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E LA RIFORMA COSTITUZIONALE

Nel documento Sisifo 27 (pagine 44-48)

NELLA PROSSIMA

LESIGLATURA»

di F r a n c o P i z z e t t i Questo testo è stato preparato

per il Presidente del Consiglio Regionale della Regione Piemonte

quelle che oggi svolgono attività non-profit di supplenza del pubblico (cooperative di servizi, associazioni di volontariato), ma forse anche strutture che operano sul mercato, a condizione di creare una adeguata «regolamentazione» che impedisca di generare profitti utilizzando i giovani del s.c.o.

Una cosa molto utile per chiarirsi le idee — se non si ritiene di cestinare questa proposta tout court — sarebbe un inventario dei «lavori socialmente utili»; capire quali e quanti richiedono skills e motivazioni particolari e quali no, individuare le istituzioni e gli assetti organizzativi esistenti o auspicabili che potrebbero accoglierli e controllarne l'operato.

Un progetto di questa portata avrebbe una sede naturale in ambito europeo — l'offerta di lavori socialmente utili è un problema che affligge la maggioranza dei paesi membri, non solo l'Italia — e dovrebbe attingere a tutte le esperienze esistenti, dalle associazioni di volontariato alle istituzioni pubbliche e non-profit che svolgono già questi compiti, dalle cooperative di giovani alle grandi imprese private. Il «baby sboom» potrà durare altri trenta anni: per un bel po' di tempo, quindi, le coorti di giovani che si affacceranno sul mercato del lavoro italiano si stabilizzeranno intomo a mezzo milione di persone l'anno. Questi sono i numeri con cui bisogna fare i conti, e su cui, in definitiva, si può fare conto. Non vale la pena provare a discuterne?

Premessa

Si pubblica qui il lesto di un paper predisposto per

sottolineare un problema specifico e definito: quello del possibile ruolo delle Regioni rispetto al processo di riforma istituzionale e costituzionale che ragionevolmente potrà caratterizzare anche la nuova legislatura.

Come è facile constatare si tratta di una riflessione assai preliminare, finalizzata essenzialmente a mettere a punto un primo ragionamento per una possìbile discussione o per una eventuale ricerca di carattere più ampio. Lo scopo dichiarato è tuttavia quello di richiamare l'attenzione delle Regioni, sull'opportunità di affrontare in modo «nuovo» la questione del loro ruolo rispetto al -nuovo» processo costituente che possa eventualmente determinarsi nella prossima legislatura. È peraltro del tutto evidente che le considerazioni qui sviluppate con riferimento alla specifica problematica delle Regioni si fondano su una questione assai più complessa e ricca di implicazioni. La questione, cioè, delle conseguenze che le nuove leggi elettorali per Camera e Senato pongono rispetto ai quorum di garanzia contenuti nella nostra Costituzione. Da questo punto di vista il problema qui sottolineato assume una rilevanza in sè stesso, ed una rilevanza di grandissima importanza. Si può infatti osservare che nella scorsa legislatura si sono contrapposti nei fatti due diversi disegni riformatori: quello fondato sull'idea di una legislatura «costituente», in grado di condurre in porto, nel quadro di quel sistema politico, una incisiva riforma costituzionale; quello di un processo finalizzato prima di tutto a cambiare il sistema politico per procedere poi, e solo poi, a sistema politico cambiato, alla riforma del sistema costituzionale. Le differenti, e

significativamente contrapposte, sorti che hanno caratterizzato il tentativo della Commissione Bicamerale, da un lato, il processo referendario e le conseguenti modifiche delle leggi elettorali di Camera e Senato, nonché della stessa forma di governo di Comuni e Provincie, dall'altro, sono da questo punto di vista assolutamente emblematiche e chiarissime nel loro significato di fondo.

Questo complesso processo storico-istituzionale, che ha caratterizzato gli anni che ci stanno alle spalle, ha tuttavia aperto un nuovo problema, sul quale sembra assai importante richiamare subito l'attenzione: quello appunto del «modo» col quale si dovrà procedere alla revisione costituzionale, in un

contesto nel quale, in virtù dei mutati sistemi elettorali pare a rischio il valore garantistico stesso del procedimento di revisione costituzionale previsto dall'art. 138 Cosi.. Né può essere sottovalutato il fatto che. per quanto importantissimo, il problema della revisione costituzionale non costituisce altro che un riflesso (anche se certamente il più delicato) di un problema ancora più ampio: quello appunto dell'incidenza che sul significato dei quorum di garanzìa previsti dalla nostra Costituzione può avere (ma è forse più giusto dire che ha) il mutamento del sistema elettorale1.

X

È prevedibile che dopo le imminenti elezioni si riproponga nuovamente la questione della riforma costituzionale e dunque che anche la prossima legislatura si prospetti come una legislatura ancora una volta «costituente». È probabile, cioè, che dopo il fallimento, registrato nel corso della legislatura appena sciolta, della Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali e dopo le profonde modificazioni introdotte dalle nuove leggi elettorali nei meccanismi di formazione della

rappresentanza, si ritorni nei prossimi mesi a porre la questione di una riforma costituzionale da sviluppare «in via parlamentare»2.

D'altro canto, se questo avverrà, avverrà comunque in un quadro costituzionale già mutalo, perché il cambiamento stesso delle leggi (e dei sistemi) elettorali, e il passaggio da un sistema proporzionale a un sistema maggioritario, hanno già di fatto determinato un mutamento dei significato dei quorum di garanzia contenuti nella Costituzione'.

J

I1 mutamento di

«quadro» costituzionale già avvenuto riguarda in particolare anche il

procedimento di revisione costituzionale di cui all'art. 138 Cost..

L'art. 138 Cost., infatti, contiene un principio e disciplina una procedura. 3.1. Il principio è quello della revisione costituzionale come garanzia: come un

procedimento, cioè, che deve garantire che la revisione costituzionale, e cioè la modificazione delle regole fondamentali, non possa avvenire a colpi di maggioranza di governo o comunque attraverso decisioni adottate sulla base del semplice principio di maggioranza.

Del resto che l'istituto della revisione costituzionale (e il

relativo procedimento) si configurino come garanzia è ribadito anche dalla

collocazione stessa dell'art. 138 Cost. fra le garanzie

costituzionali dì cui al Titolo VI della Parte II della Costituzione. 3.2. Il procedimento di cui all'art. 138 Cost. è, in questo quadro, l'attuazione procedurale di un principio costituzionale.

Questo procedimento assicura che la maggioranza parlamentare necessaria per modificare la Costituzione sia comunque almeno pari alla maggioranza assoluta delle due Camere. Non solo: stabilisce anche che soltanto nel caso in cui le due Camere deliberino la legge di revisione costituzionale a maggioranza dei due terzi, questa entra immediatamente in vigore. Come è ben noto, infatti, ove la legge costituzionale sia approvata con maggioranza assoluta ma inferiore ai due terzi, essa viene pubblicata ma non promulgata e per tre mesi può essere chiesto il referendum confermativo da parte di un quinto dei membri di ciascuna Camera ovvero di

cinquecentomila elettori, ovvero ancora di cinque Consigli regionali.

Come si vede, sì tratta di un procedimento che traduce il principio garantista contenuto nel medesimo art. 138 Cost. in un aggravamento della procedura decisionale: aggravamento essenzialmente fondato sulla previsione di quorum speciali richiesti per l'approvazione della proposta di legge di revisione

costituzionale.

3.3. Proprio questo aspetto del procedimento, previsto dall'art. 138 Cost. in attuazione del principio in quella stessa disposizione affermato, induce a una attenta riflessione sulle conseguenze che il passaggio da un sistema elettorale

proporzionale (quale quello sempre adottato in Italia dall'entrata in vigore della Costituzione ad oggi) a un diverso sistema di tipo maggioritario, determina in ordine alla attuazione stessa del principio garantista che informa la nostra Costituzione. Come è evidente, infatti, in presenza dì un sistema elettorale proporzionale è possibile sostenere che la maggioranza assoluta delle due Camere tenda ad essere, per definizione, l'espressione della maggioranza assoluta del corpo elettorale, o per lo meno dì quella parte di esso che ha partecipato al voto. Analogamente può dirsi per l'eventuale formarsi di una maggioranza pari o superiore ai due terzi delle due Camere: anche in questo caso, infatti, è possibile ritenere che la maggioranza parlamentare sia espressione di un'analoga maggioranza del corpo elettorale, giustificando così il

fatto che la revisione

costituzionale possa concludersi tutta all'interno del Parlamento, e quindi della «democrazia rappresentativa».

Per contro, è una caratteristica specifica dei sistemi elettorali di tipo maggioritario quella di trasformare comunque le maggioranze relative (o le «minoranze qualificate» che si formino nei singoli collegi elettorali) in una maggioranza in un certo senso assoluta, e comunque idonea a determinare l'attribuzione del seggio, e dunque ad essere l'unica «rappresentata» in Parlamento come manifestazione di volontà e di indirizzo politico del corpo elettorale di quel collegio. D'altro canto questo è quanto molto probabilmente avverrà in quasi tutti i collegi per l'attribuzione della quota maggioritaria dei seggi di Camera e Senato, eccezion fatta per quei pochi casi in cui un candidato potrà avere la maggioranza assoluta dei voti degli elettori del suo collegio. Consegue da questo che le eventuali maggioranze, assolute, o pari o superiori ai due terzi dei parlamentari, che si potranno formare nelle nuove Camere, esprimeranno la «risultante» della volontà manifestata in Parlamento da parlamentari ciascuno dei quali è espressione soltanto di una «frazione» del corpo elettorale del collegio, che li ha eletti. E poiché è ben difficile che in un sistema politico complesso come quello italiano tutti i parlamentari possano essere l'espressione della maggioranza assoluta degli elettori dei loro rispettivi collegi, (mentre del tutto assurdo è poi immaginare che essi possano addirittura essere espressione, collegio per collegio della maggioranza dei due terzi dei loro elettori), ne consegue che oggi, in virtù dell'intervenuto cambiamento di sistema elettorale, il valore garantistico del procedimento previsto dall'art. 138 Cost. risulta profondamente modificato e indebolito.

J K La questione così posta giustifica che ci si U interroghi sul seguente problema:

Posto che l'art. 138 è prima di tutto una norma che fissa un principio e solo in secondo luogo una norma che disciplina un procedimento, è possibile sostenere che l'art. 138 sia rispettato allorché si adotti un procedimento di revisione costituzionale formalmente conforme al dettato della disposizione ma

sostanzialmente, in seguito al mutamento del sistema elettorale, non più adeguato al principio garantista che quella stessa disposizione contiene? O ancora:

Indipendentemente dal tenore

dello stesso art. 138 Cost., è indiscutibile che la nostra Costituzione considera il procedimento di revisione come un procedimento calato in un quadro di forte garanzia (argomenta ex Titolo VI, Parte Il Cost.). E possibile, in un siffatto contesto costituzionale, sostenere e accettare che il mutato effetto sostanziale di garanzia del procedimento di cui all'art. 138 Cost. non abbia alcuna conseguenza

sull'efficacia stessa dì quel procedimento? O non è invece necessario chiedersi quali modifiche al medesimo art. 138 Cost. devono preliminarmente essere introdotte al fine di salvaguardare il principio garantista accolto in

Costituzione, e quindi alfine di rendere sostanzialmente (e non solo formalmente) legittima la eventuale revisione costituzionale?

La necessità di rispettare innanzitutto il principio m J stabilito dall'art. 138 Cost. può giustificare che si sostenga che, laddove non si tratti di procedere a una revisione costituzionale episodica e sostanzialmente marginale ma si tratti invece di modificare in misura rilevante e significativa la Costituzione, ben si possa (o si debba?) fare ricorso a un procedimento di revisione costituzionale diverso e «più rinforzato» di quello formalmente previsto dallo stesso art. 138 Cost.4. È evidente peraltro che in questa logica ogni modifica, anche solo procedurale, deve essere finalizzata appunto ad accentuare la garanzia costituzionale e deve essere decisa nel rispetto di una procedura che sia a sua volta formalmente e sostanzialmente garantista.

5.1. Le considerazioni or ora fatte, del resto, sono state le medesime che hanno presieduto all'approvazione, nella scorsa legislatura, della 1. cost. 9 agosto 1993 n. 1, con la quale fu istituita la Commissione Bicamerale e fu definito un procedimento di revisione costituzionale derogatorio rispetto a quello previsto nell'art. 138 Cost., con un contenuto ancor più garantistico di quello, proprio perché prevedeva comunque il referendum popolare obbligatorio sulla legge di revisione costituzionale eventualmente approvata. 5.2. Si tratta dunque di riprendere le indicazioni già implicite in quel precedente, sottolineando come nella situazione attuale possa trovare ancor maggior fondamento l'esigenza di procedere innanzitutto a definire un procedimento di revisione costituzionale derogatorio e maggiormente garantista di

quello previsto nell'art. 138 Cost.; per procedere poi ma solo poi alla revisione della Costituzione.

^ ^ ^ La questione così posta non è indifferente per il ^ ^ ^ molo istituzionale delle regioni e, soprattutto, per la posizione che il procedimento previsto dall'art. 138 Cost. riconosce ai Consigli regionali. L'art. 138 Cost. prevede infatti esplicitamente che nel caso in cui la legge costituzionale (o di revisione) sia approvata in seconda lettura da una maggioranza inferiore ai due terzi (anche se comunque pari o superiore alla maggioranza assoluta in entrambe le Camere), cinque Consigli regionali possano chiedere il c.d. «referendum

confermativo». Si tratta di una delle disposizioni costituzionali che assegnano un ruolo rilevante alle Regioni nell'ordinamento repubblicano: disposizioni che testimoniano del fatto che nella nostra Carta costituzionale è presente un «disegno», poi diventato «recessivo», ispirato a una concezione «forte» del regionalismo (si vedano art. 71, 1 comma e art. 121, 2 comma sulla iniziativa legislativa; l'art. 75, 1 comma sulla richiesta di referendum abrogativo; l'art. 83, 2 comma sull'elezione del Presidente della Repubblica; l'art. 57, 1 e 3 comma sull'elezione del Senato). 6.1. Per quanto qui ci interessa, però, quello che conta è che l'art. 138, 2 comma, prevedendo la possibilità per cinque Consigli regionali di chiedere il referendum «confermativo» delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale, inserisce a pieno titolo le Regioni nel

procedimento di revisione costituzionale. O, meglio, consente di affermare che le Regioni hanno una sorta di interesse qualificato al procedimento di revisione costituzionale, in quanto anche ad esse la Costituzione assegna un ruolo di «garanzia», se non altro per la parte relativa alla potenziale «attivazione» del referendum costituzionale «confermativo».

6.2. Proprio il ruolo di garanzia attribuito alle Regioni (o se si vuole essere più precisi ai Consigli regionali) e che esse non possono ovviamente esercitare quando la legge costituzionale sia approvata con maggioranza pari o superiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, può ampiamente legittimare che le Regioni pongano sin da ora la questione di quale debba essere il procedimento con cui nella prossima legislatura si potrà e si vorrà procedere alla eventuale revisione della Costituzione.

7

Se le riflessioni fin qui falle appaiono persuasive, resta ancora da affrontare una duplice questione:

1 ) quale interesse (non in termini di legittimità sostanziale, della quale già si è detto nel paragrafo precedente, ma in termini oggettivamente contenutistici) possano avere le Regioni per sollevare questa questione;

2) quale procedura debba in ogni caso essere utilizzata per definire il nuovo (e derogatorio) procedimento di revisione costituzionale.

M y L'interesse sostanziale ^ W k delle Regioni a porre

sotto il profilo anche contenutistico la questione di quale debba essere il procedimento di revisione costituzionale da adottare in seguito alle intervenute modifiche del sistema elettorale è in realtà massimo.

Proprio la situazione di fatto che si è creata con l'adozione del sistema maggioritario può infatti consentire alle Regioni di riaprire oggi, e al livello più alto, quello appunto della fonte costituzionale, la questione del ruolo che deve essere loro riconosciuto nell'ambito dell' ordinamento costituzionale. 8.1. Come è ben noto, è uno dei caratteri tipici degli ordinamenti a forte caratterizzazione federale (o a «forte

regionalizzazione») che gli stati membri (o le loro assemblee rappresentative) siano coinvolte in vari modi e forme nei procedimenti dì revisione costituzionale.

E altresì noto che generalmente a tale coinvolgimento si attribuisce l'effetto di esaltare il ruolo degli stati (e quindi la struttura federativa

dell'ordinamento), di garantire gli stati membri che le regole fondamentali (in questo contesto riconosciute esplicitamente fondamentali per le comunità statuali oltre che per ì cittadini) non possano essere cambiate soltanto con una decisione del Parlamento (o comunque degli organi rappresentativi centrali) ma richiedano anche un intervento «equilibratore» (e quindi garantistico) degli stati membri. 8.2. Del resto, come si è appena ricordato anche la nostra Costituzione nell'art. 138 ha tenuto in qualche, sia pur modesto, conto questo aspetto, prevedendo appunto che ove non venga raggiunta la maggioranza dei due terzi (maggioranza che col sistema proporzionale è di per sè stessa «ipergarantista») sia possibile tanto a cinque Consigli regionali quanto a cinquecentomila elettori chiedere il ricorso al referendum «confermativo». Sembra dunque evidente che il mutamento del sistema

elettorale, rendendo l'eventuale maggioranza dei due terzi dei componenti le due Camere non più «espressiva»

dell'orientamento di una analoga maggioranza di elettori, incide anche sull'efficacia del ruolo di garanzìa (anche per le Regioni e le comunità regionali) connesso al potere dei cinque Consigli regionali di chiedere il referendum «confermativo» solo quando tale maggioranza non sia raggiunta (e lo stesso si potrebbe dire, ma qui non interessa, per quanto riguarda la facoltà riconosciuta ai cinquecentomila elettori). A questo si aggiunga il fatto che, come già si è detto, in ogni caso l'art. 138 Cost., riconoscendo alle Regioni un ruolo nel procedimento di revisione costituzionale, riconosce ad esse anche un «interesse qualificato» alla stessa revisione costituzionale, legittimandone quindi le eventuali iniziative in ordine alla tutela sostanziale degli aspetti garantistici che esso ha, e del ruolo concreto che nell'ambito del procedimento stesso è ad esse riconosciuto. 8.3. Da tutte queste considerazioni deriva la convinzione che le Regioni, di fronte al fatto che in seguito al mutato sistema elettorale viene contemporaneamente: a) potenzialmente ridotto il loro ruolo in ordine alla richiesta di referendum «confermativo» nel procedimento di revisione; b) effettivamente diminuito il valore garantistico del procedimento ex art. 138 Cost.; potrebbero porre con forza la questione di una preliminare modificazione dello stesso procedimento di revisione costituzionale.

In un tale contesto, inoltre, potrebbe essere seriamente posto il problema di un ruolo più ampio e incisivo delle Regioni nello stesso procedimento di revisione costituzionale.

In sostanza: sembrano esserci le condizioni perché le Regioni, all'inizio della nuova

legislatura, pongano non tanto e non soltanto il problema di una revisione della Costituzione per quanto riguarda la forma di Stato, ma pongano anche e soprattutto il problema di un nuovo procedimento che veda una loro incisiva partecipazione al processo di revisione costituzionale.

Tutto questo peraltro, come si è cercato di sottolineare più volte, potrebbe essere

significativamente fondato sulla considerazione che un più incisivo ruolo delle Regioni può assumere un rilevante ruolo di garanzia all'interno di un ordinamento statuale destinato appunto ad essere riformato in senso più accentuatamente regionalista.

Da questo punto di vista un nuovo procedimento di

revisione che riconoscesse alle Regioni un ruolo incisivo potrebbe essere coerentemente anticipatore di una riforma costituzionale della forma di Stato in senso autenticamente regionalistico.

Anche per questo è ragionevole sostenere che la nuova frontiera de! regionalismo nella nuova legislatura debba essere individuata prima di tutto nella questione del procedimento di revisione costituzionale da adottare.

Resta da esaminare l'ultima questione ^ ^ precedentemente indicata, quella relativa cioè alle modalità che devono essere adottate per modificare l'art. 138 Cost., ripristinandone nel modo più pieno il valore garantistico.

Da questo punto di vista, allo stato attuale sembra necessario sostenere che il solo

procedimento ammissibile sia il ricorso al medesimo art. 138 Cost.: procedimento questo, dunque, che, come è già avvenuto nell'ultima legislatura per la Commissione Bicamerale, dovrebbe essere comunque utilizzato per definire appunto un nuovo e diverso

procedimento che ne superi i limiti attuali dal punto di vista della sua capacità di attuare e rispettare il principio garantista. Né la cosa deve apparire giuridicamente insostenibile o politicamente impraticabile: come si è appena detto, infatti, proprio questo è ciò che è accaduto con la 1. cost. n. 1 del 9 agosto 1993.

Ed anche se nel caso che qui si prospetta ci si trova di fronte all'ipotesi di una modifica procedimentale assai più significativa, e tale da mutare in senso regionalistico l'esercizio stesso del potere costituente (ma si potrebbe giungere sino a una modifica dello stesso «soggetto» costituente), ciò non di meno da un punto di vista giuridico la prospettiva appare egualmente sostenibile e coltivabile.

Più problematica può essere questa prospettiva sul piano

Nel documento Sisifo 27 (pagine 44-48)

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