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edd., [.]OULOIOMENOI P, N 37 Murray, pag

..i capi che prendono decisioni su tutti i problemi relativi alla spedizione notturna. Infatti portando con sé Merione e Antiloco che non erano ancora stati assegnati al consiglio, in quanto,

evidentemente, avevano visto la loro prudenza, non solo in altre circostanze ma anche nella (guardia)…

Fra le citazioni più interessanti per l’intervento di Filodemo, abbiamo: - De Bono Rege XXI 31-38 (= Olivieri III 31-39), cfr. Il. II 215-216:

37

wJvs|te kai; to;n [Qersivt]hn ejpi;| touvtwi yevgei deinw̃ς ejpi;| tw̃i pãn legeiv· “oJv tiv oiJ ei;jsai|35to geloĩon jArgeivoisin e[m|meṇ”,

kai; pãsin me;n aujto;n eijs|avgei stughtovn· “e[cqiston d’ jA|cilleĩ mavlista kai; jOdusseĩ”

...cosicché biasima severamente anche Tersite per questo motivo, perché ogni cosa egli dice ‘che a lui sembrava che per gli Argivi sarebbe buffo’ e lo rappresenta odiato da tutti: ‘ odiosissimo soprattutto ad Achille e a Odisseo’

La citazione omerica è costituita da due versi tratti da Il. II, 215 e 220: Iliade II 212-16

Qersivth" d’ e[ti mou'no" ajmetroeph;" ejkolw/va,

o}" e[pea fresi;n h/|sin a[kosmav te pollav te h/[dh

mavy, ajta;r ouj kata; kovsmon, ejrizevmenai basileu'sin,

ajll’ o{ ti oiJ ei[saito geloivi>on jArgeivoisin

e[mmenai:

Iliade II 220

e[cqisto" d’ jAcilh̃ϊ mavlist’ h\n hjd’ jOdush̃ϊ· 220(-223) ajq. Zen

Il v.215, da Il. II, è citato senza l’ ajll’ iniziale, per facilitarne l’inserzione nella struttura sintattica della frase: nel testo omerico di partenza, la congiunzone avversativa rispondeva immediamente alla negazione presente nel verso precedente, che viene meno nella citazione filodemea determinando la contestuale eliminazione della congiunzione. Possiamo forse utilizzare la categoria interpretativa dell’adattamento testuale anche a giustificazione del passaggio dalla forma e[mmenai del verso omerico a quella e[mmen: la forma e[mmen in Omero è piuttosto rara ed è di solito impiegata davanti a vocale, preferibilmente nel quinto piede39. Il Ludwich arriva a valutare questo slittamento nella citazione filodemea quale sanzione sufficiente di variante testuale effettiva del testo omerico40 Per quanto riguarda ei[saito, Filodemo sostiene la forma della vulgata41.

39 Pierre Chantraine, Grammaire Homérique, Parigi 1988 40 Cfr. Homercitate, pag. 8

41 Va in una direzione differente l’ei[sato di Apoll. Soph. 62, 26, una probabile banalizzazione della forma ei[saito. La

variante trasmessaci da Apoll. Soph. è attestata nell’epica omerica solo in questa sede, a fronte di una ben più capillare presenza della forma ei[sato, per la quale cfr. Il. II 791; IV 138; V 538; Od. V 281; XIII 352.

38 Il verso 220, infine, è palesemente riadattato al contesto, con un evidente intervento di Filodemo atto a collegarlo alla sezione testuale precedente. Notiamo infine come la grafia Odussei non sia mai presente in Omero; si tratta probabilmente di un raddoppiamento del S intervocalico. Queste sono le caratteristiche principali del passo di Filodemo in analisi, il seguente:

Nella colonna XXI dunque la citazione del passo dell’Iliade (II, 220), avviene con il passaggio del superlativo riferito a Tersite dal nominativo all’accusativo (e[cqiston), dal momento che il personaggio era oggetto del precedente yevgei e del successivo eijsavgei, come si evince.

Questo secondo verbo descrive la connotazione autoriale del personaggio interna al testo epico (eijsavgei stughtovn, scil. Omero) e anticipa l’aggettivazione della citazione subito successiva, con un evidente richiamo fra stughtovn e e[cqiston . La citazione omerica dunque interagisce con il testo filodemeo, riannodandosi semanticamente ad esso con uno schema di prolessi e analessi dal raggio breve e da questo rapporto conseguono degli interventi di sistemazione morfologica atti a colmare ogni eventuale soluzione di continuità fra il testo e la citazione.

- De Bono Rege XXXIII 12-13 (= XV 12-13 Olivieri) cfr. Iliade I 258

In questo caso Filodemo riproduce la lezione della vulgata, alla quale sappiamo che già Aristarco preferiva la lezione che oggi di solito si colloca nel testo a stampa, ovvero la forma in accusativo

boulhvn.

[“p]e[ri;] me;[n] ḅọulh̃i Danaẉ̃ṇ| pe[ri; d’] ejṣ[te; mav]cesqai” ‘dando buoni consigli e primeggiando in guerra’

255-58

h\ ken ghqhvsai Privamo" Priavmoiov te pai'de"

a[lloi te Trw'e" mevga ken kecaroivato qumw/'

eij sfw'i>n tavde pavnta puqoivato marnamevnoii>n,

oi} peri; me;n boulh;n Danaw'n, peri; d’ejste; mavcesqai 258 boulh;n Ar., Ed. Pol. A Bª C E Fgr: -h̃i tt Cs.l. Es.l. W*

Per quanto riguarda la costruzione, utile è il commento di Leaf: si deve costruire come un doppio

periveste legato poi a due oggetti diversi. Da confrontarsi con t326 :

39

pw'" ga;r ejmeu' suv, xei'ne, dahvseai, ei[ ti gunaikw'n

ajllavwn periveimi novon kai; ejpivfrona mh'tin

ei[ ken aju>stalevo", kaka; eiJmevno" ejn megavroisi

dainuvh/;

e per la coordinazione sostantivo-infinito con O 642.

- De Bono Rege XXXIV 31 – 36 (=XVI 32-35 Olivieri) cfr. Il. IX 128-130

In questo caso, Filodemo si accorda con la vulgata dei manoscritti, contro la forma ajmuvmona che è accolta dagli editori. Aristonico accetta la lezione ajmuvmona, ritenendo che la forma debba essere legata agli e[rga e non alle donne; attribuisce tale variante ad Aristarco, mentre quella al femminile sarebbe stata proposta da Zenodoto. Opposta invece è la testimonianza in margine e nell’interlineo di A, che attribuisce la forma femminile all’intervento di Aristarco.

In questo caso gli scolii non ci aiutano: T si allinea ad Aristonico ed attribuisce la forma ajmuvmona ad Aristarco, quella sigmatica a Zenone. Come detto, va nella direzione opposta l’indicazione fornitaci da A in margine e interlinea:

<a j m u v m o n a > :ou{tw" jArivstarcoς, Zhnovdoto" de; "ajmuvmona"". T jArivstarcoς meta; tou' " "ajmuvmona"". Am Aint

La tradizione manoscritta, inoltre, oscilla fra la forma e[rg’eijduiva" e e[rga ijduiva": Filodemo sceglie la prima, molto probabilmente per evitare lo iato: sappiamo infatti che la scuola epicurea è stata sempre molto attenta ai valori fonici della poesia e della parola. Leaf, invece, preferisce la forma

ejvrg’, dal momento che la prima presuppone la presenza di un digamma la quale risulterebbe potenzialmente problematica in un libro generalmente considerato tardo.

30“ga;r ḳaiv· “Priaṿ[moio] povlin diẹ|pevrsamen [aijph;]ṇ” boulh̃<i>, kai;·| “dwvsw{i} d’eJ̣p̣ta;

gunaĩkaς aj|muvmonaς ej;rg’ eijduivaς, Lesbiv|daς, aJvς, oJvte Levsbon ejϋktimev|35nhn eJvlen aujtovς, <ejxelovmhn>”

Infatti anche: ‘l’alta città di Priamo atterrammo’ col consiglio e: ‘gli darò sette donne perfette che sanno lavori, lesbie, quelle che quando egli prese Lesbo ben costruia scelsi per me’.

40

Dwvsw d’eJpta; gunaĩkaς aJmuvmona ejvrg’ eijduivaς,

Lesbivdaς, aJ;ς oJvte Levsbon ejϋktimevnhn eJvlen aujtovς

ejxelovmhn, aiJ; kavllei ejni;kwn fũla gunaikw̃n

128 ajmuvmona Ar. W*: -naς Zen. 1126 t Z Fª R G (falso Aristarcho adscr. Am, cfr. ad 270) ẹṛg̣ idu[iaς 1126, ejvrga

ijd- Bentley

Il passo appena riportato dell’Iliade non è però l’unico elemento costitutivo del testo di Filodemo in esame, in cui si accostano due citazioni: la prima, di Od. III 130: aujta;r ejpei; Priavmoio povlin

diepevrsamen aijphvn, con l’eliminazione del nesso temporale presente nel testo omerico. Fra questa e la detta citazione iliadica, vi è il dativo boulh'i, riferimento sintetico ai versi che precedono immediatamente Od. III 130, qui citato letteralmente; in Od. III 128 – 129, leggiamo infatti:

ajll’ e{na qumo;n e[conte novw/ kai; ejpivfroni boulh̃/

frazovmeq j jArgeivoisin o{pw" o[cj a[rista gevnoito

-De Bono Rege, XLII 14 – 17 (=XXIV 14-17 Olivieri)

[…] cale[ph; dev]|15 t’ aoijdh; e;jsset’ ejp’ ajn[qrwvpouς,]| stugerh;n dev te fh̃min oj|[p]aṿṣsei” 14 (calephv)-17 Buecheler

…e cattiva canzone andrà fra i mortali, darà odiosa fama… I versi citati da Filodemo, in questo caso, sono Od. XXIV 201-2: Odissea XXIV 200 – 202

kourivdion kteivnasa povsin, stugerh; dev t’ajoidh;

e[sset’ ejp’ ajnqrwvpou", caleph;n dev te fh'min ojpavssei

qhlutevrh/si gunaixiv, kai; h{ k’eujergo;" e[h/sin

Nei versi omerici così come sono citati da Filodemo, notiamo una evidente traslazione degli aggettivi che pare difficile poter accettare come effettiva variante testuale (come fa Allen). È forse più probabile che il tutto vada spiegato come conseguenza di una metatesi dovuta semplicemente a lapsus mnemonico.

Una volta eliminati questi casi, possiamo notare come l’Omero di Filodemo risulti sempre assolutamente conforme, nel caso di citazioni dirette, a quelle che sono le testimonianze della stessa

41 vulgata; le apparenti differenze che i casi precedenti hanno messo in luce non stanno ad indicare l’utilizzo sistematico da parte di Filodemo di una tradizione differente, ma il più delle volte possono semplicemente essere ricondotti ad un lapsus mnemonico o ad un cosciente intervento dell’autore (quindi, ancora una volta, non ad una evidente divergenza della fonte della citazione) atto a modificare il testo omerico in funzione della sua nuova sede.

42 7 – Riprese testuali con variazioni di carattere semantico-contenutistico

La identificazione del Philippson, secondo il quale è possibile vedere nel De Bono Rege di Filodemo i resti di un’opera di carattere diatribico, pare sostanzialmente infondata: non vi è traccia, pur nella generale esiguità dei resti testuali, di una polemica condotta contro un’eventuale oppositore.

Questa ipotesi risente molto probabilmente dell’influenza del De Poematis, cui il De Bono Rege può essere accostato per il comune ricorso alla citazione quale strumento centrale della costruzione argomentativa. Un secondo elemento proprio dell’identià testuale del De Poematis, la chiara ed esplicita presenza di obiettivi polemici che a volte costituiscono fonte diretta di interi momenti testuali, non è attribuibile con alcuna certezza al De Bono Rege; se, come molteplici voci del mondo accademico hanno proposto, si vuole postulare la presenza di fonti intermedie fra Filodemo e la lettera omerica, tale ipotesi è destinata ineluttabilmente a mantenere contorni di ineliminabile incertezza.

Una delle difficoltà fondamentali legate all’opera è ancora una volta costituita dall’apparente inconciliabilità fra il substrato epicureo che dovrebbe animarla e la scelta di una autorità poetica quale elemento di riferimento del testo.

Nel De Bono Rege l’utilizzo della poesia è ammesso poiché la fruizione dell’opera non è concepita per un pubblico identificabile, di fatto, nei sofoiv, come abbiamo detto, ma per un destinatario colto, abituato a comprendere le molteplici potenzialità e le continue sollecitazioni proprie di una consolidata tradizione letteraria. È una produzione letteraria caratterizzata dall’impiego di exempla (molteplici quelli ripresi dall’ambito storico; di frequente, tali personaggi erano anche effigiati in sculture collocate all’interno della stessa villa dei Pisoni), nonché dal riutilizzo di materiale letterario atto a gettar luce sulla tematica affrontata.

Il riutilizzo della poesia che Filodemo opera all’interno del testo, ci permette agilmente di identificarla quale una fonte continua di paradigmi etici: nelle sezioni a noi giunte, sono esaminati problemi relativi alla vita privata e politica del sovrano. La figura che il filosofo intende tratteggiare viene costantemente riferita al sovrano descritto da Omero, esemplare negli aspetti spesso trucemente negativi del suo comportamento e ugualmente nelle azioni che ne mettono in luce l’indole indubitabilmente ‘regale’. Convivono pertanto nel De Bono Rege una finalità eminentemente etica e un obiettivo di carattere pratico, legato alle modalità con cui mantenere ed eventualmente conquistare una posizione di potere. Risulta pertanto evidente la collocazione del testo di Filodemo nell’ambito della scrittura protrettica: l’autore non a caso parla in maniera assolutamente esplicita (Dorandi XLIII 18-19) di una ejpanovrqwsi" tw̃n dunasteiw̃n.

43 [---|15eij dev tinaς paraleloiv|pame]n tw̃n ajf[ormw̃n,] w| P̣eiv|swṇ, aJ;ς ejvsti par’ JOmhvroụ

ḷa|beĩn eijς ejpanovrqwsin dụ|n<a>ste[iw̃n], kai; t[w̃n] pa[ra]|20dei[gmav]twn

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