• Non ci sono risultati.

1.5 EFFETTI DELLA STIMOLAZIONE DEL NERVO TRIGEMINO SU

1.5.2 Effetti della stimolazione del nervo trigemino

La stimolazione delle branche periferiche trigeminali attiva un riflesso noto come riflesso trigemino cardiaco (TCR), un fenomeno clinico e sperimentale, descritto nell’uomo e in modelli animali. Esso si manifesta con bradicardia, ipotensione arteriosa, asistolia, apnea e ipermotilità gastrica, coinvolgendo la stimolazione dei nuclei motori del nervo vago. Il TCR è stato associato ad un decremento fino al 20% della frequenza cardiaca (FC) e della pressione sanguigna media (PAM) durante manipolazioni chirurgiche su ogni ramo del nervo trigemino o nelle loro vicinanze (Schaller et al., 2007). In base al punto di innesco del riflesso, si distingue un TCR centrale (prossimale), innescato dalla stimolazione del nervo trigemino nella sua porzione intracranica, ovvero a livello del ganglio di Gasser nel tronco encefalico, ed un TCR periferico (distale), provocato dalla stimolazione del nervo trigemino a qualsiasi livello lungo il suo decorso al di fuori del cranio (Abdulazim et al., 2012).

Inizialmente, il TCR fu osservato durante la manipolazione della mucosa nasale in animali da esperimento. Nel 1977 Kumada e collaboratori osservarono in conigli anestetizzati o decerebrati, che la stimolazione elettrica di determinate zone del complesso trigeminale spinale portava ad ipotensione, bradicardia, apnea ed ipermotilità gastrica. La risposta ipotensiva non si associava a cambiamenti nell’output cardiaco e scompariva bloccando la trasmissione α-adrenergica: l’ipotensione era così riconducibile totalmente all’inibizione dell’azione vasocostrittrice simpatica. La risposta bradicardica scompariva a seguito di vagotomia bilaterale combinata con un blocco della trasmissione β-adrenergica: questo dimostrava che essa derivava dalla combinazione di eccitazione cardio- vagale e di inibizione del sistema simpatico cardiaco. È stato visto, inoltre, che lesioni elettrolitiche bilaterali del nucleo del tratto solitario, che aboliscono il riflesso barocettivo indotto da stimolazione del seno carotideo e dell’arco aortico,

27

non abolivano gli effetti ipotensivi e bradicardici indotti dalla stimolazione dei centri trigeminali; al contrario, lesioni della porzione caudale del complesso trigeminale annullavano le risposte a carico di TCR lasciando inalterato il riflesso barocettivo. Pertanto, i centri di ritrasmissione degli impulsi veicolati dal nervo trigemino, in parte anatomicamente distinti dalle vie coinvolte nel riflesso barocettivo, sembrano mediare risposte vasodepressive specifiche.

Un’altra forma di TCR è il riflesso da immersione (diving reflex): durante l’immersione in acqua fredda la stimolazione della mucosa nasale e della cute facciale (McCulloch et al., 1999), sia nell’uomo sia in altri mammiferi, come nei conigli (Nalivaiko et al., 2003), può provocare una pronunciata bradicardia mediata da un incremento dell’attivazione cardiaca parasimpatica.

L’uso di modelli animali ha permesso di evidenziare effetti della stimolazione del nervo trigemino anche sull’emodinamica cerebrale. Lambert e collaboratori (1997) hanno dimostrato che la stimolazione del ganglio di Gasser determina un aumento del flusso ematico cerebrale; Sandu e collaboratori nel 2010, per approfondire tale aspetto, hanno proposto il gatto come modello sperimentale ed una forma di risonanza magnetica per lo studio delle variazioni dell’emodinamica cerebrale conseguenti a TCR evidenziando gli effetti di quest’ultimo nei cambiamenti del flusso ematico cerebrale, che sono correlati alle variazioni della pressione arteriosa media e della frequenza cardiaca. Gorini e collaboratori sempre nel 2010, hanno utilizzato, invece, il ratto come modello sperimentale per studi in vitro, evidenziando il coinvolgimento dei recettori colinergici nella via nervosa interessata da TCR.

Per la prima volta nei nostri laboratori il ratto è stato utilizzato per studi in

vivo, per analizzare gli effetti di una particolare forma di TCR innescata dalla

stimolazione delle branche periferiche del trigemino mediante una procedura definita estensione mandibolare (vedi paragrafo 1.6) sui parametri cardiovascolari e sull’emodinamica del microcircolo cerebrale.

Il nervo trigemino nel ratto, così come avviene nell’uomo, emerge dalla regione laterale del ponte attraverso la radice sensoriale e la radice motoria. La radice sensoriale, subito dopo la sua emergenza, si continua nel ganglio semilunare di Gasser, mentre la radice motoria si pone nella parte mediale ad esso. Dal ganglio semilunare di Gasser hanno origine le tre branche del nervo trigemino: oftalmica, mascellare e mandibolare. Le prime due branche sono

28

interamente a funzione sensoriale, la branca mandibolare invece si unisce alla radice motoria.

A livello centrale, anche nel ratto, le afferenze presentano un’organizzazione somatotopica nella quale le proiezioni mandibolari terminano dorsalmente e quelle oftalmiche centralmente. Le singole afferenze dalle vibrisse, dalla pelle e dalle strutture orali spesso forniscono collaterali a tutti i subnuclei che compongono il nucleo sensoriale del nervo trigemino (Greene, 1995).

1.6 UNA PARTICOLARE FORMA DI TCR: L’ESTENSIONE

MANDIBOLARE

Studi recenti in soggetti volontari normotesi hanno descritto come un’apertura sub-massimale della bocca, definita estensione mandibolare (EM) ottenuta mediante un apposito dispositivo a forma di U posto tra gli incisivi inferiori e superiori, determinava una riduzione significativa della pressione arteriosa (di circa 10 mmHg per la pressione sistolica e di 5 mmHg per quella diastolica) e della frequenza cardiaca (FC), andando ad agire sulle fibre propriocettive trigeminali. Al contrario di quanto ci si aspetterebbe, quindi, l’effetto ipotensivo indotto da EM non era accompagnato da un innalzamento di FC ma da un effetto bradicardico. Questo effetto era prolungato (Brunelli et al., 2012) e perdurava fino a 120 minuti (Del Seppia et al., 2016).

A tali studi sono state affiancate indagini condotte sul modello animale del ratto, allo scopo di meglio comprendere il fenomeno e i meccanismi fisiologici coinvolti. Gli studi condotti fino ad oggi sono stati effettuati su ratti anestetizzati normotesi e su ratti resi sperimentalmente ipertesi.

È stata indotta EM di diversa durata per mezzo di un opportuno divaricatore che riproduce il dispositivo usato nell’uomo. I dati ottenuti hanno confermato l’effetto ipotensivo e bradicardico di EM ed hanno evidenziato che gli effetti maggiori si avevano con EM della durata di 10 minuti (Lapi et al., 2013). La dissezione del nervo trigemino abolisce tali effetti, dimostrando che EM e gli effetti da essa prodotti possono rientrare nell’ambito dei riflessi trigemino-cardiaci.

È stato osservato successivamente che EM ravvicinate, ovvero due estensioni mandibolari della durata di 10 minuti a distanza di 10 minuti l’una

29

dall’altra, prolungavano la durata degli effetti ipotensivi e bradicardici per l’intero periodo di osservazione post-trattamento protratto fino a 240 minuti.

Nel ratto, inoltre, è possibile utilizzare una tecnica in vivo di visualizzazione in microscopia in fluorescenza che consente di osservare il microcircolo piale cerebrale e valutare le variazioni di perfusione in termini di cambiamento del diametro dei vasi. Inizialmente sono state osservate le arteriole piali a livello della corteccia parietale (area dove proiettano le afferenze trigeminali) ed è emerso che una singola EM determinava una risposta bifasica: si aveva vasocostrizione durante EM, dovuta all’attivazione delle afferenze nocicettive che provocano la liberazione di mediatori vasocostrittori, seguita da una vasodilatazione che persisteva per l’intero periodo di osservazione, sostenuta da un aumento dell’ossido nitrico derivato da un incremento dell’attività delle NO sintasi endoteliali e neuronali (eNOS ed nNOS) (Lapi et al., 2014). La somministrazione di naloxone, che interferisce con la via nervosa nocicettiva, determinava, infatti, l’abolizione della vasocostrizione, mentre la somministrazione di L-NAME, inibitore di eNOS ed nNOS, portava alla scomparsa dell’effetto vasodilatatorio.

Successivamente sono stati valutati gli effetti di una singola EM e di EM ravvicinate sul microcircolo piale sia a livello della corteccia parietale, sia a livello della corteccia frontale, presa come esempio di area cerebrale non direttamente coinvolta nell’elaborazione delle afferenze trigeminali. È stato visto, in particolare, che nei ratti normotesi, nell’area parietale era presente vasocostrizione concomitante alla prima EM con successiva vasodilatazione che si manteneva per 180 minuti nel caso di singola EM e per tutto il periodo di osservazione (240 minuti) nel caso di EM ripetute, mentre nell’area frontale la vasodilatazione permaneva in entrambi i casi per 240 minuti e raggiungeva valori significativamente maggiori rispetto all’area parietale immediatamente dopo la prima EM. Nei ratti resi sperimentalmente ipertesi, si è evidenziata una diversa situazione a livello della corteccia frontale, dove non è stata registrata vasocostrizione durante la prima EM e la vasodilatazione si è presentata più tardivamente, e, nel caso della singola EM, non ha raggiunto valori significativamente differenti rispetto al valore basale. I dati ottenuti hanno confermato, poi, che EM ravvicinate prolungavano nel tempo gli effetti vasodilatatori, sia nei ratti normotesi che resi sperimentalmente ipertesi, sia nella corteccia parietale che in quella frontale.

30

1.7 VASOMOTION

La vasomotilità è la proprietà dei vasi sanguigni di variare il proprio calibro attraverso la contrazione o il rilasciamento delle fibrocellule muscolari lisce presenti nella loro parete. Pur essendo presente muscolatura liscia nella parete di tutti i vasi sanguigni (eccetto che nei capillari), la vasomotion si osserva soprattutto a livello di arteriole, metarteriole, sfinteri precapillari e, dove presenti, anastomosi artero-venose. Le fibrocellule muscolari lisce vasali sono sensibili agli ormoni (adrenalina, VIP, ANGII, NPY, ADH), ai mediatori chimici delle terminazioni nervose che le innervano (noradrenalina), ai metaboliti tissutali prodotti in loco o portati dal torrente sanguigno (CO2, H+ e lattato) ed a fattori

prodotti dall’endotelio (NO, EDHF, prostaglandine, trombossani, endoteline). La risposta ai vari tipi di stimoli (nervosi, ormonali o chimici) varia a seconda del distretto considerato: per esempio i vasi cerebrali sono molto sensibili ai metaboliti come CO2 e ioni idrogeno, e poco sensibili agli stimoli nervosi; il

contrario avviene nei vasi della cute, mentre i vasi dei muscoli scheletrici risentono di tutti e tre i tipi di stimoli. Anche la pressione intra-arteriolare è uno stimolo in grado di modificare il tono della muscolatura liscia vasale: un aumento della stessa causa vasocostrizione, una diminuzione determina vasodilatazione. Le variazioni più importanti e più estese nel circolo sistemico sono dovute all’intervento del sistema nervoso centrale, tramite i nervi vasomotori innervanti la muscolatura liscia dei vasi. Le fibre nervose che si distribuiscono ai vasi sanguigni sono soprattutto fibre simpatiche adrenergiche, esse determinano contrazione della muscolatura e mantengono le pareti vascolari in una condizione di lieve e permanente contrazione detta tono vascolare. La stimolazione del simpatico determina quindi una vasocostrizione, che interessa tutti i distretti vascolari tranne quello coronarico, ove si determina invece una vasodilatazione. Le fibre nervose parasimpatiche colinergiche hanno invece un’azione opposta, ma essa è meno importante e non è presente in tutti i territori. I meccanismi nervosi agiscono in maniera riflessa (riflessi vasomotori) in modo da adeguare costantemente il flusso del sangue alle esigenze metaboliche dei diversi tessuti ed in relazione alla pressione arteriosa sistemica. A livello della cute, per esempio, la

31

in caso di vasodilatazione, o riducendo, in caso di vasocostrizione, la dispersione di calore dall’organismo all’ambiente.

Esercitano un’azione vasomotoria, localizzata o generalizzata, anche stimoli fisici quali il caldo e il freddo, le variazioni della tensione locale di ossigeno e di anidride carbonica nei tessuti, sostanze quali l’istamina, la renina, gli steroidi, le catecolamine circolanti, gli ioni calcio e potassio, la bradichinina, nonché numerosi farmaci.

Oscillazioni spontanee del diametro e della portata delle arteriole si possono osservare in molti tessuti e possono subire variazioni in base alle condizioni (Nilsson et al., 2003; Sun et al., 1995). Sono state particolarmente studiate nei preparati di muscolo scheletrico, dove è stato visto come tali oscillazioni siano normalmente presenti e vengano inibite dalle riduzioni della pressione arteriosa (Meyer et al., 1988), evidenziando che la vasomotion è sensibile allo stato fisiologico del tessuto.

Sono stati ideati molti modelli teorici per spiegare la vasomotion, basati su differenti ipotesi riguardanti la sua origine. Il modello di Gonzalez-Fernandez e Ermentrout (1994) tiene conto degli effetti prodotti da meccanismi legati ai trasportatori ionici di membrana delle cellule e dei meccanismi che agiscono sulla parete dei vasi prevedendo il verificarsi della vasomotion in un ampio intervallo di pressione, ma non a valori di pressione molto bassi o molto alti, in accordo con osservazioni sperimentali. Nel modello proposto da Ursino e collaboratori (1998), le oscillazioni originano dall’interazione tra molti segmenti attivi, come assunto anche precedentemente da Borgstrom e collaboratori (1979), mentre Parthimos e collaboratori (1999) hanno considerato che le oscillazioni siano generate mediante un meccanismo cellulare intrinseco, che comprende l’accoppiamento delle attività degli oscillatori per il Ca+2 intracellulari e di membrana. Jacobsen e collaboratori (2007), facendo propri molti aspetti del lavoro di Parthimos, idearono un modello per la distribuzione spaziale dei livelli del calcio all’interno di cellule muscolari lisce e proposero che alla base della comparsa della vasomotion potrebbe esserci il passaggio da fluttuazioni ondulatorie ad oscillazioni sincronizzate di Ca+2.

Da tutti questi studi emergono due ipotesi: la prima prevede l’esistenza di gruppi di cellule a livello della parete dei vasi con un comportamento oscillatorio intrinseco, che agendo come pacemakers guidano la vasomotilità in molti segmenti vicini, come già antecedentemente era stato ipotizzato (Meyer et al.,

32

1987). L’altra indica che la vasomotion sia il risultato delle interazioni tra le dinamiche di risposta cellulari e i meccanismi della parete vasale e flusso sanguigno.

In precedenti studi, le oscillazioni ritmiche della parete dei vasi sono state caratterizzate in base alle frequenze di oscillazione. Tali oscillazioni, che inducono variazioni di flusso ematico, sono state studiate nell’uomo a livello cutaneo, mediante tecnica di LDPM (Laser Doppler Perfusion Monitor) in registrazioni di 30 minuti (Stefanovska et al., 2006), che hanno permesso di ottenere spettri di potenza e di definire intervalli di frequenza caratteristici compresi tra 0,005 e 2,0 Hz:

- le oscillazioni legate all’attività cardiaca, hanno una frequenza compresa tra 0,6 e 2,0 Hz; questa corrispondenza è stata verificata tramite acquisizione simultanea del segnale elettrocardiografico;

- le oscillazioni, legate all’attività respiratoria, sono debolmente presenti nel segnale ed hanno una frequenza compresa tra 0,145 e 0,6 Hz; la corrispondenza con la frequenza respiratoria è stata verificata misurando simultaneamente le variazioni volumetriche polmonari del soggetto;

- le oscillazioni, legate all’attività miogenica intrinseca, hanno una frequenza compresa tra 0,052 e 0,145 Hz;

- le oscillazioni, legate all’attività neurogenica, hanno una frequenza compresa tra 0,021 e 0,052 Hz;

- le oscillazioni del microcircolo, legate all’attività endoteliale, presentano due intervalli di frequenza a seconda che siano o meno dipendenti da NO, per cui si distingue un’attività endoteliale NO-dipendente, che ha una frequenza compresa tra 0,0095 e 0,21 Hz e un’attività endoteliale NO-indipendente, che ha una frequenza compresa tra 0,005 e 0,0095 Hz.

Gli intervalli di frequenza correlati alle attività cardiaca e respiratoria sono considerati componenti ad alta frequenza, mentre quelli correlati alle attività miogena intrinseca, neurogena ed endoteliale sono definite componenti a bassa frequenza (Stefanovska et al., 2006).

Recentemente in uno studio condotto da Lapi e collaboratori (2010) è stato dimostrato che le arteriole piali del ratto presentano delle ritmiche oscillazioni del diametro caratterizzate da diverse componenti di frequenza. Utilizzando appropriati inibitori e avvalendosi della trasformata di Fourier per l’analisi delle

33

differenti componenti di frequenza è stato rilevato che le arteriole presentano ritmiche oscillazioni del diametro che possono essere racchiuse in sei intervalli. La componente a bassa frequenza (0.001 - 0.0095 Hz) è correlata al fattore iperpolarizzante (EDHF), l’altra componente a bassa frequenza (0.0095 - 0.02 Hz) è correlata al rilascio di NO da parte dell’endotelio; le componenti intermedie (0.02-0.06 Hz e 0.06 - 0.2 Hz) sono dovute all’attività del sistema nervoso simpatico e all’attività delle cellule muscolari lisce, rispettivamente. Le componenti ad alta frequenza sono rappresentate da intervalli di frequenza tra 0.2 e 2.0 Hz e tra 2.5 e 4.5 Hz ed sono correlate all’attività respiratoria e cardiaca, rispettivamente. Queste frequenze sono state ritrovate in tutti gli ordini di arteriole che formano il network microvascolare piale. Tali dati sono in accordo con i risultati ottenuti dalla Stefanowska nell’uomo (Stefanovska et al., 2006).

34

Documenti correlati