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Eccezioni al divieto: il “fatto processuale”

Nel documento Il "fatto" in Cassazione (pagine 137-139)

5. Il dibattito in sede Costituente

1.2. Eccezioni al divieto: il “fatto processuale”

La regola per la quale l’accertamento in fatto sfugge al sindacato della Corte di cassazione trova un’eccezione nel caso in cui l’organo di legittimità sia chiamato a valutare la sussistenza o meno di un error in procedendo.

Si tratta di un risultato pacifico, ammesso sia in dottrina374 che in giurisprudenza375, e che si fonda sulla distinzione, già presente sotto il vigore del vecchio codice, tra difetti di giudizio, nel cui ambito rientrano gli errores in iudicando, e difetti di attività, che si traducono in errores in procedendo. Non ci soffermeremo oltre su tale distinzione e sulla sua opportunità, che da taluni è stata posta in dubbio376, qui basti rilevare che, come

374 Cfr. CHIOVENDA G.,Principii di diritto processuale civile, cit., pp. 1029 ss.; SATTA S.,Commentario al codice di procedura civile, cit., p. 189; LORENZETTO PESERICO A.,Errores in procedendo e giudizio di fatto

in cassazione, in Riv. dir. civ., 1976, I, pp. 638 ss.; BOVE M.,La Corte di cassazione come giudice di terza istanza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, II, pp. 947 ss.; GRAZIOSI A., Piccole variazioni in tema di errores

in procedendo e accertamenti del fatto nel giudizio di Cassazione, in Giustizia senza confini. Studi offerti a

Federico Carpi, Bononia University Press, Bologna, 2012.

375 «Quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un “error in procedendo”», si legge nelle pronunce del Supremo consesso, «il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto». V., tra la giurisprudenza più recente, Cass. (ord.) 13/08/2018, n. 20716, in CED rv. 650015-02; Cass. 21/04/2016, n. 8069, in CED rv. 639483-01; Cass. 30/07/2015, n. 16164, in CED rv. 636503-01; Cass. SS.UU. 22/05/2012, n. 8077, in CED rv. 622361-01.

376 Cfr. FAZZALARI E.,Il giudizio civile di cassazione, cit., pp. 102 ss., che arriva a negare il fondamento

logico della distinzione tra i due tipi di errore rilevando che «per tenerla ferma rispetto ai tipi di vizi fissati dall’art. 360 occorrebbe, da un canto, cogliere fra i medesimi un divario di disciplina positiva, che costituisca valida ratio distinguendi, e, dall’altro, convincersi che tale divario possa essere convenientemente contraddistinto dalle due formule in discorso. (…) Non sembra che la distinzione possa essere adibita per separare dagli altri gli errori di diritto che inficiano il contenuto della sentenza di merito (di cui al n. 3 dell’art. 360), sotto il riflesso che questi ultimi consisterebbero nella inosservanza della legge sostanziale: (…) oggetto della violazione è ancora qui la legge processuale (regolatrice del contenuto della sentenza di merito: giudizio e comando). Né può addursi come ratio distinguendi che tali errori, a differenza di tutti gli altri non involgono la cognizione del “fatto”. A tacer d’altro, il “fatto” il cui riesame è inibito alla Corte nell’ambito del n. 3 (in sede di controllo di giudizio di merito) è toto coelo diverso dal “fatto” che essa può conoscere, poniamo, in ordine ad una “nullità” del procedimento (…) Ma, qualora si assuma un parametro omogeneo, cioè ci si riferisca al “fatto” in uno dei due diversi significati, la distinzione fra i due gruppi di vizi sfuma: inteso come componente del rapporto litigioso, il “fatto” non rientra, di certo, nella cognizione relativa alle

autorevolmente affermato, «non altrimenti risolvendo questioni di fatto può decidersi se fu omessa o violata una forma, se la sentenza è nulla, se le parti erano o no capaci, se vi fu eccesso di potere o mancata pronuncia»377.

Quando la Corte opera come giudice del fatto (processuale) non valuta il rapporto sostanziale, accertando e valutando un fatto posto in essere prima e fuori dal processo, ma verifica il suo corretto svolgimento badando affinchè gli atti delle parti e del giudice siano stati posti in essere secondo le forme e nel rispetto della sequenza procedimentale previsti dalla legge processuale. Si tratta, in sostanza, di fatti “interni” al procedimento: il fatto, osserva ancora RORDORF,«si colloca all’interno di una vicenda che è tuttora in corso di sviluppo, sia quando quella vicenda ancora si sta svolgendo nella fase del giudizio di merito sia quando è transitata nel giudizio di legittimità, che pur sempre nel medesimo rapporto processuale s’inserisce[;] la fondamentale unitarietà del procedimento, pur nei diversi gradi e fasi in cui si svolge, rende il vizio attuale, ove sia tale da incidere sulla decisione della causa e da compromettere la realizzazione del giusto processo»378.

nullità del procedimento; inteso, invece, come concreta condotta nel processo, il “fatto” non sfugge mai alla cognizione della Corte, perché anche quando conosce del cosidetto error in iudicando, essa sindaca appunto una concreta condotta processuale, cioè l’attività del giudice concretatasi nel giudizio. (Del resto, è proprio sotto questo profilo che l’errore incorso nella ricostruzione del fatto, e di cui al n. 5 dell’art. 360, viene configurato come error in procedendo e che – ove si volesse ad ogni costo prestare ossequio a queste formule tradizionali – si dovrebbe concludere che tutti i vizi di cui all’art. 360 sono errores in procedendo». Al più, osserva ancora FAZZALARI, «all’interprete è dato scorgere una sola differenza di disciplina, davvero rilevante

la quale corre tra una delle categorie di vizi che rientrano nel n. 3 dell’art. 360, e precisamente le violazioni o false applicazioni di legge che inficino la motivazione della sentenza di merito (meglio il giudizio di merito in essa contenuto), e tutti gli altri vizi indicati dall’art. 360 (…); e consiste in ciò che i primi, a differenza dei secondi, non conducono illico et immediate all’annullamento della sentenza che ne risulti affetta, dovendo la Corte eseguire in più, per essi, il controllo di “causalità”, cioè stabilire se si siano o meno tradotti in errori del dispositivo. Ma, se questo è il divario, non pare che convenga segnalarlo con le formule “errores in iudicando” ed “errores in procedendo”» (ivi, pp. 104-105).

In termini diversi si pone MAZZARELLA che, nonostante rilevi la problematicità della distizione, non ne nega una rilevanza pratica osservando che «vi sono delle norme per le quali non può vigere alcun divieto di conoscere il fatto perché esse, per l’oggetto che disciplinano, non presuppongono alcun giudizio sul fatto, cioè sull’accadimento passato, ma su qualcosa che, a rigore, (ancora) “accaduto” non è. Sotto questo profilo, ha ragione chi sottolinea che il fatto, il cui esame è inibito alla Corte nell’ambito del n. 3 dell’art. 360, è diverso dal fatto che essa può e deve conoscere nell’ambito dell’error in procedendo». Il “fatto processuale”, di cui la Cassazione è giudice, non sarebbe, secondo l’a., un “fatto” in senso stretto, ma una “situazione”, il processo, che si evince dagli atti del procedimento. Non si tratterebbe, in sostanza, di «violazioni di legge commesse con l’agire e violazioni commesse col giudicare (quasi che giudicare non sia un agire particolare); molto più semplicemente si tratta di violazioni non solo che normalmente si rivelano dagli atti, ma il cui effetto è, per così dire, permanente, nel senso che (salvi i possibili casi di sanatoria) viziano l’intero processo» (così MAZZARELLA F., Analisi del giudizio civile di cassazione, cit., p. 68-70).

377 Cfr. CHIOVENDA G.,Principii di diritto processuale civile, cit., p. 1037.

378 Cfr. RORDORF R., Questioni di diritto e giudizio di fatto, in La Cassazione civile. Lezioni dei magistrati della Corte suprema italiana, cit., p. 40.

Il sindacato della Suprema corte non si arresta alla semplice constatazione delle modalità e delle scansioni temporali rispetto alle quali l’attività processuale delle parti o del giudice è stata (o non è stata) posta in essere, e da cui è derivata la nullità del provvedimento finale, ma si estende oltre, alla interpretazione del contenuto dell’atto stesso.

L’estensione a tale ambito di cognizione della Corte, già riconosciuta da parte della dottrina379, non apparve parimenti accolta in giurisprudenza ove si riscontrò un contrasto tra pronunce che ribadivano il potere dell’organo di cassazione di procedere direttamente all’esame e alla valutazione degli atti del processo di merito nel caso in cui fosse denunciato un error in procedendo, e quelle che affermavano l’assegnazione in via esclusiva al giudice di merito del compito di interpretare e valutare gli atti processuali, circoscrivendo il sindacato della Cassazione ai soli eventuali vizi di motivazione. Per la composizione di tale contrasto intervennero le sezioni unite che, con sentenza 22 maggio 2012, n. 8077, affermarono il principio di diritto secondo cui «quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito»380.

Nel documento Il "fatto" in Cassazione (pagine 137-139)