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L'evoluzione normativa delle falsità in comunicazioni sociali tra criticità applicative ed istanze politico-criminali

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SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO I: LA DISCIPLINA CIVILISTICA DEL BILANCIO ... 7

1.PREMESSA ... 7

2.LA NOZIONE DI BILANCIO ... 7

3.PRINCIPI E REGOLE DI REDAZIONE DEL BILANCIO ... 9

4.LA STRUTTURA DEL BILANCIO ... 13

4.1. Lo stato patrimoniale ... 13

4.2. Il conto economico ... 18

4.3. La nota integrativa ... 19

4.4. La relazione sulla gestione ... 22

5.IL BILANCIO REDATTO SECONDO I PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI ... 24

6.IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL BILANCIO ... 28

7.INVALIDITÀ DELLA DELIBERA DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO .. 30

8.LA FUNZIONE DI TUTELA DEL PUBBLICO RISPARMIO ... 31

CAPITOLO II:IL DELITTO DI FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI DALLE ORIGINI ALLA DISCIPLINA DEL 1942 ... 34

1.L’EVOLUZIONE STORICA DELL’INFORMAZIONE SOCIETARIA E DEL DELITTO DI FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI ... 34

2.LA PREVISIONE DEL CODICE CIVILE DEL 1942 ... 43

2.1. Il bene giuridico tutelato ... 43

2.2 I soggetti attivi e la condotta ... 46

2.3 L’elemento soggettivo ... 57

2.4 Il momento consumativo ... 64

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2

CAPITOLO III: LE FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI

DOPO IL D.LGS. N. 61/2002 ... 71

1.LE RAGIONI DELLA RIFORMA E LA NUOVA FORMULAZIONE DELLA FATTISPECIE ... 71

2.IL BENE GIURIDICO TUTELATO ... 76

3.I SOGGETTI ATTIVI DEL REATO ... 79

3.1. Il nuovo articolo 2639 c.c. ... 83

4.LA CONDOTTA E L’OGGETTO MATERIALE DEL REATO ... 85

4.1. Le valutazioni ... 90

4.2. La rilevanza penale delle falsità ... 92

5.L’ELEMENTO SOGGETTIVO... 96

6.L’ALTERAZIONE SENSIBILE E LA QUESTIONE DEL FALSO QUALITATIVO ... 99

6.1. Le soglie percentuali di rilevanza penale ... 107

6.2. Le valutazioni estimative ... 111

7.IL NUOVO ILLECITO AMMINISTRATIVO ... 113

8.LA FIGURA DELITTUOSA DELL’ART.2622 C.C. ... 116

8.1. Le falsità nelle società quotate ... 119

8.2. L’aggravante del comma 4 dell’art. 2622 c.c. (grave nocumento ai risparmiatori) ... 120

9.IL REGIME DI PROCEDIBILITÀ ... 121

10.CONSUMAZIONE, CONFIGURABILITÀ DEL TENTATIVO E CLAUSOLA DI RISERVA ... 123

11.QUESTIONI DI DIRITTO INTERTEMPORALE ... 126

12.QUESTIONI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE E COMUNITARIA 128 13.RIFLESSIONI CONCLUSIVE ... 131

CAPITOLO IV LA NUOVA DISCIPLINA DELLE FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI (LEGGE N. 69/2015) ... 133

1.PREMESSA: IL DISEGNO DI LEGGE E GLI OBIETTIVI DELLA RIFORMA ... 133

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3.I SOGGETTI ATTIVI E LA CONDOTTA OGGETTO

DELL’INCRIMINAZIONE ... 138

4.L’ELEMENTO SOGGETTIVO E IL SIGNIFICATO DELL’AVVERBIO “CONSAPEVOLMENTE” ... 143

5.I«FATTI MATERIALI RILEVANTI» ... 145

5.1. La questione relativa alle valutazioni ... 150

5.1.1. Gli interventi della Corte di Cassazione ... 155

5.1.2. (segue) Il consolidamento dei due orientamenti nelle successive pronunce della Cassazione ... 172

5.1.3. Effetti dell’esistenza di due orientamenti opposti e rimessione alle Sezioni Unite ... 177

5.1.4. La sentenza delle Sezioni Unite ... 181

6.L’IDONEITÀ AD INDURRE IN ERRORE ... 192

7.I NUOVI ARTT.2621-BIS E 2621-TER C.C. ... 195

8.CONSUMAZIONE E CONFIGURABILITÀ DEL TENTATIVO ... 200

9.REGIME SANZIONATORIO, PRESCRIZIONE E COMPETENZA ... 201

10.PROFILI DI DIRITTO INTERTEMPORALE ... 202

11.LE MODIFICHE ALLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI DI CUI AL D.LGS. N.231/2001 ... 203

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INTRODUZIONE

Il clamore mediatico suscitato dalla riforma attuata con la legge n. 69/2015 in materia di false comunicazioni sociali, impone una riflessione sulla reale portata del succitato intervento legislativo. Di fronte alle prime reazioni, inneggianti una ritrovata rilevanza penale del falso in bilancio, è, infatti, necessario chiedersi se sia stata veramente trovata una soluzione alla disapplicazione conseguente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 61/2002, ovvero se si sia trattato, piuttosto, di un intervento volto a raccogliere consensi sul piano politico-istituzionale.

Per fare ciò, non si può prescindere dall’evoluzione della disciplina penale delle false comunicazioni sociali. Da questo punto di vista, le modifiche apportate nel corso degli anni agli artt. 2621 e 2622 c.c., compresa la recente aggiunta dei nuovi artt. 2621-bis e 2621-ter c.c., sono indicative delle esigenze, ma soprattutto delle problematiche, emerse dall’applicazione giurisprudenziale della disciplina in discussione, a partire dal 1942 fino ad oggi.

È per questi motivi che l’analisi non si fermerà ad una sterile lettura del dettato normativo e delle sue diverse interpretazioni dottrinali, ma si estenderà anche a più importanti vicende processuali, rappresentative di criticità applicative.

Il primo capitolo della tesi avrà ad oggetto la disciplina civilistica del bilancio: non si può capire il senso dell’incriminazione, se non si ha ben chiaro cosa si intenda quando si fa riferimento al bilancio, e quali siano le funzioni ad esso attribuite dall’ordinamento. È, infatti, lo studio di tale strumento e degli elementi che lo compongono che consente di individuare i beni giuridici alla cui tutela è orientata la normativa penale delle false comunicazioni sociali.

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Particolare attenzione sarà rivolta all’analisi dei documenti che compongono il bilancio (stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa, a cui si aggiunge anche la relazione sulla gestione), nonché ai principi sottesi alla disciplina civilistica, che guidano l’operatore nella redazione del bilancio, compresi quelli di matrice internazionale, il cui scopo è quello di armonizzare gli ordinamenti, affinché sia fornita la medesima tutela ai beni giuridici interessati da tale materia, sia beni superindividuali, come la veridicità e la trasparenza, che un bene individuale come il patrimonio.

Dopo aver inquadrato l’ambito di riferimento, il secondo capitolo avrà ad oggetto l’analisi delle origini della fattispecie di false comunicazioni sociali, a partire dalla nascita delle società per azioni, risalente al XVII secolo, passando per le legislazioni ottocentesche, compresa la formulazione del codice di commercio del 1882, fino a giungere alla prima versione codicistica della fattispecie, contenuta nel codice civile del 1942.

L’analisi della disciplina si concluderà con un richiamo al complesso fenomeno di Tangentopoli, che ha determinato un aumento esponenziale nell’utilizzo accusatorio della fattispecie incriminatrice di falso in bilancio.

Partendo dalle questioni emerse in ambito giurisprudenziale durante la prima metà degli anni ʼ90, nel terzo capitolo ci si occuperà della riforma attuata attraverso il d.lgs. n. 61/2002 che, proprio per arginare la tendenza delle Procure ad utilizzare le false comunicazioni sociali come uno strumento “grimaldello”, ha di fatto ottenuto un effetto diametralmente opposto, determinandone quella che è stata definita, in ambito mediatico, come una “depenalizzazione di fatto”.

Una particolare attenzione sarà rivolta alla questione relativa alla rilevanza penale delle valutazioni, nonché alle soglie di rilevanza penale e alla clausola dell’alterazione sensibile.

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6

Nell’ultimo capitolo ci si occuperà delle novità introdotte con la legge n. 69/2015, evidenziando come la sostanziale disapplicazione della norma abbia spinto il legislatore ad eliminare definitivamente tutti quegli elementi che impedivano l’integrazione della fattispecie, “alleggerendola” dal punto di vista della formulazione e predisponendo una struttura piramidale, formata dagli artt. 2621-bis e 2621-ter c.c. alla base, e dagli artt. 2621 e 2622 c.c., dando vita a una forma di progressione sanzionatoria. Tuttavia, la questione maggiormente dibattuta, in dottrina ed in giurisprudenza, connessa alla riforma in esame, è stata quella relativa alla rilevanza penale delle valutazioni. Da questo punto di vista, oltre all’analisi della nuova disciplina, nel capitolo in questione, verranno esaminati sia i contributi della dottrina, sia gli interventi della Corte di Cassazione, che si sono susseguiti nel primo anno di vigenza della normativa in esame, fino all’intervento delle Sezioni Unite n. 22474 del 2016.

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CAPITOLO I

La disciplina civilistica del bilancio

1. Premessa

L’art. 2621 c.c., che apre il titolo XI del libro V del codice civile (“disposizioni penali in materia di società e di consorzi”), è rubricato “false comunicazioni sociali”. Dalla disposizione in esame emergono chiaramente due concetti: da un lato, quello di falsità, che rimanda alla tipologia di condotta incriminata dalla norma e, dall’altro, quello di comunicazioni sociali, che, invece, specifica l’oggetto della falsificazione.

Per comprendere meglio la portata della fattispecie incriminatrice e quali siano i beni giuridici tutelati dal legislatore è, quindi, necessario chiarire preliminarmente cosa si intende con la locuzione “comunicazioni sociali”.

A tal fine, non si può prescindere dalla lettera della legge, giacché la norma stessa richiama espressamente i bilanci, le relazioni, nonché le altre comunicazioni sociali previste dalla legge.

2. La nozione di bilancio

Al bilancio è dedicata la sezione IX del titolo V del Libro V del codice civile. Si tratta di una disciplina espressamente richiamata dal comma 2 dell’art. 2217 c.c. - norma dedicata all’imprenditore commerciale - il quale dispone che “nelle valutazioni di bilancio

l’imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per azioni, in quanto applicabili”, così testimoniando la

volontà di fissare non già una disciplina ad hoc, bensì una disciplina avente carattere comune e generale.

L’art. 2423 c.c., norma di apertura, esordisce al primo comma prescrivendo l’obbligo degli amministratori di “redigere il bilancio di

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esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa”.

Avuto riguardo a tale obbligo, occorre precisare che la società per azioni è parificata ad ogni imprenditore commerciale, in quanto il già citato art. 2217 c.c. prevede al primo comma ed in via generale che l’imprenditore, oltre alle scritture contabili, rediga annualmente l’inventario, il quale “si chiude con il bilancio e con il conto dei

profitti e delle perdite”.

Da questo punto di vista, il legislatore sembra voler operare una distinzione tra la nozione di “bilancio” e quella di “conto dei profitti delle perdite”, ma in realtà quest’ultimo non è altro che il conto economico che, insieme allo stato patrimoniale e alla nota integrativa, compone il bilancio stesso (ex art. 2423 c.c.). Orbene, nel richiamo letterale al “bilancio” contenuto nell’art. 2217 c.c. bisogna intendere, invece, un riferimento alla componente dello stato patrimoniale, così da poter attribuire al bilancio complessivamente inteso la propria funzione di sintesi o riassunto dell’inventario, funzione attribuitagli direttamente dall’art. 2217 c.c.1.

Quanto appena chiarito permette di comprendere meglio la portata del secondo comma dell’art. 2423 c.c., secondo il quale “il bilancio di

esercizio è il documento contabile che rappresenta, in modo chiaro, veritiero e corretto, la situazione patrimoniale e finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell’esercizio stesso”.

L’art. 2423 c.c., nel suo complesso, fornisce indicazioni necessarie circa la struttura e le funzioni del bilancio, che trovano la loro specificazione nelle disposizioni successive.

Va, tuttavia, osservato che in realtà il codice civile non è l’unica fonte da cui ricavare tali indicazioni.

1 G. TANTINI, Il bilancio (dopo la riforma societaria), CEDAM, Padova, 2007,

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Infatti, nei primi anni 2000 si è assistito ad un insieme di interventi riformatori, diretti ad adeguare l’ordinamento nazionale a quello comunitario. In particolare, assumono una notevole importanza il d.lgs. n. 6/2003, che ha riformato la materia contabile, ma soprattutto il d.lgs. n. 38/2005, attuativo del regolamento comunitario 1606/2002 (relativo all’applicazione dei principi contabili internazionali), il quale prescrive l’utilizzo dei principi IAS-IFRS da parte di alcune società, esentandole dall’osservanza degli artt. 2423 e ss. c.c..

Il risultato è stato quindi la creazione, nell’ ordinamento interno, di due distinti ambiti soggettivi, cui si applicano due diverse discipline in materia di bilancio2.

3. Principi e regole di redazione del bilancio

Iniziando dall’analisi della disciplina codicistica, risulta necessario comprendere preliminarmente quali siano i principi fondamentali che la regolano. Innanzitutto, assumono una particolare importanza quei principi cardine che sono condivisi sia dalla disciplina nazionale che da quella internazionale: il principio di

chiarezza e quello della rappresentazione veritiera e corretta,

entrambi richiamati dal già citato art. 2423, comma 2 c.c..

Il principio di chiarezza è tutelato attraverso il rispetto del contenuto dello stato patrimoniale e del conto economico espressamente indicato dal legislatore (artt. 2424 e 2425 c.c.) mentre quelli di verità e correttezza sono garantiti attraverso un’oggettiva rappresentazione delle situazioni e dei risultati (ad esempio rispettando i criteri legali di valutazione di cui all’art. 2426 c.c.) e mediante un comportamento ispirato a lealtà e buona fede al momento della redazione del bilancio. Si tratta di principi che hanno ormai assunto la valenza di clausole generali sovraordinate, che integrano e

2 G. STRAMPELLI, in NOTARI-BIANCHI, Obbligazioni, Bilancio, Commentario

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completano la normativa di dettaglio. Assumono rilievo anche ulteriori principi, ancora una volta comuni sia alla disciplina nazionale che internazionale, che sono il principio di prudenza, di competenza e quello di continuità.

In ossequio a tali principi, la valutazione delle voci del bilancio deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva di continuazione dell’attività; il bilancio di esercizio è un bilancio di competenza e non di cassa; infine i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro, se non in casi eccezionali e con l’obbligo degli amministratori di motivare la deroga nella nota integrativa3.

Da questa analisi risulta evidente la stretta connessione che sussiste con i criteri di valutazione, anch’essi da suddividere tra quelli disciplinati nel codice civile e quelli introdotti invece dai principi contabili internazionali.

Il codice civile si occupa dei criteri di valutazione all’art. 2426 c.c.. Questi costituiscono un valido ausilio per i redattori del bilancio, sebbene non siano da soli sufficienti a fornire un quadro completo di riferimento, necessitando della contemporanea applicazione dei principi di redazione (artt. 2423 e 2423-bis c.c.). È chiaro tuttavia che l’adozione di criteri di valutazione più precisi e dettagliati riduce l’area di discrezionalità dei soggetti che redigono il bilancio, rendendolo più oggettivo, costituendo un primo passo verso la realizzazione di un bilancio veritiero e corretto, nonostante sia inevitabile al suo interno la presenza di elementi di soggettività. Il bilancio è infatti intriso di valutazioni, di cespiti patrimoniali che necessitano del compimento di una serie di stime da parte degli amministratori, per determinarne il valore da iscrivere in bilancio. Ciò accade sia nell’ipotesi in cui sia impossibile ricavare un valore assoluto, sia quando tale valore è suscettibile di variazioni nel tempo.

3 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, 8°

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Da questo punto di vista, risulta evidente l’importanza di una rappresentazione veritiera e corretta, dal momento che sopravvalutazioni arbitrarie delle attività o sottovalutazioni arbitrarie delle passività gonfiano artificiosamente l’utile di esercizio o ridimensionano le perdite, mentre sottovalutazioni delle attività e sopravvalutazioni delle passività deprimono l’utile dando luogo alla formazione delle c.d. riserve occulte4.

Per raggiungere l’obbiettivo di evitare o ridimensionare questi effetti distorsivi, il legislatore ha optato per l’adozione del criterio del

costo storico di acquisto o di produzione del bene contabilizzato: il

costo storico di acquisto è il costo sostenuto in passato per l’acquisto del bene immobile, mentre il costo di produzione rappresenta quei costi sostenuti dall’azienda nell’ipotesi in cui questa abbia prodotto internamente i beni immobili oggetto di valutazione.

L’art. 2426, n. 1 c.c. prevede che le immobilizzazioni (immateriali, materiali e finanziarie) siano iscritte indicandone il costo storico ovvero quello di produzione, aggiungendo al costo d’acquisto anche i costi accessori ad esso connessi (es. spese notarili, di trasporto, dazi doganali ecc.).

Al n. 2 la norma si occupa degli ammortamenti, avuto riguardo alle immobilizzazioni immateriali o materiali (ad eccezione dei terreni, di durata illimitata) che forniscono la loro utilità nel corso di più esercizi, ed il cui costo deve pertanto essere “ammortizzato in ogni

esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”.

L’articolo in esame prende in considerazione al n. 3 le svalutazioni, che si hanno in tutte le ipotesi in cui il valore di un’immobilizzazione risulti essere durevolmente inferiore rispetto a quello determinato nei due casi precedenti: in tal caso l’immobilizzazione dovrà essere iscritta nel bilancio a tale minor valore, ma se negli esercizi successivi

4 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, cit., pag.

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i motivi della svalutazione vengono meno, allora questa non dovrà essere mantenuta nei relativi bilanci.

Nonostante il criterio base sia quello, appena analizzato, del costo storico, la norma prevede alcuni tipi di immobilizzazioni che soggiacciono a regole particolari. Vi sono le immobilizzazioni finanziarie che consistono in partecipazioni in imprese controllate o collegate, che possono essere valutate con il metodo del patrimonio

netto, il quale consente di iscrivere la partecipazione per un valore

pari alla corrispondente frazione di patrimonio netto della società alla quale si riferisce, come risultante dall’ultimo bilancio (e che varierà negli esercizi successivi). Anche i costi pluriennali quali costi di impianto e di ampliamento, di ricerca, di sviluppo e di pubblicità possono essere iscritti nell’attivo, a condizione che abbiano un’utilità pluriennale, che deve configurarsi come un ricavo direttamente collegato al costo sostenuto5. Ulteriori condizioni sono l’approvazione del collegio sindacale e l’ammortamento entro un termine di cinque anni; durante l’ammortamento “possono essere distribuiti dividendi

solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi ancora non ammortizzati” (art. 2426, n. 5 c.c.).

Regole particolari sono dettate anche in riferimento all’avviamento, il quale può essere iscritto nell’attivo solo se acquistato a titolo oneroso e nei limiti del costo per esso sostenuto; inoltre deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni (art. 2426, n. 6 c.c.).

“I crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di

realizzazione” (art. 2426, n. 8 c.c.): tale valore corrisponde

all’importo che si prevede di ottenere in futuro, nel momento in cui si riscuote il credito, e va iscritto in bilancio rispettando il principio di prudenza.

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La norma detta regole particolari anche in riferimento all’attivo circolante e alle operazioni in valuta, nonché casi di deroghe eccezionali in cui gli amministratori devono attribuire ai beni un valore superiore a quello risultante dall’applicazione dei criteri sopra esposti, motivando le singole deroghe in nota integrativa. Tra i casi eccezionali vi sono, ad esempio, la rivalutazione monetaria (in presenza di leggi speciali che ne fissino criteri e modalità) e le ipotesi in cui un bene subisca un mutamento di destinazione economica determinato da ragioni oggettive.

Anche i principi contabili internazionali si occupano dei criteri di valutazione, con l’obbiettivo di impedire non solo sopravvalutazioni del patrimonio, ma anche le sottovalutazioni conseguenti all’impiego del costo storico. Per questo motivo tali principi hanno introdotto il criterio del fair value, che affianchi o sostituisca la valutazione.

4. La struttura del bilancio 4.1. Lo stato patrimoniale

Il primo elemento richiamato dall’art. 2423 c.c. è lo stato patrimoniale. La situazione patrimoniale contenuta nel bilancio di esercizio è volta, innanzitutto, a fornire l’illustrazione qualitativa e quantitativa del patrimonio sociale, indicandone la composizione ed il peso relativo alle sue componenti, nonché la situazione finanziaria della società nel giorno di chiusura dell’esercizio6, ossia la capacità di

produrre liquidità e contenere il debito entro limiti accettabili. Lo stato patrimoniale rappresenta, quindi, una prospettiva statica e deve essere redatto in forma di tavola numerica, nel rispetto delle indicazioni che si ricavano dall’art. 2423-ter c.c..

6 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, cit., pag.

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Dal punto di vista strutturale, esso è formato da due sezioni contrapposte di attività e passività.

Con riguardo al contenuto, al quale è dedicato l’art. 2424 c.c., l’attivo viene suddiviso in quattro grandi raggruppamenti: i crediti verso soci

per versamenti ancora dovuti, quando il capitale sociale è stato

sottoscritto dai soci ma non interamente versato; le immobilizzazioni, che comprendono gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente dalla società e che possono essere immateriali, materiali e finanziarie7. Il terzo raggruppamento è rappresentato dall’attivo circolante, che a sua volta si suddivide in quattro sottogruppi: le rimanenze, che includono cinque voci8; i crediti, articolati in sette voci9; le attività finanziarie che non costituiscono

7 Le immobilizzazioni immateriali comprendono sette voci: i costi di impianto e di

ampliamento, i costi di ricerca, sviluppo e di pubblicità, i diritti di brevetto industriale e di utilizzazione delle opere dell’ingegno, le concessioni, licenze, marchi e diritti simili, l’avviamento, le immobilizzazioni in corso e acconti, e altre. Le immobilizzazioni materiali sono costituite invece da cinque voci: i terreni e fabbricati, gli impianti e macchinari, le attrezzature industriali e commerciali, altri beni e le immobilizzazioni in corso e acconti. Le immobilizzazioni finanziarie (con separata indicazione, per ciascuna voce dei crediti, degli importi esigibili entro l’esercizio successivo) si suddividono invece in quattro voci: le partecipazioni azionarie e non, in imprese controllate, collegate, controllanti ed altre imprese, i crediti, verso le stesse tipologie di imprese richiamate per le partecipazioni, e gli altri titoli e azioni proprie, purché destinati a permanere stabilmente nel patrimonio della società; in caso contrario tali cespiti rientreranno nel l’attivo circolante.

8 Le rimanenze comprendono le materie prime, sussidiarie e di consumo, i prodotti

in corso di lavorazione e semilavorati, i lavori in corso su ordinazione, i prodotti finiti e le merci, e infine gli acconti.

9 Si tratta dei crediti verso i clienti, verso le imprese controllate, verso le imprese

collegate, verso le controllanti, i crediti tributari, le imposte anticipate e, infine, i crediti verso altri.

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immobilizzazioni10; ed infine le disponibilità liquide, quali depositi bancari e postali, assegni, denaro e valori in cassa.

L’ultimo raggruppamento dell’attivo è rappresentato dai ratei e

risconti, con separata indicazione del disaggio su prestiti: si

definiscono ratei quei valori che misurano costi o ricavi che economicamente appartengono all’esercizio, ma finanziariamente ancora non si sono manifestati; sono risconti quei costi e ricavi che hanno avuto manifestazione finanziaria, ma sono di competenza di esercizi successivi.

Ovviamente, qui rilevano i ratei e riconti attivi, che traggono origine da contratti di durata relativi ad un arco di tempo riguardante due o più esercizi consecutivi, quando il prezzo in corso di maturazione alla data del bilancio sia liquidato in via posticipata (ratei) o in via anticipata (risconti).

Il disaggio di emissione dei prestiti obbligazionari sussiste invece in tutte quelle ipotesi in cui le obbligazioni siano emesse ad un valore inferiore al loro valore nominale, creando una differenza tra la somma riscossa e la maggior somma dovuta dalla società alla scadenza, assumendo, pertanto, la natura di costo pluriennale da ammortizzare

pro quota ad ogni esercizio, in un periodo pari alla durata del prestito

ed in conformità del relativo piano di ammortamento11.

I ratei, i risconti e i disaggi hanno lo scopo di tutelare il principio di competenza economica, ai sensi del quale, nella redazione del bilancio, i costi e i ricavi vanno assegnati all’esercizio in cui si realizzano le operazioni generatrici degli stessi (causa), indipendentemente dalla loro manifestazione finanziaria (data del pagamento o dell’incasso).

10 Si suddividono nelle partecipazioni in imprese controllate, in imprese collegate e

in imprese controllanti nelle altre partecipazioni, e nelle azioni proprie, con indicazione anche del valore nominale complessivo.

11 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, cit.,

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Passando ora alla sezione dello stato patrimoniale relativa al passivo, dall’art. 2424 c.c. si deduce che anche questa è suddivisa in diversi raggruppamenti.

Il patrimonio netto, che si ricava dall’insieme degli importi del capitale sociale nominale (sottoscritto dai soci e già versato) e delle riserve, le quali costituiscono accantonamenti di utili di esercizio non distribuiti agli azionisti e destinati a impieghi futuri, ovvero di quote di capitale che derivano da effettivi apporti dei soci.

Le riserve vengono distinte a seconda della fonte, ragion per cui si potranno avere riserve da sovrapprezzo delle azioni, riserve di rivalutazione, riserve legali, riserve statutarie, riserve per azioni proprie in portafoglio e altre riserve (come ad esempio le riserve per ammortamenti anticipati di origine fiscale o quelle da fusione).

Al capitale ed alle riserve vanno prima aggiunti gli utili portati a nuovo (utili dell’esercizio precedente, né distribuiti ai soci, né accantonati in riserve) e gli utili dell’esercizio (risultato di un periodo di gestione della società, rappresentato dall’eccedenza dei ricavi di competenza sui costi di competenza) e poi vanno detratte le eventuali perdite dello stesso tipo.

I fondi per rischi ed oneri sono destinati ad accogliere gli accantonamenti necessari per coprire perdite o debiti che si manifesteranno in un’epoca futura. Con riguardo agli elementi da inserire nel fondo, l’art. 2424-bis c.c. precisa, al comma 3, i limiti degli accantonamenti che possono essere effettuati, precisando che devono essere considerati gli importi destinati a far fronte a situazioni che possono verificarsi certamente o probabilmente. Si tratta di debiti di natura determinata, “dei quali tuttavia alla chiusura dell’esercizio

sono indeterminati o l’ammontare o la data di sopravvenienza”. Pur

se indeterminate nell’ammontare, le passività dovranno essere stimate con ragionevolezza12; ne consegue che nell’ipotesi in cui la passività

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sia probabile ma non stimabile, essa non dovrà essere inserita nel bilancio, bensì nella nota integrativa.

Anche i fondi per rischi ed oneri si suddividono in tre sottogruppi fondamentali: vi sono infatti i fondi per trattamento di quiescenza ed obblighi simili, in cui vi si iscriveranno i fondi pensione, i fondi premi e fedeltà, ed in genere quelli derivanti dalla contrattazione collettiva o da attività di integrazione aziendale; c’è poi il fondo per le imposte, destinato all’accantonamento di somme in relazione all’esistenza di contenziosi con l’amministrazione finanziaria, o imposte che sono state differite nel tempo e che quindi si pagheranno negli esercizi futuri; nel sottogruppo relativo agli altri fondi possono essere ricompresi vari tipi di fondi, come ad esempio quello per rischi su cause in corso con terzi o dipendenti che si prevede avranno esito sfavorevole.

Il terzo raggruppamento è costituito dal trattamento di fine

rapporto di lavoro subordinato: si tratta dell’indennità di carattere

retributivo, che è dovuta al lavoratore alla fine del rapporto di lavoro. Il trattamento di fine rapporto è regolato dall’art. 2120 c.c. e, come si ricava dalla norma, l’importo del relativo fondo va calcolato in base agli anni di servizio maturati.

Gli ultimi raggruppamenti della sezione relativa al passivo sono quelli relativi ai debiti, suddivisi in ben quattordici sottogruppi, per consentire una dettagliata informazione quantitativa e qualitativa sull’indebitamento della società, e quello che include ancora una volta i ratei e risconti (questa volta passivi) con separata indicazione dell’aggio su prestiti.

Il penultimo comma dell’art. 2424 c.c. prevede inoltre che “In

calce allo stato patrimoniale risultino le garanzie prestate direttamente o indirettamente, distinguendosi fra fideiussioni, avalli, altre garanzie personali e garanzie reali, ed indicando separatamente, per ciascun tipo, le garanzie prestate a favore di

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imprese controllate e collegate, nonché di controllanti e imprese sottoposte al controllo di queste ultime; devono inoltre risultare gli altri conti d’ordine”.

Questi elementi non influenzano né la composizione del patrimonio di bilancio, né la determinazione dell’utile dell’esercizio; per questo motivo, l’iscrizione dei conti d’ordine non avviene all’interno dello stato patrimoniale, bensì in calce ad esso ed ha essenzialmente una funzione informativa, di “scrittura di memoria”13. Ai fini di una

rappresentazione veritiera e corretta è opportuno che vengano indicati separatamente i rischi di garanzia, i rischi diversi da quelli di garanzia, gli impegni e gli eventuali altri conti, evitando quindi un’indicazione confusionaria. I conti d’ordine a loro volta si suddividono in impegni caratterizzati dalla certezza, in rischi caratterizzati dalla eventualità dell’esborso, o in beni di terzi (ad esempio in pegno o ipoteca)14.

4.2. Il conto economico

Il conto economico espone il risultato economico dell’esercizio (utili o perdite) attraverso la rappresentazione dei costi e degli oneri sostenuti, nonché dei ricavi e degli altri proventi conseguiti nell’esercizio15. Secondo il disposto dell’art 2425 c.c., il conto non

deve essere redatto a sezioni contrapposte, bensì in forma espositiva scalare, impostazione, quest’ultima, che consente di suddividere la gestione in diverse aree significative, ciascuna con il proprio risultato autonomamente conseguito.

Il conto economico si articola in cinque sezioni scalari: nella prima viene indicato il valore della produzione (A, voci 1-5), da cui

13 Trib. Milano, 18 maggio 1998, in Società, 1999, pag. 333.

14 G. TANTINI, Il bilancio (dopo la riforma societaria), cit., pag. 94.

15 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, cit.,

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19

vengono sottratti i costi di produzione (B, voci 6-14); si ottiene così il risultato lordo della gestione ordinaria della società. Nella terza sezione vengono iscritti e sommati algebricamente i proventi ed oneri

finanziari (C, voci 15-17-bis) corrispondenti alla gestione finanziaria

della società; nella quarta le rettifiche di valore di attività finanziarie (D, voci 18-19), cioè il saldo di rivalutazioni e svalutazioni e, infine, nell’ultima i proventi ed oneri straordinari (E, voci 20-21), che rappresentano la gestione straordinaria della società.

Attraverso l’esposizione in sequenza dei totali parziali di questi diversi segmenti, sarà possibile tenere distinto il risultato della specifica attività della società (utile o perdita della gestione ordinaria) da quello determinato da oneri e proventi di diversa natura (risultato della gestione finanziaria e straordinaria). Si ottiene così - per somma algebrica delle diverse aree - il risultato globale di esercizio, prima al lordo (A – B ± C ± D ± E) e poi al netto delle imposte sul reddito, correnti, differite e anticipate (voce 22). Si ottiene altresì l’utile o la perdita di esercizio che va riportato nello stato patrimoniale (voce 23).

4.3. La nota integrativa

Stato patrimoniale e conto economico sono entrambi tavole numeriche, che devono essere redatte secondo gli schemi fissati dall’art. 2423-ter c.c.; le predette tavole devono essere lette alla luce della nota integrativa, ossia la chiave di lettura che, attraverso informazioni di natura contabile, le spiega, le specifica e talvolta le integra, consentendo di comprendere i dati in esse contenuti.

Si tratta di una novità introdotta dalla IV Direttiva CEE, che ha sostituito la relazione degli amministratori della previgente disciplina con due distinti documenti: la nota integrativa (art. 2427 e 2427-bis c.c.) e la relazione sulla gestione (art. 2428 c.c.). Nonostante la relazione sulla gestione non faccia parte del bilancio ma ne sia un “corredo”, destinato pertanto ad influire sul profilo dei vizi e

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20

dell’invalidità del bilancio, la separazione in due documenti di indicazioni contenute in precedenza nella sola relazione degli amministratori comporta un notevole ampliamento delle informazioni rispetto a quanto era previsto nell’abrogato art. 2429-bis c.c.. L’obiettivo è quello di ottenere un bilancio trasparente dal punto di vista delle informazioni in esso contenute, attraverso strumenti informativi relativi alla situazione patrimoniale ed economica della società.

Il contenuto informativo della nota integrativa, profondamente ampliato dalla riforma societaria, è indicato nell’art. 2427 c.c. da 1 a 22ter. Si tratta di una serie di informazioni integrative (criteri di valutazione, composizione delle principali voci ecc…) sulla situazione patrimoniale e finanziaria (nn. 1-9), sul risultato economico di esercizio (nn. 10-14), sul numero dei dipendenti (n. 15), sui compensi degli amministratori e sindaci (n. 16), sulle azioni e sugli altri strumenti finanziari emessi dalla società (nn. 17-19), sui finanziamenti dei soci alla società (n. 19-bis) e sulle operazioni di locazione finanziaria (n. 22)16.

Un’importante novità relativa al contenuto della nota integrativa è costituita dall’art. 2427-bis c.c., introdotto dal d.lgs. n. 394/2003 (in attuazione della direttiva 2001/65/CE). La norma appena richiamata dispone che la nota integrativa dia informazioni relative al valore

equo “fair value” degli strumenti finanziari. Gli strumenti finanziari

derivati sono contratti che, come dice la parola stessa, “derivano” da variazioni nel prezzo di un’attività finanziaria alla quale sono collegati, come, ad esempio, la variazione di un tasso di interesse ovvero del cambio tra valute, e sono destinati alla copertura di un rischio (operazioni di copertura); con tali contratti le parti si

16 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, cit.,

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21

impegnano a scambiarsi tassi di interesse, valute, o titoli ad un determinato corrispettivo17.

Per comprendere meglio il significato della disposizione in esame, è necessario analizzare una particolare funzione svolta dal bilancio, che si ricava direttamente dai principi contabili internazionali. Nel quadro degli IAS-IFRS, l’informazione contabile ha infatti il fine principale di consentire all’investitore di conoscere la rischiosità e le prospettive di rendimento dell’investimento e di effettuare le conseguenti scelte di allocazione delle proprie risorse finanziarie18. Da questo punto di vista, il bilancio deve permettere agli investitori di comprendere se il valore dell’investimento effettuato sia destinato a rimanere stabile, ovvero sia invece destinato a variare, e in tal caso in che modalità. Si evince, pertanto, come il bilancio di esercizio redatto secondo la disciplina nazionale, fondato sul principio di prudenza, nonché sul criterio valutativo del costo storico, sia inidoneo a fornire all’investitore informazioni utili per le proprie decisioni. Il costo storico, infatti, coincide con l’esborso monetario sostenuto alla data di acquisto del bene, e quindi non può fornire alcuna indicazione circa il valore corrente dei singoli elementi patrimoniali e del complesso aziendale.

È su tali presupposti che si fonda l’adozione del fair value, che viene definito dai principi contabili internazionali come il “corrispettivo al

quale un’attività può essere scambiata, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in un’operazione tra terzi”19. Il fair

value rappresenta pertanto un criterio di valutazione alternativo a

quello del costo storico, in quanto maggiormente idoneo a fornire un’informazione significativa per l’investitore nel capitale di rischio.

17 G. TANTINI, Il bilancio (dopo la riforma societaria), cit., pag. 102.

18 G. STRAMPELLI, in NOTARI-BIANCHI, Obbligazioni, Bilancio, cit., pagg.

347-348.

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22

Innanzitutto, tale criterio permette di determinare l’elemento valutato facendo riferimento al suo valore di mercato, più precisamente un valore di scambio espresso da un mercato attivo, costituente il punto di convergenza dei giudizi di valore di acquirenti e venditori potenziali. In secondo luogo, sotto il profilo della rappresentazione della situazione patrimoniale, tutte le passività e le attività sono valutate alla stessa data (quella di riferimento del bilancio), a differenza di quanto avviene applicando il criterio del costo storico, che comporta l’esposizione di valori derivanti da acquisizioni effettuate in momenti diversi. Tale criterio risulta, infine, maggiormente funzionale ad una corretta analisi della performance aziendale in quanto consente di ricavarne una visione aggiornata, che rifletta tutte le condizioni economiche maturate alla data della valutazione20.

A fronte di questi vantaggi, il criterio del fair value presenta anche alcuni fattori negativi, rappresentati, da un lato, dalla possibile volatilità dei risultati qualora vi siano notevoli variazioni di valore delle diverse componenti patrimoniali da un esercizio ad un altro; dall’altro lato, si potrebbe invece incorrere in notevoli difficoltà nelle ipotesi in cui non sia ravvisabile un mercato attivo di riferimento che renda oggettiva la stima su determinati elementi, e si debba pertanto volgere lo sguardo ai valori di mercato di attività simili o a modelli matematici di attualizzazione dei flussi di cassa futuri.

4.4. La relazione sulla gestione

L’ulteriore novità introdotta dalla IV Direttiva CEE (78/660/CEE) è rappresentata dalla previsione della relazione sulla gestione (art. 2428 c.c.): un allegato esplicativo del bilancio, di cui è un elemento fondamentale, costituendo un “corredo” della nota

20 G. STRAMPELLI, in NOTARI-BIANCHI, Obbligazioni, Bilancio, cit., pagg.

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23

integrativa. Tra i due documenti, la differenza maggiore sta nel fatto che, mentre la nota integrativa assume una funzione di rendiconto, e cioè di commento dei numeri, la relazione in esame ha invece una funzione di resoconto, nel senso di commentare in prosa l’attività svolta.

Come si ricava dal comma 1 dell’art. 2428 c.c. (come modificato dal d.lgs. n. 32/2007), questo documento deve contenere “un’analisi fedele, equilibrata ed esaustiva della situazione della

società e dell’andamento del risultato della gestione nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti, nonché una descrizione dei principali rischi ed incertezze cui la società è esposta”.

L’articolo in esame provvede anche a fissare il contenuto minimo della relazione, specificando ai numeri 5 e 6 che vi debbano rientrare anche “i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio”, nonché “l’evoluzione prevedibile della gestione”. Con riguardo al primo aspetto, al fine di individuare quali debbano essere i fatti da indicare nella relazione, il documento dei principi contabili dello IASC (International Accounting Standards Commitee) classifica tali eventi in due categorie: “gli eventi intervenuti dopo la data di

chiusura dell’esercizio che forniscono un’ulteriore evidenza di condizioni o situazioni già in essere alla data del bilancio” e “gli eventi intervenuti dopo la data di chiusura dell’esercizio che forniscono evidenza di situazioni non esistenti alla data del bilancio”21.

Nella relazione sulla gestione dovranno essere inseriti solo gli eventi appartenenti alla seconda categoria, giacché quelli rientranti nella

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24

prima vengono inseriti nel bilancio conformemente alle disposizioni di cui all’art. 2423-bis n. 4 c.c. (principi di redazione del bilancio)22.

L’evoluzione prevedibile della gestione rappresenta, invece, la novità più significativa introdotta dal d.lgs. n. 127/1991. La relazione sulla gestione, infatti, non fornirà più solo informazioni generali sui programmi della società, fornendone un resoconto dettagliato, ma conterrà altresì ipotesi circa lo svolgimento futuro della gestione.

5. Il bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali

Gli interventi riformatori dei primi anni 2000 hanno creato una doppia soggettività, imponendo per taluni tipi societari il rispetto dei principi contabili internazionali. Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, rilevano sia la natura delle società, sia le attività da esse svolte: l’adozione di tali principi è, infatti, obbligatoria sia per tutte le società che abbiano azioni o altri strumenti finanziari quotati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, sia per le società che esercitano attività bancaria, assicurativa e di intermediazione finanziaria e mobiliare.

L’adozione non è consentita alle società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, ossia società che non superano determinate dimensioni (in relazione a parametri riferiti all’attivo patrimoniale, al fatturato ed al numero di dipendenti)23, poiché la

22 “Si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche

se conosciuti dopo la chiusura di questo”.

23 Art. 2435-bis, comma 1 c.c. (modificato dal d.lgs. n. 173/2008): “Le società, che

non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati, possono redigere il bilancio in forma abbreviata quando, nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:

1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità.”

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25

disciplina codicistica risulta più semplice ed ispirata a maggiore prudenza nelle valutazioni. Per tutte le altre società per azioni, l’adozione dei principi contabili internazionali è facoltativa.

Una volta adottati tali principi, la scelta non è revocabile, salvo l’ipotesi in cui ricorrano circostanze eccezionali, adeguatamente illustrate nella nota integrativa, con la revoca che opererà solo dall’esercizio successivo a quello in cui è deliberata, per evitare che la modifica dei criteri di redazione del bilancio sia tesa a falsare la rappresentazione dei risultati dell’esercizio24.

Il bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali presenta una struttura maggiormente complessa, poiché tali principi, oltre ai tre elementi già previsti dal codice civile, sebbene denominati in maniera differente – prospetto della situazione

patrimoniale-finanziaria, conto economico complessivo e note al bilancio –

aggiungono due ulteriori documenti: un prospetto delle variazioni del

patrimonio netto e un rendiconto finanziario.

Tale complessità trova la sua ragion d’essere nella diversa finalità che assume il bilancio in relazione ai principi contabili internazionali, ossia una finalità informativa che non si limiti alla rappresentazione patrimoniale e reddituale della società, ma che permetta di rendere edotti i soggetti interessati anche sui flussi di cassa, informazioni relative alla gestione della liquidità da parte della società, per poter valutare la capacità dell’impresa di far fronte a debiti in scadenza o effettuare investimenti.

Da questo punto di vista, la funzione del bilancio che si ricava dall’art. 2423, comma 2 c.c., ossia la funzione informativa nei confronti di soci, creditori sociali ed ogni altra categoria di soggetti che siano interessati ai risultati e all’andamento dell’attività dell’impresa, non esaurisce l’elenco delle funzioni assolte dai conti

24 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, cit.,

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26

annuali: questi assumono infatti un ulteriore rilievo “estimativo-reddituale” che si concretizza nella determinazione dell’utile distribuibile. Ciò significa che è nel bilancio che si deve ricavare l’ammontare di risorse generate dall’impresa nell’esercizio, che possono essere sottratte all’attività sociale e destinate ai soci senza compromettere la vitalità del complesso aziendale e la soddisfazione di creditori sociali25. Il bilancio diviene, quindi, lo strumento sul quale si fonda il sistema di protezione dei creditori sociali previsto dalla II Direttiva CEE (77/91/CEE) che, all’art. 15, dispone il divieto di distribuzione di utili non realizzati26.

Caratteristica del bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali è quella di non essere vincolato a rigidi schemi: spetta agli amministratori il compito di individuare ed organizzare le poste del bilancio, nel rispetto del principio che ogni voce deve rappresentare elementi patrimoniali o eventi fra loro omogenei, a meno che si tratti di poste irrilevanti (IAS 1, par. 29). Per ogni voce deve inoltre essere indicato l’importo della voce corrispondente dell’esercizio precedente (IAS 1, par. 38)27.

La prima novità rispetto alla struttura prevista dal codice civile è rappresentata dal prospetto delle variazioni del patrimonio netto: tale documento evidenzia, per ciascuna voce del patrimonio netto, tutte le variazioni fra il valore contabile all’inizio e quello alla fine

25 G. STRAMPELLI, in NOTARI-BIANCHI, Obbligazioni, Bilancio, cit., pagg.

335-336.

26 Art. 15, comma 1, lett. A: “Ad eccezione dei casi di riduzione del capitale

sottoscritto, nessuna distribuzione a favore degli azionisti può aver luogo se, alla data di chiusura dell'ultimo esercizio, l'attivo netto quale risulta dai conti annuali è o potrebbe diventare, in seguito a tale distribuzione, inferiore all' importo del capitale sottoscritto aumentato delle riserve che la legge o lo statuto non permettono di distribuire”.

27 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, cit.,

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27

dell’esercizio mediante l’indicazione separata delle vicende che ne hanno modificato l’importo nel periodo di riferimento. In questo modo, alcune variazioni patrimoniali verranno rilevate direttamente come variazioni delle poste del patrimonio netto, senza che risultino dal conto economico, derogando alla regola generale secondo la quale nel conto economico debbano essere rappresentati tutti gli incrementi e le diminuzioni patrimoniali verificatisi nell’esercizio.

L’altro documento previsto solo dai principi contabili internazionali è il rendiconto finanziario, che espone in modo sintetico gli incassi ed i pagamenti (cd. flussi di cassa o cash flows) effettuati da una società durante l’esercizio. La sua disciplina si trova nello IAS 7, il quale precisa in modo chiaro quali siano le finalità del documento in esame: “L’informazione sui flussi finanziari di

un’impresa è utile per gli utilizzatori del bilancio per accertare la capacità dell’impresa a produrre disponibilità liquide e mezzi equivalenti e per determinare la necessità del loro impiego. Le decisioni economiche da parte degli utilizzatori del bilancio richiedono una valutazione della capacità di un’impresa a produrre disponibilità liquide o equivalenti e la tempistica e il grado di certezza della loro generazione. La finalità del presente Principio è quella di richiedere informazioni sulle variazioni nel tempo delle disponibilità liquide e dei mezzi equivalenti di un’impresa attraverso la predisposizione di un rendiconto finanziario che classifichi i flussi finanziari derivanti dall’attività operativa, di investimento e finanziaria durante l’esercizio”. Dall’ultimo capoverso si ricava come

i flussi di cassa vengano suddivisi in tre classi: quelli derivanti dall’attività operativa sono relativi all’esercizio dell’attività produttiva principale dell’impresa; quelli derivanti dall’attività di investimento si riferiscono invece alla realizzazione o alla smobilizzazione di investimenti; infine, quelli derivanti dall’attività finanziaria sono

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rappresentati dagli incassi di operazioni con cui la società si procura nuovo capitale, o nuovi finanziamenti.

6. Il procedimento di formazione del bilancio

Il procedimento di formazione del bilancio ha inizio con la convocazione dell’assemblea dei soci, che avviene “almeno una volta

all’anno, entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale”,

come si ricava dall’art. 2364, comma 2 c.c., norma dedicata alle competenze dell’assemblea ordinaria, in riferimento alle società che non abbiano optato per il sistema dualistico e che pertanto sono prive del consiglio di sorveglianza. In tali società cooperano alla redazione del bilancio tutti e tre gli organi sociali: amministratori, collegio sindacale e assemblea, insieme al revisore legale dei conti. Nelle società con sistema dualistico, invece, il bilancio è predisposto dal consiglio di gestione e approvato dal consiglio di sorveglianza28.

Il compito di redigere il progetto di bilancio spetta agli amministratori, che non possono delegare tale funzione, mentre l’assemblea ha il compito di approvarlo; il compito del collegio sindacale è, invece, quello di accertare la corrispondenza del documento a quanto risulta dai libri e dalle scritture contabili.

Nelle società quotate, gli amministratori si avvalgono della cooperazione di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nominato con le modalità previste nello statuto, con il compito di predisporre adeguate procedure per l’approvazione del bilancio, e attestare la conformità tra le scritture contabili e quanto diffuso dalla società nel mercato (correttezza formale e sostanziale del bilancio). Quest’ultimo, congiuntamente agli amministratori delegati,

28 G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, cit.,

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29

ha anche il compito di sottoscrivere una relazione sul bilancio, ex art. 154-bis, comma 5, Tuf, il quale ne delinea anche i contenuti29.

A tali operazioni segue il deposito delle copie del progetto di bilancio e dei relativi allegati e relazioni, presso la sede della società, durante i quindici giorni che precedono l’assemblea e finché il bilancio sia approvato.

Con l’approvazione da parte dell’assemblea il progetto di bilancio redatto dagli amministratori si trasforma in bilancio della società. L’approvazione del bilancio non comporta la liberazione dei soggetti coinvolti nella redazione dello stesso per le operazioni da loro compiute durante lo svolgimento delle operazioni sociali e che possono aver leso gli interessi della società (art. 2434 c.c.).

29 “Gli organi amministrativi delegati e il dirigente preposto alla redazione dei

documenti contabili societari attestano con apposita relazione sul bilancio di esercizio, sul bilancio semestrale abbreviato e, ove redatto, sul bilancio consolidato:

a) l'adeguatezza e l'effettiva applicazione delle procedure di cui al comma 3 nel corso del periodo cui si riferiscono i documenti;

b) che i documenti sono redatti in conformità ai principi contabili internazionali applicabili riconosciuti nella Comunità europea ai sensi del regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002;

c) la corrispondenza dei documenti alle risultanze dei libri e delle scritture contabili;

d) l'idoneità dei documenti a fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'emittente e dell'insieme delle imprese incluse nel consolidamento;

e) per il bilancio d'esercizio e per quello consolidato, che la relazione sulla gestione comprende un'analisi attendibile dell'andamento e del risultato della gestione, nonché della situazione dell'emittente e dell'insieme delle imprese incluse nel consolidamento, unitamente alla descrizione dei principali rischi e incertezze cui sono esposti;

f) per il bilancio semestrale abbreviato, che la relazione intermedia sulla gestione contiene un'analisi attendibile delle informazioni di cui al comma 4 dell'articolo 154-ter”.

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30

Il procedimento di approvazione del bilancio si conclude con l’art. 2435 c.c. in cui è previsto a carico degli amministratori della società l’obbligo di depositare entro trenta giorni dall’approvazione, una copia del bilancio presso l’ufficio del registro delle imprese. Tale obbligo risponde ad esigenze di pubblicità, affinché attraverso la lettura del bilancio gli azionisti, i creditori e qualunque altro soggetto che abbia interesse possano ricavare informazioni utili sulla situazione della società.

Al comma 2 è dettata una disciplina particolare per le società non quotate nel mercato regolamentato, al fine di garantire la trasparenza relativamente ai soggetti con la qualità di socio, per contrastare il riciclaggio di denaro di provenienza illecita.

7. Invalidità della delibera di approvazione del bilancio Il bilancio può essere viziato sia sotto il profilo formale, in relazione al suo procedimento di approvazione, sia sotto quello sostanziale, qualora le irregolarità riguardino invece il suo contenuto. Nella prima ipotesi troverà applicazione la disciplina generale degli artt. 2377, 2378 e 2379 c.c., con la particolare presenza di un’ipotesi sanatoria prevista dall’art. 2434-bis c.c.: tenendo conto dell’orientamento giurisprudenziale che affermava la mancanza di interesse ad impugnare un bilancio già corretto con uno successivo, la norma in esame dispone che “le azioni previste dagli articoli 2377 e

2379 non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo”.

Per quanto riguarda i vizi contenutistici, nelle ipotesi di bilanci redatti in violazione dei principi di chiarezza, verità e correttezza, tende a prevalere l’indirizzo giurisprudenziale favorevole alla tesi della nullità della delibera di approvazione, in quanto si ritiene che la stessa abbia in tal caso un oggetto illecito, poiché adottata in contrasto

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con norme imperative inderogabili, dettate a tutela di un interesse generale. Per evitare azioni di disturbo, si richiede un interesse concreto ed attuale ad agire per conoscere la reale situazione patrimoniale della società, e non anche un generico interesse al rispetto della legalità.

Un’altra limitazione è prevista nel già citato art. 2434-bis, al comma 2, il quale prevede che “la legittimazione ad impugnare la

deliberazione di approvazione del bilancio su cui il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti ha emesso un giudizio privo di rilievi spetta a tanti soci che rappresentino almeno il cinque per cento del capitale sociale”; in questo modo la società è

posta al riparo da azioni promosse da sparute minoranze, impugnative ricattatorie e lesive dell’immagine della società sul mercato30.

8. La funzione di tutela del pubblico risparmio

L’attività finalizzata ad effettuare un controllo della regolarità, formale e sostanziale, della contabilizzazione dei fatti di gestione, al fine di verificare la veridicità e correttezza delle poste del bilancio (di esercizio o consolidato), è l’attività di revisione contabile. Tale attività si inserisce nell’ambito della tutela del pubblico risparmio: si tratta di una funzione pubblica, che tuttavia è attribuita a soggetti privati, con il rischio che si vengano a creare evidenti conflitti di interessi31.

Gli organismi dotati del compito di svolgere questa attività sono le società di revisione, che, al termine di ogni esercizio, esprimono un giudizio sul bilancio, che viene formalizzato in una apposita

30 Nelle società quotate un parziale riequilibrio del sacrificio della legittimazione

individuale degli azionisti è rappresentato dalla possibilità di impugnativa da parte della Consob, in ogni caso ed entro sei mesi dal deposito del bilancio presso il registro delle imprese (art. 157, comma 2 Tuf).

31 C. MOLLE, in Complementi di diritto dell’economia, a cura di GIUSTI-BANI,

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relazione, depositata presso la sede della società durante i quindici giorni che procedono l’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio.

Fin dalle prime forme di regolamentazione, ad opera del d.p.r. n. 136/1975, parte della dottrina aveva avuto modo di portare all’attenzione due fondamentali criticità: la commistione di funzioni attribuite a tali società, che si sovrapponevano a quelle del collegio sindacale, e un uso improprio del termine “certificazione”, in riferimento al giudizio espresso, poiché la dichiarazione rilasciata dai revisori in realtà non è un attestato di veridicità e di inesistenza di situazioni di crisi aziendale, come si potrebbe invece desumere dall’uso di questa locuzione. Ciò ha indotto il legislatore ad intervenire, con il d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza), che ha sostituito la disciplina previgente con le norme che vanno dall’art. 155 fino all’art. 165.

È stata trovata una soluzione ai problemi sollevati dalla dottrina, disponendo una netta separazione di competenze tra il collegio sindacale e la società di revisione, mentre, con riguardo all’atto finale, il termine “certificazione” è stato sostituito con il termine “giudizio”, sottolineando i limiti insiti nella relazione dei revisori. È stato previsto, inoltre, che questo giudizio possa essere graduato, poiché potrà essere positivo senza rilievi, positivo con rilievi (quando vi siano difformità che non compromettono l’attendibilità complessiva del bilancio), negativo, ovvero vi potrebbe essere l’impossibilità di esprimere un giudizio (qualora si verifichino impedimenti nell’attività di revisione o non vengano individuati sufficienti elementi probatori).

Ex art. 156, comma 3 TUF, negli ultimi due casi richiamati, la società

di revisione dovrà darne immediata comunicazione alla Consob. Il processo di riforma si è concluso con la cd. riforma Draghi, che ha previsto la necessità di un revisore esterno anche per le società non quotate.

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Dopo questi interventi legislativi, oggi si possono distinguere tre differenti discipline: nelle società che non fanno ricorso al capitale di rischio, il controllo contabile è esercitato da un revisore contabile persona fisica, o da una società di revisione, iscritti in un apposito registro istituito presso il Ministero della giustizia32; nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio diverse dalle società quotate, il controllo contabile viene effettuato solo da società di revisione iscritte nel registro dei revisori contabili; nelle società con azioni quotate, infine, tale attività viene svolta da società di revisione iscritte in un apposito albo speciale tenuto a cura della Consob.

Permangono alcune perplessità circa il potere dell’assemblea dei soci, che dà l’incarico alla società di revisione, su proposta motivata del collegio sindacale (art. 2409quater c.c. e art. 159 TUF): in particolare a sollevare non pochi dubbi è il fatto che sia la stessa società sottoposta a giudizio a nominare e remunerare i revisori, con il rischio che la società di revisione tenda ad assecondare gli interessi interni della società, piuttosto che quelli dei potenziali investitori e del mercato in generale.

Per cercare di porre un limite a questo rischio, la Consob dedica un intero Capo del Regolamento emittenti33 alla disciplina delle

incompatibilità, che vengono suddivise in due categorie: le situazioni in cui sussiste una presunzione assoluta di mancanza di indipendenza (comma 1 degli artt. da 149quater a 149decies), e le situazioni che invece richiedono una valutazione per stabilire se l’indipendenza risulti effettivamente compromessa (comma 2 degli artt. da 149quater a 149nonies).

32 Vi sono ipotesi in cui lo statuto prevede l’attribuzione di questa funzione al

collegio sindacale. Anche in questo caso il collegio deve essere formato da revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il ministero di giustizia.

33 Adottato dalla Consob con delibera del 14 maggio 1999, n. 11971 e successive

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34

CAPITOLO II

Il delitto di false comunicazioni sociali dalle origini alla

disciplina del 1942

1. L’evoluzione storica dell’informazione societaria e del delitto di false comunicazioni sociali

Dopo aver verificato cosa rappresenta oggi il bilancio nel nostro ordinamento, e la sua importanza in relazione alla tutela del pubblico risparmio, per capire la portata dell’art. 2621 c.c. e individuare il bene giuridico ivi tutelato, è necessario ripercorrere sinteticamente la storia delle società commerciali, dell’informazione societaria in generale e del bilancio di esercizio, in particolare.

La società per azioni nasce dalla Compagnia delle Indie del Seicento in seguito alla concessione, da parte del sovrano, di un duplice privilegio: il beneficio della responsabilità limitata e la possibilità di incorporare la propria partecipazione in un documento facilmente trasferibile34. Con il diffondersi del colonialismo, i mercanti si trovarono nelle condizioni di dover escogitare nuovi mezzi di raccolta del risparmio, superando il vincolo della responsabilità personale illimitata, che legava le sorti del singolo a quelle dell’ente. Altro vincolo divenuto ingombrante era quello dell’intrasferibilità della quota senza il consenso di tutti i soci: la partecipazione alla Compagnia doveva essere tale da non vincolare per troppo tempo i capitali del risparmiatore. Tutti questi accorgimenti hanno permesso una partecipazione attiva da parte di una molteplicità eterogenea di persone, come riportato da Contarini, ambasciatore veneto ad Amsterdam nel 1610, nella sua descrizione del capitale sociale della Oost-Indische Compagnie: «…nella quale sono

34 F. GALGANO, Le società per azioni, Principi generali, Artt. 2325-2341, in Il

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interessate persone di ogni qualità, havendone parte mercanti et del paese et stranieri, et oltre molti cavalieri Inglesi et Francesi, dicevasi anco l’istesso Re di Francia.[… ] Onde fra i servitori e le serventi delle case in quelle parti molti vi sono, che hanno voluto havervi portione, qual di trenta, qual di cinquanta fiorini più et meno, secondo la misura et le forze della loro povera fortuna»35.

In una simile situazione, per i gestori di tali imprese diventava obbligatorio “rendere il conto” a tutti quei risparmiatori, giacché l’informazione era il necessario presupposto affinché l’azionista potesse esercitare il proprio diritto di voto, che non a caso doveva essere esercitato personalmente36.

All’interno delle Compagnie si vennero pertanto a creare situazioni conflittuali tra gli organi dell’amministrazione, che perseguivano una maggiore libertà di gestione, ed i soci, i quali vi contrapponevano la propria esigenza di conoscere l’andamento dell’ente economico. Tali situazioni si risolvevano quasi sempre a favore degli organi di amministrazione, gestori del potere e quindi arbitri dei diritti di informazione del singolo azionista. Questo quadro, caratterizzato da inganni e furberie nei confronti degli investitori, inizia a mutare nella seconda metà dell’Ottocento, periodo in cui, come rilevato da Galgano37, iniziarono a prendere corpo norme a tutela dei creditori

sociali, aventi ad oggetto la pubblicità degli atti sociali, l’integrità del capitale, la responsabilità degli amministratori, nonché norme che rafforzavano i poteri dell’assemblea e introducevano la disciplina delle impugnazioni delle delibere assembleari.

Tra le normative maggiormente rilevanti, atte a garantire alle minoranze una partecipazione ai processi decisionali, l’autore ha

35 Riportata da F. GALGANO, Le società per azioni, cit., pagg. 9-10.

36 A. MIGNOLI, Idee e problemi nell’evoluzione della “company” inglese, in Riv.

Soc., 1960, pag. 637.

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