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CAPITOLO IV LA NUOVA DISCIPLINA DELLE FALSE

5. I « FATTI MATERIALI RILEVANTI »

5.1. La questione relativa alle valutazioni

5.1.4. La sentenza delle Sezioni Unite

In questa situazione, caratterizzata da quello che è stato definito un “collasso della legalità”308, alle Sezioni Unite della Corte di

Cassazione spettava l’onere di fornire un’interpretazione della nuova fattispecie di false comunicazioni sociali, che fosse rispettosa dei canoni di legalità, determinatezza e tassatività, sanciti nel testo costituzionale. Le nuove figure, tuttavia, non promettono un’applicazione sufficientemente determinata e prevedibile, sia a causa di problemi ereditati dalle fattispecie previgenti, sia a causa di nuovi problemi, generati dalla novella in esame, tutti suscettibili di soluzioni incerte o interpretazioni differenti. Da questo punto di vista, è ancora presto per poter inneggiare al ritorno della certezza del diritto ed alla ritrovata legalità309.

I giudici non si sono limitati solo all’analisi della questione sorta dalla soppressione dell’inciso «ancorché oggetto di valutazioni», e dalla conseguente disputa relativa al significato da attribuire ai «fatti

materiali», ai fini dell’affermazione, o meno, della rilevanza penale

delle valutazioni. Tra i problemi affrontati, la sentenza n. 22474/2016 (depositata il 27 maggio 2016) si è occupata, infatti, anche della “rilevanza”, strettamente connessa all’idoneità ingannatoria, nonché dei parametri per la formulazione del giudizio di falsità, aspetti che nelle precedenti sentenze erano rimasti in secondo piano rispetto al dilemma delle valutazioni310.

I giudici argomentano con esemplare chiarezza, offrendo una lezione sul corretto utilizzo dei canoni ermeneutici e sui rapporti che sussistono tra loro (interpretazione letterale, teleologica, logico-

308 A. ALESSANDRI, Le incerte novità del falso in bilancio, in Riv. it. dir. proc.

pen., pag. 21.

309 A. ALESSANDRI, La falsità delle valutazioni di bilancio secondo le Sezioni

Unite, in Riv. it. dir. proc. pen., pag. 1481.

310 F. MUCCIARELLI, Le Sezioni Unite e le false comunicazioni sociali: tra

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sistematica, orientata alle conseguenze)311. A proposito del dato letterale, nel §8 del provvedimento si legge che «l’interpretazione

letterale altro non è che un (indispensabile) “passaggio” funzionale verso la completa ed esaustiva intelligenza del comando legislativo»;

in questo senso, «non può certo negarsi che proprio l’intenzione del

legislatore deve essere “estratta” dall’involucro verbale (“le parole”), attraverso i quali essa è resa nota ai destinatari e all’interprete». La sentenza sottolinea come, nel caso di una

soppressione (come quella dell’inciso relativo alle valutazioni), «uno

sforzo ermeneutico che si arrestasse, appunto, all’involucro verbale e si risolvesse in un’analisi lessicale non potrebbe dare risultati soddisfacenti», e «poiché sarebbe paradossale chiedersi quale sia il significato proprio di parole soppresse, non resta che interrogarsi sul significato della frase come risulta dopo la soppressione».

I giudici sostengono la necessità di coniugare il significato linguistico delle nuove disposizioni incriminatrici con l’impianto complessivo dell’assetto societario, tracciato dal codice civile, seguendo quella che potrebbe essere definita un’“interpretazione da contesto”, che faccia leva su una visione logico-sistematica della materia.

Alla luce dell’impianto normativo predisposto dal codice civile agli artt. 2423 e ss., e partendo dal presupposto che il bene oggetto della tutela penale offerta dagli artt. 2621 e 2622 c.c. è da rinvenirsi nella trasparenza societaria, la sentenza ribadisce che «il bilancio, in tutte le

sue componenti (stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa), è un documento dal contenuto essenzialmente valutativo; un documento in cui confluiscono dati certi (es. il costo di acquisto di un bene), dati stimati (es. il prezzo di

311 D. PIVA, Le Sezioni Unite sulle valutazioni: dai finti ai veri problemi delle

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mercato di una merce) e dati congetturali (es. le quote di ammortamento)».

Il bilancio è, dunque, un documento composto essenzialmente da valutazioni, il cui scopo è quello di ricondurre ad unità entità eterogenee quali macchinari, crediti, immobili, materie prime ecc…, traducendole in grandezze numeriche, e «tale reductio ad unitatem è

(ritenuta) indispensabile, per descrivere lo “stato di salute” di un operatore economico».

Emerge chiaramente, da queste osservazioni, l’analogia con la sentenza Giovagnoli, di cui le Sezioni Unite ricalcano alcuni passaggi, ad esempio quello in cui si leggeva che «il significato di qualsiasi

enunciato dipende dall’uso che se ne fa nel contesto dell’enunciazione, sicché non è la sua struttura linguistica bensì la sua destinazione comunicativa ad assegnare una possibile funzione informativa a un qualsiasi enunciato».

Il “contesto” fornisce, inoltre, i criteri di verità legale o convenzionale necessari affinché i destinatari dell’informazione (i lettori del bilancio) possano effettuare le loro valutazioni: si tratta pertanto di una «“valutazione su di una valutazione”», un’operazione intellettuale resa possibile proprio grazie a tali criteri (obbligatori e/o largamente condivisi), che sono «imposti dallo stesso legislatore

nazionale (cfr. i già citati artt. 2423 ss. cod. civ.), dalle direttive europee (cfr. Direttiva 2013/34/UE, relativa ai bilanci di esercizio ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recepita dal d.lgs. 18 agosto 2015, n. 139), ovvero sono frutto dell’elaborazione dottrinale nelle materie di competenze (e sono ufficializzati ad opera di soggetti “certificatori”: Organismo italiano di contabilità e, a livello sovrannazionale, International

Financial Reporting Standard)».

Una volta chiarito che «“sterilizzare” il bilancio con riferimento al

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stravolgerne la natura», i giudici proseguono evidenziando «la fallacia della opzione ermeneutica che intende contrapporre “i fatti materiali”, da esporsi in bilancio, alle valutazioni, che pure nel bilancio compaiono; e ciò per l’ottima ragione che un bilancio non contiene “fatti”, ma il “racconto di tali fatti”».

Queste considerazioni permettono alla Corte di esprimersi in relazione al significato da attribuire alla locuzione «fatti materiali»: anche se priva dell’inciso «ancorché oggetto di valutazioni», essa non può sottrarsi al contesto di riferimento, poiché un’interpretazione strettamente letterale condurrebbe ad esiti paradossali. “Esporre un fatto materiale”, in senso asfitticamente letterale, equivale, infatti, a mostrare ad un osservatore il fatto medesimo nella sua oggettiva, fisica materialità312.

Essendo il veicolo di tale esposizione il bilancio, la locuzione in esame richiede l’attribuzione di un significato diverso, principalmente per due ordini di ragioni: in primo luogo, perché non è possibile comunicare un fatto, inteso nel suo significato fisico, tuttalpiù potendosi trasferire la rappresentazione di tale fatto; in secondo luogo, poiché la comunicazione risulta condizionata alle regole dettate in relazione al veicolo di riferimento (pertanto l’enunciato linguistico in cui è tradotto il fatto, deve essere coerente con gli schemi stabiliti per la redazione del bilancio).

Per confermare la propria tesi, la Corte richiama il più volte citato art. 2638 c.c., analizzando il rapporto sussistente tra questa norma e l’art. 2621 c.c.: «l’invariato (e già menzionato) art. 2638 cod. civ.

(“ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”) prevede esplicitamente la condotta del soggetto attivo che esponga “fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale finanziaria

312 F. MUCCIARELLI, Le Sezioni Unite e le false comunicazioni sociali: tra

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[ecc.]”. Dunque, per il legislatore, un “fatto materiale” ben può

essere (e quasi sempre è) oggetto di valutazione in sede di bilancio».

Tenendo conto della natura concessiva dell’inciso «ancorché oggetto

di valutazioni», più volte confermata dalla Corte313, e del fatto che il testo dell’art. 2638 c.c. è rimasto invariato, i giudici hanno modo di concludere che «o la cancellazione dal testo dell’art. 2621 cod. civ.

della espressione “ancorché oggetto di valutazioni” comporta che essa sia considerata tamquam non esset anche nell’art. 2638 cod. civ. (ma non si vede come ciò possa essere), ovvero, considerata la natura meramente concessiva/specificativa del sintagma e dunque – sostanzialmente – la sua superfluità, la scomparsa delle ricordate quattro parole dal testo dell’art. 2621 cod. civ. (e dall’art. 2622 e la sua non riproduzione nell’art. 2621-bis) non comporta una diversa (rispetto a quella previgente) configurazione della norma incriminatrice».

In altri termini, se l’inciso non era vincolante prima della riforma, non si vede come possa esserlo divenuto con l’entrata in vigore della nuova disciplina.

La S.C. non ritiene valido il parallelismo con la normativa fiscale, in particolare l’art. 4, lett. f), l. n. 516/1982, come modificato dalla legge n. 154/1991314, poiché, già prima dell’entrata in vigore del

d.lgs. 61/2002, tale norma era stata modificata dalla riforma attuata con il d.lgs. n. 74/2000, «che ha sancito, anche in campo tributario, la

rilevanza penale delle valutazioni che differiscano di oltre il 10 per cento di quelle corrette»315.

313 Si vedano Cass. Sez. V, n. 44702 del 28/09/2005, Mangiapane, rv. 232535; Cass.

Sez. VI, n. 17290 del 13/01/2006, Marino, rv. 234533; Cass. Sez. V, n. 49362 del 7/12/2012, Banco; Cass. Sez. V., n. 8984 del 18/05/2005, Patrucco, rv. 217767; Cass. Sez. V., n. 40833 del 7/7/2004, Preantoni, rv. 230258.

314 Si veda supra, §5.1.1. (sentenza Crespi).

315 In realtà, non sarebbe impensabile una considerazione di “conti” che

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A questo punto, perde di significato anche ogni considerazione in merito al significato da attribuire al concetto della “materialità”, che fino a quel momento era stato protagonista di un dibattito che durava ormai dal 2002. Secondo le Sezioni Unite, infatti, non è più possibile considerare la “materialità” in antitesi alla soggettività delle valutazioni (come invece era emerso nella sentenza della Cass. Sez. V n. 6916/2016, ric. Banca popolare del Trentino Alto Adige)316, poiché «in bilancio vanno certamente esposti tutti quei “fatti” passibili di

“traduzione” in termini contabili e monetari e, dunque, gli elementi di composizione del patrimonio aziendale, come valutati dal redattore del bilancio, secondo i parametri – legali e scientifici – che lo stesso deve rispettare».

I giudici si richiamano alle sentenze Giovagnoli e Beccari, nella parte in cui affermano che «se si accedesse alla tesi della non punibilità del

falso valutativo, si sarebbe in pratica al cospetto di una interpretatio

abrogans del delitto di false comunicazioni sociali». Queste considerazioni devono, però, tenere conto anche del fatto che, nelle sentenze di segno opposto (sentenza Crespi e Banca popolare del Trentino Alto Adige), la tesi abolizionista è stata sostenuta solo a livello di obiter dictum, e non per la soluzione del caso concreto. In entrambe le ipotesi, infatti, è stato ritenuto sussistente il reato, in quanto ci si trovava di fronte all’esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, non già a falsi valutativi. Viene, quindi, da chiedersi se la Corte sarebbe giunta alle medesime risultanze a favore della abolitio criminis, anche di fronte all’eventualità di un esito assolutorio.

proposito, il nuovo art. 4, comma 1-bis del d.lgs. n. 74/2000 (comma aggiunto dal d.lgs. n. 158/2015), che esclude la «non corretta classificazione» e la «valutazione» di elementi attivi o passivi «oggettivamente esistenti». (così A. ALESSANDRI, La falsità delle valutazioni di bilancio secondo le Sezioni Unite, cit., pag. 1484 e relativa nota).

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Le sentenze citate hanno cercato di arginare gli effetti della proclamata abolitio criminis: tenendo conto del fatto che le valutazioni consistono nell’associare un dato numerico ad una realtà economica esistente, la Corte si era preoccupata, infatti, di distinguere quelle operazioni che forniscano una rappresentazione difforme dal vero (in quanto le modalità attraverso cui viene esposto il valore ne escludono la percepibilità come esito di una valutazione), oltre a tutte quelle valutazioni irragionevoli, che si tramutino in artificiose rappresentazioni di fatti non rispondenti al vero. L’affermata rilevanza penale di questi tipi di valutazione sembra quasi una accusatio

manifesta circa le perplessità sorte in merito agli esiti della tesi

abolizionista317.

Dopo un richiamo al panorama giurisprudenziale di legittimità, in cui «la figura del falso valutativo è solidamente incardinata e i suoi

confini (oltre che il suo contenuto) sono sufficientemente tracciati», le

Sezioni Unite affermano che «le scienze contabilistiche appartengono

senz’altro al novero delle scienze a ridotto margine di opinabilità; pertanto la “valutazione” dei fatti oggetto di falso investe la loro “materialità”. Ciò senza trascurare il fatto che gran parte dei parametri valutativi sono stabiliti per legge. Ne consegue che la redazione del bilancio è certamente attività sindacabile anche con riferimento al suo momento valutativo; e ciò appunto in quanto tali valutazioni non sono “libere”, ma vincolate normativamente e/o tecnicamente».

Questa affermazione circa la presunta certezza della disciplina contabile non appare, tuttavia, così scontata, data la fase di profondo mutamento che stanno attraversando i criteri di redazione del bilancio. Innanzitutto, è necessario menzionare i d.lgs. n. 136/2015 e 139/ 2015 che, in attuazione della Direttiva 2013/34/UE, hanno modificato in

317 D. PIVA, Le Sezioni Unite sulle valutazioni: dai finti ai veri problemi delle

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più parti il codice civile, delegando all’Organismo Italiano di Contabilità il compito di formulare i nuovi principi contabili; è da ricordare anche l’introduzione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma che, ripreso dagli IAS/IFRS, adesso è stato esteso anche alle società che non devono redigere il bilancio secondo i principi contabili internazionali318.

Andando più nello specifico, la distinzione tra categorie di società attuata dai decreti sopracitati, testimonia una maggiore attenzione alle piccole e medie imprese, per giungere a quelle molto piccole (“Think

small first”)319, che costituiscono la maggioranza delle unità economiche in Europa. Vi sono, infatti, le grandi imprese, assoggettate agli IAS/IFRS; le medie imprese, assoggettate alla disciplina nazionale; le piccole imprese, che possono redigere il bilancio in forma abbreviata (art. 2435-bis c.c.); le micro imprese, a cui l’art. 2453-ter c.c. riserva un trattamento ancor più semplificato. In questo senso, è il concetto stesso di trasparenza a risultare radicalmente modificato e frammentato: vengono, infatti, individuati diversi livelli di informazione “dovuta”, a seconda della categoria di società a cui si fa riferimento.

La trasparenza perde quindi il suo carattere unitario, divenendo, in sostanza, un concetto strumentale alle esigenze degli operatori

318 Art. 2423-bis, comma 1-bis c.c.: «La rilevazione e la presentazione delle voci è

effettuata tenendo conto della sostanza della dell’operazione o del contratto». Come si vede si tratta di una clausola di straordinaria elasticità, che arreca un elemento di ulteriore incertezza e complessità alla redazione, lettura e comprensione del bilancio.

319 Si tratta di un principio emerso nella Comunicazione della Commissione al

Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020 (documento 0083/2013).

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destinatari, con un effetto di variabilità della nozione non solo tecnica, ma anche della sua portata contenutistica320.

Il legislatore della riforma, tuttavia, sembra non aver tenuto conto di tutto ciò, continuando ad invocare il bene giuridico della trasparenza, già di per sé inafferrabile e suscettibile di interpretazioni soggettive, a discapito degli interessi patrimoniali dei destinatari delle informazioni, a cui, invece, tale bene risulta essere strumentale, tenendo anche conto del gradualismo sanzionatorio che permea la struttura delle fattispecie.

Tornando alla sentenza in commento, i giudici di legittimità definiscono la portata del requisito della “rilevanza”.

Per quanto concerne il mancato richiamo dell’aggettivo in questione nell’ipotesi commissiva dell’art. 2622 c.c., le Sezioni Unite affermano che la condotta rimane penalmente perseguibile «anche se il fatto

esposto non sia ritenuto “rilevante” trattandosi, evidentemente, di una valutazione seguita, in astratto, dal legislatore e non demandata al giudice». Da questo punto di vista, la Corte si discosta dalla

sentenza Giovagnoli, che aveva giustificato tale mancanza alla luce del particolare regime di garanzia a cui sono sottoposte le società quotate (senza escludere una «non improbabile svista» del legislatore, che anzi, appare probabile)321.

La conclusione delle Sezioni Unite, tuttavia, genera perplessità, in primo luogo perché in questo modo un reato di pericolo concreto viene fondato su valutazioni eseguite, in astratto, dal legislatore; inoltre, c’è il rischio che da tale obiter dictum si stabilizzi un indirizzo giurisprudenziale che, attraverso l’applicazione incondizionata della nuova fattispecie, tenda progressivamente a far svanire ogni contenuto

320 A. ALESSANDRI, La falsità delle valutazioni di bilancio secondo le Sezioni

Unite, cit., pagg. 1488-1489.

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offensivo, riportandoci ad una situazione identica a quella precedente alla riforma del d.lgs. n. 61/2002322.

Nella sentenza si afferma, altresì, l’origine comunitaria di tale concetto, da rinvenire, in particolare, nella Direttiva 34 del 2013, all’art. 2, punto 16 (nonché nella legge di attuazione, il d.lgs. n. 136 del 2015). La Corte sostiene, inoltre, che «il requisito risulta aver

sostituito il previgente parametro della idoneità “ad indurre in errore i destinatari” (oltre alle soglie percentuali di punibilità) in relazione alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società».

Tale affermazione genera, tuttavia, delle perplessità, se si tiene conto del fatto che l’idoneità ingannatoria continua a comparire nel testo della disciplina323.

Sembra essere sfuggito, peraltro, come la nozione di rilevanza sia un concetto generico ed indeterminato, che risente delle funzioni che gli vengono attribuite nei diversi sistemi giuridici di riferimento: alcuni di essi le attribuiscono la funzione filtro di escludere i dati bagatellari (da questo punto di vista, la rilevanza sarebbe implicita nel principio del true and fair view); in ambito comunitario e statunitense, invece, la rilevanza viene utilizzata come parametro per individuare i dati informativi necessari ad orientare le scelte dei destinatari (negli Stati Uniti, infatti, la rilevanza è sempre posta in relazione con la figura dell’“investitore ragionevole”). Come si vede, il concetto di “rilevanza” mostra una latitudine di possibili significati, inutilizzabili all’interno di una fattispecie penale, se non affidandosi al principio del caso per caso, ossia alla scelta soggettiva del giudicante, come emerso già nella sentenza Giovagnoli, in cui si legge che «la

formulazione in termini volutamente generici ed indeterminati demanda, allora, al giudice il compito di specifica determinazione in

322 D. PIVA, Le Sezioni Unite sulle valutazioni: dai finti ai veri problemi delle

nuove false comunicazioni sociali, cit., pag. 11.

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riferimento alle concrete fattispecie in suo esame […]. Indagine che non può, comunque, ritenersi arbitraria, in quanto, pur se irrefutabilmente discrezionale, attiene pur sempre ad un ambito di discrezionalità “tecnica”, parametrabile sulla base degli ordinari dettami delle scienze contabili ed aziendalistiche»324.

Confermando questa lettura, le Sezioni Unite affermano che «la

nuova normativa affida al giudice la valutazione – in concreto – della incidenza della falsa appostazione o della arbitraria preterizione della stessa; dovrà dunque il giudice operare una valutazione di causalità ex ante, vale a dire che dovrà valutare la potenzialità decettiva della informazione falsa contenuta nel bilancio e, in ultima analisi, dovrà esprimere un giudizio prognostico sulla idoneità degli artifizi e raggiri contenuti nel predetto documento contabile, nell’ottica di una potenziale induzione in errore in incertam

personam».

La rilevanza, quindi, non è più ancorata a soglie numeriche predeterminate, «ma apprezzata dal giudicante in relazione alle scelte

che i destinatari delle informazioni potrebbero effettuare».

Tale requisito, pertanto, connota tutte le ipotesi di falsità, ed in questo senso, viene anche affermata la punibilità del cd. falso qualitativo (impropria appostazione di dati veri o errata giustificazione causale di “voci” pur reali ed esistenti): «l’alterazione di tali dati, per altro, non

deve necessariamente incidere solo sul versante quantitativo, ben potendo anche il c.d. “falso qualitativo” avere una attitudine ingannatoria e una efficacia fuorviante nei confronti del lettore del bilancio».

L’inserimento dell’aggettivo “rilevanti”, del resto, potrebbe apparire superfluo rispetto alle condotte commissive, che esprimono un disvalore più accentuato rispetto a quelle omissive. In questo senso,

324 A. ALESSANDRI, La falsità delle valutazioni di bilancio secondo le Sezioni

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tuttavia, nel caso in cui tale aggettivo fosse stato inserito solo in riferimento alla condotta omissiva, ci sarebbe stato il rischio di non poter escludere la responsabilità penale con riguardo a condotte commissive che avessero integrato una falsità non rilevante325. In ogni caso, il giudice tende a ricomporre tali asimmetrie, fondate su dato testuale, mediante un’interpretazione orientata all’offesa, che connette la rilevanza dell’esposizione esposta al contenuto minimo di offensività della fattispecie (volta a salvaguardare gli interessi patrimoniali dei creditori)326.

Questo il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite: «Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla

esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione” se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l‘agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni».

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