1.2 “Progettualità” delle Pratiche
1.4 Pratiche Insorgent
« Fa parte dell’arte del planner decidere quali storie raccontare e in quali circostanze. La confusione relati- va al modo in cui cambiare le storie che la gente si rac- conta tutti i giorni, spesso ripetendo storie apprese dai media, assorbendo e interiorizzando il messaggio della cultura o della classe dominante, è una questione ormai datata. Per Marx questo era il problema della “falsa consapevolezza” […], ed egli auspicava un risveglio rivoluzionario che illuminasse il proletariato. Questa risposta non è più soddisfacente[…]. In un contesto nel quale la gente sembra ripetersi “le storie sbagliate”, ci sono due cose che il planner può fare. Una di esse è, […] suggerire storie alternative. La seconda è costruire un sistema di “istruzione per il raggiungimento di una consapevolezza critica” all’interno dei loro approcci di partecipazione. I planners sono, dopo tutto, soltanto degli attori nel campo di forza del dibattito pubblico»
(Leonie Sandercock 2003a: 194)
Nello studio delle pratiche, c’è poi chi ha sviluppato un ampio corpus di rifles- sioni rivolte prevalentemente a guardare quelle messe in atto da gruppi orga- nizzati con una precisa mission. Il lavoro di James Holston ha introdotto per la prima volta il concetto di “cittadinanza insorgente” e di “spazi insorgenti di cittadinanza” legando questi concetti alle discipline del progetto (Holston 1995, 1998, 2008). Nonostante la sua formazione di antropologo infatti, esiste nel suo percorso di ricerca un monito esplicitamente rivolto al planning e all’ar- chitettura - in quanto discipline capaci di strutturare nuove immagini di città e società - a guardare ai metodi della ricerca antropologica per sviluppare visio- ni alternative di futuro. La sua ricerca rappresenta una pietra miliare nello stu- dio dei movimenti “dal basso” tanto da aprire il noto volume di Leonie Sandercock Making the Invisible Visible (1998) che raccoglie i contributi di molti
planner che, in quel periodo, avevano iniziato a guardare alle possibilità espres-
se dai gruppi organizzati per rivendicare diritti di cittadinanza negati, ma non solo. Per Holston,
«uno dei problemi più urgenti nelle teorie del planning e dell’archi- tettura oggi è la necessità di sviluppare una diversa immaginazio- ne sociale – una che non sia modernista ma che, nonostante ciò, reinventi gli impegni attivisti del modernismo tesi all’invenzione della società e alla costruzione dello stato. […] le fonti di questo nuovo immaginario non si collochino in nessuna specifica produ- zione di architettura o di pianificazione della città, quanto piutto- sto nello sviluppo di una teoria in entrambi i campi come una indagine [di quelli che io chiamo] spazi della cittadinanza insorgen- te – o spazi insorgenti di cittadinanza – che equivale alla stessa cosa. Per insorgente [intendo] enfatizzare l’opposizione di questi spazi di cittadinanza agli spazi modernisti che oggi dominano fisi- camente così tante città. Uso questa terminologia anche per enfa- tizzare una opposizione al progetto politico modernista che assor- be la cittadinanza in un piano di costruzione dello stato e che esso stesso, nel processo, produce un certo concetto e pratica di plan-
ning. Al cuore di questo progetto politico modernista c’è la dottri-
na – chiaramente anche espressa nella tradizione del diritto civile o positivista – che lo stato è l’unica fonte legittima di diritti di cit- tadinanza, significati e pratiche. Uso la nozione di insorgente per riferirmi a nuove e altre fonti e per asserire la loro legittimità» (Holston 1998: 39).
Holston rintraccia la presenza di queste forme di insorgenza su due piani molto diversi rappresentati dalle forme di mobilitazione da un lato e dalle pra- tiche quotidiane dall’altro. All’interno delle sue analisi antropologiche esiste, quindi, una differenziazione tra queste due forme di pratiche che condividono il comune obiettivo di sovvertire le agende dello Stato. In questa accezione lo Stato è quello Moderno la cui azione di planning “assume un controllo raziona- le del futuro nel quale il suo piano generale e totalizzante dissolve ogni conflit-
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to tra l’immaginato e la società esistente nella coerenza imposta del suo ordi- ne” (Holston 1998: 46). Se, dunque, il termine insorgenza indica queste due forme di pratiche, il termine cittadinanza vuole focalizzare l’attenzione sull’ap- partenenza a tale Stato. La membership non può rappresentare, per Holston,un legame statico come vorrebbe farci credere lo Stato modernista, quanto una entità che può dilatarsi e restringersi a seconda delle contingenze: “la cittadi- nanza cambia quando nuovi membri emergono per avanzare le loro istanze, ampliando i suoi confini, e quando nuove forme di segregazione e violenza si oppongono a questi cambiamenti, erodendola” (Holston 1998: 48). Da questa prospettiva, le lotte dei lavoratori per la conquista dei diritti di appartenenza ad uno Stato sono state viste non tanto come legate ai temi del lavoro, quanto alle questioni connesse con la città (Holston 2008). In sostanza i fenomeni insor- genti individuati nelle precedenti accezioni, danno corpo a quel concetto di diritto alla città (Lefebvre 1968) sul quale molte sono state le interpretazioni teoriche ma che è stato scarsamente sviluppato nella pratica (Purcell 2003, Yiftachel 2009). Questo “lavorare contro” – che dà sostanza all’idea espressa da Lefebvre – può concretizzarsi in quelle che possiamo qui indicare come pratiche discorsive che “valorizzano il ruolo costitutivo del conflitto e dell’am- biguità nel dar forma alla molteplicità della vita urbana contemporanea” (Holston 1998: 53), e che si oppongono al “l’assorbimento modernista della cittadinanza all’interno del progetto di costruzione dello stato, provvedendo alternative, possibili fonti per lo sviluppo di nuove forme di pratiche e narrati- ve appartenenti e partecipanti alla società” (ibidem: 53); parleremo invece di pratiche materiali allorquando la sedimentazione sul territorio delle preceden- ti porta a forme di trasformazione fisica dello spazio, tanto da far parlare di spazi insorgenti di cittadinanza (ibidem).
I concetti formulati da Holston sono poi sviluppati all’interno di progetti di ricerca in planning attraverso diversi contributi. I volumi della Sandercock (1998a, 1998b) rappresentano i testi che raccolgono, per la prima volta, studi di casi di pratiche insorgenti in diverse parti del mondo. Sia che si tratti dei movimenti femministi, sia delle politiche post-coloniali che della teologia della liberazione (Sandercock 1998a), il quadro epistemologico costruito da Leonie Sandercock vede alcune invarianti nell’azione del planner che si confronta con queste realtà. Si tratta di pratiche che già esistono, sono presenti negli “inter-
stizi del potere” e di cui occorre tenere conto.
Agire al fianco dei protagonisti che si fanno attori di tali pratiche non deve scontare alcune forme di azione fondamentali quali l’educazione popolare – che si può rintracciare come elemento indispensabile in tantissime esperienze raccontate – e l’importanza cruciale dell’azione comunicativa come approccio alla pianificazione indispensabile per far interagire queste pratiche con i siste- mi di potere (Habermas 1984).
Nei processi di pianificazione, l’apprendimento di nuove possibilità dell’azio- ne attraverso il conflitto guidato da una razionalità comunicativa(Forester 1989, 1999) è una condizione indispensabile per il planner che vuole sposare l’i- potesi della pianificazione insorgente. Nella produzione della sua cosmopolis la Sandercock individua che tipo di alfabetizzazioni occorre dare al planner per rinnovare la sua cassetta degli attrezzi:
«abbiamo bisogno di un tipo differente di razionalità che metta a fuoco la questione della formulazione degli obiettivi. Piuttosto che fondarsi sulla tecnica, questa è una razionalità comunicativa con un più grande ed esplicito ancoraggio alla saggezza pratica. […] una pianificazione meno orientata alla produzione di documenti e più interattiva, centrata sulle persone. […] Nuove epistemologie […] stanno soppiantando la totale dipendenza dalle scienze socia- li positiviste come base per l’azione. Le comunità locali hanno conoscenze radicate, esperenziali, intuitive e contestuali che si manifestano più spesso attraverso racconti, canzoni, immagini visive e discorsi che attraverso le fonti a cui tipicamente si rivolge la piainificazione. I pianificatori insorgenti hanno bisogno di apprendere e praticare questi altri modi di conoscere. […] I piani- ficatori [di cosmopolis] mettono a disposizione competenze di ricerca e pensiero critico. La pianificazione non è mai stata neutra- le rispetto ai valori. Adesso, dovrebbe essere esplicitamente sensi- bile ai valori, lavorare in nome dei gruppi più vulnerabili della città e regioni multiculturali, facendo spazio alla differenza piuttosto che eliminarla alla radice» (Sandercock 1998a: 329-331).
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Questi i capisaldi segnati dalla Sandercock che dovrebbero reggere le strade di un nuovo approccio alla pianificazione. Se, però, da un lato occorre rile- vare l’importanza nel portare, all’interno dei discorsi disciplinari, l’attenzio- ne per le pratiche insorgenti, dall’altro, ancora una volta, le prospettive del- l’azione non sembrano del tutto esplorate. I recenti lavori della Sandercock si inseriscono all’interno di quel più ampio gruppo di studiosi che hanno visto nella potenza delle storie la capacità di apprendere e praticare altri modi di conoscere (Forester 1989, 1999, 2009, Eckstein, Throgmorton 2003). In questa direzione le sperimentazioni orientate alla trasformazione dei contesti si sono concentrate esclusivamente nell’uso dello strumento
storytelling (Sandercock Attili 2009, 2010, Attili, Sandercock 2007, 2010).
Riconoscendo l’importanza e la validità di tale strumento nel tracciare nuove forme di pianificazione a partire da quelle individuate dalle pratiche insorgenti, esso certamente non può essere considerato né l’unico né tanto meno sempre conducente nei contesti nei quali ci troviamo ad operare. Quali altre strade o sentieri seguire per generare uno sfondo di conoscenze e azioni a partire da una prospettiva della molteplicità è e rimane un tema aperto nella pianificazione contemporanea (Monno 2004).