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CAPITOLO IV LA NUOVA DISCIPLINA DELLE FALSE

5. I « FATTI MATERIALI RILEVANTI »

5.1. La questione relativa alle valutazioni

5.1.3. Effetti dell’esistenza di due orientamenti opposti e

Nel primo anno di vigenza del d.lgs. n. 69/2015 sono, dunque, venuti a contrapporsi due orientamenti interpretativi: quello originato dalla sentenza Crespi volto a dare maggior rilievo all’evoluzione storica della norma, per cercare di comprendere le intenzioni del legislatore, nel momento storico di riferimento; quello che prende le mosse dalla sentenza Giovagnoli, che, invece, fa leva sull’oggettività delle parole che compongono la norma, e sul loro significato tecnico, diverso da quello comune.

Il fatto che entrambe le teorie abbiano fornito argomentazioni valide, ma anche criticità evidenti, ha determinato una violazione del principio di determinatezza, ridefinendo anche i rapporti tra giudice penale e legislatore.

In questo senso, le esigenze di giustizia proprie del diritto penale inducono il giudice a compiere un’opera interpretativa che incontra il proprio ed unico limite nella compatibilità con la lettera della legge (e con i significati ad essa attribuibili ex artt. 12 e 14 delle Preleggi), con una conseguente possibilità di estrarre dal medesimo testo, più norme incriminatrici, anche confliggenti tra loro.

Da questo punto di vista, può essere richiamata la concezione scettica dell’interpretazione giuridica, secondo cui i testi normativi sono solitamente suscettibili di una pluralità di “interpretazioni

sincronicamente confliggenti e diacronicamente mutevoli”303.

Anche il tema del falso in bilancio è diventato, pertanto, l’ennesimo ambito in cui trova espressione il dibattuto problema concernente i rapporti tra giurisdizione e legislazione: dalla formulazione della fattispecie emerge come, fin dai lavori preparatori, ci sia stata, da parte del legislatore, una incondizionata rinuncia all’esercizio dell’ars

legiferandi, a favore sia dell’intervento della Corte di Cassazione, sia

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dello sviluppo dell’ars interpretandi, da parte di dottrina, Corte Costituzionale e Corti europee304.

Le scelte del legislatore hanno imposto anche considerazioni sulla riconoscibilità del precetto e sull’errore di diritto, e sui loro rapporti con il principio di legalità e con quello di colpevolezza. Soprattutto con riguardo all’orientamento della sentenza Giovagnoli, in cui si ammette l’elevato tecnicismo del linguaggio utilizzato nella fattispecie in esame, si può evidenziare come la tipizzazione di un fatto di reato con un linguaggio accessibile solo ad esperti strida con il principio di legalità.

Per quanto concerne, invece, la disciplina della riconoscibilità del precetto, bisogna prendere le mosse dalla sentenza Cost. n. 364/1988, che fonda l’accertamento colposo sull’inevitabilità dell’errore di diritto su parametri di chiarezza e determinatezza del dettato normativo.

Il fatto che, nelle ipotesi in cui ci si trovi di fronte a soggetti con una capacità di comprensione superiore, questo accertamento venga soggettivizzato, rende legittima la scelta del legislatore di utilizzare termini tecnici non comuni, in quanto per il consociato sarebbe comunque possibile riconoscere il precetto, ricorrendo all’ausilio di consulenti esperti.

Nelle ipotesi qui esaminate, si tratta tuttavia di un percorso insidioso, a causa dell’incertezza che grava sul significato dei termini utilizzati all’interno delle norme, e ciò trova conferma nella permanenza di due distinti orientamenti, in seno alla Corte di Cassazione.

Tutto ciò si riverbera sulla conformità al dettato costituzionale della nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, in relazione al

304 F. PALAZZO, Legalità tra law in the books e law in action, in Diritto Penale

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principio di legalità (art. 25, comma 2 Cost.), ma anche a quello di colpevolezza (art. 27 Cost. e 5 c.p.) 305.

In questa situazione di stallo si è resa protagonista, ancora una volta, la Quinta Sezione penale, con l’ordinanza che ha finalmente rimesso la dibattuta questione alle Sezioni Unite. Si tratta dell’ordinanza 4 marzo 2016 n. 9186, con cui i giudici chiedono alle Sezioni Unite di esprimersi sul seguente quesito: «Se la modifica

dell’art. 2621 c.c. per effetto dell’art. 9 L. n. 69/2015 nella parte in cui, disciplinando “Le false comunicazioni sociali”, non ha riportato l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie».

Nell’ordinanza la Corte riassume tutti gli argomenti interpretativi delle precedenti pronunce, già analizzati nei paragrafi precedenti, ma individua solo nell’interpretazione dell’inciso riportato nel quesito, la possibilità di trovare finalmente una soluzione al contrasto dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi attorno alle valutazioni.

In realtà, questo approccio risulta troppo riduttivo, in quanto concentrare lo snodo del problema esclusivamente sull’inciso «ancorché oggetto di valutazioni», equivarrebbe ad affidarsi al criterio ermeneutico meno affidabile e maggiormente suscettibile di interpretazioni diametralmente opposte, ossia quello basato sulla ricostruzione dell’intenzione del legislatore storico306.

Come è stato sottolineato nella sentenza Giovagnoli, l’intenzione del legislatore di cui si legge nell’art. 12 delle Preleggi, non coincide con le «contingenti intenzioni del legislatore di turno», bensì deve intendersi «in termini rigorosamente oggettivi, come volontà

“consacrata” nel dettato normativo».

305 M. LANZI, Falsi valutativi, legislazione e formante giurisprudenziale: politica

criminale a confronto con la crisi della legalità, cit., pag. 14.

306 F. MUCCIARELLI, Oltre un discusso «ancorché» le Sezioni Unite della Corte

di Cassazione e la legalità dell’interpretazione: qualche nota, in Diritto Penale Contemporaneo, pag. 2.

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Tuttavia, anche volendo utilizzare tale criterio esegetico, l’operazione risulterebbe notevolmente complessa, in quanto, come rilevato in dottrina, «in assenza di una relazione accompagnatoria anche solo

vagamente idonea a fornire una chiave di lettura agli interpreti, l’effettiva voluntas legis deve essere ricostruita attraverso le (2524!) pagine dei lavori preparatori, rinvenibili sul sito internet del Senato: ebbene, il risultato di tale analisi non fa che aggravare la situazione, confermando l’inaccettabile sciatteria dell’attuale legislatore, il quale sembra scientemente abdicare al proprio ruolo di autore delle regole legali, rimettendo direttamente alla giurisprudenza il compito di stabilire il confine tra i comportamenti costituenti reato e quelli penalmente irrilevanti (si veda il paradigmatico passaggio, relativo proprio all’espunzione dell’inciso di cui ci si sta occupando, in cui il relatore di maggioranza al Senato, espressamente richiesto di fornire un’indicazione sul punto, si astiene dall’assumere una posizione in merito agli effetti di tale modifica, dichiarando apertamente che sarà “la nostra Corte di cassazione a dover valutare se gli elementi valutativi e le stime possano o meno rientrare all’interno di un concetto che implica fatti materiali rilevanti”). In tale situazione di reticenza legislativa tanto ostinata quanto paradossale, spetta dunque all’interprete tracciare un percorso ermeneutico il più possibile convincente, che faccia buon governo del criterio letterale, sistematico, storico e teleologico e giunga a una conclusione coerente con gli standard di tutela garantiti (e richiesti) in sede internazionale»307.

307 F. D’ALESSANDRO, La riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del

Giudice di legittimità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci?, in Giur. it., 2015, pag. 2213.

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