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CAPITOLO 2: L’ESTERNALIZZAZIONE DELL’ATTIVITA’ PRODUTTIVA E IL MADE IN ITALY

2.1. Il concetto di “esternalizzazione” e di “delocalizzazione”

2.1.3. Effetti della delocalizzazione sulle aziende coinvolte

La scelta di effettuare degli investimenti all’estero comporta degli effetti sul sistema economico di origine, andando ad influire ovviamente sull’azienda coinvolta nell’investimento, ma anche sulle altre aziende che costituiscono parte integrante del sistema. Tali effetti si possono rilevare sia sui volumi dell’attività economica (valore aggiunto, export, occupazione, ecc) sia in termini di qualità (composizione forza lavoro, produttività, innovazione, ecc).

Effetti sull’impresa investitrice

Per valutare gli effetti sull’impresa che concretamente effettua l’investimento all’estero, bisogna distinguere la situazione in cui l’investimento messo in atto sia di tipo orizzontale da quella in cui sia di tipo verticale.

Nel primo caso, quando cioè un’azienda decide di aprire degli stabilimenti all’estero, ci si aspetterebbe una riduzione delle esportazioni dalla casa madre verso questo paese, con la conseguenza di ridurre l’attività economica presso il paese d’origine e quindi anche l’occupazione. In realtà però questa situazione si basa sull’ipotesi in cui l’investimento all’estero vada a sostituire completamente il flusso di esportazioni, nella realtà però è alquanto improbabile che ciò accada, quindi gli effetti che si verificano sono differenti da quelli precedentemente illustrati. Questo perché difficilmente la produzione viene duplicata in tutto e per tutto nel paese estero, anzi molte delle attività ad elevato valore aggiunto rimangono nel paese d’origine andando così ad incrementare la domanda di input dalla casa madre. Questo accade perché nel paese straniero si sfruttano i vantaggi della prossimità ai mercati di distribuzione e ciò può portare anche ad un incremento della domanda di altri prodotti dell’impresa alimentando così un flusso di esportazioni.

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Dal punto di vista dell’occupazione, invece, questa potrebbe cambiare sia per le filiali estere in favore di lavoratori maggiormente qualificati, perché si necessita di competenze e conoscenze maggiori, ma anche per la casa madre, perché attraverso il contatto con clienti e fornitori internazionali accresce il proprio bagaglio di competenze e conoscenze.

Se invece consideriamo gli investimenti verticali si può ipotizzare che l’azienda sposti parte della produzione che spesso coinvolge delle attività a basso valore aggiunto, questo porta ad effetti negativi sull’occupazione per i lavoratori adibiti a queste attività, determinando così una ricomposizione dell’attività lavorativa. In realtà però alcuni studi condotti nel corso degli anni, hanno dimostrato il contrario, infatti una ricombinazione dei fattori produttivi e la concentrazione in patria di attività ad alto valore aggiunto, hanno effetti positivi sull’efficienza e la produttività della casa madre, aumentando la produzione e l’export.

Diversi studiosi hanno analizzato in modo empirico gli effetti sopra descritti elaborando dei modelli che potessero dare una spiegazione certa ad essi, in realtà però non sono giunti ad avere una visione unitaria di quelle che possono essere le ripercussioni sulla casa madre. Non ci si può quindi basare su un’unica visione ma in sintesi si può affermare che questa non subisca una significativa riduzione dell’occupazione e non aumenti in modo sostanziale il proprio valore aggiunto e il livello si produttività.

Effetti sulle imprese del paese d’origine che non hanno effettuato investimenti

all’estero

Nel panorama di espansione verso i mercati esteri non vanno però escluse le aziende che invece rimangono in patria e non effettuano investimenti all’estero, poiché dall’uscita di alcune imprese vengono modificati i panorami e le composizioni nei settori del mercato ma anche le skills dei lavoratori.

Uno degli effetti che si può verificare è quello di spiazzamento, sia per le imprese concorrenti che per i fornitori. In riferimento alle imprese concorrenti, il fatto che aziende nazionali decidano di spostarsi all’estero aumentando così la propria produttività, potrebbe portare ad una riduzione della quota di mercato per quelle che invece restano in patria, costringendole così ad uscire anch’esse dal mercato nazionale per cercare sbocchi sul piano internazionale.

L’analisi invece dei fornitori è più articolata, se le attività delle imprese nazionali aumentano in seguito all’internazionalizzazione della produzione, l’effetto sui fornitori locali può essere di due tipi: se le aziende che hanno delocalizzano la propria attività decidono di mantenere la fornitura presso i propri fornitori in patria, allora aumenterà la domanda di materie prime nel paese d’origine e avrà luogo un flusso di esportazioni, se invece decidono di rifornirsi presso fornitori localizzati nei paesi stranieri, allora

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questo porterà ad un aumento della produttività per le aziende estere con la conseguenza di ridurre quella delle aziende in patria. Quindi gli effetti possono essere particolarmente positivi da un lato e negativi dall’altro.

Un ulteriore effetto che si può verificare per le imprese che restano nel paese d’origine senza effettuare investimenti all’estero, è quello di poter sfruttare conoscenze,

competenze e tecnologie provenienti da contesti sconosciuti. L’azienda che infatti si

affaccia su un panorama internazionale ha la possibilità di reperire competenze specifiche ed innovative, nonché accedere ad un mercato con un’altra impostazione ed organizzazione, andando ad incrementare il proprio patrimonio di conoscenza che non tiene per sé, ma mette in circolo nel proprio paese d’origine quando riorganizza la propria attività in funzione di queste, a beneficio delle altre imprese presenti in patria, questo viene definito “cambiamento strutturale”.

Oltre quindi che sulle singole aziende nazionali, gli effetti dell’internazionalizzazione si ripercuotono sull’intero sistema economico di origine, come abbiamo visto cambia infatti la composizione della forza lavoro, si hanno degli effetti sui canali di fornitura, ma si può modificare anche l’ideologia e l’approccio in un determinato settore del mercato andando ad inserire capacità nuove e un’innovazione dal punto di vista strutturale, anche grazie al fatto che il peso delle singole aziende che operano a livello internazionale aumenta in patria.

Effetti sulle imprese del paese in cui si de localizza

Meritano un’analisi anche gli effetti che si possono verificare sulle aziende situate nel paese estero in cui si delocalizza. Dal punto di vista della forza lavoro ciò che può accadere dipende dal grado di sviluppo del paese, se il paese ricevente è un paese meno sviluppato della casa madre ci si aspetta una crescente domanda di lavoro di tipo non qualificato che costituisce una forma di sostegno a delle popolazioni con difficoltà economiche. Offrire infatti del lavoro a persone che non hanno una formazione e un’esperienza consente di ridurre il costo stesso del lavoro, come abbiamo già detto, ma fornisce alle popolazioni stesse la possibilità di ripartire avendo a disposizione del denaro da impiegare all’interno dell’economia del proprio paese. Si consente quindi di azionare un circuito economico positivo che può dar vita proprio ad una nuova economia in paesi in difficoltà.

Dal punto di vista degli investimenti questi possono quindi essere vantaggiosi poiché arrivano dall’esterno per costituire nuove realtà economiche, come però spesso accade in queste situazioni, le aziende che delocalizzano in certi territori lo fanno a fronte di vantaggi fiscali totali o parziali, al cui termine si rischia che non ci sia più vantaggio a permanere in quel paese. Tale fenomeno, se non è accompagnato da un’acquisizione di competenze in grado di essere sviluppate anche senza tali investimenti, rischia di modificare la situazione del paese di destinazione portandolo a regredire alla situazione iniziale.

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Sostanzialmente gli effetti che si verificano nelle aziende in patria e all’estero sono altamente correlati e spesso sono anche opposti, ma la loro numerosità fa capire come sia importante governare il processo di delocalizzazione da più fronti. Ѐ necessario agire sul piano domestico per sviluppare nuove competenze, nuovi servizi e nuove infrastrutture per accompagnare la crescita delle funzioni di creazione del prodotto, ma anche nei paesi ospitanti per formare un contesto in grado di generare economie esterne e processi produttivi specializzati.