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L’ecologia politica e l’ambientalismo

APPENDICE II – NOTE METODOLOGICHE

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

1. LA PROTEZIONE DELL’AMBIENTE E LA SOCIETÀ

1.1.2 L’ecologia politica e l’ambientalismo

Nella seconda tappa del nostro percorso storico osserviamo l’emergere di due diversi filoni del movimento ecologista: il primo, sorge dalle lotte sociali degli anni sessanta e settanta, viene definito ecologia politica, esso ha caratteristiche proprie di un movimento politico; il secondo, ispirato al radicalismo libertario, viene generalmente identificato come ambientalismo ed è caratterizzato dall’attenzione rivolta a campagne single-issue [ivi].

L’ecologia politica, i cui maggiori esponenti italiani sono la Lega per l’Ambiente e le Liste Verdi, rappresenta una sorta di

rielaborazione del pensiero ecologico secondo i canoni della tradizione marxista e in chiave antiautoritaria e autogestionaria. Questa corrente di pensiero attribuisce il degrado ambientale al modello capitalista di sviluppo economico, e in particolare, all’imperialismo del mercato, e prospetta la necessità di stabilire un legame diretto tra lotte ecologiste e lotte sociali [Pinna 1998: 85]. Per queste organizzazioni, non basta tutelare l’ambiente minacciato, si devono modificare alla radice le cause che stanno alla base del degrado: è necessario subordinare gli obiettivi di natura economica, ispirati ad un’eccezione quantitativa di sviluppo e dominanti nella società industriale, alle esigenze di risparmio energetico, ad efficaci misure antinquinamento, a standard più elevati di sicurezza per gli insediamenti industriali; e vanno parallelamente trasformati i comportamenti individuali con limitazioni dei consumi superflui, in particolar modo limitando quelle abitudini che, fornendo l’utilità al singolo, comportano gravi danni alla collettività (è il caso dell’utilizzo individuale dell’automobile nelle grandi città). In sintesi, per

queste organizzazioni «i cambiamenti richiedono un ripensamento globale delle modalità di organizzazione sociale. L’impegno ambientalista deve essere allora finalizzato anche alla costruzione di una società imperniata su unità produttive e sociali di piccole dimensioni sottoposte al controllo democratico dei cittadini» [Diani 1988: 52].

Per le organizzazioni di ecologia politica, l’impegno ambientalista si traduce in lotta politica. Tipici strumenti di lotta sono le manifestazioni di piazza, i sit-in, le occupazioni di fabbriche, i blocchi del traffico; strumenti che si sono anche dimostrati capaci di generare grandi mobilitazioni di massa4. Quello dell’ecologia politica è il filone che ha maggiormente influenzato il sistema della politica. Tradizionalmente, in Italia5, i movimenti appartenenti a questo filone, come ad esempio Legambiente, si sono collocati nell’area progressista (o di sinistra) dello schieramento politico. In generale, ai movimenti di ecologia politica va il merito di aver introdotto, nel dibattito

4

Come è avvenuto nel caso delle battaglie anti-nucleare.

5

Anche in altri paesi si riscontra lo stesso fenomeno [cfr. Della Porta D. (2001), I partiti politici, Bologna, il Mulino].

politico italiano e nei programmi dei partiti, le tematiche ambientali.

Secondo Della Porta [2001], che segue Ronald Inglehart6, la nascita di queste organizzazioni è da collocarsi nella diffusione dei valori post-materialistici avvenuta negli anni sessanta. Per Inglehart [1977] la generazione che è arrivata all’età adulta tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta si differenzia profondamente dalla generazione precedente. «Nelle democrazie occidentali, i nati del secondo dopoguerra sono cresciuti in condizioni di benessere economico, facile accesso all’istruzione superiore, e bassa esposizione al rischio di una guerra. Queste condizioni avrebbero spinto verso un graduale indebolimento dei valori di tipo «materialistico», che riflettono preoccupazioni relative al benessere economico e alla sicurezza personale e collettiva, e l’emergere, invece, di valori “post-materialisti”, orientati verso bisogni di natura prevalentemente espressiva, quali l’autorealizzazione nella sfera privata, e l’espansione della

libertà di opinione, della democrazia partecipativa, e dell’autogoverno della sfera pubblica» [ibidem: 285].

L’attenzione si spostò dai temi economici a quelli relativi alla stile di vita. Entrò in crisi il concetto che identificava nella crescita economica, la fonte del benessere e della pace sociale. E si scoprì, invece, che la crescita capitalista produce «oltre certe soglie, scarsità naturali, sociali e morali. Con la crescita della produzione si intacca il patrimonio ecologico. Con la crescita dei beni posizionali si sfruttano i desideri. Con l’estensione dei comportamenti mercatistici si corrodono le basi etiche della società» [Ruffolo 1985: 65]. E un nuovo concetto emerge di prepotenza, quello della qualità della vita, come espressione di un nuovo sentimento orientato al benessere e alla felicità. Tale nuovo sentire è anche espressione del cambiamento valoriale di cui si diceva, e in base a questi nuovi valori vengono formulati nuovi obiettivi di sviluppo e di crescita.

Nasce in quegli anni il retroterra ideologico e culturale che, nel 1987, porterà la Commissione Mondiale per L’Ambiente e lo

Sviluppo7 ha creare il concetto di sviluppo sostenibile, il cui presupposto principale consiste nell’imprimere una particolare direzione allo sviluppo economico così da riuscire a soddisfare le esigenze della generazione attuale, senza compromettere le opportunità delle generazioni future di soddisfare le proprie [Pinna 1998].

Ritornando al nostro percorso storico, nel clima culturale e sociale sopra descritto, nasce un’altra anima dell’ecologismo: l’ambientalismo. A differenza dell’ecologia politica,

l’ambientalismo ha subito una notevole influenza dalla dottrina radicale e libertaria portata avanti, in Italia, dal Partito Radicale. Come è stato accennato in precedenza, le associazioni

ambientaliste si caratterizzano per la «conduzione di campagne

mirate a specifici obiettivi, senza la pretesa di definire un quadro teorico e ideologico rigido» [Diani 1988: 54]. Vediamo quali sono le specificità rilevanti di questo tipo di organizzazioni.

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Si tratta della Wced (World Commission on Environment and Development), un’organizzazione dell’ONU. Il concetto è presente nel

In primo luogo, l’ambientalismo non indirizza la critica al sistema in quanto tale, ma alle forze che resistono al cambiamento. Gli ambientalisti pongono l’accento sui meccanismi autoregolativi di stampo libertario, e sulla possibilità per tutti i cittadini di godere pienamente dei loro diritti, incluso ovviamente quello di un ambiente incontaminato [cfr. ibidem]. Gli strumenti di lotta sono mutuati dalla tradizione dell’impegno civile di stampo anglosassone: iniziative referendarie, resistenza non violenta. Ma praticate sono anche le forme di lotta poco istituzionali, come le incursioni degli animalisti nei laboratori di pellicceria e di vivisezione. La più nota e importante associazione ambientalista italiana (ma anche mondiale) è il Wwf, la cui attività è vasta ed eterogenea: dall’azione di denuncia e di pressione politica, alla gestione di numerose oasi naturalistiche protette e all’attività educativa con una massiccia presenza nelle scuole. Da ricordare anche che le numerose associazioni animaliste e antivivisezioniste con le loro azioni

provocatorie hanno acquistato un notevole spazio nel mondo delle comunicazioni di massa.