• Non ci sono risultati.

2.4 Approccio semplificato secondo CNR

2.4.2 Effetti di instabilità sezionale

Elementi compressi irrigiditi

Se la sottigliezza b0/t non supera il valore limite, funzione del del

tipo di acciaio, espresso da:

max(b0/t) =

463 pfk/1.5

(2.98) risulta b = b0 senza alcuna penalizzazione geometrica. Se invece

viene superato il suddetto valore limite, la larghezza efficace b su- bisce una riduzione per il quale il suo rapporto con lo spessore t è dato da: b t = 690 pfk/1.5  1 − 152 pfk/1.5 b0/t  (2.99)

2. Elementi irrigiditi con un bordo collegato ad un’anima e l’altro in modo diverso, con rapporto 60 < b0/t ≤90.

Se la sottigliezza b0/t supera i rispettivi valori massimi definiti

al punto precedente, occorre determinare una larghezza efficace ridotta b0, mediante la formula generale:

b0 t = b t − 0.1  b0 t − 60  (2.100)

Affinché il generico irrigidimento di bordo possa ritenersi idoneo come elemento irrigidente del relativo elemento piano compresso, bisogna che siano soddisfatte due verifiche adimensionali.

Per la prima occorre che il momento d’inerzia minimo Jmin rispetto

al proprio asse baricentrico parallelo all’elemento compresso irrigidito soddisfi la relazione:

Jmin ≥ αt4 (2.101)

con α = 1.83 p(b0/t)2− (27400/fk) parametro adimensionale.

Per la seconda, quando l’irrigidimento è costituito da un bordo piega- to raccordato con l’elemento compresso, la sua dimensione totale a deve rispettare la limitazione:

a ≥ βt (2.102)

con β = 2.8p(b6

Elementi compressi non irrigiditi

Per questa tipologia di elementi compressi totalmente o parzialmente, l’eventuale penalizzazione è di carattere tensionale consistendo in una riduzione della tensione ammissibile di compressione σadm,c rispetto alla

σadm del materiale base.

Finché la sottigliezza b0/t è contenuta entro il valore limite, funzione

del tipo di acciaio:

max(b0/t) = 100/

p

fk (2.103)

risulta σadm,c = σadm senza alcuna riduzione.

Quando, invece, il rapporto b0/t supera detto valore massimo, la

tensione σadm,c subisce una progressiva riduzione in base alle seguenti

espressioni: • Se 100/√fk< b0/t ≤ 376/ √ fk si ha: σadm,c=  1.151 −151 105 p fk b0 t  fk 1.5 (2.104) • Se 376/√fk< b0/t <25 si ha: σadm,c = 54943/(b0/t)2 (2.105) • Se 25 ≤ b0/t ≤60si ha:

σadm,c = 54943/(b0/t)2 per sezioni con angolari (2.106)

σadm,c = 136 − 1.92(b0/t) per sezioni diverse (2.107)

2.4.3

Stabilità globale

Premessa propedeutica all’analisi dei fenomeni di instabilità che inte- ressano le membrature cold-formed, è la valutazione di una grandezza fon- damentale che caratterizza la sezione dei profili, il cosiddetto parametro Q.

Per un generico profilo a freddo, il parametro Q rappresenta l’influen- za del potenziale imbozzamento locale, tipico degli elementi sottili, sui fenomeni di instabilità globale che riguardano le membrature compresse,

inflesse e presso-inflesse. Esso tiene, cioè, conto degli effetti di penalizza- zione visti in precedenza; effetti tanto maggiori quanto minore risulta il valore di Q rispetto all’unità.

Si distinguono quattro casi possibili:

1. Sezioni composte unicamente da elementi irrigiditi.

Il parametro Q è espresso dal rapporto tra l’area efficace A e l’area geometrica A0 della sezione:

Q= A

A0

(2.108) 2. Sezioni composte da elementi non irrigiditi.

Il parametro Q è espresso dal rapporto tra la minima tensione ammissibile a compressione σadm,c,min, relativa all’elemento com-

presso di maggiore sottigliezza, e la tensione ammissibile σadm del

materiale base:

Q= σadm,c,min

σadm (2.109)

3. Sezioni composte da elementi irrigiditi e non irrigiditi. Il parametro Q è fornito dalla formula combinatoria:

Q= A1Q1+ A2Q2 A1+ A2

(2.110) in cui A1 indica la somma delle aree geometriche degli elementi

irrigiditi, esclusi i raccordi; A2 indica la somma delle aree geo-

metriche degli elementi non irrigiditi mentre Q1 e Q2 indicano

rispettivamente i parametri relativi ai punti 1 e 2. 4. Sezioni circolari cave.

Il parametro Q è espresso da:

Q= σadm,c σadm

(2.111) Aste compresse

Il criterio di verifica qui esposto si riferisce ad aste soggette ad insta- bilità puramente flessionale, esenti dal concorso di effetti flesso-torsionali.

La verifica può essere condotta con due procedimenti alternativi e perfettamente equivalenti:

• metodo diretto, basato sull’esplicita valutazione della tensione cri- tica;

• metodo indiretto (detto anche metodo ω), il quale, simulando una verifica di resistenza virtuale, operativamente comporta una più semplice e rapida applicazione.

Nell’ambito del metodo diretto, la verifica di sicurezza richiede che risulti:

σ ≤ σc/ν (2.112)

dove σ = N/A0 è la tensione di compressione nella sezione dovuta allo

sforzo assiale effettivo N; σc = Nc/A0 è la tensione critica reale che

provoca l’instabilità per inflessione laterale dell’asta nel piano di massima snellezza; ν = 1.5 è il coefficiente di sicurezza.

La determinazione di σcsi basa sulla seguente formulazione. Si intro-

duce un fattore adimensionale k, funzione di Q e dello spessore t:

per t < 3 mm k = 0.8Q (2.113) per t ≥ 3 mm k =    0.8Q se Q ≤ 0.5 1.2Q − 0.2 se Q > 0.5 (2.114)

Indicando con λ la snellezza dell’asta nel piano critico e con λc =

πpE/(kfk) la snellezza di proporzionalità, si definisce la snellezza rela-

tiva ¯λ:

¯

λ= λ

λc

(2.115) in funzione della quale si definisce l’espressione analitica della tensione critica: σc kfk = 1 + α p¯λ2− 0.04 + ¯λ2q 1 + αλ2− 0.04 + ¯λ22 − 4¯λ2 2¯λ2 (2.116) In questa relazione compare il coefficiente di imperfezione α che è pari a 0.384 per acciai comuni. L’espressione inoltre è valida per ¯λ > 0.2, mentre

per i valori della snellezza più bassi (aste tozze) si assume σc/(kfk) = 1

per tutti i tipi di acciai.

Nell’ambito invece del metodo indiretto, la stabilità dell’asta com- pressa viene assicurata attraverso una formale verifica di resistenza:

σ0 = ω N A0

≤ σadm (2.117)

in cui σ0 corrisponde ad una tensione fittizia che si suppone presente nella

sezione trasversale di area geometrica A0 per azione dello sforzo assiale

N maggiorato di un coefficiente adimensionale ω ≤ 1. Il coefficiente ω è espresso dal rapporto:

ω = fk σc

(2.118) essendo σc la tensione critica reale già definita.

Il calcolo di ω si effettua assai agevolmente, in funzione dei parametri fk, λ, Q e t, mediante l’uso di apposite tabelle numeriche disponibili per

ogni tipo di acciaio. Aste inflesse

Per la stabilità laterale delle travi inflesse, la verifica di sicurezza allo svergolamento si conduce secondo quanto esposto al paragrafo 7.3.2 delle CNR 10011 per i profilati a caldo purché vengano rispettate le seguenti condizioni:

• la larghezza efficace degli eventuali elementi compressi irrigiditi della sezione coincida con quella geometrica;

• la tensione ammissibile negli eventuali elementi compressi non irri- giditi della sezione sia pari a quella del materiale base.

Se tali condizioni non risultano soddisfatte, la verifica di stabilità la- terale andrebbe effettuata determinando il valore del momento critico sperimentalmente.

Capitolo 3

METODI DI ANALISI

NUMERICA

3.1

Introduzione

Negli ultimi anni l’applicazione di elementi e strutture sempre più snelle è diventata un’importante tendenza nell’industria dell’Ingegneria Civile. L’aspetto caratteristico si manifesta in un ampio uso di profili in acciaio formati a freddo (in inglese, cold-formed steel members, CFS), supportato da uno sviluppo della produzione tecnologica, così come da un miglioramento del metodo di progetto ed, in generale, della tecnica computazionale.

L’applicazione di elementi snelli, comunque, richiede un’appropriata gestione del fenomeno d’instabilità o di buckling, che risulta essere il fat- tore più importante nel calcolo della capacità di progetto di profili sottili. L’approccio classico per determinare questa capacità è calcolare la for- za (o la tensione) critica elastica, considerando poi, sia la degradazione causata da diversi tipi di imperfezione, sia l’effetto positivo delle riser- ve post-buckling. Le Normative moderne seguono essenzialmente questa logica, anche se a volte in modo indiretto. Comunque, ogni specifica di Normativa richiede il calcolo corretto del carico critico della membratura, dal momento che la resistenza di progetto dipende da esso. Evidentemen- te, non è solo cruciale il calcolo del carico critico, ma anche riconoscere il tipo di instabilità o "modo critico".

cheremo anche con la sigla CFS) soggetti a compressione e/o flessione, si distinguono tre instabilità di base: locale, distorsionale e globale. Queste tipologie d’instabilità danno luogo, molto frequentemente, ad interazioni l’una con l’altra e si distinguono dai cosiddetti modi puri indicati sopra. Ogni modalità possiede un proprio comportamento caratteristico post- buckling. Per esempio, l’instabilità locale può avere significative riserve post-critiche, almeno per quegli elementi sottili dove il comportamento è principalmente elastico. Anche l’instabilità distorsionale può avere ri- serve post-critiche ma considerevolmente minori rispetto a quella locale. L’instabilità globale, invece, non ha riserve post-critiche e la capacità del- la membratura è minore del carico critico elastico. Perciò, risulta molto importante classificare correttamente le varie forme d’instabilità al fine di ottenere una resistenza di progetto realistica.

Tra i metodi numerici, il Metodo agli Elementi Finiti (in inglese, Fi- nite Element Method, FEM) è probabilmente il metodo più conosciuto e generale. Il FEM è applicabile, praticamente, ad ogni elemento strut- turale con qualsiasi condizioni di carico e vincolo. Ciò nonostante, per ottenere una previsione accurata del comportamento di stabilità di una membratura CFS, sono richiesti un grande numero di elementi con com- portamento a piastra (detti elementi shell) e, di conseguenza, un grande numero di gradi di libertà (in inglese, degrees of freedom, DOF). Oggi il problema dell’elevato numero di DOF non implica necessariamente un tempo di computazione elevato, ma comporta un numero di modi insta- bili notevole, che il FEM non è in grado di distinguere automaticamente. Perciò è l’utente stesso che decide qualitativamente quali, dei modi calco- lati, appartengono alle tipologie di base (locale, distorsionale o globale). L’identificazione dei modi di buckling, nel FEM, è un processo piuttosto arduo e in parte arbitrario. L’appendice C di EN1993-1-5 fornisce alcune linee guida all’uso di FEM per stati limite ultimi, stati limite di servizio e verifiche di fatica di strutture piane.

Per ovviare ad alcuni degli inconvenienti di cui sopra, sono state svi- luppate soluzioni computazionali alternative sulle base di modelli nume- rici diversi da FEM, come ad esempio la Teoria della Trave Generaliz- zata (Generalized Beam Theory, GBT) e il Metodo della Striscia Finita (Finite Strip Method, FSM).

permette di considerare distorsioni della sezione trasversale. E’ applica- bile a diverse condizioni al bordo e conduce ad una soluzione abbastanza veloce, in termini di tempo di calcolo. I recenti sviluppi permettono di misurare la cosiddetta partecipazione modale, ovvero quanto le sin- gole tipologie d’instabilità contribuiscono ad una particolare deformata critica. Perciò gli sforzi critici associati con i modi puri, richiesti dalla varie Norme di progettazione, sono direttamente forniti attraverso questo metodo.

FSM è lo strumento usato più comune nel studiare il comportamento instabile di profili sottili. Rispetto al FEM, FSM impiega un numero molto ridotto di DOF e, quindi, raggiunge un’efficienza computazionale maggiore. Il prezzo di un così ridotto sforzo computazionale è la ridotta applicabilità: infatti, nella sua versione classica, questo metodo può es- sere impiegato solo su membrature prismatiche che presentano una certa regolarità nel loro sviluppo longitudinale e semplicemente appoggiate. Comunque il metodo consente la determinazione e la classificazione dei modi instabili e per tale motivo, risulta essere particolarmente efficiente in questo campo.

Documenti correlati