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Effetti di una particolare forma di riflesso trigemino-cardiaco sul microcircolo piale in ratti ipertesi: aspetti emodinamici e molecolari

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

Corso di Laurea Magistrale in

Biologia Applicata alla Biomedicina

Tesi di Laurea

Effetti di una particolare forma di riflesso trigemino-cardiaco sul

microcircolo piale in ratti ipertesi: aspetti emodinamici e

molecolari

Anno Accademico 2015-2016

Candidato:

Chiara Costagli

Relatore:

Dott.ssa Rossana Scuri

Dott.ssa Laura Sabatino

Dott.ssa Dominga Lapi

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RIASSUNTO

Studi precedenti, condotti sia su volontari normotesi sia sul modello animale di ratto, hanno dimostrato che una particolare stimolazione del nervo trigemino (estensione mandibolare, EM) può essere classificata come forma di riflesso trigemino-cardiaco. Per EM si intende un’apertura sub-massimale della bocca ottenuta con un dispositivo a molla, in acciaio, forgiato a forma di U posto tra gli incisivi inferiori e superiori.

Dati ottenuti nel ratto hanno dimostrato che due EM della durata di 10 minuti, ripetute a distanza di 10 minuti l’una dall’altra, inducono prolungati effetti ipotensivi, bradicardici ed effetti emodinamici sul microcircolo piale, sia nell’area parietale (dove proiettano le afferenze trigeminali) sia nell’area frontale, presa in esame come esempio di area cerebrale non direttamente coinvolta nell’elaborazione degli stimoli trigeminali. Tali effetti pongono EM come possibile procedura da applicarsi nel controllo degli stati di alterazione della pressione, tra cui l’ipertensione che può presentare forme che non rispondono al trattamento farmacologico.

Fino ad oggi gli studi sono stati condotti su ratti anestetizzati normotesi o resi sperimentalmente ipertesi. In particolare, a livello cerebrale, è stata osservata una risposta bifasica: durante la prima estensione mandibolare (EM1), si aveva vasocostrizione seguita immediatamente da una vasodilatazione che in alcuni casi veniva incrementata dalla seconda EM (EM2), oltre ad essere prolungata nel tempo. Fa eccezione l’area frontale dei ratti resi sperimentalmente ipertesi dove non si è osservata vasocostrizione.

Nella presente tesi sono stati valutati gli effetti emodinamici di due EM ripetute in ratti maschi spontaneamente ipertesi (Spontaneously Hypertensive Rat, SHR), adulti di 4-5 mesi ed anziani di 8-9 mesi allo scopo di evidenziare differenze negli effetti indotti da EM a diverse età e cioè a diversi livelli di compromissione emodinamica indotti dallo stato ipertensivo. Sono state valutate le variazioni dei diametri delle arteriole di ordine 2, della pressione arteriosa media (PAM) e della frequenza cardiaca (FC).

I ratti utilizzati sono stati anestetizzati con somministrazione intraperitoneale di α-cloralosio (50 mg/Kg di peso corporeo, in 0,4 ml di

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soluzione fisiologica) e mantenuti anestetizzati per tutta la durata dell’esperimento con α-cloralosio somministrato in vena al dosaggio di 20 mg/Kg di peso corporeo, in 0,2 ml di soluzione fisiologica. I ratti sono stati sottoposti a cateterizzazione dell’arteria e della vena femorale. Il catetere in arteria era collegato ad un trasduttore a sua volta connesso ad un sistema computerizzato per la misurazione in continuo di PAM. FC è stata derivata dal tracciato ECG registrato in continuo dalle tre derivazioni di Einthoven. Il catetere posto in vena femorale è stato utilizzato per la somministrazione dell’anestetico di mantenimento e del tracciante fluorescente per la visualizzazione delle arteriole. Quest’ultima è stata effettuata mediante una tecnica di microscopia in fluorescenza associata ad un sistema computerizzato che consente la visualizzazione in vivo del microcircolo piale e la misura off-line delle variazioni dei diametri delle arteriole.

Il protocollo di EM utilizzato consisteva di un periodo di osservazione basale di 30 minuti (baseline) seguito da due EM ravvicinate a distanza di 10 minuti l’una dall’altra, quindi gli animali venivano mantenuti sotto osservazione per 240 minuti (periodo post-EM2).

Poiché non esisteva, per prima cosa è stata effettuata la mappatura del microcircolo cerebrale sia dell’area parietale sia di quella frontale dei ratti presi in esame. I risultati ottenuti mostrano che la rarefazione arteriolare è ancora più marcata nei ratti SHR rispetto a quella osservata nei ratti resi sperimentalmente ipertesi ed è inoltre presente una marcata asimmetria di biforcazione nel network arteriolare.

Per quanto riguarda gli effetti indotti da EM, le arteriole non hanno mostrato vasocostrizione né a livello parietale né a livello frontale, sia nel caso dei ratti adulti sia di quelli anziani. Nel caso dei ratti adulti, in entrambe le aree cerebrali la vasodilatazione si presentava già durante EM1 e diventava significativa rispetto alla baseline a partire da EM2 per protrarsi per l’intero periodo di osservazione. Nei ratti anziani la situazione era simile agli adulti a livello dell’area frontale, mentre la vasodilatazione si presentava più tardivamente (periodo post-EM2) nell’area parietale. In concomitanza alla vasodilatazione si è osservata una notevole risposta ipotensiva e bradicardica, ad eccezione dei ratti adulti che non hanno mostrato una riduzione significativa di FC.

Sono state analizzate, inoltre, le ritmiche oscillazioni del diametro delle arteriole di ordine 2 per mezzo dell’analisi spettrale, su acquisizioni di 30 minuti

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nel periodo di osservazione basale ed a circa metà del periodo post-EM2. Si è osservato che nei ratti adulti, a livello dell’area parietale, EM induceva una riattivazione delle componenti relative all’attività endoteliale, sia NO-indipendente sia NO-dipendente. A livello dell’area frontale, EM induceva una riattivazione della componente legata all’attività endoteliale NO-dipendente e di quella miogenica. È stata eseguita l’analisi spettrale delle sei componenti che caratterizzano le variazioni del diametro arteriolare anche su un ratto SHR anziano. In questo caso, a livello parietale è emerso che EM portava alla riattivazione delle tre componenti a bassa frequenza relative all’attività endoteliale e all’attività neurogenica, mentre a livello frontale ad essere riattivate erano le quattro componenti a minor frequenza: quelle legate all’attività endoteliale, quella legata all’attività neurogenica e quella relativa all’attività miogenica.

Come controllo sono stati utilizzati ratti SHR che avevano subito solo le procedure chirurgiche (Sham Operated, SO) e sono stati tenuti sotto osservazione per 300 minuti, periodo corrispondente all’intera durata dell’esperimento di EM ripetuta. I ratti SO non hanno mostrato alcuna variazione dei parametri presi in esame.

I dati ottenuti mostrano come EM determini effetti simili sul microcircolo cerebrale anche in aree non direttamente coinvolte nell’elaborazione degli stimoli trigeminali. Questo suggerisce che tali effetti siano indotti da una modulazione da parte di EM dei meccanismi sistemici di controllo della pressione arteriosa. Per iniziare ad approfondire questo aspetto, è stata condotta un’indagine biologico-molecolare su campioni di tessuto cerebrale dell’area parietale e di quella frontale prelevati dai ratti adulti SHR da cui sono derivati i risultati emodinamici prodotti da EM e sui ratti adulti SHR SO, allo scopo di valutare l’espressione genica ed i livelli proteici di alcuni geni e proteine coinvolti nel sistema di regolazione della pressione renina-angiotensina (RAS), implicato anche nella regolazione della circolazione cerebrale.

L’analisi di espressione genica è stata eseguita sui geni codificanti per i recettori dell’angiotensina II (Ang II) AT1R e AT2R e per l’enzima ACE (enzima convertitore dell’angiotensina), coinvolti in risposte adattative che inducono innalzamento della pressione, e per il recettore di angiotensina (1-7) (Ang (1-7)) MAS1 e per l’enzima ACE2, che invece sembrano avere un ruolo protettivo nei confronti di stati di alterazione pressoria. I dati raccolti non mostrano differenze

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significative nei livelli di espressione dei geni codificanti per AT1R ed AT2R tra i ratti sottoposti a due EM ravvicinate ed i ratti SO, sia a livello della corteccia parietale sia di quella frontale. A livello parietale invece si è osservato un incremento significativo dell’espressione del gene codificante per ACE e un decremento significativo dell’espressione del gene per MAS1 nei ratti sottoposti ad EM rispetto ai ratti SO, mentre, a livello frontale, l’espressione dei geni per MAS1 ed ACE2 era significativamente incrementata e l’espressione del gene per ACE non era variata nei ratti sottoposti a due EM ravvicinate rispetto ai ratti SO.

Infine, è stata condotta l’analisi dei livelli proteici di MAS1, la cui espressione genica era risultata modulata da EM sia a livello dell’area parietale sia di quella frontale, del recettore AT1R che funzionalmente si contrappone a MAS1, e di AT2R che, pur legandosi all’Ang II, ha un comprovato effetto vasorilassante. Dai dati è emerso che nell’area parietale non vi erano variazioni significative nei livelli proteici di AT1R e AT2R tra i ratti sottoposti a due EM ravvicinate ed i ratti SO, mentre è stato osservato un decremento significativo nei livelli proteici di MAS1. Nell’area frontale, i livelli proteici di tutti e tre i recettori nei ratti sottoposti a due EM ravvicinate hanno subito un decremento rispetto ai ratti SO, significativo nel caso di AT1R e AT2R.

I dati raccolti nel loro insieme suggeriscono che ripetute EM sono in grado di attivare anche in condizioni di ipertensione specifici meccanismi di regolazione dell’emodinamica, che si riflette anche a livello cerebrale migliorando la perfusione. Queste osservazioni sperimentali possono quindi rappresentare un punto di partenza per l’elaborazione di protocolli da attuare nel trattamento clinico.

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ABSTRACT

Previously, in normotensive volunteers and in the rat animal model, it has been shown that a particular trigeminal nerve stimulation (mandibular extension, ME) resulted in a form of trigeminal-cardiac reflex. ME is a sub-maximal opening of the mouth obtained by placing a metal spring shaped to U between the upper and lower incisors.

Data obtained in the rat show that the repetition of two 10 minutes ME carried out at 10 minutes interval, induces prolonged hypotensive effects, bradycardia and hemodynamic effects on the pial microcirculation, both in the parietal area (where the trigeminal afferents project), and in the frontal area, taken as an example of brain area not directly involved in the elaboration of trigeminal stimuli. These effects pose ME as a possible procedure to be applied in the control of the states of arterial pressure alterations, including hypertension, which presents forms that don’t respond to pharmacological treatments.

Until now, the studies have been performed on normotensive or experimentally hypertensive anesthetized rats. In particular, the data obtained show a biphasic response in the brain microcirculation: during the first mandibular extension (ME1) a vasoconstriction occurred immediately followed by a vasodilation which in some cases was increased and prolonged by the second ME (ME2). Exception is the frontal area of experimentally hypertensive rats, where no vasoconstriction has been observed.

In the present work, the hemodynamic effects of two repeated ME were analyzed in spontaneously hypertensive male rats (SHR): adult rats, 4-5 months old, and older rats, 8-9 months old, were used in order to highlight differences in the effects induced by ME at different ages and different levels of hemodynamic deficits induced by hypertension. Changes in the order 2 arterioles diameters, mean arterial blood pressure (MABP) and heart rate (HR) were evaluated.

The rats studied were anesthetized with intraperitoneal administration of α-chloralose (50 mg/kg body weight, in 0,4 ml of physiological solution) and maintained anesthetized by α-chloralose administered in the femoral vein (20 mg/kg body weight, in 0,2 ml of physiological solution) for the duration of the experiment. The rats were subjected to catheterization of the femoral artery and

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vein. The catheter in the femoral artery was connected to a transducer linked to a computerized system for continuous measurement of MABP. HR was derived from the ECG trace recorded continuously by the three Einthoven derivations. The catheter placed in the femoral vein was used to administer the anesthetic and the fluorescent tracer for arterioles visualization in the brain microcirculation. The arterioles visualization was performed by a fluorescence microscopy technique associated with a computerized system that allows in vivo visualization of the microcirculation and off-line measurements of arteriolar diameter variations.

The ME protocol used consisted of a baseline observation period of 30 minutes (baseline) followed by two 10 minutes ME carried out at 10 minutes interval, then the animals were kept under observation for 240 minutes (post-ME2 period).

Since it did not exist, the mapping of the cerebral microcirculation was carried out both in the parietal and in the frontal area of the rats examined. The results obtained show that SHR rats exhibited an arterial rarefaction even more pronounced than the experimentally hypertensive rats and a marked asymmetry of bifurcation in the arteriolar network.

In the SHR rats arterioles did not show vasoconstriction in both the parietal and the frontal area, and in adult and older rats. In the case of adult rats, in both brain areas, vasodilation was already present during ME1 and became significant respect to baseline starting from ME2 for the entire observation period. In older rats, the situation was similar to adults in the frontal area, while in the parietal area vasodilation occurred later during post-ME2 period. Concurrently with vasodilation, a remarkable hypotensive and bradycardic effects were observed, with the exception of adult rats that did not show a significant reduction in HR.

In addition, the rhythmic oscillations of the diameter of the order 2 arterioles were analyzed by spectral analysis, on 30 minutes acquisition in the baseline observation period, and at about half of the post-ME2 period. It was observed that in adult rats in the parietal area ME induced a re-activation of the endothelial components, both NO-independent and NO-dependent. In the frontal area, ME induced a re-activation of NO-dependent endothelial and myogenic activity. Spectral analysis of the six components that characterize variations of the arteriolar diameter were also performed on an elderly SHR rat. In this case, ME induced the re-activation of the three low-frequency components related to

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endothelial and neurogenic activity in the parietal area, while in the frontal area the four low-frequency components including also the components due to the myogenic activity.

As control, SHR rats subjected to only surgical procedures (Sham Operated, SO) were used and observed for 300 minutes, a period corresponding to the entire duration of the repeated ME experiment. The SO rats did not show any variation in the parameters considered.

The data obtained show that ME determines similar effects on the cerebral microcirculation even in areas not directly involved in the processing of trigeminal stimuli. This suggests that these effects might be due to a modulation of the systemic mechanisms controlling blood pressure by ME. To start to investigate this aspect, at the end of the experiments, the parietal and the frontal areas were removed from the adult SHR rats subjected to ME repetition from which the hemodynamic data derived, and from the adult SHR SO rats, and subjected to molecular-biological investigations, in order to evaluate the gene and protein expression of certain genes and proteins involved in the renin-angiotensin system (RAS), which is also involved in the regulation of the cerebral circulation.

The expression levels of the genes coding for the angiotensin II (Ang II), AT1R and AT2R receptors, and for ACE (angiotensin converting enzyme), involved in adaptive responses that cause pressure elevation, and for the angiotensin (1-7) (Ang (1-7)), MAS1 receptor and for the ACE2 enzyme, which, seem to have a protective role against the states of pressure alteration, were evaluated. The data collected did not show significant differences in the expression levels of the genes coding for AT1R and AT2R between the rats subjected to repeated ME and the SO rats, both in the parietal and the frontal cortex. However, in the parietal area, a significant increase in the expression of the gene coding for ACE and a significant decrease in the expression of the gene for MAS1 were observed in rats subjected to ME compared to the SO rats. In the frontal area, the expression of the genes coding for MAS1 and ACE2 was significantly increased and the expression of the gene for ACE was not changed in the rats subjected to repeated ME respect to the SO rats.

Finally, we analyzed the protein levels of MAS1, AT1R that functionally contrasts with MAS1, and AT2R, that albeit binding Ang II, has a vasorilassant effect. The data show that in the parietal area there were no significant differences

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in the AT1R and AT2R protein levels between rats subjected to repeated ME and SO rats, while a significant decrease in MAS1 protein levels was observed. In the frontal area, the protein levels of all three receptors considered were decreased in the rats subjected to repeated ME compared to the SO rats, being significantly different AT1R and AT2R.

Altogether the data suggest that repeated ME are able to activate specific hemodynamics regulatory mechanisms also in conditions of hypertension, leading to an enhancing of perfusion. Then, these experimental observations can be a starting point for the elaboration of protocols for clinical treatments.

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INDICE

1. INTRODUZIONE ... pag. 1

1.1 L’ipertensione ... pag. 1

1.2 Regolazione della pressione arteriosa ... pag. 7

1.2.1 Il sistema renina-angiotensina ... pag. 10

1.3 Circolazione cerebrale e sua regolazione ... pag. 14

1.3.1 Anatomia ... pag. 14

1.3.2 La circolazione cerebrale nel ratto ... pag. 16

1.3.3 Regolazione della circolazione cerebrale ... pag. 18

1.4 Prevenire o migliorare l’ipertensione ... pag. 20

1.5 Effetti della stimolazione del nervo trigemino sui parametri

cardiovascolari e sull’emodinamica cerebrale... pag. 24

1.5.1 Anatomia del nervo trigemino ... pag. 24

1.5.2 Effetti della stimolazione del nervo trigemino ... pag. 26

1.6 Una particolare forma di TCR: l’estensione mandibolare pag. 28

1.7 Vasomotion ... pag. 30

2. SCOPO DELLA TESI ... pag. 34

3. MATERIALI E METODI ... pag. 36

3.1 Animali ... pag. 36

3.2 Sostanze ... pag. 36

3.3 Procedura sperimentale ... pag. 37

3.4 Microscopia in fluorescenza ... pag. 40

3.5 Classificazione del network microvascolare piale ... pag. 40

3.6 Analisi della vasomotilità arteriolare ... pag. 41

3.7 Analisi Trascrizionale ... pag. 42

3.7.1 Estrazione dell’RNA e retrotrascrizione ... pag. 42

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3.7.2 Real-Time PCR ... pag. 44

3.8 Analisi proteica ... pag. 48

3.8.1 Estrazione delle proteine ... pag. 48

3.8.2 Western blotting ... pag. 48

3.9 Analisi dei dati ... pag. 49

4. RISULTATI ... pag. 51

4.1 Caratterizzazione geometrica del microcircolo piale ... pag. 51

4.2 Effetti di due EM ravvicinate in ratti SHR ... pag. 55

4.3 Vasomotion ... pag. 61

4.4 Analisi Trascrizionale ... pag. 64

4.5 Analisi proteica ... pag. 67

5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... pag. 70

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1. INTRODUZIONE

1.1 L’IPERTENSIONE

L’ipertensione è una condizione molto diffusa che influenza il 30% della popolazione adulta (Dharmashankar et al., 2010). Essa è definita come l’innalzamento cronico della pressione sanguigna, oltre la soglia fissata a 140 mmHg per la pressione sistolica e a 90 mmHg per la pressione diastolica, per il quale non sono conosciute singole cause scatenanti (Delgado et al., 2005). Questa condizione contribuisce in maniera rilevante allo sviluppo delle malattie cardiovascolari e rappresenta il più importante fattore di rischio per ictus, malattie cardiache ischemiche, insufficienza cardiaca, insufficienza renale e malattie vascolari periferiche. L’organizzazione mondiale della sanità stima che l’incidenza di ipertensione aumenterà del 50% entro il 2020. L’importanza dell’ipertensione come fattore di rischio è stato recentemente evidenziato in

Systolic Blood Pressure Intervention Trial (SPRINT), che ha dimostrato come un

abbassamento della pressione sanguigna sistolica al di sotto dei 120 mmHg sia associato ad una significativa riduzione dei maggiori eventi cardiovascolari e di morte (The SPRINT Research Group, 2015). Il controllo della pressione sanguigna è pertanto un’urgente ed essenziale priorità pubblica per la prevenzione delle malattie cardiovascolari (Touyz et al., 2016). Inoltre, se l’ipertensione non viene opportunamente trattata, tipicamente progredisce verso livelli di pressione sanguigna che mettono a rischio l’integrità dei vasi cerebrali (Shapiro, 1997). Tuttavia, recentemente è stato visto che il cervello non è solo coinvolto tardivamente nell’ipertensione ma ha un ruolo essenziale nella stessa: ne è un potenziale innesco, è influenzato nei primi stadi della patologia ed è funzionalmente compromesso durante il suo decorso, per esempio diventando incapace di regolare la pressione sanguigna ed esibendo difetti funzionali nell’elaborazione delle informazioni (Jennings et al., 2009).

Molti fattori fisiopatologici sono implicati nella genesi dell’ipertensione: incremento dell’attività del sistema nervoso simpatico, forse in risposta allo stress psicosociale; sovrapproduzione di ormoni per la ritenzione del sodio e vasocostrittori; assunzione a lungo termine di sodio; inadeguata assunzione

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giornaliera di calcio e potassio; aumento o inappropriata secrezione di renina con risultante incremento nella produzione di angiotensina II (Ang II) e aldosterone; deficienza di fattori vasodilatatori, come prostacicline, ossido nitrico e peptidi natriuretrici; alterazione nell’espressione del sistema callicreina-chinina, che influenza il tono vascolare ed il trattamento renale salino; anomalie nella resistenza dei vasi, incluse lesioni nel microcircolo renale; diabete mellito; resistenza all’insulina; obesità; aumento dell’attività dei fattori di crescita vascolari; alterazione dei recettori adrenergici che influenzano il ritmo cardiaco ed il tono vascolare; alterato trasporto ionico nelle cellule (Calhoun et al., 2000) (Figura 1.1). Negli ultimi anni è stato sempre più accettato il concetto che anomalie strutturali e funzionali nel sistema vascolare, inclusa la disfunzione endoteliale, l’aumento dello stress ossidativo, il rimodellamento vascolare e la diminuzione della compliance, possono anticipare l’ipertensione e contribuire alla sua patogenesi.

Sebbene molti fattori contribuiscono chiaramente alla patogenesi e al mantenimento della pressione sanguigna elevata, i meccanismi renali probabilmente giocano un ruolo primario, come ipotizzato da Guyton (1991) e supportato da estesi dati sperimentali e clinici. Altri meccanismi ampliano (per esempio, l’attività del sistema nervoso simpatico e il rimodellamento vascolare) o tamponano (per esempio, incrementi del peptide natriuretico o l’espressione del sistema callicreina-chinina) gli effetti sulla pressione della ritenzione renale di sale e acqua. Questi pathways che interagiscono tra di loro giocano un ruolo sia nell’incremento della pressione sanguigna, sia nel mediare il danno ai relativi organi bersaglio. La comprensione di questi complessi meccanismi è importante per delineare terapie contro l’ipertensione che hanno come target proprio tali meccanismi, in modo da raggiungere benefici al di là dell’abbassamento dei livelli di pressione sanguigna.

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Figura 1.1 Meccanismi fisiopatologici dell'ipertensione.

(tratta da: Oparil et al., 2003)

La storia naturale dell’ipertensione come patologia è difficile da descrivere nell’uomo perché l’apparizione iniziale di alti livelli di pressione sanguigna tipicamente non sono riconosciuti da subito con precisione. Un’elevata pressione sanguigna non è associata a sintomi evidenti e si può rilevare solamente attraverso la misurazione della pressione.

L’ipertensione è associata a cambiamenti strutturali, meccanici e funzionali nell’ambito della vascolarizzazione che contribuiscono al fenotipo vascolare caratterizzato da un rimodellamento vascolare, da un’aumentata rigidità delle arterie, da una ridotta elasticità, da un maggiore tono vascolare e da una disfunzione endoteliale. Questi cambiamenti vascolari sono dovuti a meccanismi molecolari che comprendono una riduzione dell’ossido nitrico (NO) biodisponibile, un incremento nella produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) (stress ossidativo), un incremento nella concentrazione del Ca2+ intracellulare, un’attivazione delle vie di segnalazione pro-infiammatorie e mitogeniche, fibrosi vascolare e calcificazione (Taddei et al., 2002). La conseguenza è una ridotta capacità delle arterie di reagire ed adattarsi alla richiesta di ossigeno tissutale culminando con l’ischemia tissutale, infarto e danno.

Durante la storia naturale dell’ipertensione, un incremento nell’output cardiaco induce un’eccessiva perfusione dei tessuti seguita da vasocostrizione e

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rimodellamento vascolare, con conseguente ispessimento nella parete dei vasi. A causa dei cambiamenti nella struttura della parete dei vasi aumenta la resistenza vascolare. Questi cambiamenti strutturali conducono sia ad un decremento del diametro dei vasi, sia ad un incremento nella reattività di vasocostrizione (Boegehold, 2007). L’ipertensione è stata vista essere associata anche alla perdita di arteriole e capillari (rarefazione) che consiste nel decremento del numero di percorsi disponibili per la conduzione del flusso sanguigno, ma porta anche ad un incremento della resistenza vascolare, così come avviene per gli effetti del rimodellamento vascolare (Touyz, 2005).

Il rimodellamento vascolare si riferisce al processo attivo di cambiamenti strutturali, meccanici e funzionali che avvengono entro il sistema vascolare durante lo sviluppo e la progressione dell’ipertensione. Il rimodellamento delle piccole arterie nell’ipertensione è associato classicamente con l’aumento dello spessore medio e questo può essere di tipo eutrofico o di tipo ipertrofico se l’area mediale della sezione trasversale viene ingrandita. Nel rimodellamento di tipo eutrofico il rapporto tra spessore medio e lume aumenta, ma la cross-sectional

area media no, nel rimodellamento ipertrofico si ha incremento sia del rapporto

che della cross-sectional area media (Schiffrin, 2012) (Figura 1.2).

Studi sperimentali e clinici dimostrano che il fenotipo vascolare di giovani pazienti ipertesi assomiglia a quello di pazienti sani più anziani, suggerendo che l’ipertensione porta ad un invecchiamento vascolare precoce (Harvey et al., 2016).

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Figura 1.2 Schema dei cambiamenti che si verificano durante il

rimodellamento vascolare associati all’ipertensione. indica un incremento, indica che non ci sono stati cambiamenti. M:L ratio: rapporto tra spessore medio e lume; CSA: cross-sectional area.

(modificata da: Cameron, 2016)

Normalmente il condotto delle arterie si distende per accogliere la gittata dal cuore durante la sistole e facilitare la perfusione tissutale durante la diastole. Questa caratteristica fisiologica è determinata principalmente dall’elasticità, la dilatabilità e la compliance del sistema arterioso. Il cambiamento strutturale nel sistema vascolare associato all’ipertensione risulta nella riduzione della

compliance e dell’elasticità e nell’aumento nella rigidità delle arterie. Questo

richiede una maggiore forza e pressione per accogliere il flusso sanguigno e risulta in un ulteriore aumento della pressione sanguigna sistolica. Tutto ciò provoca un aumento del carico di lavoro sul miocardio portando a danno d’organo ed ipertrofia ventricolare sinistra. Il circolo vizioso che si origina fa sì che l’ipertensione causi un incremento della rigidità arteriosa, la quale a sua volta promuove un ulteriore incremento nella pressione sanguigna sistolica e questo è un fattore predittivo di eventi cardiovascolari futuri. L’irrigidimento arterioso associato all’ipertensione è il risultato di molteplici fattori a livello sistemico, vascolare, cellulare e molecolare. Questi fattori includono: cause emodinamiche,

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alterate contrazione e dilatazione vascolare, rimodellamento dell’ECM, organizzazione del citoscheletro, risposte pro-infiammatorie e stress ossidativo. Si verifica, inoltre, la de-regolazione delle cellule endoteliali e delle cellule muscolari lisce vascolari, la sovra-regolazione della risposta immune adattativa, la crescita e la migrazione delle cellule muscolari lisce dei vasi entro la media, i cambiamenti da collagene in elastina entro la parete dei vasi e la calcificazione vascolare (Harvey et al., 2016).

L’endotelio vascolare è costituito da un singolo strato di cellule che formano il rivestimento di tutti i vasi sanguigni e giocano un ruolo essenziale nella funzione vascolare attraverso la sintesi ed il rilascio di sostanze biologicamente attive le quali agiscono in modo autocrino o paracrino per influenzare il tono e la funzione vascolare. Queste sostanze prodotte includono l’NO, le prostacicline e il fattore iperpolarizzante endotelio-derivato. L’ossido nitrico è il fattore maggiormente caratterizzato e deriva dalla trasformazione dell’L-arginina in citrullina attraverso l’NO sintasi (NOS), la quale è costitutivamente espressa nelle cellule endoteliali (eNOS). NO può anche essere prodotto e rilasciato sotto l’influenza di stimoli come l’acetilcolina, la bradichinina, la sostanza P, la serotonina e lo stress meccanico da sfregamento (stress causato dallo scorrimento del sangue sulle pareti dei vasi o shear stress). L’endotelio sano possiede un fenotipo vasodilatatore, anti-infiammatorio e antitrombotico, mentre una disfunzione endoteliale è caratterizzata da un endotelio che è pro-infiammatorio e pro-trombotico con un’alterata risposta vasodilatatoria (Harvey et al., 2015). La disfunzione endoteliale è la componente centrale dei cambiamenti fenotipici che si verificano nello sviluppo dell’ipertensione ed è associata ad un aumento dei rischi arteriosclerotici e cardiovascolari. Una ridotta biodisponibilità di NO è una condizione centrale nella patofisiologia della disfunzione endoteliale associata all’ipertensione, la quale risulta principalmente dalla riduzione della produzione di NO e da un incremento dell’inattivazione a causa dello stress ossidativo e dell’infiammazione vascolare (Dharmashankar et al., 2010; Thuillez et al., 2005; Widlansky et al., 2003). Lo stress ossidativo contribuisce alla riduzione di NO biodisponibile, in particolare dalla reazione dell’ossido nitrico con le specie reattive dell’ossigeno (ROS), principalmente l’anione superossido (O

2-). In condizioni fisiologiche, i sistemi antiossidanti endogeni mantengono l’equilibrio tra NO e O2-. Nell’ipertensione, tuttavia, c’è uno sbilanciamento in questo

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equilibrio che porta ad un’aumentata produzione di O

ed una ridotta disponibilità di NO. Questo sbilanciamento promuove la vasocostrizione e contribuisce alla locale risposta infiammatoria, all’adesione leucocitaria, al rimodellamento delle arterie e ad un aumento nella rigidità delle stesse. Inoltre, altri fattori possono contribuire alla riduzione della disponibilità di NO: carenza di L-arginina (il substrato per NOS), aumento della concentrazione degli inibitori endogeni di NO, riduzione di co-fattori per eNOS, disaccoppiamento di eNOS, decremento dell’espressione di eNOS ed alterata trasduzione del segnale. In clinica, l’ipertensione è associata con un incremento nella produzione di ROS ed una riduzione di antiossidanti. L’acido ascorbico o vitamina C è un ROS scavenger che ristabilisce la produzione di NO e può migliorare la funzione endoteliale nell’ipertensione (Thuillez et al., 2005). L’endotelio produce anche potenti vasocostrittori endogeni, come ad esempio l’endotelina-1 (ET-1). L’interazione tra il sistema NO e i vasocostrittori endogeni, come ET-1 e Ang II, può contribuire alla patogenesi della disfunzione endoteliale nell’ipertensione. Uno sbilanciamento tra NO ed il sistema ET-1 può risultare in un aumento dell’attività di ET-1 e vasocostrizione. Ang II interagisce con il sistema di NO causando l’esaurimento di NO attraverso l’interazione con il recettore di tipo 1 dell’angiotensina (AT1R) e conseguente attivazione dell’ossidasi NADPH-dipendente che contribuisce allo stress ossidativo (Taddei et al., 2002).

1.2 REGOLAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA

I valori della pressione arteriosa sistemica sono finemente regolati da un complesso insieme di meccanismi nervosi ed umorali che agiscono sul cuore, sul volume ematico e sui vasi sanguigni in modo da mantenerli relativamente costanti nel tempo. Una distinzione che viene fatta tra i meccanismi di regolazione della pressione arteriosa è basata sulla rapidità e durata dell’azione regolatrice; in questo senso si distingue una regolazione a breve termine, dell’ordine di minuti-ore, ed una a lungo termine, dell’ordine di giorni-settimane.

La regolazione a breve termine è mediata da riflessi capaci di modulare le resistenze periferiche e l’attività cardiaca. Questi riflessi sono rappresentati prevalentemente dai riflessi barocettivi, ma in alcune condizioni, in particolare in

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presenza di grave ipossia, possono essere coinvolti anche i riflessi chemocettivi e quindi i recettori sensibili alla PaO2, PaCO2 e al pH.

I riflessi barocettivi originano sia da recettori di alta pressione (barocettori) sia da recettori di bassa pressione (recettori cardiopolmonari); in entrambi i casi si tratta di meccanocettori e come tali sono sensibili alla distensione della parete vasale ed atriale rispettivamente.

I barocettori sono situati nell’arco dell’aorta e nel seno carotideo e sono costituiti da terminazioni nervose libere. Essi inviano le loro afferenze, che viaggiano in parte nel nervo vago ed in parte nella porzione sensoriale del nervo glossofaringeo, al nucleo del tratto solitario, un nucleo tronco-encefalico prevalentemente esteso a livello bulbare. Nel caso, ad esempio, di incremento della pressione arteriosa sistemica si ha un aumento della frequenza di scarica delle terminazioni afferenti. Gli impulsi avviati ai centri bulbari hanno il duplice effetto di attivare il nucleo ambiguo del nervo vago, che è centro vagale cardioinibitore e, contemporaneamente, di inibire il centro vasomotore aumentando la scarica dei neuroni inibitori GABAergici sul sistema ortosimpatico, che in condizioni normali agisce sulla muscolatura liscia della parete delle arteriole determinando vasocostrizione. L’inibizione del centro vasomotore causa così vasodilatazione. In questo modo, perciò, in risposta ad un aumento pressorio, gli impulsi provenienti dai barocettori attivano la scarica vagale diretta al cuore, mentre riducono la scarica simpatica che va alla muscolatura delle arteriole. L’effetto finale, che deriva dalla riduzione della frequenza cardiaca e forza di contrazione, e dalla dilatazione periferica, è l’abbassamento della pressione arteriosa sistemica.

I recettori di bassa pressione si trovano nel compartimento venoso del sistema circolatorio e si ritrovano negli atrii, nelle arterie e vene polmonari e nell’endocardio ventricolare. Anch’essi sono costituiti da terminazioni libere e sono meccanocettori che rispondono principalmente alle variazioni di riempimento degli atrii. Le fibre afferenti decorrono nel nervo vago e terminano nel nucleo del tratto solitario ed in altri nuclei bulbari. Le vie efferenti influenzano polisinapticamente il cuore e i vasi sanguigni. Un aumento del volume ematico nell’atrio destro determina l’attivazione delle fibre vagali afferenti e del centro bulbare. La risposta che si determina in seguito all’attivazione dei recettori di bassa pressione è caratterizzata dall’aumento della frequenza cardiaca (riflesso di

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Bainbridge) e dalla diminuzione selettiva delle efferenze ortosimpatiche vasocostrittrici che innervano i vasi renali, determinando così l’aumento dei flussi renale ed urinario. La riduzione della scarica dei nervi ortosimpatici renali determina la riduzione della liberazione di renina e quindi della formazione di Ang I e Ang II. Le fibre afferenti dei recettori a bassa pressione, inoltre, influenzano i neuroni dell’ipotalamo che producono e liberano vasopressina (ADH); questo determina una riduzione della secrezione di ADH che, a sua volta, produce un aumento del flusso renale. L’aumento della distensione delle pareti atriali, stimola, infine, la liberazione dei peptidi atriali natriuretici, che determinano vasodilatazione e riduzione del volume circolante (vedi regolazione a lungo termine).

I barocettori nelle arterie si resettano su valori di pressione più alti nei pazienti con ipertensione e questo resetting può essere reversibile se la pressione nelle arterie si normalizza (Chapleau et al., 1988; Guo et al., 1983; Xie et al., 1990). Ripristinare le normali funzioni dei baroriflessi aiuta a mantenere ridotti i livelli pressori nelle arterie, ed è un meccanismo regolatorio benefico che può avere importanti implicazioni cliniche (Xie et al., 1991). Inoltre, c’è un resetting a livello centrale dei barocettori aortici nei pazienti ipertesi che risulta nella soppressione dell’inibizione del sistema simpatico dopo attivazione dei nervi barocettivi aortici. Questo resettaggio del baroriflesso sembra essere mediato, almeno parzialmente, dall’azione di Ang II (Guo e Abbound, 1984). Ang II amplifica anche la risposta alla stimolazione del simpatico attraverso meccanismi periferici, ovvero la modulazione presinaptica facilitatoria mediata dal rilascio di noradrenalina (Abbound, 1974). In aggiunta piccoli mediatori molecolari, quali specie reattive dell’ossigeno ed endotelina, sopprimono l’attività dei barocettori e contribuiscono all’azione eccessiva del sistema simpatico nell’ipertensione (Li et al., 1996). Infine, ci sono evidenze di una notevole funzione dei chemioriflessi che porta ad un marcato aumento dell’attivazione del sistema nervoso simpatico in risposta a stimoli quali l’apnea e l’ipossia (Somers et al., 1988). Una correlazione clinica di questo fenomeno è l’incremento esagerato nell’attività del sistema nervoso simpatico che è sostenuto nello stato di veglia e sembra contribuire all’ipertensione in pazienti con apnea ostruttiva del sonno (Somers et al., 1995).

La regolazione a lungo termine della pressione arteriosa sistemica è mediata principalmente dai meccanismi che controllano l’equilibrio idrosalino ed il

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volume extracellulare. Questo tipo di regolazione dipende, quindi, da tutti i vari processi che determinano il riassorbimento e l’escrezione di Na+

e acqua a livello renale e che mediano la regolazione e l’autoregolazione della funzione renale. Sono coinvolti il sistema renina-angiotensina-aldosterone, l’ormone antidiuretico (ADH) ed i peptidi natriuretici atriali. È di nostro interesse prendere in considerazione, in particolare, il sistema renina-angiotensina.

1.2.1 Il sistema renina-angiotensina

Il sistema renina-angiotensina (RAS) è conosciuto da oltre cento anni per il suo ruolo critico nella regolazione fisiologica della pressione arteriosa, così come nell'omeostasi del sodio e dei fluidi, ed ha una funzione primaria nella pato-fisiologia dell’ipertensione. In particolare, nell’ultimo decennio, numerosi studi hanno permesso di modificare il concetto classico di RAS, inteso oggi come un sistema complesso che agisce su molteplici apparati per mezzo di due vie principali (Figura 1.3). La prima via coinvolge Ang II, l’enzima di conversione dell’Ang I ACE (angiotensin converting enzyme), ed i recettori 1 e 2 di Ang II AT1R e AT2R. La seconda via, con funzione protettiva, coinvolge in particolare Angiotensina (1-7), il recettore MAS1 e l’enzima ACE2, che converte Ang II in Ang (1-7).

In condizione di ipotensione o di caduta della pressione media di perfusione renale, la renina prodotta dalle cellule iuxtaglomerulari catalizza la conversione dell’angiotensinogeno in Ang I che, a sua volta, viene trasformata in Ang II nel circolo sanguigno da ACE. L’Ang II è il più potente effettore di questo sistema. Essa funziona principalmente legandosi a due classi di recettori transmembrana accoppiati a proteine G: AT1R e AT2R. Questi recettori hanno affinità simile per Ang II, ma ne mediano effetti opposti e mostrano una sequenza nucleotidica con omologia del solo 34% (Kambayashi et al., 1993; Mukoyama et al., 1993; Siragy, 2004).

La maggior parte degli effetti pato-fisiologici conosciuti di Ang II sono mediati da AT1R, inclusa la vasocostrizione e l'incremento della pressione sanguigna, la promozione dell'infiammazione tissutale e della fibrosi,

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l’incremento dello stress ossidativo e la produzione di aldosterone. L'espressione di AT2R è molto alta nei tessuti embrionali e decresce in breve tempo dopo la

Figura 1.3 Schema degli elementi del sistema renina-angiotensina

(modificata da: Arroja, 2016)

nascita in molti organi, anche se una bassa espressione di AT2R si mantiene nei reni, nelle ghiandole surrenali, nell'utero, nelle ovaie, nel cuore e nel cervello (Sales et al., 2005; Li et al., 2012). L'attivazione di AT2R contrasta gli effetti prodotti dall’attivazione di AT1R: essa inibisce la proliferazione ed il differenziamento cellulare, promuove la vasodilatazione e riduce l'infiammazione e lo stress ossidativo. L'appropriato bilancio tra l'attivazione di AT1R e AT2R può perciò giocare un ruolo chiave nella regolazione delle funzioni fisiologiche dei sistemi renali e cardiaci. Inoltre, è probabile che varianti polimorfiche nell'espressione genica di AT1R e AT2R possano essere coinvolte nello sviluppo di patologie cardiovascolari e nell'ipertensione. Polimorfismi per il gene di AT2R

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sono stati associati con rischi cardiovascolari in soggetti ipertesi ma non in soggetti normotesi. In modo simile, il genotipo corrispondente ad AT1R è associato ad un elevato rischio cardiovascolare a prescindere dalla pressione sanguigna (Jones et al., 2003). Il blocco farmacologico di AT1R aumenta generalmente i livelli di Ang II e questo può portare alla stimolazione di AT2R dimostrandone un suo coinvolgimento nella regolazione dell’emodinamica sistemica.

Il principale effettore della seconda via di RAS è l’Ang (1-7). Questo peptide è formato direttamente dalla conversione di Ang II mediante ACE2, il quale può anche convertire Ang I in Ang (1-9), che può essere convertito a sua volta in Ang (1-7) con l’aiuto di ACE o di altre peptidasi. Ang (1-9) è un peptide di cui non sono ancora ben noti gli effetti biologici, e alcune evidenze indicano che possa avere effetti benefici nella prevenzione del danno e nel rimodellamento cardiovascolare (Gironacci, 2015).

Ang (1-7), inizialmente considerato come un derivato inattivo di Ang II, si è rivelato come un importante componente del ramo protettivo di RAS; essa infatti, agendo sul recettore MAS1, svolge effetti opposti a quelli di Ang II, promuovendo, tra l’altro, vasodilatazione, natriuresi e diuresi (Douglas et al., 2000, Santos et al., 2003). In ratti knock-out per MAS1 si osservano importanti modificazioni fenotipiche, quali disfunzione endoteliale, alterazioni della pressione arteriosa e dei baroriflessi, fibrosi cardiaca, trombofilia e alterazioni simil-sindrome metabolica. Nel ratto la presenza del recettore MAS1 è particolarmente rilevante nel sistema nervoso centrale, in corrispondenza di aree coinvolte nel controllo di funzioni cardiovascolari oltre che di funzioni comportamentali (Becker et al., 2007).

Tutti i componenti di RAS sono presenti a livello cerebrale (Karamyan e Speth, 2007) dove si distinguono due sistemi legati ad Ang II che si integrano: uno endogeno, che risponde ad Ang II prodotta localmente, e l’altro esogeno che risponde ad Ang II prodotta a livello sistemico (Saavedra, 2005). Ang II svolge varie funzioni nel cervello, inclusa la regolazione del flusso ematico cerebrale, in particolare mediante stimolazione dei recettori AT1R. La somministrazione di antagonisti per AT1R influenza fortemente la circolazione cerebrale e normalizza molte delle alterazioni cerebrovascolari strutturali e funzionali caratteristiche dello stato ipertensivo, andando ad agire anche sui meccanismi dell’autoregolazione

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(Saavedra, 2005). Un contributo alla regolazione della compliance dei vasi cerebrali è dato, inoltre, dalla produzione di NO da parte di specifici siti cellulari. Il decremento dell’espressione di eNOS nella condizione di ipertensione sembra essere responsabile della diminuita capacità da parte dei vasi cerebrali di dilatarsi in risposta agli eventi ischemici e potrebbe anche influenzare il rimodellamento che si osserva nella condizione patologica (Chou et al., 1998). Il blocco farmacologico dei recettori AT1R aumenta i livelli di eNOS che possono stimolare la produzione di NO da parte delle cellule endoteliali portando ad un incremento nella risposta vasodilatatoria dei vasi cerebrali (Amin-Hanjani et al., 2001). Nei ratti geneticamente ipertesi, come conseguenza ad un miglioramento della compliance, si osserva un notevole decremento degli eventi di ischemia cerebrale (Saavedra, 2005).

Anche Ang (1-7), oltre ad avere effetti sulla regolazione sistemica della pressione, influenza diverse funzioni a livello cerebrale come la memoria, l’apprendimento, ed ha un ruolo neuroprotettivo contro gli eventi ischemici. Nel ratto, ad esempio, la somministrazione di Ang (1-7) incrementa i livelli di espressione di eNOS e conseguentemente incrementa la produzione di NO in caso di ischemia (Zhang et al., 2008).

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1.3 CIRCOLAZIONE CEREBRALE E SUA REGOLAZIONE

1.3.1 Anatomia

L’apporto di sangue arterioso al cervello avviene per mezzo di due paia di grandi arterie, le arterie carotidi interne, di destra e di sinistra, e le arterie vertebrali di destra e di sinistra, che sono contenute, insieme con i loro rami prossimali, all’interno dello spazio subaracnoideo alla base dell’encefalo.

Le arterie carotidi interne si originano dall’arteria carotide comune al di sotto dell’angolo mandibolare, penetrano nel cranio attraverso il forame carotideo, attraversano il seno cavernoso (dando origine, a questo livello, all’arteria oftalmica), passano attraverso la dura madre e si dividono nelle arterie cerebrali anteriore e media. I grandi rami superficiali dell’arteria cerebrale anteriore irrorano la corteccia e la sostanza bianca del lobo frontale inferiore, la superficie mediale dei lobi frontale e parietale e la parte anteriore del corpo calloso. I rami perforanti, compresa la cosiddetta arteria ricorrente di Heubner, sono più piccoli ed irrorano regioni telencefaliche e diencefaliche profonde, quali le strutture limbiche, la testa del nucleo caudato ed il braccio anteriore della capsula interna. I grandi rami superficiali dell’arteria cerebrale media irrorano la maggior parte della corteccia e della sostanze bianca della convessità degli emisferi, quali i lobi frontale, parietale, temporale e occipitale e l’insula. I rami perforanti (arterie lenticolo-striate) sono più piccoli ed irrorano le regioni più profonde della sostanza bianca e strutture diencefaliche, quali il braccio posteriore della capsula interna, il putamen, il segmento esterno del globus pallidus ed il corpo del nucleo caudato. L’arteria carotide interna, dopo la sua emergenza dal seno cavernoso, dà origine all’arteria carotide anteriore, che irrora la parte anteriore dell’ippocampo e, a livello più caudale, il braccio posteriore della capsula interna.

Le arterie vertebrali di destra e di sinistra si originano dalla corrispondente arteria succlavia e penetrano nel cranio attraverso il forame magno. Ciascuna di queste arterie dà origine all’arteria spinale anteriore e all’arteria cerebellare postero-inferiore. Dalla convergenza delle due arterie vertebrali, a livello della giunzione tra ponte e bulbo, si forma l’arteria basilare, che a livello del ponte dà origine all’arteria cerebellare antero-inferiore e all’arteria uditiva interna, ed a livello del mesencefalo all’arteria cerebellare superiore. L’arteria basilare si

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suddivide quindi nelle due arterie cerebrali posteriori, che irrorano la parte inferiore del lobo temporale, la parte mediale del lobo occipitale e la parte posteriore del corpo calloso. I rami perforanti più piccoli di questi vasi (arteria talamo-perforante e talamo-genicolata) irrorano strutture diencefaliche, come i nuclei talamici e subtalamici, ed una parte del mesencefalo (Figura 1.4).

Figura 1.4 Circolo arterioso cerebrale.

(tratta da: Anatomia del Gray, 1918)

L’interconnessione tra i vasi sanguigni (anastomosi) proteggono il sistema nervoso centrale in caso di blocco parziale dell’irrorazione vascolare cerebrale. Solo parte della circolazione cerebrale è dotata di anastomosi, così che gran parte del cervello è vascolarizzato da rami terminali. La principale anastomosi arteriosa cerebrale è rappresentata dal circolo di Willis: un anello anastomotico completo posizionato alla base del cervello. A livello del circolo di Willis le due arterie cerebrali anteriori sono interconnesse dall’arteria comunicante anteriore e le arterie cerebrali posteriori sono connesse alle arterie carotidi interne attraverso le arterie comunicanti posteriori. Dal circolo di Willis hanno origine tre paia di arterie principali: l’arteria cerebrale anteriore, l’arteria cerebrale media e l’arteria cerebrale posteriore; queste si dividono in arterie progressivamente più piccole e in arteriole, che corrono lungo la superficie prima di penetrare il tessuto cerebrale per apportare il sangue alle corrispondenti regioni della corteccia cerebrale.

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Le arteriole penetranti si posizionano nello spazio di Virchow-Robin, un insieme di canali perivascolari riempiti di liquido cerebrospinale, che è in continuo con lo spazio subaracnoideo. Le arteriole penetranti si approfondano nello strato corticale dando origine ai capillari e, a differenza delle arterie superficiali e delle arteriole piali, raramente danno origine ad anastomosi, perciò, controllano il flusso del sangue verso regioni distinte della corteccia. Una volta approfondate le arteriole penetranti diventano arteriole parenchimali, che come suggerisce il loro nome, sono localizzate nel parenchima cerebrale più esterno circondato dalle terminazioni degli astrociti e a sua volta danno origine ai capillari.

1.3.2 La circolazione cerebrale nel ratto

Nel ratto esiste un’architettura vascolare simile a quella dell’uomo; i rami microvascolari delle arteriole penetranti presentano una struttura esagonale che dalla superficie corticale si spinge nella sostanza grigia, riducendosi progressivamente di diametro. Le varie analogie tra il microcircolo cerebrale dell’uomo e quello del ratto permettono di utilizzare quest’ultimo come un valido modello di studio per l’analisi di processi fisiologici e patologici, che interessano il microcircolo cerebrale; in particolare, in questi animali è possibile valutare in

vivo le variazioni del flusso e del tono arteriolare dal quale dipende la perfusione

del network capillare.

Studi precedenti hanno permesso di caratterizzare la geometria del microcircolo piale del ratto (Lapi et al., 2007) classificando le arteriole in base al diametro, alla lunghezza ed al numero di ramificazioni secondo il metodo centripeto di Strahler (vedi Materiali e Metodi, paragrafo 3.5). Recentemente è stato caratterizzato e confrontato il microcircolo piale di ratti normotesi e ratti resi sperimentalmente ipertesi, sia a livello dell’area parietale sia di quella frontale.

Nel caso dei ratti normotesi il network arteriolare piale presenta 5 ordini di vasi a livello parietale (Figura 1.5A) e 4 ordini di vasi a livello frontale (Figura 1.5B).

Nei ratti resi sperimentalmente ipertesi il network arteriolare presenta 5 ordini di vasi a livello dell’area parietale (Figura 1.6A), mentre la situazione

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cambia nell’area frontale, dove sono stati osservati solo 3 ordini di vasi (Figura 1.6B).

Uno degli aspetti del microcircolo piale è la successione in serie o in parallelo dei vasi arteriolari e questo andamento può essere descritto dal rapporto tra i segmenti e gli elementi. Quando tale rapporto è uguale ad 1 si ha una completa simmetria nelle biforcazioni, mentre rapporti diversi da 1 indicano asimmetria (vedi Materiali e Metodi, paragrafo 3.5). Nei ratti normotesi, la maggiore simmetria è stata trovata nei vasi di ordine minore, sia nel caso dell’area parietale, sia di quella frontale. Nei ratti resi sperimentalmente ipertesi, a livello parietale le arteriole con maggiore simmetria erano quelle di ordine 4 ed 1, nell’area frontale invece erano le arteriole di ordine 2 ed 1 ad essere più simmetriche.

Figura 1.5 Esempio di microcircolo nell’area parietale (A) e frontale (B), in

un ratto normoteso.

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Figura 1.6 Esempio di microcircolo nell’area parietale (A) e frontale (B), in

un ratto reso sperimentalmente iperteso.

1.3.3 Regolazione della circolazione cerebrale

Il sistema nervoso centrale è particolarmente sensibile alle alterazioni dell’apporto ematico. Condizioni di anossia e di ischemia della durata di appena pochi secondi provocano l’insorgenza di manifestazioni neurologiche e se durano alcuni minuti causano lesioni cerebrali irreversibili.

La regolazione del circolo cerebrale ha come scopo quello di adattare il flusso ematico cerebrale alle necessità metaboliche del tessuto e quello di proteggere il cervello da insulti sistemici. In tale regolazione sono implicati principalmente tre meccanismi: l’autoregolazione cerebrale, l’accoppiamento flusso-metabolismo e la regolazione chimica. Inoltre, hanno un ruolo centrale nella regolazione del flusso cerebrale le cellule endoteliali e gli astrociti.

Il flusso ematico cerebrale globale è autoregolato, vale a dire che esso rimane costante negli individui sani nonostante le variazioni della pressione arteriosa media in un intervallo tra 60 -150 mmHg; per valori inferiori o superiori ai limiti di tale intervallo, il flusso sanguigno varia marcatamente insieme alla pressione di perfusione. Il meccanismo esatto che sta alla base dell’autoregolazione è ancora da chiarire, ma sono state avanzate delle teorie che si focalizzano sull’endotelio, i nervi ed il muscolo liscio vascolare. L’endotelio è una fonte dinamica di molte molecole vasoattive, ed è stato proposto che l’endotelio stesso possieda proprietà che gli permettono di contribuire all’autoregolazione cerebrale. I due principali

B A

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meccanismi che sono stati valutati sono lo shear stress (cioè la sollecitazione sulla parete dei vasi dovuta al flusso sanguigno) e la pressione transmurale. È stato visto, ad esempio, che un incremento nella velocità di flusso induce vasocostrizione indipendentemente dalla pressione transmurale (Edvinsson et al., 1993). Questa risposta è attenuata nei vasi sanguigni privi di endotelio. Sono state ipotizzate anche risposte da stiramento che si originano dalle cellule muscolari lisce. Originariamente formulata da Bayliss nel 1902 (Harder, 1987), la così detta “ipotesi miogenica” dell’autoregolazione cerebrale, è incentrata sulle proprietà meccano-recettive delle cellule muscolari lisce stesse. Il muscolo liscio dei vasi sanguigni reagisce allo stiramento del muscolo aprendo i canali ionici, che causano la depolarizzazione delle cellule, portando alla contrazione muscolare: ciò riduce significativamente il volume di sangue in grado di passare attraverso il lume, che a sua volta riduce il flusso di sangue attraverso il vaso sanguigno. Al contrario, quando la muscolatura liscia del vaso sanguigno si rilassa, i canali ionici si chiudono con conseguente vasodilatazione dei vasi sanguigni, questo aumenta la velocità di flusso attraverso il vaso. In questo modo il flusso sanguigno rimane costante.

Da molto tempo è noto che il flusso sanguigno cerebrale varia con il metabolismo cerebrale. Il così detto accoppiamento flusso-metabolismo, o iperemia funzionale, è, forse, il modello di regolazione del flusso sanguigno cerebrale clinicamente più rilevante. L’accoppiamento è un fenomeno locale ed è stato ipotizzato un ruolo dell’innervazione intrinseca o dell’accumulo nel liquido extracellulare di sostanze prodotte dall’attività neuronale. Tra queste sono stati indicati come potenziali candidati il potassio, gli idrogenioni, l’adenosina ed il lattato. Queste ultime sostanze agiscono con maggiore ritardo rispetto al potassio e diffondono a notevole distanza, per cui non potrebbero, agendo da sole, conferire al sistema l’alta risoluzione spaziale e temporale che lo caratterizza. Appare quindi particolarmente importante il ruolo che in questo caso giocano i neurotrasmettitori rilasciati da circuiti nervosi che innervano i vasi intraparenchimali, in particolare serotonina, noradrenalina, VIP, NPY, sostanza P. L’applicazione di tali sostanze ai vasi cerebrali esercita un’intensa azione vasomotoria. Un’altra possibilità è che la vasodilatazione legata all’attività neuronale sia mediata da variazioni della concentrazione di calcio nelle terminazioni astrocitarie a contatto con i vasi ematici: è stato ipotizzato che il

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glutammato liberato dalle sinapsi attive agisca su recettori specifici, determinando un aumento della concentrazione di calcio negli astrociti; questa indurrebbe a sua volta liberazione di sostanze vasoattive. Evidenze significative supportano la funzione di NO nell’accoppiamento flusso-metabolismo (Pelligrino et al., 1996), sebbene l’esatto pathway non è ancora completamente chiarito. Studi successivi di Lindauer e collaboratori (1999) hanno dimostrato che la risposta vasodilatatoria viene bloccata dalla somministrazione di inibitori per NO.

Un ulteriore tipo di regolazione del flusso ematico cerebrale è mediato dai gas e dal pH del sangue e del tessuto nervoso. Quando la CO2 del sangue arterioso

aumenta, le arteriole cerebrali si dilatano ed il flusso ematico cerebrale aumenta; in caso di ipocapnia si ha vasocostrizione e riduzione del flusso ematico cerebrale. Le variazioni della concentrazione ematica di O2 provocano risposte opposte ma

meno pronunciate. Il meccanismo che sta alla base di queste risposte non è stato ancora chiarito con certezza; la CO2, ad esempio, modificando il pH del liquido

extracellulare, per aumento della concentrazione di H+, è in grado di modificare la tensione del muscolo liscio dei vasi cerebrali. Comunque sia, queste risposte proteggono il sistema nervoso centrale aumentando l’apporto di ossigeno e lo smaltimento dei metaboliti acidi in caso di ipossia, ischemia e lesioni tissutali. Esse fanno anche sì che si possano instaurare variazioni istantanee del flusso ematico cerebrale regionale per soddisfare rapidamente l’esigenza di una maggiore disponibilità metabolica di ossigeno e glucosio in un’area piuttosto che in un’altra.

1.4 PREVENIRE O MIGLIORARE L’IPERTENSIONE

Il principale obiettivo del trattamento ipertensivo consiste nella riduzione della pressione arteriosa per abbattere il rischio di complicanze. Quando il quadro dell’ipertensione non è grave i valori pressori possono essere riportati entro il

range dei livelli fisiologici introducendo dei cambiamenti nello stile di vita:

moderato uso di alcool ed abolizione del fumo, una dieta ricca di fibre e potassio ma povera di sale e grassi saturi, comportamenti considerati punti cardine dalla dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), una dieta appositamente studiata per la cura dell’ipertensione, e la pratica dell’esercizio fisico.

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I semplici accorgimenti dietetici e comportamentali possono non essere sufficienti a mantenere i livelli di pressione arteriosa entro i limiti fisiologici, per cui il paziente iperteso deve seguire anche un percorso farmacologico che spesso si protrae per tutta la vita. I farmaci utilizzati nella terapia antipertensiva sono: diuretici, calcio-antagonisti, farmaci attivi sul sistema nervoso autonomo ed inibitori del sistema renina-angiotensina.

I diuretici agiscono come farmaci antipertensivi in quanto, incrementando il volume delle urine attraverso la riduzione del riassorbimento di sodio ed acqua a vari livelli del nefrone, riducono la volemia e la pressione sanguigna.

I farmaci calcio-antagonisti agiscono a livello della muscolatura liscia vasale e cardiaca diminuendo l'ingresso di ioni calcio nelle cellule. Si assiste, di conseguenza, ad un rilasciamento della muscolatura e ad una diminuzione delle resistenze periferiche; in questo modo, la pressione arteriosa diminuisce.

I farmaci attivi sul sistema nervoso autonomo vengono anche detti “simpaticolitici” in quanto vanno ad inibire la funzionalità del sistema nervoso simpatico. Essi possono agire a vari livelli ed i più conosciuti ed utilizzati sono i β-bloccanti. Questi ultimi sono in grado di antagonizzare i recettori di tipo β per l’adrenalina e la noradrenalina inibendo perciò la trasmissione adrenergica e noradrenergica. L’effetto antipertensivo di questa tipologia di farmaci si esplica a livello cardiaco, dove riducono la forza di contrazione e la frequenza cardiaca. Inoltre, i β-bloccanti influenzano anche la secrezione della renina andando ad inibirla. In questo modo questi farmaci interferiscono anche con il sistema renina-angiotensina, con riduzione della ritenzione idro-salina e conseguentemente del volume sanguigno e delle resistenze periferiche.

I farmaci antipertensivi che agiscono sul sistema renina-angiotensina si dividono in tre classi: gli antagonisti del recettore di Ang II (ARBs; Angiotensin

receptor blockers), gli ACE-inibitori e gli inibitori diretti della renina. Gli ARBs,

in particolare, sono altamente efficaci ed impiegati di routine nel trattamento dell’ipertensione. Essi inducono ipotensione attraverso l’inibizione dell’attività del recettore AT1R nel sistema vascolare e nel rene, inducendo, rispettivamente, vasodilatazione ed inibizione del riassorbimento di Na+. Se ARBs abbassano la pressione sanguigna, la secrezione di renina aumenta attraverso la stimolazione dei barocettori sistemici e renali. In più, ARBs incrementano direttamente i livelli di renina per mezzo dell’inibizione di AT1R sulle cellule dell’apparato

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juxta-22

glomerulare, che normalmente inibiscono la biosintesi ed il rilascio di renina. Questo meccanismo che limita la quantità di renina in circolo è definito meccanismo di feedback negativo a “short loop” per l’inibizione del rilascio di renina (Carey et al., 2003). La somministrazione di ARBs interrompe questo

loop, incrementando i livelli di renina circolanti e stimolando tutta la cascata di

RAS compreso l’aumento di Ang II e la formazione di Ang III. Poiché ARBs non bloccano i recettori AT2R, AngII/III, i cui livelli sono aumentati, ed altri peptidi attivi facenti parte di RAS, rimangono liberi di interagire con questi recettori. La quota maggiore di Ang II può essere resa poi disponibile per essere convertita in Ang (1-7). Numerosi studi hanno suggerito, inoltre, che l’abbassamento della pressione sanguigna ad opera dei bloccanti di AT1R è da attribuire, almeno in parte, alla concomitante attivazione dei recettori AT2R (Jones et al., 2011).

La terapia con farmaci antipertensivi, nonostante la sua efficacia nei pazienti, può presentare vari limiti di utilizzo: i costi, gli effetti collaterali, il fatto che frequentemente la terapia deve subire delle modifiche nel tempo combinando varie tipologie di farmaci ed il fatto che il paziente deve seguire strettamente la terapia oltre a dover condurre un adeguato stile di vita. È possibile, poi, che il paziente possa sviluppare una forma di ipertensione resistente ai farmaci. Negli ultimi anni, per questi motivi, si è cercato di sviluppare delle procedure in grado di ridurre la pressione arteriosa stabilmente, senza ricorrere ad un trattamento farmacologico. Un esempio di terapia alternativa non farmacologica è la stimolazione elettrica barocettoriale, che si basa su un principio simile a quello dei

pacemaker cardiaci: mediante un piccolo intervento chirurgico degli elettrodi

collegati ad un generatore vengono inseriti sottocute a livello del seno carotideo (Heusser et al. 2010). In questo modo si ha l’attivazione dei barocettori con conseguente induzione della vasodilatazione periferica e quindi diminuzione del regime pressorio. La tecnica ha dato buoni risultati, ma è una procedura invasiva di non facile applicabilità su larga scala; inoltre, un altro inconveniente degli stimolatori elettrici è la necessità, dopo un determinato periodo di tempo, di un nuovo intervento chirurgico per il cambio della batteria.

Un’altra metodica, ma invasiva, usata nel trattamento dell’ipertensione resistente ai farmaci è l’ablazione dell’arteria renale. Il principio su cui si basa è legato all’iperattivazione del sistema adrenergico che si riscontra nei soggetti ipertesi; in questi pazienti, infatti, l’ipertono simpatico induce una stimolazione

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delle fibre simpatiche renali conducendo alla vasocostrizione dell’arteria renale con conseguente riduzione del flusso ematico renale, aumento dell’attività del sistema renina angiotensina, ritenzione di sodio e vasocostrizione sistemica. Questo fenomeno può essere arginato effettuando una denervazione localizzata del simpatico renale mediante un catetere che emette radiofrequenza a bassa energia portando all’ablazione delle terminazioni nervose che verranno così disattivate ottenendo la riduzione della pressione arteriosa. I principali limiti di questa procedura sono i costi elevati e l’accettazione da parte del paziente di sottoporsi ad un intervento chirurgico.

È noto anche un altro trattamento non farmacologico, ma non invasivo, usato per la riduzione della pressione arteriosa, conosciuto come RESPeRATE. Esso è un dispositivo portatile elettronico che guida il paziente verso una respirazione lenta e profonda. La riduzione della frequenza respiratoria infatti, se avviene senza sforzo o particolare concentrazione, contribuisce all’abbassamento della pressione arteriosa, aumentando indirettamente la sensibilità barocettiva. Poiché questa respirazione terapeutica non è facile da attuare autonomamente, il sistema RESPeRATE genera una melodia personalizzata composta da un tono guida corrispondente alla fase di inspirazione e un tono guida corrispondente alla fase di espirazione. Il paziente sincronizza così il proprio respiro sui toni generati dal dispositivo ottenendo una diminuzione della pressione arteriosa (Sharma et al., 2011).

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