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1.2 “Progettualità” delle Pratiche

Capitolo 2 Razionalità del Progetto

2.5 Ecologia del Progetto

«La riconquista di un grado di autonomia creatrice in un campo particolare richiama altre conquiste in altri campi. Così è tutta una catalisi della ripresa di fiducia dell’umanità in se stessa che va forgiata, passo dopo passo, e talvolta dai mezzi più minuscoli». (Guattari 1991, Le tre ecologie, citato in Pizziolo Micarelli 2003a: 321).

La ricostruzione dei quadri epistemologici qui presentata, non sarebbe com- pleta se non si occupasse di guardare a quello che ritengo uno degli avanza- menti disciplinari più efficaci all’interno delle teorie del progetto. Esso si inquadra all’interno dei dilemmi epistemologici sollevati dalla scienza con- temporanea e, in particolare, raccoglie quelle sfide lanciate dalle riflessioni sorte in seno alla scienza dell’ecologia (Bateson 1972), della complessità (Bocchi, Ceruti 1985) e della fenomenologia (Heiddeger 1970). Le riflessio- ne afferenti a questi campi del sapere si sono addensate sul alcuni nodi pro- blematici che possono essere individuati sulla (1) necessità di rovesciare l’i- dea deterministica di poter oggettivare la realtà indagata per poterla cono- scere e quindi poter agire sulla base di tale conoscenza e, (2) non esistendo più alcuna realtà oggettiva, colui che cerca una verità scientifica è in grado di trovarla solo se si immerge nel fenomeno indagato, lo modifica e ne resta modificato.

A Giorgio Pizziolo e Rita Micarelli si deve riconoscere il merito di aver inteso l’at- tività della progettazione proprio alla luce di questa rinnovata epistemologia:

«Alla base di ogni attività progettuale sta un desiderio di parte- cipazione alla trasformazione del reale e, di conseguenza, alla base di ogni progettazione vi è un atto che è contemporanea- mente di conoscenza e intervento. Ma conoscenza e intervento non possono essere posti tra loro in sequenza, giacché nella scienza, come nella progettazione, essi sono profondamente

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interrelati. Pertanto la questione centrale per le scienze e per la stessa epistemologia contemporanee, e cioè quella della natura attuale della conoscenza, ovvero dell’interpretazione del diveni- re dei fenomeni, è anche un passaggio obbligato per tutta la nostra ricerca che si estende all’ambito della progettazione» (Pizziolo Micarelli 2003a: 273).

Le sfide individuate dai nuovi campi della scienza, entrano secondo Pizziolo e Micarelli prepotentemente all’interno di un nuovo paradigma dell’attività di progettazione che dovrà vedere un cambiamento radicale di alcuni pre- supposti che avevano condizionato i precedenti paradigmi. Esiste prima di tutto un radicale spostamento dell’osservatore ricercatore dall’esterno dei fenomeni indagati all’interno di essi: egli non è più una figura neutrale, ma interna e co-agente, nello spazio e nel tempo, con i protagonisti del feno- meno. Questa nuova condizione porta inevitabilmente a una relativizzazio- ne delle forme di conoscenza del fenomeno e ad una reciproca modificazio- ne del fenomeno stesso determinata dalla stessa introduzione del soggetto osservatore all’interno di esso. I soggetti che prendono parte al processo diventano contemporaneamente “modificati e modificatori, modificanti e oggetto di modificazione” (Pizziolo Micarelli 2003a: 276). Collocare l’attivi- tà della progettazione all’interno di questo rinnovato quadro epistemologi- co, implica automaticamente la ricerca di nuovi metodi, strumenti e tecni- che del progetto che possano essere coerenti con l’imprevedibilità intrinse- ca dei cambiamenti reciproci intrinseci a tali fenomeni. Pizziolo e Micarelli riguardano quindi l’azione della progettazione alla luce del pensiero della relazionalità, dove l’accezione di “relazione” vuole indicare i rapporti che si stabiliscono tra due soggetti in relazione tra loro, colti nel divenire di un processo:

«sia l’ambito del progetto, sia le modalità e le procedure del pro- getto stesso, sia anche l’oggetto del progetto saranno tutti tra- sformati dall’impostazione ‘relazionale’, che modificherà l’im- postazione complessiva del progettare in quanto tale e riferirà il progettare non più al cambio di paradigma ancora legato alla

scienza classica, ancorché sistemica, ma ad una nuova epistemo- logia, quella che potremmo chiamare, l’epistemologia della rela- zione. […] il nostro contributo intende avventurarsi in quella direzione e così, nell’introdurre la relazionalità nella nostra disciplina, ci siamo incamminati da tempo verso la progettazio- ne relazionale rivolta a promuovere le condizioni, le dinamiche, le modalità di costruzione del nostro ambiente di vita, nel quale ci immergiamo continuamente, […] andando oltre il rapporto osservatore/osservato, per pervenire al rapporto di condivisio- ne attiva del contesto – umano/ambientale – relazionale, dando luogo a quello che poi chiameremo il “Campo Relazionale”» (Pizziolo Micarelli 2003: 281).

La tradizione, ancora non compresa fino in fondo, dell’ecologia del proget- to non vuole declinare discipline esistenti in senso ecologico, quanto, inve- ce, guardare alle relazioni profonde all’interno di quello che Pizziolo e Micarelli definiscono “Campo Relazionale” . Le relazioni oggetto della nostra indagine non possono essere definite a priori ma possono essere col- locate all’interno di un quadro di riferimento che i due autori individuano nella relazione settenaria tra “uomo – natura – società / Ambiente Costruito / materia – energia – informazione” (Pizziolo Micarelli 2003a: 303). All’interno di essa l’ambiente costruito frutto dell’attività umana acquista una nuova importanza in quanto compreso come esito di processi relazionali tra uomo –natura – società da una parte e materia energia infor- mazione dall’altra. Quello che, in buona sostanza, Pizziolo e Micarelli regi- strano è un cortocircuito in età contemporanea delle relazioni che legano le due triadi individuate. La società contemporanea tenderebbe, infatti, a svi- luppare una tecnologia che “non solo piega la natura ma tende a sostituirla con produzioni alternative, dalla materia all’energia all’informazione fino alla vita stessa” (ibidem): in questo corto circuito i due autori vedono un’an- tropizzazione esasperata che produce fratture nelle relazioni tra uomo – natura – società / Ambiente Costruito.

L’ipotesi di lavoro che, in definitiva, viene costruita all’interno di questo filone della ricerca sull’attività di progettazione è quello di agire sulla sfera

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creativa dell’esistenza umana. Utilizzare l’attività di progettazione per svi- luppare una creatività olistica è il fondamento alla base dell’azione di questi autori. Essi vedono nella creatività la possibilità di riattivare quelle relazioni interrotte tra gli elementi fondamentali della triade:

«Obiettivo attuale dell’uso della creatività sarà allora quello di introdurre la ripresa evolutiva delle relazioni ecologiche oggi profondamente alterate, mettendo a punto una sorta di Progettualità evolutiva. Contemporaneamente, questa ipotesi si configurerà come esito disciplinare innovativo, imprevisto ed efficace, anche nei confronti dei dissesti urbani, territoriali, ambientali e sociali.[…] L’ipotesi che stiamo portando avanti è che la creatività, e con essa il ‘progetto’, quale sua dimensione cosciente, siano l’essenza stessa della connessione, siano il fat- tore determinante della congiunzione, siano il catalizzatore delle relazioni che si possono interconnettere tra uomo/natura/società//Ambiente Costruito» (Pizziolo Micarelli 2003: 327).

In accordo con questo nuovo modo di concepire l’atto creativo e cioè inte- so come una “categoria ecologica strategica per le dinamiche coevolutive” (Pizziolo Micarelli 2003b: 277), questi autori mettono in atto diversi percor- si progettuali caratterizzati – alla luce del precedente quadro teorico costrui- to durante le esperienze stesse – da alcune importanti invarianti. Nessuna delle esperienze progettuali di Pizziolo e Micarelli può definirsi, infatti, con- clusa nel senso tradizionale del termine: le rappresentazioni del progetto diventano soltanto delle “tracce spaziali cadenzate di un processo” (ibidem: 278) e assumono quindi valore non in quanto esiti tangibili, così come tra- dizionalmente intesi, quanto momenti di stop and go ossia capaci di raccoglie- re a riflettere i protagonisti del processo progettante, per poi procedere nei relativi percorsi progettanti. Questi, che potremmo definire momenti di sosta, rappresentano durante il percorso degli step fondamentali sia per la riflessione che li accompagna sia perché vengono spesso utilizzati come strumenti utili nel raggiungimento di svariati obiettivi che si ci pone lungo

il percorso. La seconda invariante è rappresentata invece proprio dal ruolo assunto da chi26 accompagna questo processo aperto caratterizzato da

momenti di “progettazione / sua circolazione sociale / riflessione teorica sull’esperienza” (ibidem: 282): egli si trova immerso internamente al proces- so stesso, lo modifica e ne resta modificato: ne segue che l’atto stesso della progettazione viene completamente ribaltato dall’idea canonica. Se il pro- getto tradizionalmente inteso si indirizza verso una conclusione attesa, qui diventa un “tentativo sperimentale”, un vero e proprio percorso di ricerca sempre aperto, i cui esiti non possono mai considerarsi attesi. Tale percor- so progettante produce, infatti, degli esiti tangibili, che non rappresentano gli esiti definitori della ricerca, quanto i frammenti compiuti ma non defini- tivi di un processo.

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2.6 Note a Margine del Capitolo 2

Il percorso rassegnato in questo secondo capitolo ha mostrato come le disci- pline del progetto urbano, seppur molto lentamente nel tempo e all’interno di dibattiti minoritari nel panorama disciplinare, hanno rinnovato i propri stru- menti. Questo rinnovamento ha portato alla sempre maggiore consapevolezza che anche attraverso la progettazione si possa incidere sulla sfera delle consa- pevolezze delle persone coinvolte nei processi creativi.

L’acquisizione di questa innovazione all’interno dei paradigmi della progetta- zione non ha costituito una svolta importante che si è imposta nel panorama disciplinare. Nel caso delle teorie sulle pratiche urbane rintracciate all’interno del capitolo precedente infatti, le modalità attraverso cui le persone si emanci- pano dai meccanismi tecnocratici di trasformazione del territorio ha portato alla definizione di una vera e propria practice turn (Schatzki et alii 2001) che ha fortemente inciso sui programmi euristici del planning. I rinnovamenti episte- mologici avvenuti in seno alle teorie del progetto invece sono stati sempre silenti e relegati a delle dimensioni di nicchia del dibattito disciplinare. La pro- spettiva che qui si vuole adottare è quella che, anche all’interno di tale dibatti- to, si possa prospettare una svolta nell’intendere l’azione della progettazione come strumento attraverso cui poter permettere processi di emancipazione sociale piuttosto che guardare a questa attività come esclusivamente finalizza- ta alla realizzazione di un prodotto tangibile.

L’individuazione di percorso non rappresenta una novità e, come è stato visto all’interno di questo capitolo, alcuni autori hanno già tracciato delle strade con- ducenti in tal senso. Le più importanti sperimentazioni riconducibili ad Halprin e alla Spirn hanno rappresentato avamposti di avanguardia che hanno permesso di costruire consapevolezze profonde di diversa natura in seno ai gruppi con cui questi autori hanno lavorato. Giorgi Pizziolo e Rita Micarelli, inglobando anche i principi che stanno alla base delle precedenti avanguardie, hanno teorizzato sulle possibilità possedute, in generale, dall’atto creativo di determinare percorsi di emancipazione in tutte le sfere d’interesse dell’esisten- za umana. Queste più avanzate rivoluzioni paradigmatiche, guadagnate lenta- mente all’interno del dibattito tra i teorici del progetto, prevedono un modo di procedere nell’azione progettuale profondamente diverso da come veniva inte-

so nel progetto tradizionale. Esse hanno legami profondi con alcune famiglie metodologiche che hanno definitivamente sancito il fatto che i “modelli esper- ti” di costruzione del sapere non sono più in grado di rispondere alla comples- sità della realtà e che occorre rivedere gli approcci euristici alla base di tale costruzione. Tali famiglie sono state rintracciate all’interno del capitolo succes- sivo (cap. 3) e costituiscono un ponte per scoprire, attraverso le esperienze rac- contate nella seconda parte di questo lavoro, la possibilità di mutuare gli stru- menti appartenenti alle tradizioni postmoderne del progetto (cap. 2) all’inter- no dei programmi euristici delle pratiche urbane (cap. 1).

Note

1L'ecologia (dal greco: οίκος, oikos, “casa” e λόγος, logos, “discorso”), intendendo per casa il

contenitore che accoglie tutti gli esseri viventi e non viventi che instaurano delle relazioni tra loro, nasce all’inizio del XX secolo come la scienza che si occupa dello studio di tali realzioni.

2Ognuna di queste discipline ha sviluppato dei corpus teorici spesso del tutto indipendenti gli

uni dagli altri: ecological economcs (Daly, Farley 2010), community ecology (Verhoef, Morin, 2010), behavioral ecology (Krebs, Davies 1993), human ecology (Marten 2003). Non si vuole qui pretendere di restituire la completa trattazione di come la “Scienza delle Relazioni” sia entrata nel dominio di numerose discipline, quanto di segnalare il punto di svolta che la codi- ficazione del pensiero ecologico ha rappresentato nel panorama culturale contemporaneo.

3La città viene quindi rappresentata come un fenomeno entropico che trova le sue risorse dai

territori circostanti, le immagazzina e le consuma degradando le forme di energia.

4Insieme a loro Paolo Galluzzi e Piergiorgio Vitillo.

5Le applicazioni della teoria della Gestalt hanno influenzato un gran numero di discipline

anche in epoca recente: dalla linguistica alla musicologia, dal design alle arti visuali in genere.

6Nella prefazione all’edizione originale di The Immage of the City, Lynch riconosceva i pro-

fondi debiti culturali con Gyorgy Kepes scrivendo: «Un nome dovrebbe comparire sulla copertina col mio, se questo non lo rendesse corresponsabile dei difetti del libro. Questo nome è quello di George Kepes. Lo sviluppo particolare e gli studi pratici sono miei, ma i concetti informatori nacquero attraverso innumerevoli scambi col Prof. Kepes. Se dovessi separare le mie idee dalle sue, non saprei come fare. Per me, questi sono stati anni fecondi di associazio- ne» (Lynch 1964: 21)

7Nella sua nota di traduzione, Gian Carlo Guarda spiega il fatto che nonostante la traduzio-

ne foneticamente più vicina del termine sarebbe stata immaginabilità, le sfumature del neolo- gismo coniato da Lynch sono più aderenti alla traduzione con il termine figurabilità, riferen- doci proprio alla capacità di evocare delle immagini “vigorose” nella mente di chi osserva.

8Il capitolo secondo di The Image of the City è dedicato alle analisi che Lynch condusse a

Boston (Massachusetts), a Jersey City (New Jersey) e a Los Angeles (California).

9Ritirato dalla vita accademica Lynch si dedicò al community design.

10Fra i progetti più significativi realizzati da Lynch si ricorda “la ristrutturazione del Columbia

Point a Boston, fatto assieme agli abitanti di quel quartiere popolare, o con i progetti di risa- namento di due quartieri storici, abitati da persone di colore, a Washington” (Melai 1990).

11Detti anche “Negro Removal”, si tratta dei progetti di rinnovo urbano messi a punto da pro-

quelli più antichi delle città americane, per sostituirli con autostrade, complessi di edilizia pub- blica ein generale nuove edificazione, specialmente concentrati sulle aree abitate da comunità afroamericane.

12Un excursus storico di Planners for Equal Opportunities è esplorato da Walter Tabit (Thabit

1999). Le attività condotte da Planners Network è restituito su http://www.plannersnetwork.org/. un excursus sulla pianificazione a difesa è stato ricostrui- to da sandercock (1998). Alcuni riferimenti su questa tradizione culturale sono emersi duran- te i lavori realizzati nella valle del simeto e restituiti in forma di pubblicazione alla comuntà del simeto nell’articolo Community Organizing e Pianificazione di Comunità (Reardon Raciti 2012). Parte del presente lavoro è stato presentato durante l’ultima conferenza di Planners Network, Memphis 2011 in una sessione preorganizzata ed espressamente dedicata ai proget- ti di comunità che il Dipartimento di Architettura sta portando avanti nella Valle del Simeto (Parte Seconda).

13I PII (Programmi Integrati di Intervento) individuano una molteplicità di funzioni e quin-

di individuano diversi tipi di intervento capaci di incidere sulla riorganizzazione coinvolgendo operatori e risorse finanziarie sia pubbliche che private; I PRU (Programmi di Recupero Urbano) sono volti al recupero edilizio e funzionale di interi ambiti urbani così come i PRIU (Programmi di Riqualificazione Urbana) esplicitamente rivolti ai quartieri di edilizia residenzia- le pubblica; I PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio) sono rivolti ad ambiti territoriali d’area vasta prevedendo interventi infrastruttura- li, di recupero ambientale e di promozione occupazionale; I Contratti di Quartiere (CdQ), infi- ne sono quelli in cui il tema della partecipazione acquista primaria importanza, essendo quegli strumenti che tendono a realizzare accordi tra amministrazioni , tendono a realizzare accordi tra amministrazioni pubbliche (ministeri, regioni ed enti locali), sia a livello centrale che loca- le, che tendono ad incrementare l’occupazione e favorire l’integrazione sociale.

14Il Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti (LaPei) è una struttura di ricer-

ca del Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio dell’Università di Firenze istituito nel 1990 diretto dal prof. Alberto Magnaghi.

15Credo che l’azione, senza dubbio lodevole, del gruppo facente capo alla scuola territoriali-

sta abbia, nelle sue componenti più propriamente tese ad incidere sulle pratiche di governo, ingabbiato la partecipazione in modelli precostituiti lavorando con istituzione che, per propria natura, hanno riconosciuto nei meccanismi Bottom- Up un approccio utile per informare le politiche pubbliche (AA.VV.)

16Si tratta, ad esempio, di fattorie didattiche, ecovillaggi, iniziative spontanee di banche del

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tempo, reti territoriali per la realizzazione della filiera corta nei sistemi produttivi etc.

17Le tecniche di Overlay Mapping permettono di effettuare una valutazione delle ipotesi pro-

gettuali sulla base della sovrapposizione di carte tematiche di analisi in funzione delle informa- zioni che interessano. Le profonde critiche di McHarg mosse proprio a questo strumento di analisi, utilizzate da lui stesso – consistevano proprio nella consapevolezza dei notevoli limiti dello strumento tanto che, alla fine della sua ricerca “la città salute e patologia”, aveva non solo portato alla luce ma tentato di correggere indicando alcune strade conducenti per una proget

18Anne Spirn ricorda come nella lingua inglese antica, così come nelle lingue nordiche, il signi-

ficato di paesaggio non ha nulla a che vedere con le derive vedutistiche a cui i linguaggi comu- ni ci hanno abituati. Il danese landskab, il tedesco landschaft, l’inglese antico landscipe combi- nano la radice land che indica sia il luogo che le persone che vivono in quel luogo e i suffissi -skab, -schaft e -ship che significano associazione, partnership (Spirn 1998, 2005).

19 Materiali d’archivio sulla storie e l’evoluzione del progetto ormai ventennale di West

Philadelphia si rimanda a http://www.wplp.net/ e http://www.annewhistonspirn.com/.

20L’excursus storico relativo alla storia della pianificazione di Mill Creek è molto articolata

(Spirn 1998, 2005) e vede fra i numerosi interventi anche quelli di grandi “archistar” del pano- rama internazionale come Louis Kahn con la realizzazione di nuovi edifici di public housing. Ritengo che le utopie urbane degli anni ’70 abbiano prodotto gli stessi tipi di problemi anche sul territorio italiano (libro sui quartieri popolari) e, leggendo i racconti della Spirn, trovo molte analogie con la lettura del paesaggio che restituisce di Mill Creek e il quartiere di Librino a Catania progettato da Kenzo Tange, dove le incisioni morfologiche sono state trasformate nei grandi assi di attraversamento della “città satellite” catanese non solo alterando i sistemi di scorrimento dell’acqua superficiali e profondi ma conseguentemente generando notevoli pro- blemi di stabilità alle torri residenziali. Inoltre i recenti disastri che stanno vivendo molti dei comuni siciliani, Giampilieri (2009), Barcellona Pozzo di Gotto (2011), Saponara (2011), rap- presentato casi emblematici di come il processo di produzione della città sia spesso stato esito di tale analfabetismo del paesaggio.

21L’accademica statunitense, da sempre connotata da una importate tradizione legata al prag-

matismo, è stata fortemente criticata durante gli anni ’90 per la mancata capacità delle ricerche prodotte al suo interno delle maggiori e più importati questioni sociali, economiche e politi- che delle città americane (Stanton et al., 1999). Come reazione, molte università hanno comin- ciato ad avviare programmi espressamente dedicati all’analisi e alla ricerca di reali problemi al emergenti dal territorio.

13 anni): la scelta è stata fatta proprio perché se da un lato i bambini di quella età sono gran- di abbastanza per proporre idee sulla costruzione del progetto e nell’età giusta per esperire un’esperienza formativa che possa incidere profondamente sulla loro formazione (Spirn 2005).

23Si tratta della maggiore avanguardia teatrale americana degli anni ’60. Anne Spirn mette in

scena rappresentazioni mai identiche a se stesse. Le sue opere rappresentano delle vere e pro- prie sperimentazioni sceniche di carattere collettivo. Esse sono messe in opera attraverso una appena accennata sceneggiatura il cui corpo viene ad esistere grazie alle capacità creative di attori (quasi mai professionisti) e pubblico sollecitati dagli stimoli della scena. Oltre ai testi espressamente dedicati al teatro di Anne alcuni suoi scritti sono contenuti nelle pubblicazioni