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CAPITOLO II: IL DELITTO DI FALSE COMUNICAZION

4. L A CONDOTTA E L ’ OGGETTO MATERIALE DEL REATO

4.2. La rilevanza penale delle falsità

Una volta accertata la rilevanza penale delle valutazioni, rimaneva tuttavia ancora problematica la questione relativa ai criteri da utilizzare per capire quando ci si fosse trovati di fronte ad una falsità penalmente rilevante. Riprendendo le discussioni affrontate in passato in riferimento alla fattispecie previgente, la dottrina aveva oscillato tra il criterio del vero relativo (definito anche “criterio della ragionevolezza”), il criterio del vero legale e quello della mancata corrispondenza tra i criteri esposti e quelli effettivamente utilizzati.

136 R. BRICCHETTI-L. PISTORELLI, Punibili solo le «notizie» verso il pubblico e

i soci, in Guida al dir., 2002, n. 16, pag. 52.

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Attraverso il primo criterio, che si fondava sul riconoscimento, agli amministratori, di uno spazio di discrezionalità nelle stime delle poste, la giurisprudenza era giunta a ritenere false tutte quelle valutazioni che avessero superato la soglia di ragionevolezza dettata dai criteri contabili, risultando quindi arbitrarie ed artificiose138. Il criterio del vero legale, invece, identificava falsità penalmente rilevanti, all’interno delle valutazioni che si fossero discostate dai criteri fissati, ex lege, per la redazione del bilancio139. Infine, vi era l’ultimo criterio, che ancorando il giudizio di falsità delle valutazioni al parametro della corrispondenza tra i criteri legali previsti per le valutazioni e quelli effettivamente utilizzati, si poneva in una posizione intermedia140.

In realtà, il Legislatore del 2002 sembrava aver voluto dare una soluzione definitiva al dibattito, attraverso la previsione del requisito dell’idoneità della condotta ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni, al quale si aggiungeva la codificazione di una soglia di non punibilità delle valutazioni estimative. Da questo punto di vista, si ammetteva quindi l’esistenza di una “zona franca”, in cui le valutazioni non corrette risultavano comunque tollerate. Il riferimento ad un criterio di minima rilevanza, tuttavia, è stato spesso criticato a causa della sua intrinseca elasticità, poiché introduceva un elemento del tutto indeterminato, delimitato solo dall’opera degli interpreti141.

L’idoneità ad indurre in errore si configurava, infatti, come un requisito implicitamente dimensionale dell’informazione, che, in tal senso, sarebbe dovuta essere material, ossia rilevante, come da tradizione anglosassone. Nasceva quindi l’esigenza di valutare

138 Cass., sez. V, 25.5.1993, in Cass. Pen., 1995, pag. 1063; o ancora Cass. pen.,

16.12.1994, in Giur. It., 1995, vol. II, pag. 385.

139 G. ZUCCALA’, Il delitto di false comunicazioni sociali, cit., pagg. 57 e ss. 140 A. BARTULLI, Riflessioni sulla tutela penale dell’informazione societaria:

bilancio di esercizio e bilancio consolidato, in Riv. soc., 1996, vol. I, pagg. 15 e ss.

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l’effettiva incidenza della falsità sul patrimonio informativo dei destinatari, nel momento in cui questi elaboravano il proprio giudizio sulle condizioni della società.

In relazione a quanto appena chiarito, si profilava poi la questione circa il soggetto da assumere come agente modello142. Le soluzioni prospettate dall’esperienza straniera non erano soddisfacenti: le figure dell’“investitore ragionevole” o, più genericamente, dell’“uomo ragionevole”, si scontravano puntualmente con la complicata tecnica di redazione dei bilanci. Il bilancio, infatti, richiede, sia per la sua redazione, che per la sua comprensione, un bagaglio di conoscenze tecniche di natura specialistica, che rende inevitabile e necessario l’arricchimento del destinatario modello, attraverso rudimenti di natura contabile143. Il tema si intreccia con l’accertamento della falsità, che, fin dal codice di commercio del 1882, ha impegnato dottrina e giurisprudenza. La scarsa puntualità della legge civile, nel descrivere il contenuto ed i criteri per la redazione del bilancio, aveva indotto gli interpreti alla totale esclusione della rilevanza delle valutazioni, incentrando le falsità sui soli dati numerici, immaginando una corrispondenza biunivoca tra questi ed il fatto materiale che rappresentavano. Dagli anni ’70 in poi, l’accresciuta complessità informativa del bilancio e la necessaria conformità a criteri valutativi, non hanno più reso possibile escludere le valutazioni da un giudizio di verità, sul piano giuridico. Da questo punto di vista, le poste del bilancio non rispecchiavano più la realtà oggettiva, in grado di fornire un’informazione puntuale e neutra, diventando piuttosto elementi normativi del tipo, che esprimevano una “verità”, ed una capacità rappresentativa, di natura convenzionale. Per queste ragioni si rendeva necessario il riferimento

142 A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, cit., pagg. 281 e ss. 143 Si veda infra, §6, pag. 104.

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a normative extrapenali, che disciplinassero ambito, contenuto, parametri e criteri di tali elementi.

Il tramonto delle antiche concezioni, che si rifacevano al mito del vero oggettivo, veniva confermato anche dal codice civile144, nonché dall’entrata in vigore della complessa normativa di carattere privato, che ha dato luogo alla formulazione dei principi contabili (gli Ias/Irfs, e negli Stati Uniti i Gaap – Generally Accepted Accounting

Principles).

Di falsità penalmente rilevante si poteva, dunque, parlare solo nei casi in cui le informazioni ricavate dal bilancio fossero risultati frutto o di una valutazione falsificante l’entità quantitativa del dato di riferimento, o di una valutazione che avesse adottato un criterio difforme da quello adottato, indicato nella nota integrativa145. Questa soluzione, tuttavia, doveva fare i conti con la complessità degli strumenti finanziari, in particolare dei derivati146, con la conseguente necessità di un intervento puntuale del legislatore.

In giurisprudenza, il caso più interessante è stato quello riguardante la FIAT: i giudici si sono rifiutati di applicare il cd.

criterio percentualistico, ritenuto assolutamente inidoneo a fondare e

legittimare le pretese situazioni di irrilevanza147. Nello specifico, era

stato criticato il fatto che, applicando tale criterio, il quadro percentualistico sarebbe stato suscettibile di risultati differenti, qualora fosse stato rapportato alle singole voci, rispetto ai valori di

144 Si vedano gli artt. 2423-bis, 2426 e 2427-bis c.c., i quali fanno riferimento ai

concetti di “valutazione”, “prudenza”, “fair value”, quali criteri per comprendere le poste del bilancio.

145 Si veda A. BARTULLI, Tre studi sulle falsità in bilancio, Milano, Giuffrè, 1980. 146 Lo strumento derivato (in inglese derivative) in finanza è un contratto, o titolo, il

cui prezzo sia basato sul valore di mercato di un altro strumento finanziario, definito sottostante (come, ad esempio, azioni, indici finanziari, valute, tassi d'interesse o anche materie prime).

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consuntivo. Ulteriori obiezioni furono ravvisate in grado d’appello, in cui la Corte, confermando le osservazioni del giudice di primo grado, aveva avuto modo di sottolineare: il rischio della creazione di indebite aree di impunità a favore delle imprese più grandi, rispetto a quelle minori; l’effetto incentivante a porre in essere ulteriori condotte criminose per la creazione di riserve occulte; l’adozione di pratiche contabili volte a rendere lo scostamento meno rilevante dal punto di vista percentuale148.

Anche la Suprema Corte ha adottato questo orientamento, ritenendo che la direzionalità verso l’esterno insita nel bilancio, rendesse semplicistico considerare non rilevanti valori di ridotto ammontare in termini percentuali: l’alterazione delle condizioni economiche, infatti, sarebbe stata da valutare rispetto alla pluralità dei destinatari149.

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