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L’intrinseca ipocrisia delle premesse ideologiche

Nel documento Il "fatto" in Cassazione (pagine 37-45)

4. La disciplina post-rivoluzionaria: il Tribunal de cassation

4.1. L’impostazione teorica del Tribunal de cassation

4.2.1. L’intrinseca ipocrisia delle premesse ideologiche

Per quanto concerne le premesse ideologiche, l’ipocrisia dei legislatori rivoluzionari non può che evincersi che nella disciplina del référé legislatif 68 la quale, nell’impedire al

66 Cfr. SPANGHER G., Trattato di procedura penale, op. cit., p. 628.

67 Di ciò è lo stesso CALAMANDREI a farsi portavoce rilevando come «se i legislatori della Rivoluzione

avessero potuto in realtà, come essi utopisticamente pretendevano, creare ex novo gli organi del nuovo ordinamento, dimenticando interamente le concezioni giuridiche del passato, avremmo forse trovato una perfetta corrispondenza tra la loro concezione astratta della Cassazione e la pratica attuazione di essa nei testi di legge usciti dall’Assemblea. Ma poiché tale assoluta astrazione dalla realtà storica non è che una utopia, dobbiamo accorgerci che, già in questo primo Decreto fondamentale, non tutte le norme che regolano la Cassazione sembrano in armonia con quelle idee che abbiamo trovate esposte con tanta enfasi dagli oratori della Rivoluzione: noi vediamo, cioè, che mentre alcune disposizioni corrispondono perfettamente a quel tipo “puro” di organo di cassazione che i riformatori vagheggiavano, altre disposizioni già sembrano iniziare un movimento di trasformazione e di evoluzione da questo tipo originario verso un istituto di natura diversa e più complessa» [cfr. CALAMANDREI P., (a cura di CAPPELLETTI M.) Op. giur. Vol. VI, op. cit., §157, p. 420].

68 Per un’analisi storico-giuridica approfondita sul tema, v. ALVAZZI DEL FRATE P., Giurisprudenza e référé

législatif in Francia nel periodo rivoluzionario e napoleonico, Giappichelli, Torino, 2005. Qui solo alcuni accenni: l’istituto del référé législatif, ossia del “riferimento al legislatore” era invero già conosciuto nell’ancien régime ove il sovrano, al fine di unificare e razionalizzare l’ordinamento giuridico, tentò di reprimere l’autorità dei Parlamenti interdicendo loro – come si è già avuto modo di osservare – l’interpretazione della normativa regia attraverso la previsione di cui agli artt. 3 e 7, titolo I dell’Ordonnance

civile del 1667 che disciplinavano, rispettivamente, il référé facultatif e il référé obligatoire. Le due forme

di référé législatif divergevano tra loro solo per la discrezionalità in capo al giudice, nel référé facultatif, della sospensione del processo e della necessarietà della interpretazione, sotto quest’ultimo profilo occorre ricordare che il giudice era obbligato a riferirsi al legislatore solo quando lo necessitava, quindi solo quando riconoscesse la necessità dell’interpretazione [cfr. ALVAZZI DEL FRATE P.,, Giurisprudenza e référé législatif

in Francia nel periodo rivoluzionario e napoleonico, op. cit., p. 3 ss ]. Con l’instaurazione del nuovo

ordinamento rivoluzionario i due istituti vennero mantenuti anche se con alcune differenze: il référé

giudice ogni sorta di interpretazione della legge e nell’obbligarlo ad interpellare il legislatore ogniqualvolta incontrasse un dubbio interpretativo od una lacuna normativa, rivela da un lato, l’incoerenza con cui viene affermata l’autoreferenzialità della Legge e, dall’altro, la parzialità con cui viene asserito il principio della separazione dei poteri.

In un sistema legicentrico del tutto autosufficiente non dovrebbe – in teoria – trovare spazio alcuno un istituto come il référé législatif che trova il proprio presupposto appunto nell’imperfezione della legge. Tale incoerenza è rilevata anche dallo stesso CALAMANDREI

secondo cui l’art. 12, Titolo II del Decreto 16 - 24 agosto 179069, nel prevedere che i giudici potessero rivolgersi al legislatore per ottenere un’interpretazione autentica “toutes les fois qu’ils croiront nécessaire, soit d’interpréter une loi, soit d’en faire une novelle”, «dimostra che in fondo neppure i riformatori erano assolutamente sicuri della chiarezza e della compitezza della loro codificazione»70. D’altra parte, l’intrinseca contraddizione dell’istituto del référé è a sua volta la risultante di una concezione teorica errata ab origine: si deve infatti ammettere come sia lo stesso divieto di interpretazione, rispetto al quale l’istituto del référé trova la propria legittimazione71, a non trovare alcun riscontro che non

essi non riuscissero a trovare nel diritto positivo una norma che potesse letteralmente adattarsi alla fattispecie da decidere» [cfr. CALAMANDREI P., (a cura di CAPPELLETTI M.) Op. giur. Vol. VI, op. cit., §151, p. 407] assicurando quindi un controllo preventivo circa il rispetto della separazione dei poteri che imponeva al giudice di attenersi, nelle proprie pronunce, al testo espresso della legge; il référé obligatoire assunse invero una qualificazione molto diversa rispetto alla disciplina dell’ancien régime in quanto si configurava quale strumento necessariamente legato all’istituzione dello stesso Tribunal de cassation essendo istituto atto a risolvere i conflitti interpretativi tra l’organo di cassazione e il giudice del rinvio, a differenza del référé

facultatif che comunque mantenne il proprio presupposto nella individuazione di un dubbio interpretativo o

di una lacuna normativa da parte dei tribunali ordinari.

69 Art. 12, Titolo II, Decreto 16-24 agosto 1790: “Ils [les juges] ne pourront point faire de règlements; mais ils s’adresseront au Corps législatif toutes les fois qu’ils croiront nécessaire, soit d’interpréter une loi, soit d’en faire une novelle”. Al Decreto 16-24 agosto 1790, rubricato Décret sur l’organisation judiciaire, si farà

successivamente riferimento nella forma abbreviata: “decr. org. giud.”. Per prendere visione del testo del decreto v. MAVIDAL J. – LAURENT È. (a cura di), Archives parlementaires de 1787 à 1860: recueil complet

des débats législatifs et politiques des Chambres françaises. Première série, 1787 à 1799. Tome XVIII, Du 12 août 1790 au 15 septembre 1790, chez Dupont, Paris, 1884, p. 104, consultabile altresì online alla pagina

web: https://archive.org/stream/archivesparlemen18pariuoft#page/104/mode/1up

70 Cfr. CALAMANDREI P., (a cura di CAPPELLETTI M.) Op. giur. Vol. VI, op. cit., §151, p. 407, in senso

conforme, le affermazioni del SATTA: «D’altra parte, l’introduzione del référé, come strumento offerto al

giudice per sottoporre al Corpo legislativo tutti i casi in cui ritenesse necessari chiarimenti sia in ordine alla interpretazione di una norma sia in ordine alla esistenza o meno di una regola da applicare al caso oggetto del giudizio, già dimostra che gli stessi costituenti francesi non erano sicuri dell’onnipotenza e della chiarezza delle leggi ed avvertivano che l’applicazione della legge, pur tanto perfetta, era un fatto tutt’altro che meccanico» cfr. SATTA S. – PUNZI C., Diritto processuale civile, appendice di aggiornamento alle XIII ed.,

op. cit., p. 40.

71 Il référé législatif, come disciplinato dall’art. 12, tit. II, decr. org. giud., trova infatti la propria

legittimazione negli artt. 10 e 11, tit. II, decr. org. giud. che impediscono ai tribunali di esercitare, direttamente o indirettamente, il potere legislativo [v. MAVIDAL J. – LAURENT È. (a cura di), Archives

parlementaires de 1787 à 1860: recueil complet des débats législatifs, Tome XVIII, op cit., p. 105

esuli dal mero razionalismo astratto, ossia dall’idea che «la norma, qual’essa è, sia senz’altro tutta se stessa immediatamente, così che l’applicazione del diritto sarebbe un giuoco autonomo»72.

Da tale impostazione, che SATTA definisce come “l’orgoglio del legislatore illuminista”73, deriva infatti il consequenziale timore per cui «una volta formulate leggi così perfette, che rappresentano il trionfo della rivoluzione e l’inizio dei tempi illuminati, non venga frapposto un ostacolo alla loro applicazione»74. Ebbene, è proprio in questo dato, ossia nell’inscindibilità tra l’affermazione dell’onnipotenza della legge e la negazione circa qualsivoglia problema sulla sua applicazione, che legittima il divieto di interpretazione della legge. Non occorre sottolineare l’impossibilità di tradurre tale ideologica – e surreale – impostazione teorica a livello positivo senza incorrere in alcuna contraddizione od ipocrisia; del resto, come afferma PICARDI, «la verità è che non è possibile vietare o limitare l’interpretazione giudiziale: essa finisce per la natura delle cose col debordare da qualsiasi barriera che le si voglia imporre»75.

Il référé legislatif, oltre a mostrare i sopracitati profili di incoerenza rispetto all’asserita autoreferenzialità della Legge, comporta poi una più incisiva e rilevante violazione al principio della separazione dei poteri, rispetto al quale si fa portavoce solo in via unilaterale e in modo del tutto parziale. Fin dalle sue storiche origini, l’istituto si pone infatti come strumento di repressione circa l’eventuale attività nomopoietica surrettiziamente esercitata dai giudicanti, in una prospettiva di assoluta preminenza del potere legislativo su quello

di interpretatio e l’istituto del référé si identificavano l’un l’altro nell’art. 7, tit. I, dell’Ordonnance civile del 1667 che, secondo CALAMANDREI, «riservava espressamente (…) ogni interpretazione della legge al sovrano, cosicché, se un giudice, trovandosi dinanzi ad un’ordinanza regia di dubbio significato, presumeva di interpretarla senza consultare il re, commetteva ipso facto, anche se la interpretazione da lui raggiunta era sostanzialmente giusta, una contravvenzione al divieto categorico di interpretare» [cfr. CALAMANDREI P., (a cura di CAPPELLETTI M.) Op. giur. Vol. VI, op. cit., §131, p. 346].

72 Cfr. SATTA S. – PUNZI C., Diritto processuale civile, appendice di aggiornamento alle XIII ed., op. cit., p.

39, cfr. PUNZI C., Giudizio di fatto e giudizio di diritto. I. Premesse generali, Giuffrè, Milano, p. 77.

73 Ibid., ove l’a. afferma come l’onnipotenza e sufficienza della legge esprima «l’orgoglio del legislatore

illuminista, l’orgoglio della ragione, che ritiene di attraverso l’opera di codificazione di creare leggi chiare e compiute, un corpo idoneo di leggi idoneo in avvenire a risolvere in modo sicuro tutte le controversie con conseguente esclusione non solo della possibilità delle lacune, ma addirittura dell’eventualità di dubbi interpretativi».

74 Ivi, p. 40.

75 Cfr. PICARDI N., Introduzione, in Code Louis, I, Ordonnance civile 1667, Milano, Giuffré, 1996, p. XXIX-

XXX. La critica del PICARDI, pur essendo indirizzata al sistema di interpretazione autentica dell’ancien

régime può essere fatta valere anche in questa sede. Del resto, a prescindere dall’estremismo nomopoietico

a cui può essere portata l’interpretazione giudiziale non è possibile asserirne l’inevitabilità: il giudice deve necessariamente poter compiere un’attività interpretativa, anche solo al fine di applicare la norma, generale ed astratta, alla fattispecie concreta posta sotto la sua cognizione.

giudiziario; ma ciò, nell’ancien régime, non poteva considerarsi una violazione al principio della separazione dei poteri per il semplice fatto che il principio in questione non era ancora stato affermato.

Si è già infatti avuto modo di osservare come il sovrano legislatore, nell’interpretare autenticamente una norma in un contesto giudiziario, risolvendo – indirettamente – il merito della controversia, non esorbitasse dalle proprie attribuzioni essendo, egli stesso, fonte originaria della giurisdizione e giudice supremo di tutto il regno. In altre parole: qualora il sovrano, nell’affermare le proprie prerogative legislative, finiva col decidere nel merito la questione giudiziaria non faceva altro che ritenere a sé una funzione – quella giurisdizionale – che gli spettava a priori e che egli aveva semplicemente delegato ad organi a sé estranei.

Tali considerazioni non possono però egualmente riproporsi nel contesto giuridico post- rivoluzionario ove il principio della separazione dei poteri non solo veniva affermato positivamente, ma costituiva altresì il presupposto legittimante lo stesso ordinamento politico76. Il divieto di reciproca ingerenza tra il potere legislativo e quello giudiziario veniva infatti affermato, da un lato, nel disposto di cui l’art. 10, tit. II, decr. org. giud. che faceva fatto divieto per i tribunali di «prendre directement ou indirectement aucune part à l’exercice du pouvoir législatif»77 e, dall’altro, dalla previsione di cui all’art. 1, cap. V della Costituzione francese del 3-14 settembre 1791 che sanciva espressamente come «Le

76 Art. 16, Déclaration des droits de l’homme et du citoyen: “Toute société dans laquelle la garantie des droits n’est pas assurée, ni la séparation des pouvoirs déterminée, n’a point de Constitution.” [cfr. MAVIDAL

J. – LAURENT È. (a cura di), Archives parlementaires de 1787 à 1860: recueil complet des débats législatifs

et politiques des Chambres françaises. Première série, 1787 à 1799. Tome XXX, Du 28 août au 17 septembre 1791, chez Dupont, Paris, 1888, p. 152, consultabile altresì online alla pagina web:

https://archive.org/stream/archivesparlemen30pariuoft#page/152/mode/1up]. Il principio della separazione dei poteri è evidente anche nella sistematica della Costituzione francese del 3-14 settembre 1791, nella quale i tre poteri sono rispettivamente sanciti agli artt. 3 (potere legislativo), 4 (potere esecutivo) e 5 (potere giudiziario) e disciplinati ai Capitoli III (legislativo), IV (esecutivo) e V (giudiziario), v. Constitution

française du 3 septembre 1791, in MAVIDAL J. – LAURENT È. (a cura di), Archives parlementaires de 1787

à 1860: recueil complet des débats législatifs et politiques des Chambres françaises. Première série, 1787 à 1799. Tome XXX, Du 28 août au 17 septembre 1791, chez Dupont, Paris, 1888, p. 151, consultabile altresì

online alla pagina web: https://archive.org/stream/archivesparlemen30pariuoft#page/151/mode/1up.

77 Art. 10, tit. II, decr. org. giud.: “Les tribunaux ne pourront prendre directement ou indirectement aucune part à l’exercice du pouvoir législatif, ni empêcher ou suspendre l’exécution des décrets du Corps législatif sanctionnés par le roi, à peine de forfaiture”, cfr. MAVIDAL J. – LAURENT È. (a cura di), Archives

parlementaires de 1787 à 1860: recueil complet des débats législatifs, Tome XVIII, op cit., p. 105

pouvoir judiciaire ne peut, en aucun cas, être exercé par le Corps législatif, ni par le Roi»78.

Nonostante tali asserzioni di principio, la separazione dei poteri veniva ad assumere, nella realtà pratica, profili di indiscussa parzialità a favore del Legislativo e di ciò una prova inconfutabile viene offerta appunto dal référé législatif che, da «istituto paradigmatico della separazione assoluta dei poteri»79 veniva paradossalmente a trasformarsi in «strumento di condizionamento della giustizia da parte del legislatore»80. Ciò, s’intende, si verificava sia nel caso di référé facultatif sia nel caso di référé obligatoire, con l’unica differenza che nella prima di queste ipotesi la violazione assumeva carattere meramente potenziale. Deve infatti sottolinearsi come il carattere “facoltativo” del référé ex art. 12, tit. II, decr. org. giud. ponesse delle condizioni all’intervento del Corpo legislativo da identificarsi, si è già avuto modo di dire81, nell’individuazione della lacuna e nel riconoscimento circa la necessarietà dell’interpretazione della norma da parte del giudice il quale, una volta soddisfatte tali condizioni, aveva l’obbligo di riferirsi al Legislatore al fine di ottenere, a seconda dei casi: a) o un’interpretazione autentica di una legge già in vigore, attraverso una legge interpretativa; b) o una disposizione legislativa nuova, tendente a colmare la lacuna legislativa evidenziata dal giudice a quo82. In entrambi questi casi, qualora il Legislatore intervenisse in pendenza del giudizio83, il suo intervento finiva con l’assumere necessariamente il carattere di decisione giudiziaria, risolvendo nel merito il giudizio a quo. Ciò, s’intende, comportava un’esplicita violazione non solo al

78 Art. 1, Cap. V, cost. 3-14 sett. 1791, cfr. MAVIDAL J. – LAURENT È. (a cura di), Archives parlementaires de 1787 à 1860: recueil complet des débats législatifs, Tome XXX, op cit., p. 164,

https://archive.org/stream/archivesparlemen30pariuoft#page/164/mode/1up.

79 In questi termini lo definisce ALVAZZI DEL FRATE, cfr. ALVAZZI DEL FRATE P., Giurisprudenza e référé

législatif in Francia nel periodo rivoluzionario e napoleonico, op. cit., p. 20.

80 Ivi, p. 40. 81 v., retro, nota 67.

82 Cfr. ALVAZZI DEL FRATE P., Giurisprudenza e référé législatif in Francia nel periodo rivoluzionario e napoleonico, op. cit., p. 47.

83 «È opportuno sottolineare che», scrive l’ALVAZZI DEL FRATE, «secondo l’interpretazione prevalente, il référé facultatif, in applicazione dell’art. 12, tit. II, legge 16-24 agosto 1790 (…) non doveva necessariamente

avere origine da uno specifico procedimento giudiziario in corso. La formulazione dell’articolo presentava senza dubbio una certa ambiguità: la locuzione tout les fois su’ils croiront nécessaire indusse numerosi giudici a ritenere che il référé potesse divenire una sorta di quesito o petizione al legislatore, come era avvenuto nell’Ancien Régime, sulla base dell’art. 3, tit. I, dell’Ordonnance civile del 1667 (…). Il ricorso al

référé facultatif negli anni 1791-1792 fu frequente, data la situazione di frammentarietà della legislazione.

Inoltre, nel clima di incertezza provocato dalla Rivoluzione e nel timore di fornire un’interpretazione non corretta, o non gradita al potere politico, i giudici preferirono spesso sospendere il giudizio e attendere il responso del legislativo» cfr. ALVAZZI DEL FRATE P., Giurisprudenza e référé législatif in Francia nel

principio della separazione dei poteri ma anche, in materia penale, ai principi di tipicità e irretroattività delle leggi.

La giustificazione addotta a fondamento di tale inconvenienza è ovviamente da ricercarsi nell’eccessivo timore con il quale il Legislatore rivoluzionario guardava all’attività interpretativa: l’interpretazione era infatti intesa come un «complesso, ampio ed eterogeneo, di attività di adattamento della norma alla fattispecie concreta, di indubbio carattere nomopoietico»84. L’interpretazione non rientrava nel campo dell’ermeneutica ma in quello della normazione che doveva necessariamente essere separato dal campo della giurisdizione; osserva infatti BERGASSE, nella relazione introduttiva al primo progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario: “Le pouvoir judiciaire sera donc mal organisé si le juges jouit du dangereux privilége d’interpréter la loi ou d’ajouter à ses dispositions. Car, on aperçoit sans peine que si la loi peut être interprétée, augmentée, ou, ce qui est la même chose, appliquée au gré d’une volonté particulière, l’homme n’est plus sous la sauvegarde de la loi, mais sous la puissance de celui qui interprète ou qui l’augmente; et le pouvoir d’un homme sur un autre homme étant essentiellement ce qu’on s’est proposé de détruire par l’institution de la loi, on voit clairement que ce pouvoir au contraire acquerrait une force prodigieuse, si la faculté d’interpréter la loi était laissée à celui qui en est dépositaire”85. Non importava quindi distinguere se l’interpretazione interdetta al giudice si esaurisse nell’interpretazione “in astratto” o coinvolgesse altresì quella “in concreto” 86, ciò che veniva vietata era l’attività interpretativa in quanto tale poiché considerata rientrante nel campo della nomopoiesi e non in quello dell’ermeneutica.

Lo stesso timore legittimava altresì la ratio del référé obligatoire anche se in termini molto differenti rispetto a quella del référé facultatif e ciò in conseguenza del fatto che, se quest’ultimo voleva negare ogni sorta di interpretazione giudiziale, il référé obligatoire

84 Ivi, p. 32.

85 Seduta del 17 agosto 1789, in MAVIDAL J. – LAURENT È. (a cura di), Archives parlementaires de 1787 à 1860: recueil complet des débats législatifs, Tome VIII, op cit., p. 443, consultabile alla pagina web:

https://archive.org/stream/archivesparlemen08pariuoft#page/443/mode/1up.

86 «Secondo il Guastini, “l’interpretazione ‘in abstracto’ consiste nel riformulare (…) l’enunciato

interpretato. Il risultato di siffatta interpretazione è un nuovo enunciato (l’enunciato interpretante) che l’interprete assume sinonimo dell’enunciato interpretato” mentre “l’interpretazione ‘in concreto’..consiste nel sussumere una fattispecie concreta (‘un caso’) nel campo di applicazione di una norma. Il risultato di siffatta interpretazione è un enunciato normativo (non generale e astratto) ma individuale e concreto che qualifica la fattispecie in esame» cfr. ALVAZZI DEL FRATE P., Giurisprudenza e référé législatif in Francia

nel periodo rivoluzionario e napoleonico, op. cit., p. 7. Nonostante la dottrina prevalente ritenesse applicabile

il divieto di interpretazione sia nella forma “in astratto” che in quella “in concreto”, ALVAZZI DEL FRATE

ritiene di condividere l’impostazione dell’HALPÉRIN secondo cui, in realtà, all’epoca non si era ancora formata una distinzione tecnica tra le due forme di interpretazione.

era teso ad impedire il formarsi di una giurisprudenza specifica, ossia quella del Tribunal de cassation.

A sostegno di quest’ultima considerazione si pone infatti il preteso carattere para- legislativo dell’organo di cassazione, volutamente imposto dall’Assemblea, secondo

ALVAZZI DEL FRATE, per evitare il formarsi di un tribunale superiore, la cui giurisprudenza poteva costituire una forma di «normazione concorrenziale con quella legislativa»87.

A prescindere dal carattere del Tribunal de cassation occorre ora soffermarsi sul disposto dell’art. 21 del Decreto istitutivo, dal quale pare evincersi non già una potenziale violazione al principio della separazione dei poteri, come accadeva qualora il Legislativo si pronunciasse in seguito alla proposizione del référé facultatif, ma una violazione che pare porsi in maniera del tutto esplicita e costante.

L’art. 21 del Decreto istitutivo88 disponeva infatti che nel caso in cui, a seguito di una seconda cassazione, fosse riproposto ricorso contro la sentenza del terzo giudice di rinvio per i medesimi motivi delle prime due, il Tribunal non potesse procedere ad una terza cassazione ma fosse costretto ad interpellare l’Assemblea legislativa la quale avrebbe pronunciato un décret déclaratoire de la loi, vincolante per il Tribunal de cassation. Ora, se da un punto di vista meramente teorico l’istituto del référé obligatoire avrebbe garantito la separazione dei poteri, da un punto di vista pratico non si traduceva che in una indebita inferenza del potere legislativo su di quello giudiziario che si ripeteva ogniqualvolta si verificasse un contrasto tra il giudice di rinvio e il Tribunal de cassation.

Da un punto di vista squisitamente teorico, CALAMANDREI rileva come il Legislatore

non fosse invero «invitato a giudicare, il che avrebbe violato un canone fondamentale della

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