente i più avanzati nell’attività di screening, con la popolazione diabetica islandese interamente coperta fin dagli anni ’90 e programmi mol-

to avanzati in Svezia, Finlandia e Norvegia5.

In Francia, nella zona di Parigi, è stato implementato il programma Ophdiat per lo screening telematico della retinopatia, nei pazienti ambulatoriali e ospedalizzati. Un re- cente lavoro ha dimostrato che la proporzio- ne di pazienti ricoverati in 5 ospedali e sot- toposti a screening è aumentata dal 50,4% al

72,4% dopo l’avvio del programma stesso6,7.

Negli Stati Uniti un recente reassessment del programma Diabetes 2000 ha mostrato La retinopatia diabetica (RD) rimane una

delle prime cause di danno visivo nei paesi industrializzati e un problema emergente nei paesi in via di sviluppo. Benché la panfotoco- agulazione laser permetta di prevenire la pro- gressione verso la cecità in più del 90% dei casi

di retinopatia proliferante non avanzata1, l’au-

mento dei casi di diabete tipo 2 è alla base della crescente incidenza di edema maculare diabe- tico (DME), una condizione molto più difficile da controllare e attualmente la causa principale di deficit visivo nei pazienti diabetici.

Per quanto riguarda gli aspetti preventivi, sono progrediti in alcuni paesi i programmi di screening sistematico della retinopatia a rischio. Sul piano epidemiologico, nel cor- so degli ultimi anni sono stati pubblicati i follow-up a lungo termine di studi di popo- lazione e trial clinici di intervento. Fra i pri- mi risultano di particolare interesse i dati a 25 anni del Wisconsin Epidemiology Study of Diabetic Retinopathy (WESDR) e di alcune casistiche scandinave che sembrano mostra- re, nei pazienti con diabete tipo 1, un ral- lentamento nell’incidenza della retinopatia proliferante. Nel caso dei trial, due recenti metanalisi sembrano ridimensionare il ruo- lo del controllo metabolico ottimizzato nel prevenire incidenza e progressione della reti- nopatia diabetica anche iniziale, almeno nel

diabete tipo 22,3.

¢

¢ ScreenIng¢Della¢rD

Gli obiettivi della Dichiarazione di Saint Vincent sono stati incorporati nella pro-

Per la prima volta è stata verificata e misura- ta anche la regressione spontanea della RD, risultata del 18%. Principali fattori di rischio per la progressione della RD si sono confer- mati valori elevati di HbA1c, la durata com- plessiva della malattia e, per la progressione a RD proliferante, la presenza di microalbu- minuria.

L’unica altra indagine prospettica di si- mile durata, anche se con casistica inferio-

re, è lo studio danese di Fyn County13. Su

201 pazienti rivisitati a distanza di 25 anni dalla valutazione basale, la prevalenza di DR era del 97%, di cui 45,8% non proliferante e 51,2% proliferante, con un’incidenza cu- mulativa a 25 anni di RD proliferante del 42,9%. In questo studio l’HbA1c e lo sta- dio di RD alla prima osservazione, ma non la durata di malattia, risultavano i migliori predittori di progressione a RD proliferante. Nella stessa coorte l’incidenza cumulativa di cecità, corretta per la mortalità, era del 9,5% (IC 95%, 7,1-12,0) corrispondente a un tasso di incidenza di 4,11 casi ogni 1000 persone/ anno (IC 95%, 3,03-5,59). La cecità era a sua volta predittore di mortalità (61,0% vs

42,1%; p=0,02)14.

Dal WESDR arrivano altri dati incorag- gianti riguardo la prognosi visiva dei pazienti con diabete tipo 1. Infatti, nei pazienti in cui il diabete tipo 1 era stato diagnosticato nei periodi <1960, 1960-69, 1970-74 e 1975-79, la prevalenza di deficit visivo (definito come visus <5/10 dall’occhio migliore) risultava progressivamente migliore nelle coorti con insorgenza avvenuta negli anni più recenti (OR per categoria = 0,91; IC 95% 0,88-0,93) anche dopo correzione per HbA1c, pressione arteriosa e altri fattori di rischio. Gli Autori interpretano questo dato come possibile ri- sultato di una ridotta incidenza di RD proli- ferante e di DME, a loro volta dovuti al mi- glioramento del controllo metabolico ed al trattamento laser più tempestivo e mirato nei pazienti con diagnosi più recente di diabete

tipo 115.

invece scarsi progressi dell’azione di scree-

ning della retinopatia diabetica8 e l’unica

realtà organizzata su base multicentrica ri- mane il programma della Joslin Diabetes Net-

work9 che ha recentemente riferito un volu-

me di attività di 70.000 pazienti distribuiti nei vari stati dell’Unione, con la ripresa di retinografie in varie sedi periferiche, loro tra- smissione telematica verso punti di diagno- si centralizzati e ritrasmissione dei referti ai punti di partenza.

Purtroppo mancano dati italiani recenti. Nel nostro paese infatti l’esame del fundus oculi viene spesso demandato allo speciali- sta oftalmologo e questo è causa di mancata raccolta sistematica dei referti clinici, tanto che a tutt’oggi l’esame non figura fra gli in- dicatori nazionali di processo dell’assistenza al paziente diabetico. In Italia è stata inve- ce completata una valutazione metodologica sulla procedura fotografica di screening, che concludeva come un campo di 45° sia suffi- ciente per escludere la presenza di retinopatia ma che almeno 2-3 campi sono necessari per

un corretto grading della stessa10.

Sul piano dell’economia sanitaria, una re- cente meta-analisi ha confermato che lo scre- ening sistematico della retinopatia è costo- efficace in termini di anni di vista preservati. La retinografia digitale ha il potenziale di permettere procedure di screening efficaci e accessibili anche in aree rurali e/o remote. Le aree di incertezza sono piuttosto legate alla effettiva adesione ai programmi, sia da parte degli operatori che dei pazienti, e agli inter- valli ottimali di re-screening nei pazienti non

retinopatici11.

¢

¢ ePIDemIologIa

Sono stati pubblicati i dati dei 25 anni di follow-up del WESDR, il più importante

survey epidemiologico sulla RD12. La pro-

gressione cumulativa della retinopatia è ri- sultata dell’83% e quella di RD proliferante del 42% in un campione di 955 pazienti con diabete tipo 1 residenti nel sud Wisconsin.

fermando i “classici” fattori di rischio (dura- ta, HbA1c, ipertensione, nefropatia) e anche

il rapporto ApoB/ApoA121.

Il Beijing Eye Study ha condotto un’in- dagine epidemiologica sul territorio urbano e rurale limitrofo alla capitale cinese, verifi- cando una prevalenza della RD del 27,9%.

Il 75% dei casi erano di RD lieve22. Peraltro,

in Cina la RD non è fra le cause principali di cecità, in questo preceduta da altre patologie correggibili in altri paesi con maggiore possi- bilità di accesso alle cure. Sempre nel Beijing Eye Study, la RD rappresenta comunque un rischio indipendente di aumentata mortalità (OR = 2.13, IC 95% 1.25–3.62) così come

nelle altre casistiche internazionali (23).

Emergono inoltre dati a suggerire che la retinopatia, oltre a essere una complicanza tardiva del diabete, possa comparire in forma molto lieve ancora prima del diabete stesso, e ne sia in questo caso addirittura un pre- dittore. Nello studio australiano prospettico e osservazionale AusDiab, la presenza di al- terazioni retiniche in soggetti non diabetici ne raddoppiava infatti il rischio di sviluppare

diabete tipo 2 nei 5 anni successivi24.

Il NHANES 1999-2004 mostra che ne- gli Stati Uniti il diabete è associato a una prevalenza di deficit visivo (5/10 dall’occhio migliore) doppio rispetto alla popolazione non diabetica (11% vs 5,9%, di cui il 3,8% e l’1,7% non correggibili con lenti e quindi legati a problemi organici e non funziona-

li)25. Il successivo NHANES 2005-2008 ha

rivalutato la prevalenza di RD ed RD ad alto rischio nella popolazione americana, mo- strando rispettivamente valori del 28.5% (IC 95%, 24,9%-32,5%) e del 4.4% (IC 95%, 3,5%-5,7%), con maggior prevalenza nei

maschi e nei soggetti di colore26.

In Italia, in provincia di Viterbo, nel pe- riodo 2002-2003, la RD risulta causa del 15% dei casi di invalidità civile per cecità, insieme al glaucoma (15%) e dopo la degene-

razione maculare senile (19%)27.

Una più recente indagine condotta fra Dati analoghi che suggeriscono una ri-

dotta incidenza di RD proliferante nel dia- bete tipo 1 sono stati pubblicati da Hovind et al.16 in Danimarca e da

Kytö

et al. nel

FinnDiane Study17. Anche una meta-analisi

condotta su 28 studi e 27.120 pazienti com- plessivi mostra tassi di incidenza in riduzione per la RD proliferante e per il deficit visivo grave: 11,0 e 7,2%, rispettivamente dopo 4 anni, con valori più bassi nelle coorti seguite negli anni 1986-2008 che in quelle esamina-

te nel 1975-1985 (18)

La tendenza sembra però quella di un ri- tardo nello sviluppo della RD proliferante, piuttosto che una sua riduzione in termini assoluti. Ciò è in accordo anche con una vec- chia estrapolazione dei dati del DCCT, che suggeriva come mantenere valori di HbA1c confrontabili con quelli del gruppo a con- trollo intensivo avrebbe prodotto, rispetto a chi si fosse mantenuto sui valori di control- lo dello studio (7% vs 9%), un guadagno di 14,7 anni di vita prima dello sviluppo di RD proliferante (da 39,1 a 53, 9), di 8,2 anni pri- ma di sviluppare DME (da 44,7 a 52,9) e di soli 7,7 anni (da 49,1 a 56,8) prima di arriva-

re alla cecità19.

Un lavoro che ha messo a confronto “te- sta a testa” i dati delle due coorti (intensiva e convenzionale) del DCCT-EDIC e di quella puramente osservazionale del Pittsburgh Epi- demiology of Diabetes Complications (EDC) Study, simile per caratteristiche e durata a quella “convenzionale” del DCCT-EDIC, ha mostrato che, dopo 30 anni di durata di diabete tipo 1, l’incidenza cumulativa di RD proliferante era del 50% e del 47% rispet- tivamente nei pazienti DCCT-EDIC con- venzionali e dell’EDC, e del 21% in quelli del DCCT-EDIC intensivo, con incidenza di cecità inferiore all’1%, confermando l’effica- cia del controllo intensivo e della metabolic memory20.

Uno studio prospettico spagnolo su 334 pazienti ha verificato l’incidenza a 10 anni della RD (35,9%) e del DME (11,07%), con-

plicanze oculari, almeno nel diabete tipo 2.

Nella prima2 sono stati presi in esame 13 stu-

di, per un totale di 34.533 pazienti (18.315 a trattamento intensivo e 16218 a trattamento standard). A parte gli ormai noti e deludenti risultati in termini di mortalità e morbilità cardiovascolare, le due forme di trattamento non differivano per incidenza e progressione di retinopatia (RR 0,85, IC 95% 0,71-1,03), necessità di fotocoagulazione (RR 0,91, IC 95% 0,71-1,17), deterioramento visivo o cecità (RR 1,00; IC 95% 0,96-1,05). Nella

seconda3 (20 trial, 28.614 pazienti, 15.269 a

controllo intensivo e 13.345 a controllo con- venzionale), per la retinopatia veniva stimato un effetto significativo in favore del control- lo intensivo (RR 0,80, 0,67-0,94; P=0,009; 10.793 pazienti, 7 trial) sebbene con im- portante grado di eterogeneità (I2=59%; P=0,02). All’analisi sequenziale dei trial non risultava tuttavia sufficiente evidenza per so- stenerne la capacità di ridurre del rischio di retinopatia del 10% (IC 95% 0,54-1,17).

¢

¢ concluSIonI

Le complicanze oculari del diabete con- tinuano a rappresentare le più frequenti e comuni manifestazioni microangiopatiche e a rimanere una causa importante di cecità nella popolazione ancora attiva. Negli anni più recenti si è forse diffuso fra gli operato- ri sanitari un malinteso senso di ottimismo, legato a una percezione di minor incidenza delle manifestazioni più gravi della retinopa- tia, tanto da generare la infondata opinione che le complicanze oculari non rappresenti- no più una minaccia come nei tempi andati. In realtà, come dimostrano i dati epidemio- logici e degli studi di intervento riferiti più sopra, l’insorgenza della retinopatia prolife- rante e del DME sono purtroppo solo riman- dati e non destinati a ridursi per frequenza e gravità. Anzi i numeri assoluti tenderanno ad aumentare nei prossimi anni, per cui è neces- sario mantenere alta la guardia, soprattutto in termini di screening periodico e sistemati- 15,725 membri dell’Unione Italiana Ciechi,

di cui 6133 (39%) ipovedenti e 9592 (61%) ciechi totali, le cause principali di deficit vi- sivo risultavano la miopia grave (11,78%), la degenerazione maculare senile (11,0%), la ca- taratta (8,92%), il glaucoma (8,31%), la RD

(8,23%) e la retinite pigmentosa (6,96%)28.

Peraltro la casistica dell’Unione Italia- na Ciechi è verosimilmente soggetta a bias di selezione, in quanto si tratta di soggetti prevalentemente più giovani che richiedono l’iscrizione per i benefici di supporto sociale e di ausili per ipovedenti che l’Unione può aiutare a ottenere.

Fra i pochi altri dati recenti emersi da ca- sistiche italiane è interessante l’osservazione di Targher e coll. che la prevalenza di RD è nettamente aumentata dei pazienti con ste- atoepatite non alcolica (adjusted OR 3,31, IC 95% 1,4-7,6) indipendentemente da età, sesso, durata del diabete, HbA1c, terapia an- tiiperglicemica e presenza di sindrome me-

tabolica29.

Per il futuro, se da un lato l’incidenza di RD grave sembra rallentare, dall’altro la situazione sembra destinata a peggiorare in virtù del numero di persone che ammaleran- no di diabete. Una estrapolazione basata sui dati di prevalenza della RD lieve-moderata e ad alto rischio raccolti dal National Health Interview Survey e dal US Census Bureau suggerisce che il numero di cittadini statu- nitensi di età uguale o superiore ai 40 anni con RD è destinato a triplicare dai 5,5 milio- ni del 2005 a 16 milioni nel 2050, e quello dei pazienti con RD a rischio da 1,2 a 3,4 milioni nello stesso periodo. Anche i casi di cataratta sono destinati a crescere del 235%

nello stesso periodo30.

¢

¢ trIal¢clInIcI¢Su¢controllo¢ metabolIco¢ottImIzzato¢ e¢PreVenzIone¢Della¢rD Due recenti meta-analisi hanno molto ridimensionato l’efficacia del controllo glico- metabolico ottimizzato nel prevenire le com-

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¢

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La PND è stata ridefinita di recente come una polineuropatia simmetrica sensitivomo- toria lunghezza-dipendente nei pazienti dia- betici attribuibile ad alterazioni metaboliche e microvascolari conseguenti all’esposizione a iperglicemia cronica e a cofattori di rischio

cardiovascolare1,2. Applicando la definizione

di dolore neuropatico dell’International Asso- ciation for the Study of Pain (IASP)3, la NDD è definita come la forma di polineuropatia simmetrica sensitivomotoria cronica in cui è presente dolore neuropatico (cronico, vale a dire da almeno 3-6 mesi), come diretta con- seguenza delle anormalità del sistema soma- tosensitivo periferico in persone diabetiche. Prima di affrontare le evidenze epidemiolo-

giche sulla neuropatia diabetica in Italia al fine di ottenere una stima della sua prevalenza, oc- corre fare alcune considerazioni per chiarire le ragioni delle limitazioni degli studi disponibili e della non uniformità dei loro risultati. La neu- ropatia diabetica è in realtà l’insieme di forme cliniche eterogenee. L’identificazione della sua forma più comune, la polineuropatia diabetica (non dolorosa e dolorosa), richiede una defini- zione e criteri diagnostici precisi e una diagno- si differenziale verso altre forme di neuropatia diabetica e verso cause non diabetiche di poli- neuropatia. Peraltro, l’approccio diagnostico ha subito una rivalutazione critica negli ultimi due decenni. Per queste ragioni, nel valutare gli stu- di disponibili occorre tenere conto di modalità

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