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Il principale obiettivo del trattamento ipertensivo consiste nella riduzione della pressione arteriosa per abbattere il rischio di complicanze. Quando il quadro dell’ipertensione non è grave i valori pressori possono essere riportati entro il

range dei livelli fisiologici introducendo dei cambiamenti nello stile di vita:

moderato uso di alcool ed abolizione del fumo, una dieta ricca di fibre e potassio ma povera di sale e grassi saturi, comportamenti considerati punti cardine dalla dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), una dieta appositamente studiata per la cura dell’ipertensione, e la pratica dell’esercizio fisico.

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I semplici accorgimenti dietetici e comportamentali possono non essere sufficienti a mantenere i livelli di pressione arteriosa entro i limiti fisiologici, per cui il paziente iperteso deve seguire anche un percorso farmacologico che spesso si protrae per tutta la vita. I farmaci utilizzati nella terapia antipertensiva sono: diuretici, calcio-antagonisti, farmaci attivi sul sistema nervoso autonomo ed inibitori del sistema renina-angiotensina.

I diuretici agiscono come farmaci antipertensivi in quanto, incrementando il volume delle urine attraverso la riduzione del riassorbimento di sodio ed acqua a vari livelli del nefrone, riducono la volemia e la pressione sanguigna.

I farmaci calcio-antagonisti agiscono a livello della muscolatura liscia vasale e cardiaca diminuendo l'ingresso di ioni calcio nelle cellule. Si assiste, di conseguenza, ad un rilasciamento della muscolatura e ad una diminuzione delle resistenze periferiche; in questo modo, la pressione arteriosa diminuisce.

I farmaci attivi sul sistema nervoso autonomo vengono anche detti “simpaticolitici” in quanto vanno ad inibire la funzionalità del sistema nervoso simpatico. Essi possono agire a vari livelli ed i più conosciuti ed utilizzati sono i β-bloccanti. Questi ultimi sono in grado di antagonizzare i recettori di tipo β per l’adrenalina e la noradrenalina inibendo perciò la trasmissione adrenergica e noradrenergica. L’effetto antipertensivo di questa tipologia di farmaci si esplica a livello cardiaco, dove riducono la forza di contrazione e la frequenza cardiaca. Inoltre, i β-bloccanti influenzano anche la secrezione della renina andando ad inibirla. In questo modo questi farmaci interferiscono anche con il sistema renina- angiotensina, con riduzione della ritenzione idro-salina e conseguentemente del volume sanguigno e delle resistenze periferiche.

I farmaci antipertensivi che agiscono sul sistema renina-angiotensina si dividono in tre classi: gli antagonisti del recettore di Ang II (ARBs; Angiotensin

receptor blockers), gli ACE-inibitori e gli inibitori diretti della renina. Gli ARBs,

in particolare, sono altamente efficaci ed impiegati di routine nel trattamento dell’ipertensione. Essi inducono ipotensione attraverso l’inibizione dell’attività del recettore AT1R nel sistema vascolare e nel rene, inducendo, rispettivamente, vasodilatazione ed inibizione del riassorbimento di Na+. Se ARBs abbassano la pressione sanguigna, la secrezione di renina aumenta attraverso la stimolazione dei barocettori sistemici e renali. In più, ARBs incrementano direttamente i livelli di renina per mezzo dell’inibizione di AT1R sulle cellule dell’apparato juxta-

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glomerulare, che normalmente inibiscono la biosintesi ed il rilascio di renina. Questo meccanismo che limita la quantità di renina in circolo è definito meccanismo di feedback negativo a “short loop” per l’inibizione del rilascio di renina (Carey et al., 2003). La somministrazione di ARBs interrompe questo

loop, incrementando i livelli di renina circolanti e stimolando tutta la cascata di

RAS compreso l’aumento di Ang II e la formazione di Ang III. Poiché ARBs non bloccano i recettori AT2R, AngII/III, i cui livelli sono aumentati, ed altri peptidi attivi facenti parte di RAS, rimangono liberi di interagire con questi recettori. La quota maggiore di Ang II può essere resa poi disponibile per essere convertita in Ang (1-7). Numerosi studi hanno suggerito, inoltre, che l’abbassamento della pressione sanguigna ad opera dei bloccanti di AT1R è da attribuire, almeno in parte, alla concomitante attivazione dei recettori AT2R (Jones et al., 2011).

La terapia con farmaci antipertensivi, nonostante la sua efficacia nei pazienti, può presentare vari limiti di utilizzo: i costi, gli effetti collaterali, il fatto che frequentemente la terapia deve subire delle modifiche nel tempo combinando varie tipologie di farmaci ed il fatto che il paziente deve seguire strettamente la terapia oltre a dover condurre un adeguato stile di vita. È possibile, poi, che il paziente possa sviluppare una forma di ipertensione resistente ai farmaci. Negli ultimi anni, per questi motivi, si è cercato di sviluppare delle procedure in grado di ridurre la pressione arteriosa stabilmente, senza ricorrere ad un trattamento farmacologico. Un esempio di terapia alternativa non farmacologica è la stimolazione elettrica barocettoriale, che si basa su un principio simile a quello dei

pacemaker cardiaci: mediante un piccolo intervento chirurgico degli elettrodi

collegati ad un generatore vengono inseriti sottocute a livello del seno carotideo (Heusser et al. 2010). In questo modo si ha l’attivazione dei barocettori con conseguente induzione della vasodilatazione periferica e quindi diminuzione del regime pressorio. La tecnica ha dato buoni risultati, ma è una procedura invasiva di non facile applicabilità su larga scala; inoltre, un altro inconveniente degli stimolatori elettrici è la necessità, dopo un determinato periodo di tempo, di un nuovo intervento chirurgico per il cambio della batteria.

Un’altra metodica, ma invasiva, usata nel trattamento dell’ipertensione resistente ai farmaci è l’ablazione dell’arteria renale. Il principio su cui si basa è legato all’iperattivazione del sistema adrenergico che si riscontra nei soggetti ipertesi; in questi pazienti, infatti, l’ipertono simpatico induce una stimolazione

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delle fibre simpatiche renali conducendo alla vasocostrizione dell’arteria renale con conseguente riduzione del flusso ematico renale, aumento dell’attività del sistema renina angiotensina, ritenzione di sodio e vasocostrizione sistemica. Questo fenomeno può essere arginato effettuando una denervazione localizzata del simpatico renale mediante un catetere che emette radiofrequenza a bassa energia portando all’ablazione delle terminazioni nervose che verranno così disattivate ottenendo la riduzione della pressione arteriosa. I principali limiti di questa procedura sono i costi elevati e l’accettazione da parte del paziente di sottoporsi ad un intervento chirurgico.

È noto anche un altro trattamento non farmacologico, ma non invasivo, usato per la riduzione della pressione arteriosa, conosciuto come RESPeRATE. Esso è un dispositivo portatile elettronico che guida il paziente verso una respirazione lenta e profonda. La riduzione della frequenza respiratoria infatti, se avviene senza sforzo o particolare concentrazione, contribuisce all’abbassamento della pressione arteriosa, aumentando indirettamente la sensibilità barocettiva. Poiché questa respirazione terapeutica non è facile da attuare autonomamente, il sistema RESPeRATE genera una melodia personalizzata composta da un tono guida corrispondente alla fase di inspirazione e un tono guida corrispondente alla fase di espirazione. Il paziente sincronizza così il proprio respiro sui toni generati dal dispositivo ottenendo una diminuzione della pressione arteriosa (Sharma et al., 2011).

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