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Metodi numerici per l'analisi di stabilita' di profili di acciaio in parete sottile

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE ED INDUSTRIALE Corso di Laurea in Ingegneria Edile e delle Costruzioni Civili

Tesi di laurea magistrale

METODI NUMERICI PER L’ANALISI DI STABILIT `

A

DI PROFILI DI ACCIAIO IN PARETE SOTTILE

Candidato:

Matteo RADICCHI

Relatore:

Prof. Ing. Paolo S. VALVO

Correlatori:

Ing. Giovanni COSTA Ing. Leonardo BALOCCHI

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La tesi affronta lo studio della stabilità dell’equilibrio elastico di profi-li di acciaio in parete sottile. La stabiprofi-lità viene esaminata attraverso alcuni metodi numerici, quali il metodo agli elementi finiti (FEM), ad oggi diffuso enormemente nell’ambito della progettazione strutturale, ed il metodo della striscia finita (FSM), di recente sviluppo e alla base di formulazioni presenti nella Normativa americana. La tesi contiene una parte iniziale che ripercorre lo stato dell’arte sull’analisi di stabilità di questa tipologia di profili, sottolineando i principali aspetti delle varie tecniche di progettazione con riferimenti alle varie normative. Dopodi-ché, segue una illustrazione della base teorica dei vari metodi numerici fino ad arrivare all’analisi di un caso concreto di progettazione strut-turale, passando attraverso il confronto tra le diverse analisi. L’analisi numerica, a differenza dei metodi analitici, permette da un lato di otte-nere risultati sicuramente più vicini al comportamento reale di un profilo, se correttamente modellato, dall’altro di tener di conto di diversi aspetti che un calcolo manuale non è in grado di esaminare. I metodi analitici, più rapidi e meno onerosi dal punto di vista computazionale rimangono comunque utili per stime di massima e predimensionamento, oltre che per una validazione dei metodi numerici nei casi più semplici.

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Indice

1 STATO DELL’ARTE 1

1.1 Aspetti generali . . . 1

1.2 Sezioni in acciaio cold-formed . . . 3

1.2.1 Tipologie e forme . . . 3

1.2.2 Le tecniche di produzione . . . 4

1.2.3 Effetti della lavorazione a freddo . . . 6

1.3 Le difficoltà di progettazione per profili CFS . . . 9

1.3.1 Comportamento instabile . . . 9

1.3.2 Rigidezza torsionale . . . 11

1.3.3 Duttilità e plasticità . . . 11

1.3.4 Corrosione . . . 11

1.4 Principali applicazioni . . . 12

2 STABILITÀ DELLE MEMBRATURE 17 2.1 Il problema della stabilità dell’equilibrio . . . 17

2.1.1 Il carico critico euleriano . . . 19

2.1.2 Stabilità di elementi bidimensionali . . . 23

2.1.3 Fase post-buckling di lastre compresse . . . 27

2.2 Approccio normativo europeo EC3 . . . 30

2.2.1 Proprietà della sezione . . . 33

2.2.2 Effetti di instabilità locale . . . 35

2.2.3 Effetti di instabilità distorsionale . . . 39

2.2.4 Stabilità globale . . . 44

2.2.5 General Method . . . 49

2.3 Approccio normativo americano AISI . . . 50

2.3.1 Proprietà della sezione . . . 51

2.3.2 Direct Strenght Method . . . 52

(8)

2.4.1 Aspetti generali . . . 57

2.4.2 Effetti di instabilità sezionale . . . 57

2.4.3 Stabilità globale . . . 59

3 METODI DI ANALISI NUMERICA 63 3.1 Introduzione . . . 63

3.2 Instabilità di base . . . 65

3.2.1 Definizioni di base . . . 65

3.2.2 Definizioni sulla base della GBT . . . 66

3.3 The Finite Strip Method . . . 68

3.3.1 Notazione . . . 68

3.3.2 Trattazione classica . . . 69

3.3.3 Estensione per condizioni al bordo generiche . . . 76

3.4 The constrained Finite Strip Method . . . 79

3.4.1 Concetto di base . . . 79

3.4.2 Decomposizione modale . . . 80

3.4.3 Identificazione modale . . . 84

3.4.4 Basi, ortogonalizzazione e normalizzazione . . . . 85

3.4.5 Esempio illustrativo . . . 87

3.5 The Finite Element Method . . . 92

3.5.1 Identificazione modale utilizzando cFSM . . . 93

4 ANALISI E CONFRONTO TRA PROFILI SOTTILI 97 4.1 CUFSM: Curva di stabilità . . . 99

4.1.1 Geometria della sezione . . . 100

4.1.2 Definizione del carico . . . 102

4.1.3 Lunghezze e condizioni al bordo . . . 102

4.1.4 Analisi e post-processor . . . 104

4.1.5 Risultati . . . 106

4.2 CUFSM: Analisi di buckling con più termini longitudinali 123 4.2.1 Lunghezze e condizioni al bordo . . . 128

4.2.2 Analisi e post-processor . . . 130

4.2.3 Risultati . . . 130

4.3 Analisi FEM . . . 137

4.3.1 Definizione della geometria e degli elementi . . . . 138

4.3.2 Definizione dei vincoli . . . 139

(9)

4.3.4 Definizione delle proprietà . . . 141

4.3.5 Risoluzione del modello . . . 141

4.3.6 Fase post-processor . . . 142

4.3.7 Risultati . . . 142

4.3.8 Considerazione aggiuntive . . . 142

4.4 Confronto delle analisi . . . 153

5 APPLICAZIONI STRUTTURALI 163 5.1 Il caso studio . . . 163

5.2 Soluzione R00 . . . 167

5.2.1 Analisi FSM . . . 167

5.2.2 Verifica secondo AISI mediante DSM . . . 172

5.2.3 Analisi FEM . . . 173

5.2.4 Verifica secondo EC3 mediante General Method . 178 5.2.5 Verifica secondo EC3 mediante metodo analitico . 179 5.3 Soluzione R01 . . . 184

5.3.1 Analisi FSM . . . 184

5.3.2 Verifica secondo AISI mediante DSM . . . 186

5.3.3 Analisi FEM . . . 187

5.3.4 Verifica secondo EC3 mediante General Method . 188 5.3.5 Verifica secondo EC3 mediante metodo analitico . 188 5.4 Soluzione R02 . . . 190

5.4.1 Analisi FSM . . . 190

5.4.2 Verifica secondo AISI mediante DSM . . . 194

5.4.3 Analisi FEM . . . 194

5.4.4 Verifica secondo EC3 mediante General Method . 198 5.4.5 Verifica secondo EC3 mediante metodo analitico . 198 5.5 Confronto tra le diverse soluzioni . . . 201

6 CONCLUSIONI 203

A DEFORMATE CRITICHE 207

Bibliografia 221

(10)
(11)

Elenco delle tabelle

2.1 Fattore di imperfezione per differenti curve di instabilità 45 3.1 Classificazione dei modi instabili . . . 67 3.2 Partecipazione modale . . . 88 4.1 Caratteristiche geometrico-inerziali delle sezioni studiate 99 4.2 Moltiplicatori di carico della curva caratteristica di

stabi-lità per diversi profili in S-S (Nota: n.r=non rilevante). . . . 107

4.3 Risultati numerici da analisi FSM per profili a C in S-S, compressi e inflessi . . . 131 4.4 Risultati numerici da analisi FSM per profili a Omega in

S-S, compressi e inflessi . . . 132 4.5 Risultati numerici da analisi FEM per profili a C in S-S,

compressi e inflessi . . . 143 4.6 Risultati numerici da analisi FEM per profili a Omega in

S-S, compressi e inflessi . . . 144 4.7 Differenze percentuali tra FEM ed FSM per profili a C . 154 4.8 Differenze percentuali tra FEM ed FSM per profili ad Omega155 5.1 Risultati analisi FSM - Soluzione R00 . . . 169 5.2 Verifica secondo DSM - Soluzione R00 . . . 172 5.3 Risultati analisi FEM - Soluzione R00 . . . 175 5.4 Verifica secondo EC3 tramite GM - Soluzione R00 . . . . 179 5.5 Proprietà della sezione - Soluzione R00 . . . 181

5.6 Calcolo del Mcr secondo ENV1993-1-1 - Soluzione R00 . 183

5.7 Verifica secondo EC3 mediante metodo analitico - Solu-zione R00 . . . 183 5.8 Risultati analisi FSM - Soluzione R01 . . . 185 5.9 Verifica secondo DSM - Soluzione R01 . . . 186

(12)

5.10 Risultati analisi FEM - Soluzione R01 . . . 187

5.11 Verifica secondo EC3 tramite GM - Soluzione R01 . . . . 188

5.12 Proprietà della sezione - Soluzione R01 . . . 189

5.13 Calcolo del Mcr secondo ENV1993-1-1 - Soluzione R01 . 189 5.14 Verifica secondo EC3 mediante metodo analitico - Solu-zione R01 . . . 190

5.15 Risultati analisi FSM - Soluzione R02 . . . 191

5.16 Verifica secondo DSM - Soluzione R02 . . . 194

5.17 Risultati analisi FEM - Soluzione R02 . . . 195

5.18 Verifica secondo EC3 tramite GM - Soluzione R02 . . . . 195

5.19 Proprietà della sezione - Soluzione R02 . . . 199

5.20 Calcolo del Mcr secondo ENV1993-1-1 - Soluzione R02 . 199 5.21 Verifica secondo EC3 mediante metodo analitico - Solu-zione R02 . . . 201

(13)

Elenco delle figure

1.1 Prodotti lunghi . . . 3

1.2 Prodotti piani . . . 4

1.3 Sequenza di lavorazione di una sezione per rullatura . . . 5

1.4 Lavorazioni per pressopiegatura . . . 6

1.5 Tensioni residue in un prodotto piano laminato a freddo 7 1.6 Variazione delle caratteristiche meccaniche in seguito a lavorazione a freddo . . . 8

1.7 Differenza di comportamento tra profilo thick-walled (a) e profilo thin-walled (b) . . . 10

1.8 Applicazione come arcarecci . . . 12

1.9 Telaio in acciaio cold-formed . . . 13

1.10 Montanti in acciaio cold-formed . . . 14

1.11 Esempi di prefabbricazione . . . 15

1.12 Esempio di solaio in sistema misto acciaio-cls . . . 15

1.13 Travature reticolari con profili sottili . . . 16

1.14 Scaffalature di stoccaggio merce . . . 16

2.1 Equilibrio stabile, indifferente ed instabile . . . 18

2.2 Equilibrio stabile, indifferente ed instabile per un’asta com-pressa . . . 18

2.3 Asta in semplice appoggio caricata di punta . . . 19

2.4 Dominio di resistenza dell’elemento compresso . . . 22

2.5 Curva di stabilità per elemento con o senza imperfezioni 23 2.6 Azioni nel piano medio dell’elemento piastra . . . 24

2.7 Coefficiente d’instabilità per diverse condizioni al bordo 27 2.8 Distribuzione delle compressioni a collasso (a sinistra) e modello di calcolo (a destra) . . . 28

(14)

2.10 Profili sottili in flessione semplice . . . 31

2.11 Dimensioni nominali della sezione trasversale lorda . . . 33

2.12 Influenza degli spigoli arrotondati . . . 34

2.13 Larghezze efficaci secondo UNI EN 1993-1-5 . . . 37

2.14 Determinazione della rigidezza elastica . . . 40

2.15 Irrigidimenti di bordo . . . 41

2.16 Irrigidimenti intermedi . . . 44

2.17 Curva di stabilità per profili sagomati a freddo . . . 46

2.18 Nomenclatura AISI per la sezione trasversale . . . 51

2.19 Limiti di applicabilità dei metodi di progettazione AISI . 52 3.1 Sistema di coordinate e DOFs . . . 66

3.2 Notazione di una generica sezione trasversale aperta . . . 68

3.3 (a) Mesh FEM (b) Mesh FSM . . . 69

3.4 Discretizzazione, DOF, distribuzione di carico di una striscia 70 3.5 Analisi FSM di stabilità con condizioni al bordo S-S . . . 75

3.6 Analisi FSM di stabilità per modi di ordine superiore . . 77

3.7 Partecipazione dei termini longitudinali . . . 79

3.8 Effetto di εx = 0 sulle deformazioni a membrana . . . 83

3.9 Analisi cFSM per estremità semplicemente appoggiate . 89 3.10 Partecipazione modale per i modi di ordine superiore . . 90

3.11 Analisi per condizioni al bordo di tipo C-C . . . 91

3.12 Curva carico-spostamento per diversi metodi di analisi FEM 93 3.13 Trasformazione da FSM-DOF a FEM-DOF . . . 94

4.1 Tipologie di profili sottili analizzate . . . 98

4.2 Inserimento parametrici geometrici e meccanici della sezione100 4.3 Definizione dello stato di sforzo della sezione . . . 103

4.4 Definizione delle lunghezze e delle condizioni al bordo . . 104

4.5 Riassunto delle proprietà della sezione, CUFSM . . . 105

4.6 Fase post-analisi . . . 106

4.7 Curva caratteristica profilo 1A . . . 109

4.8 Curva caratteristica profilo 1B . . . 110

4.9 Curva caratteristica profilo 1C . . . 111

4.10 Curva caratteristica profilo 1D . . . 112

4.11 Curva caratteristica profilo 1E . . . 113

(15)

4.13 Curva caratteristica profilo 1G . . . 115

4.14 Curva caratteristica profilo 1H . . . 116

4.15 Curva caratteristica profilo 1I . . . 117

4.16 Curva caratteristica profilo 1L . . . 118

4.17 Curva caratteristica profilo 2A . . . 120

4.18 Curva caratteristica profilo 2B . . . 121

4.19 Curva caratteristica profilo 2C . . . 121

4.20 Curva caratteristica profilo 2D . . . 122

4.21 Curva caratteristica profilo 2E . . . 123

4.22 Curva caratteristica profilo 2F . . . 124

4.23 Curva caratteristica profilo 2G . . . 125

4.24 Curva caratteristica profilo 2H . . . 125

4.25 Curva caratteristica profilo 2I . . . 126

4.26 Curva caratteristica profilo 2L . . . 127

4.27 Definizione delle lunghezze e delle condizioni al bordo . . 128

4.28 Visualizzatore funzione di forma . . . 129

4.29 Numero di termini longitudinali suggeriti da CUFSM . . 130

4.30 Profilo 1A compresso . . . 133

4.31 Profilo 1A inflesso . . . 134

4.32 Profilo 2A compresso . . . 135

4.33 Profilo 2A inflesso . . . 136

4.34 Model Window, Straus7 . . . 137

4.35 Barra degli strumenti principale, Straus7 . . . 138

4.36 Sezione di estremità vincolata in semplice appoggio, Straus7139 4.37 Definizione dei carichi, Straus7 . . . 140

4.38 Definizione del materiale e spessori, Straus7 . . . 141

4.39 Forme modali FEM sezione 1A, L = 6000 mm . . . 145

4.40 Forme modali FEM sezione 1A, L = 1000 mm . . . 146

4.41 Forme modali FEM sezione 1A, L = 200 mm . . . 147

4.42 Forme modali FEM sezione 2A, L = 6000 mm . . . 148

4.43 Forme modali FEM sezione 2A, L = 1000 mm . . . 149

4.44 Forme modali FEM sezione 2A, L = 200 mm . . . 150

4.45 Forma modale sezione 2A in flessione con mesh più fitta, L.F = 1.733, L = 1000 mm . . . 151

4.46 Forma modale sezione 2A a momento negativo, L.F = −1.408, L = 1000 mm . . . 152

(16)

4.47 Confronto FSM-FEM, profilo 1A . . . 153

4.48 Confronto FSM-FEM, profilo 1B . . . 156

4.49 Confronto FSM-FEM, profilo 1C . . . 156

4.50 Confronto FSM-FEM, profilo 1D . . . 156

4.51 Confronto FSM-FEM, profilo 1E . . . 157

4.52 Confronto FSM-FEM, profilo 1F . . . 157

4.53 Confronto FSM-FEM, profilo 1G . . . 157

4.54 Confronto FSM-FEM, profilo 1H . . . 158

4.55 Confronto FSM-FEM, profilo 1I . . . 158

4.56 Confronto FSM-FEM, profilo 1L . . . 158

4.57 Confronto FSM-FEM, profilo 2A . . . 159

4.58 Confronto FSM-FEM, profilo 2B . . . 159

4.59 Confronto FSM-FEM, profilo 2C . . . 159

4.60 Confronto FSM-FEM, profilo 2D . . . 160

4.61 Confronto FSM-FEM, profilo 2E . . . 160

4.62 Confronto FSM-FEM, profilo 2F . . . 160

4.63 Confronto FSM-FEM, profilo 2G . . . 161

4.64 Confronto FSM-FEM, profilo 2H . . . 161

4.65 Confronto FSM-FEM, profilo 2I . . . 161

4.66 Confronto FSM-FEM, profilo 2L . . . 162

5.1 Pianta della copertura . . . 164

5.2 Inserimento dei vincoli della lamiera e pendinatura . . . 167

5.3 Deformata critica modo-1 in pressione, partecipazione ter-mini longitudinali ed identificazione modale, Soluzione R00 170 5.4 Deformata critica modo-1 in depressione, partecipazione termini longitudinali ed identificazione modale, Soluzione R00 . . . 171

5.5 Deformata critica modo-1 in depressione senza pendinatu-ra, partecipazione termini longitudinali ed identificazione modale, Soluzione R00 . . . 171

5.6 Inserimento dei carichi e vincoli nella modellazione FEM 175 5.7 Deformata critica modo-1 in pressione, Soluzione R00 . . 176

5.8 Deformata critica modo-1 in depressione, Soluzione R00 . 177 5.9 Deformata critica modo-1 in depressione senza pendinatu-ra, Soluzione R00 . . . 177

(17)

5.10 Deformata critica modo-1 in pressione senza vincolo di

lamiera e pendino, Soluzione R00 . . . 178

5.11 Calcolo del parametro zj . . . 181

5.12 Centro di taglio e baricentro per profilo a C . . . 182

5.13 Deformata critica modo-1 in pressione, partecipazione ter-mini longitudinali ed identificazione modale, Soluzione R01 185 5.14 Deformata critica modo-1 in depressione, partecipazione termini longitudinali ed identificazione modale, Soluzione R01 . . . 186

5.15 Deformata critica modo-1 in pressione, Soluzione R01 . . 187

5.16 Deformata critica modo-1 in depressione senza pendinatu-ra, Soluzione R01 . . . 188

5.17 Inserimento del vincolo della pendinatura, Soluzione R02 190 5.18 Deformata critica modo-1 in pressione, partecipazione ter-mini longitudinali ed identificazione modale, Soluzione R02 192 5.19 Deformata critica modo-1 in pressione senza vincoli inter-medi, partecipazione termini longitudinali ed identificazio-ne modale, Soluzioidentificazio-ne R02 . . . 192

5.20 Deformata critica modo-1 in depressione, partecipazione termini longitudinali ed identificazione modale, Soluzione R02 . . . 193

5.21 Deformata critica modo-1 in depressione senza pendinatu-ra, partecipazione termini longitudinali ed identificazione modale, Soluzione R02 . . . 193

5.22 Deformata critica modo-1 in pressione, Soluzione R02 . . 196

5.23 Deformata critica modo-1 in pressione senza vincoli inter-medi, Soluzione R02 . . . 196

5.24 Deformata critica modo-1 in depressione, Soluzione R02 . 197 5.25 Deformata critica modo-1 in depressione senza pendinatu-ra, Soluzione R02 . . . 197

5.26 Centro di taglio e baricentro di un profilo ad Omega . . . 198

A.1 Profilo 1D compresso . . . 208

A.2 Profilo 1D inflesso . . . 209

A.3 Forme modali FEM sezione 1D, L = 6000 mm . . . 210

(18)

A.5 Forme modali FEM sezione 1D, L = 1000 mm . . . 212

A.6 Forme modali FEM sezione 1D, L = 200 mm . . . 213

A.7 Profilo 2G compresso . . . 214

A.8 Profilo 2G inflesso . . . 215

A.9 Forme modali FEM sezione 2G, L = 6000 mm . . . 216

A.10 Forme modali FEM sezione 2G, L = 3000 mm . . . 217

A.11 Forme modali FEM sezione 2G, L = 1000 mm . . . 218

(19)

Capitolo 1

STATO DELL’ARTE

1.1

Aspetti generali

I prodotti in acciaio formati a freddo (cold-formed steel members, CFS) si trovano in molti ambiti della vita moderna. L’uso di questi pro-dotti è multiplo e molto vario: va dalla semplice lattina alla palificazione strutturale, dagli interruttori di una tastiera agli elementi che compon-gono la struttura principale di un edificio. Oggigiorno si produce una grande varietà di prodotti ampiamente diversi in forma e dimensione con il processo di formatura a freddo.

L’uso di profili in acciaio formati a freddo nelle costruzioni risale intor-no al 1850, in particolare negli Stati Uniti d’America e in Gran Bretagna. Tuttavia, un uso considerevole di tali elementi si è sviluppato intorno al 1950.

Negli ultimi anni, è stato riconosciuto che i profili sottili formati a freddo possono essere impiegati efficacemente come componenti primari strutturali. Infatti, dopo l’impiego per realizzare arcarecci e guardrails, la seconda applicazione per importanza risulta essere nello sviluppo degli edifici. Di fatto, troviamo profili CFS come componenti di pannelli di ri-vestimento ad uso industriale, come supporto per facciate continue, come componenti base per l’impiego di impalcati a sezione composta acciaio-calcestruzzo. I profili cold-formed sono molto efficienti sia in termini di rigidezza sia in termini di resistenza ed in aggiunta, a causa degli spessori molto ridotti, risultano essere particolarmente leggeri.

L’utilizzo di profili CFS è in aumento nel campo delle costruzioni grazie anche alla produzione più economica di acciaio in rotoli (coils)

(20)

ed, in particolare, nella forma rivestita con rivestimenti di zinco o di alluminio/zinco. Questi rotoli sono poi, successivamente, formati nelle sezioni sottili attraverso il processo di cold-forming.

In definitiva, questo sviluppo è dovuto, in misura determinante, alla importante prerogativa di consentire la realizzazione di strutture leggere, resistenti ed economiche, ma anche ad altri fattori quali:

• più agevole reperibilità commerciale e minor costo unitario rispetto ai profilati a caldo;

• progresso delle conoscenze teoriche e sperimentali sul comporta-mento statico di tali prodotti;

• formulazione di normative specifiche;

• moderni processi di fabbricazione in grado di ottimizzare insieme forma e dimensione dei profili.

La produzione di profili cold-formed si basa su attrezzature relativa-mente semplici rispetto agli imponenti e complessi impianti necessari per la laminazione a caldo e, perciò, consentono di ottenere un sagomario più versatile e meno rigido. In linea generale, pertanto, i profili a fred-do rappresentano un settore di profred-dotti alternativi e/o integrativi dei tradizionali profilati a caldo.

Negli USA, le Specifiche riguardo ai profili sottili formati a freddo dell’American Iron and Steel Institute (AISI) furono introdotte nel 1946 grazie ai numerosi studi dell’americano Winter poi, via via, perfeziona-te e aggiornaperfeziona-te andando a costituire la base e il riferimento per molperfeziona-te Normative di altre nazioni, tra cui quella Italiana (CNR 10022/84, [10]). Esse sono applicabili negli Stati Uniti, in Canada e Messico e forniscono i dettagli per la progettazione di elementi strutturali, connessioni e sistemi in acciaio formato a freddo ([7]).

In Europa, la Commissione Tecnica fornì le prime indicazioni su questi profili nel 1987 (ECCS). Nel 2006 questo documento fu ulteriormente sviluppato ed integrato nell’Eurocodice-3, come [3].

(21)

(a) Sezione aperta singola,

(b) Sezione aperta composta, (c) Sezione chiusa composta,

Figura 1.1: Prodotti lunghi, tratta da [12]

1.2

Sezioni in acciaio cold-formed

1.2.1

Tipologie e forme

I profilati in acciaio formati a freddo sono ricavati da nastri o da lamiere d’acciaio in rotoli, originariamente laminati a caldo o, più rara-mente, a freddo. Ad oggi, i prodotti strutturali formati a freddo possono essere classificati in due categorie principali:

1. Elementi monodimensionali di tipo "frame" (prodotti lunghi); • a sezione aperta singola;

• a sezione aperta composta; • a sezione chiusa composta; 2. Lamiere o pannelli (prodotti piani).

Le tipologie appartenenti al punto 1 sono rappresentate in Fig. 1.1. Sono elementi strutturali usati principalmente come travi, per carichi

(22)

Figura 1.2: Prodotti piani, tratta da [12]

relativamente bassi e piccole luci, come colonne o supporti verticali, come elementi di travature reticolari. In generale, la larghezza di queste sezioni copre un range che va dai 50 ai 400 mm, con spessori tra 1.5 e 8 mm.

La seconda categoria di sezioni cold-formed è invece mostrata in Fig. 1.2. Queste sezioni sono generalmente usate, ad esempio, per co-perture non praticabili (già predisposte con isolamento termico e imper-meabilizzazione) o per solai praticabili (in genere con soletta in calce-struzzo). Le lamiere coprono un range di spessori compresi fra 0.4 e 1.5 mm (Rif. [11]).

Al fine di incrementare la rigidezza delle sezioni, vengono utilizzati irrigidimenti sia di bordo che intermedi. Questi irrigidimenti hanno la forma di pieghe di estremità (singole o doppie) oppure di incavi a spigolo vivo arrotondato.

1.2.2

Le tecniche di produzione

I profili a freddo possono essere ottenuti con due processi operativi: • profilatura o rullatura a freddo;

• pressopiegatura.

La rullatura consiste nel far passare continuamente una striscia d’ac-ciaio attraverso una serie di rulli contrapposti deformando l’acd’ac-ciaio pla-sticamente fino ad ottenere la forma desiderata. Ogni coppia di rulli produce una quantità fissa di deformazione, come mostrato in Fig. 1.3.

(23)

Figura 1.3: Sequenza di lavorazione di una sezione per rullatura, tratta da [12]

In generale, più complessa è la forma della sezione, maggiori step sa-ranno richiesti per il raggiungimento della forma finale. Una limitazione significativa del metodo è il tempo che si impiega nel cambiare rulli di dimensioni diverse: a questo scopo spesso si utilizzano rulli regolabili che consentono di passare rapidamente da una dimensione all’altra. Questo processo viene particolarmente impiegato per la produzione "in conti-nuo" su scala industriale, specialmente nel campo delle lamiere grecate. L’elemento completo viene solitamente tagliato alle lunghezze richieste da uno strumento di taglio automatico, senza arrestare la macchina. I vantaggi principali della profilatura, rispetto ad altri metodi, sono l’e-levata capacità produttiva e l’abilità di mantenere finiture superficiali fini durante le operazione, cosa che risulta molto vantaggiosa quando si utilizzano acciai pre-rivestiti.

La pressopiegatura è il processo più semplice, in cui campioni di pic-cole lunghezze e di semplice geometria vengono prodotti da un foglio di materiale formando delle curve in punti specifici. Questo processo viene ampiamente utilizzato e consente di produrre una maggiore varietà di forme trasversali. In Fig. 1.4, una sezione viene formata da una striscia premendo tra stampi sagomati per dare origine alla forma voluta. Di

(24)

so-Figura 1.4: Lavorazioni per pressopiegatura, tratta da [13]

lito ogni curva è formata separatamente. Il procedimento presenta però delle limitazioni, sia per quanto riguarda la forma della sezione trasver-sale sia sulle lunghezze che possono essere prodotte. La pressopiegatura è normalmente limitata a tratti di lunghezza inferiore a circa 5 m e viene utilizzata per produzioni di basso volume, dove la profilatura avrebbe costi tali da non essere giustificabile (Rif. [11]-[12]).

1.2.3

Effetti della lavorazione a freddo

Il comportamento delle strutture in acciaio dipende, a volte anche si-gnificativamente, dalla presenza di imperfezioni. Queste vengono distin-te, a seconda della loro natura, in imperfezioni meccaniche e geometriche. Con il termine imperfezioni meccaniche si intendono sostanzialmente le tensioni residue e la non omogenea distribuzione delle caratteristiche meccaniche nella geometria della sezione trasversale. Le tensioni resi-due o autotensioni costituiscono uno stato tensionale auto-equilibrato strettamente legato ai processi di produzione dell’elemento ed associato a deformazioni plastiche non uniformi.

(25)

Figura 1.5: Tensioni residue in un prodotto piano laminato a freddo, tratta da [13]

Le proprietà meccaniche di sezioni in acciaio formate a freddo so-no, a volte, sostanzialmente differenti dall’acciaio impiegato prima della formatura.

Per i profili e le lamiere sagomate a freddo, nel caso della profila-tura, le fibre superficiali a contatto con i rulli tendono ad allungarsi mentre la zona centrale rimane indeformata. Nasce uno stato tensionale auto-equilibrato (Fig. 1.5) dovuto al fatto che la parte centrale contrasta l’allungamento di quelle esterne.

Mediante il processo di piegatura, invece, vengono alterate le carat-teristiche meccaniche del materiale in prossimità delle zone di piega. In queste si ha una deformazione plastica, ossia viene superata la soglia di snervamento con deformazioni permanenti, necessaria per conferire la forma voluta. Tale processo porta anche ad un aumento della tensione di rottura e quindi della resistenza, ma molto meno marcato. L’incremento della tensione di snervamento è funzione dell’incrudimento e del tipo di acciaio utilizzato per la laminazione a freddo. Al contrario, l’aumento della resistenza ultima è correlato al fenomeno dello strain aging ed è accompagnato da una diminuzione della duttilità. A titolo di esempio, nella Fig. 1.6, per un profilo a C irrigidito, sono riportati i valori della tensione di snervamento fy e della tensione di rottura ft vergine delle

componenti della sezione sagomata (Rif. [13]).

Le varie normative forniscono formule per valutare tali incrementi. In particolare l’Eurocodice afferma che la tensione di snervamento dopo formatura fya può essere valutata a partire dai valori della tensione di

(26)

Figura 1.6: Variazione delle caratteristiche meccaniche in seguito a lavorazione a freddo, tratta da [13]

nel modo seguente:

fya = fyb+ (fu − fyb)knt2 Ag (1.1a) fya ≤ fyb+ fu 2 (1.1b)

in cui il fattore k tiene conto del tipo di lavorazione; Ag rappresenta l’area

lorda della sezione trasversale; n numero di pieghe a 90° con raggio interno r ≤5tmentre t è lo spessore dell’elemento al netto dei rivestimenti prima della formatura. Maggiori dettagli sono forniti in [3].

D’altra parte si osserva che i profili laminati a caldo sono afflitti an-ch’essi da tensione residue, le quali si sviluppano in seguito al raffred-damento ad aria successivo al processo di laminazione. Questi sforzi sono perlopiù di tipo membranale, dipendono dalla forma delle sezioni ed hanno un’influenza significativa sull’instabilità.

Nel caso di profili a freddo, le tensioni residue sono principalmente di tipo flessionale e la loro influenza sull’instabilità risulta meno significa-tiva. Come visto, i profili sottili presentano tensioni residue distribuite attraverso lo spessore. All’interno di esso, la risultante di una tale di-stribuzione è nulla e perciò, il suo effetto sul comportamento globale del profilo può essere trascurato nella maggioranza dei casi. In conclusione, dal punto di vista degli sforzi residui, i profili sottili formati a freddo sono più accomodanti rispetto ai profili laminati a caldo.

(27)

(imperfezioni locali), quella longitudinale è sicuramente molto impor-tante. Consiste essenzialmente in una deviazione dell’asse dell’elemento rispetto alla sua forma idealmente rettilinea ed è dovuta ai processi di lavorazione. Come conseguenza si possono avere sia un’eccentricità del carico alle estremità, sia una curvatura iniziale dell’elemento che possono influire sulla sua capacità portante (Rif. [13]).

1.3

Le difficoltà di progettazione per profili

CFS

L’utilizzo di profili sottili e gli effetti della fabbricazione a freddo pos-sono comportare dei problemi nella progettazione che normalmente non si verificano quando si utilizzano profili laminati a caldo. Ci sono diversi fattori che influenzano il comportamento strutturale di questi profili; in seguito si cercherà di elencarli con maggiore dettaglio.

1.3.1

Comportamento instabile

Dal momento che le componenti singole dei profili formati a fred-do sono generalmente sottili rispetto alla loro larghezza, questi elementi possono instabilizzarsi per livelli di sforzo più bassi rispetto alla soglia di snervamento se soggetti a compressione, flessione o taglio.

I profili in acciaio possono essere soggetti a quattro diverse tipolo-gie d’instabilità, cioè locale, distorsionale, globale e altro (per taglio). L’instabilità locale è particolarmente presente nei profili CFS ed è carat-terizzata da una lunghezza d’onda della deformata critica relativamente corta. Il termine "globale" fa riferimento all’instabilità di Eulero (flessio-nale), a quella flesso-torsionale per le colonne e quella latero-torsionale delle travi. Quando si verifica, la sezione trasversale si comporta come un corpo rigido, ovvero senza distorsioni nella sezione trasversale.

L’instabilità distorsionale, come dice già il termine, è una forma in-stabile che dà luogo a distorsioni della sezione trasversale, con movi-menti relativi delle linee di piega. La lunghezza d’onda dell’instabilità distorsionale è generalmente compresa fra quella locale e quella globale. L’instabilità locale e quella distorsionale possono essere considerate come instabilità a livello di sezione e possono interagire l’un l’altra, così come

(28)

Figura 1.7: Differenza di comportamento tra profilo thick-walled (a) e profilo thin-walled (b), tratta da [12]

con quella globale. Una visione più dettagliata del problema verrà fornita nei capitoli successivi.

La Fig. 1.7 mostra la differenza tra due profili, uno in parete sottile e l’altro no. Osservando il comportamento (a), si può notare che essa ini-zia a discostarsi dalla curva elastica nel punto B, quando la prima fibra raggiunge la tensione di snervamento (Nel), per poi raggiungere la

mas-sima capacità portante nel punto C (Nu); dopodiché il carico diminuisce

gradualmente e la curva si avvicina asintoticamente alla curva teorica rigido-plastica.

Nel caso (b) invece, l’instabilità di sezione, cioè quella locale o distor-sionale, può verificarsi prima del raggiungimento della plasticità. L’in-stabilità di sezione è caratterizzata da un comportamento post-critico stabile e, perciò l’elemento non si rompe, ma perde significativamente in rigidezza. Lo snervamento inizia agli angoli della sezione trasversa-le prima che l’etrasversa-lemento si rompa, quando l’instabilità di sezione muta in un meccanismo di plasticità locale, quasi simultaneo con il verificarsi dell’instabilità globale (Rif. [12]).

(29)

1.3.2

Rigidezza torsionale

I profilati formati a freddo sono normalmente sottili e, di conseguenza, hanno una bassa rigidezza torsionale. Molte sezioni, inoltre, hanno un singolo asse di simmetria e il loro centro di taglio è spostato rispetto al baricentro della sezione. Poiché il centro di taglio di una trave è l’asse attraverso il quale deve essere caricata trasversalmente per produrre deformazioni flessionali senza torcersi, qualsiasi eccentricità del carico da questo asse produrrà generalmente notevole deformazione.

Di conseguenza, tali profili richiedono, comunemente, vincoli torsio-nali adeguati, sia continui in lunghezza sia a passi discreti, al fine di prevenire deformazioni eccessive. È, ad esempio il caso delle sezioni a C o Z per gli arcarecci, i quali possono soffrire di instabilità flesso-torsionale se non propriamente vincolati (Rif. [12]).

1.3.3

Duttilità e plasticità

Principalmente a causa dell’instabilità locale e distorsionale (le sezioni CFS sono spesso in classe 4) e a causa degli effetti della lavorazione a freddo, i profili di questo tipo possiedono una bassa duttilità e non sono generalmente ammessi nella progettazione plastica.

A causa della bassa duttilità, i profili CFS non sono in grado di dis-sipare energia nelle strutture resistenti al sisma. Tuttavia, questi profili possono essere usati nel campo antisismico perché portano benefici strut-turali dovuti al loro ridotto peso; comunque è permesso solo un calcolo elastico e non è possibile abbattere lo spettro di risposta (q = 1).

1.3.4

Corrosione

I principali fattori che governano la resistenza alla corrosione dei pro-fili CFS sono il tipo e lo spessore del trattamento protettivo applicato all’acciaio piuttosto che lo spessore del materiale base. L’acciaio formato a freddo ha il vantaggio che lo strato protettivo può essere applicato alla lamiera durante la produzione e prima della formatura del rotolo. Di conseguenza, la lamiera galvanizzata può essere fatta passare attraverso i rulli e non richiede ulteriori trattamenti.

(30)

Figura 1.8: Applicazione come arcarecci, tratta da [12]

I profili in acciaio sono tipicamente zincati a caldo con 275 g di zinco per m2 (Zn 275) corrispondenti ad uno strato di 20 µm per ciascun lato.

Lo strato di zincatura è sufficiente per proteggere i profili dalla corrosione nell’arco dell’intera vita di un edificio, se costruito nel modo corretto.

1.4

Principali applicazioni

Come accennato in precedenza, il sistema strutturale a parete sottile viene sempre più utilizzato nel mercato sia per edifici civili sia per quelli industriali, ed anche nel campo dell’adeguamento e rinforzo strutturale. Le più comuni applicazioni per i profili CFS vengono riassunte in seguito. Membrature per tetti e pareti

Tradizionalmente l’uso maggiore riguarda arcarecci oppure supporti per sostenere il rivestimento in edifici di tipo industriale. Questi sono generalmente a forza di Z (o sue varianti) che facilitano l’incorporazione di manicotti o sovrapposizioni per campate multiple. La Fig. 1.8 mostra un chiaro esempio.

(31)

Figura 1.9: Telaio in acciaio cold-formed, tratta dal sito Ace’s Builders, Inc.

Telai in acciaio

Un mercato in crescita per le sezioni CFS è costituito dai telai e pannelli assemblati in loco per pareti, tetti ed unità abitative indipen-denti. Questo approccio è molto utilizzato nel campo delle costruzioni industriali e commerciali leggere (Fig. 1.9).

Pareti divisorie

Una speciale applicazione è quella che riguarda le pareti divisorie; in questo campo d’applicazione vengono utilizzate sezioni molto leggere come montanti per pannelli in cartongesso (Fig. 1.10).

Pannelli di grandi dimensioni

I pannelli a parete possono essere costruiti in fabbrica e assembla-ti in unità abitaassembla-tive in loco. Questa applicazione è un estensione del-l’approccio usato per i telai in legno ed è chiamato wall stud system (Fig. 1.11).

(32)

Figura 1.10: Montanti in acciaio cold-formed, tratta dal sito Rondo

Elementi di impalcato

I profili sottili formati a freddo, in particolare le lamiere grecate, ven-gono utilizzate nella realizzazione di sistemi di impalcato in sistema misto acciaio-calcestruzzo. La Fig. 1.12 ne fornisce un esempio.

Travature reticolari

Esistono numerosi esempi di travature reticolari e tralicci che impie-gano profili sottili formati a freddo, e numerosi fornitori le producono. Un chiaro esempio è quello rappresentato in Fig. 1.13.

Scaffalature

I sistemi di scaffalature per stoccaggio delle merci in ambiente indu-striale sono realizzati con profili in acciaio formato a freddo. La maggior parte dei sistemi presenta degli attacchi speciali e giunti bullonati per un facile assemblaggio, come mostrato nella Fig. 1.14.

(33)

(a) Unità abitative prefabbricate,

(b) Sistema prefabbricato in acciaio cold-formed,

Figura 1.11: Esempi di prefabbricazione, tratta da [12]

Figura 1.12: Esempio di solaio in sistema misto acciaio-cls, tratta dal sito Tecnaria

(34)

Figura 1.13: Travature reticolari con profili sottili, tratta dal sito FDREngineers

(35)

Capitolo 2

STABILITÀ DELLE

MEMBRATURE

2.1

Il problema della stabilità dell’equilibrio

In questo capitolo si tratterà il concetto di stabilità di una struttura, ed in particolar modo quello che riguarda le travi compresse, in fenomeni globali, ed elementi piani, in fenomeni localizzati. Il problema dell’in-stabilità strutturale è stato ampiamente studiato dal Settecento in poi, a partire dai primi studi di Eulero, in quanto si è riconosciuto che una struttura può cedere o andare in crisi nella sua funzione a causa di que-sto fenomeno e non solo per il raggiungimento dei limiti di resistenza del materiale. Il problema è diventato via via più rilevante con lo sviluppo di materiali strutturali con elevato rapporto resistenza/peso e la realiz-zazione di strutture sempre più snelle. Ciò ha portato alla definizione di leggi teoriche che esprimono un carico limite, in termini di sforzo norma-le oppure di tensione, oltre il quanorma-le la configurazione di equilibrio della struttura diventa instabile e la struttura "preferisce" deformarsi secondo una differente.

Le configurazioni di equilibrio di una struttura possono evidenzia-re tevidenzia-re diffeevidenzia-renti "qualità" di equilibrio: stabile, instabile ed indiffeevidenzia-rente. Sappiamo che condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché la confi-gurazione assunta da un corpo soggetto a forze sia permanente, cioè non muti, è che tutte le forze agenti siano in equilibrio; questa condizione è anche sufficiente se l’equilibrio delle forze è stabile.

(36)

Figura 2.1: Equilibrio stabile, indifferente ed instabile

Figura 2.2: Equilibrio stabile, indifferente ed instabile per un’asta compressa

Se invece l’equilibrio è instabile, la configurazione è estremamente precaria, poiché basta la minima causa perturbatrice perché il sistema si allontani immediatamente da tale configurazione.

Nel caso limite in cui l’equilibrio sia indifferente, il sistema può rima-nere nella sua configurazione deformata o può indifferentemente passare ad altre configurazioni vicinissime alla prima e fermarsi in una qualunque di queste. La Fig. 2.1 mostra visivamente i concetti esposti.

Il modo classico per saggiare la qualità dell’equilibrio consiste nel-l’allontanare di pochissimo il sistema dalla sua configurazione mediante una causa perturbatrice estranea qualsiasi (campo di spostamento e/o velocità qualsiasi), e nel vedere se, al cessare di questa il sistema torna spontaneamente nella configurazione primitiva (o in un piccolo intorno di quest’ultima) o se si allontana maggiormente da essa. In particolare, se rimane nella nuova configurazione deformata, l’equilibrio è indifferen-te. Interessa specialmente decidere quand’è che l’equilibrio è indifferente perché questo è il caso limite che separa l’equilibrio stabile da quello instabile.

L’asta rettilinea compressa di Fig. 2.2 può essere considerata analo-gamente alla sfera a seconda del carico di compressione applicato: per valori del carico P < Pcr l’equilibrio è stabile e quindi, provando ad

in-flettere leggermente l’asta, questa tende a tornare nella configurazione rettilinea; nel caso in cui P = Pcr si realizza un equilibrio indifferente

(37)

do-Figura 2.3: Asta in semplice appoggio caricata di punta, tratta dal sito grengineer

ve sono possibili variazioni infinitesime dalla posizione iniziale rettilinea che rispettano l’equilibrio; infine per P > Pcr l’equilibrio è instabile e,

provando ad inflettere anche di poco l’asta, questa tende ad allontanarsi sempre di più dalla configurazione (rettilinea) di partenza.

2.1.1

Il carico critico euleriano

Per un generico elemento compresso, nell’ipotesi che non siano presen-ti imperfezioni geometriche e che il materiale abbia un comportamento di tipo elastico-lineare (un elemento con queste caratteristiche viene de-finito asta ideale o asta di Eulero), esiste un valore di carico, dede-finito carico critico elastico, Pcr, che attiva il fenomeno dell’instabilità globale

dell’elemento.

Si consideri a tal proposito, una trave semplicemente appoggiata nella quale si trascura sia la deformazione da taglio sia quella da sforzo nor-male (Fig. 2.3). Rimossa l’ipotesi di piccoli spostamenti, le equazioni di equilibrio devono essere verificate in corrispondenza della configurazio-ne deformata. Si conclude che la geconfigurazio-nerica sezioconfigurazio-ne della configurazioconfigurazio-ne deformata è sollecitata da una forza P diretta come la linea d’asse inde-formata e da un momento flettente M tale da equilibrare la coppia P v, essendo v = v(z) lo spostamento trasversale del baricentro della sezione.

(38)

La forza P inoltre, genera anche taglio e sforzo normale ma, come detto, esse possono essere trascurate nei loro effetti deformativi.

Essendo nota la relazione

M = −EJd 2v dz2 (2.1) è possibile scrivere: P v= −EJd 2v dz2 (2.2)

La quantità P v è detta momento instabilizzante dovuta alla forza esterna P, mentre la quantità a destra dell’uguale è detta momento stabilizzante e rappresenta un momento interno che tende a riportare la configurazione deformata verso quella fondamentale. Ponendo

α2 = P

EJ (2.3)

è possibile riscrivere l’Eq. (2.2) nella forma seguente: d2v

dz2 + α

2v = 0 (2.4)

L’Eq. (2.4) è un’equazione differenziale del secondo ordine che ammette la seguente soluzione generale:

v(z) = C1sin(αz) + C2cos(αz) (2.5)

Le costanti C1 e C2 vanno ricercate imponendo le condizioni al contorno.

Per l’esempio di trave appoggiata sono: v(0) = 0

v(l) = 0

che sostituite nella (2.5) permettono di ottenere (si esclude il caso banale di C1 = 0) C2 = 0 sin(αl) = 0 ⇒ α = nπ l ⇒ α 2 = n 2π2 l2 ⇒ P = n2π2EJ l2 (2.6)

(39)

con (n = 1, 2, . . . ).

Il carico critico della trave Pcr coincide con il più piccolo valore del

carico P che verifica la (2.6), ovvero: Pcr =

π2EJ

l2 (2.7)

detta Formula di Eulero. In generale, per condizioni al bordo generiche, è possibile scriverla in questo modo:

Pcr =

π2EJmin

L2 0

(2.8) dove L0 rappresenta la lunghezza di libera inflessione.

Il fenomeno dell’instabilità globale dell’elemento può essere di tipo: (i) flessionale; (ii) torsionale o (iii) flesso-torsionale. Il caso studiato di instabilità a carico di punta di Eulero è un tipico esempio di instabilità di tipo flessionale, nel quale l’asta sbanda nel piano di minor rigidezza flessionale. Nel caso di profili con un solo asse di simmetria, come accade spesso nei profili sottili formati a freddo, l’instabilità flesso-torsionale si manifesta prima di quella flessionale.

Dal punto di vista progettuale può essere a volte conveniente rifarsi, anziché al carico critico, alla tensione critica, σcr, definita sulla base

dell’Eq. (2.8), come: σcr = Ncr A = π22 L20 = π2E λ2 (2.9)

in cui A rappresenta l’area della sezione trasversale dell’asta, ρ il raggio giratore d’inerzia e λ = L0/ρ la snellezza dell’elemento. La snellezza λ

da considerare nelle verifiche è la massima tra quella nella direzione x e quella in direzione y.

Nell’elemento di area A, privo di imperfezioni e con la sola limitazione sulla resistenza del materiale (relativa al raggiungimento della tensione di snervamento fy), il carico critico non può mai risultare superiore alla

forza N che provoca la completa plasticizzazione della sezione (fyA).

L’associata curva di stabilità assume la forma riporta nella Fig. 2.4, in termini di relazione tensione σ - snellezza λ.

(40)

Figura 2.4: Dominio di resistenza dell’elemento compresso, tratta da [13]

in corrispondenza del livello di tensione fy individua un punto P , la cui

ascissa λp viene denominata snellezza di proporzionalità definita come:

λp = π

s E fy

(2.10) Il significato di tale snellezza è immediatamente collegabile alla modalità di crisi dell’elemento strutturale:

• se λ < λp la crisi avviene per raggiungimento della resistenza e

quindi per completa plasticizzazione della sezione (aste tozze); • se λ > λp si ha invece crisi per instabilità elastica dell’asta (aste

snelle);

• se λ = λp la crisi avviene per raggiungimento della resistenza e

contemporanea instabilità dell’asta.

In realtà, però, i profili che vengono impiegati nella corrente pratica co-struttiva di edifici ad uso civile e industriale, denominati aste industriali, sono sempre caratterizzati da un certo grado di imperfezione. Tali im-perfezioni, come già detto, influenzano la capacità portante dell’elemen-to. Il campo di separazione tra elementi che raggiungono la completa plasticizzazione e quelli in cui la capacità portante è influenzata dal fe-nomeno dell’instabilità, a causa delle imperfezioni di tipo sia geometrico sia meccanico, si riduce, in pratica, da λp a 0.2λp (Rif. [13]).

(41)

Figura 2.5: Curva di stabilità per elemento con o senza imperfezioni, tratta da [13]

2.1.2

Stabilità di elementi bidimensionali

L’approccio normativo per la verifica di profili in classe 4, come lo sono i profili sottili formati a freddo, può essere in parte legato alla teoria degli elementi bidimensionali, come piastre e lastre. Risulta importante quindi riprendere il concetto di stabilità legato ad elementi piani che non presentano più una dimensione prevalente sulle altre due, come accade ad esempio per le travi, ma al contrario hanno una dimensione (lo spessore) nettamente inferiore alle rimanenti due.

Ogni componente sottile della sezione trasversale dell’elemento (ali, anime o irrigidimenti di bordo) può essere vista come un elemento piano di lunghezza illimitata vincolata alle estremità laterali dalle componen-ti concomponen-tigue. Il riferimento teorico iniziale è coscomponen-tituito dalle piastre alle quali sono poi aggiunti i carichi nel piano medio dell’elemento stesso. In dettaglio, si assumono qui valide tutte le ipotesi della teoria delle piastre sottili di Navier, ad eccezione dell’ipotesi di piccoli spostamenti, e cioè:

• materiale elastico lineare, omogeneo e isotropo e privo di imperfe-zioni;

• spostamenti trasversali "moderati" rispetto allo spessore dell’ele-mento, cioè tali da essere tenuti in conto nella scrittura delle equa-zioni di equilibrio ma poter trascurare gli infinitesimi di ordine superiore (al secondo);

(42)

(a) Condizione di carico generica, (b) Compressione uniforme secon-do l’asse x,

Figura 2.6: Azioni nel piano medio dell’elemento piastra, tratta da [13] • ortogonalità tra il generico segmento normale al piano medio ed il piano medio stesso, anche nella configurazione deformata, trascu-rando così la deformazione da taglio;

• spessore t piccolo, rispetto alle dimensioni trasversali, e costante nell’elemento.

In un elemento piano di piccolo spessore caricato da azioni di com-pressione nel suo piano medio può manifestarsi il fenomeno dell’insta-bilità locale. Questa instadell’insta-bilità interessa le parti compresse della sezio-ne trasversale dell’elemento e si manifesta con semi-onde di ampiezza paragonabili alle dimensioni della sezione.

Con riferimento ad un elemento piano infinitesimo di dimensioni nel piano medio dx e dy e soggetto ad un carico q(x, y) normale al piano medio stesso, sfruttando le equazioni di congruenza, di legame costitutivo e di equilibrio, è possibile pervenire alla relazione che governa la risposta delle piastre, data da:

∂4w(x, y) ∂x4 + 2 ∂4w(x, y) ∂x2∂y2 + ∂4w(x, y) ∂y4 = q(x, y) D (2.11)

in cui w(x, y) è la funzione che descrive il campo di spostamenti norma-le al piano medio e D rappresenta la rigidezza fnorma-lessionanorma-le dell’enorma-lemento piano, definita come D = Et3/12(1 − ν2) con E modulo di elasticità del

materiale e ν coefficiente di Poisson.

Il problema dell’instabilità elastica, affrontato da De Saint Venant, prevede l’aggiunta al secondo membro dell’Eq. (2.11) dei contributi rela-tivi alle azioni contenute nel piano medio Nxx, Nyy e Nxy (Fig. 2.6a).

(43)

Considerando l’elemento infinitesimo di piastra ed estendendone le condizioni di carico, alla lastra, l’equazione (2.11) si arricchisce al secondo membro delle componenti di carico contenute nel piano medio e diventa:

∂4w(x, y) ∂x4 + 2 ∂4w(x, y) ∂x2∂y2 + ∂4w(x, y) ∂y4 = 1 D  q(x, y) − Nxx ∂2w(x, y) ∂x2 − − Nyy ∂2w(x, y) ∂y2 − 2Nxy ∂2w(x, y) ∂x∂y  (2.12)

L’Eq. (2.12) riferita alla generica condizione di carico nel caso di ele-mento rettangolare con lati di dimensioni finite a e b, di spessore t, ap-poggiato su tutti i bordi e uniformemente compresso secondo la direzione x(Fig. 2.6b) si riduce nella forma:

∂4w(x, y) ∂x4 + 2 ∂4w(x, y) ∂x2∂y2 + ∂4w(x, y) ∂y4 = − 1 D  Nxx ∂2w(x, y) ∂x2  (2.13) essendo Nyy = Nxy = Nyx = 0.

Si approssima il campo di spostamenti w(x, y) con una funziona biar-monica del tipo:

w(x, y) = A sinmπx a  sinnπy b  (2.14) con A che rappresenta la costante d’integrazione e m ed n due numeri interi. Sostituendo l’espressione del campo di spostamenti, opportuna-mente derivata nell’equazione (2.13) si ottiene:

 mπ a 4 + 2mπ a 2nπ b 2 +nπ b 4 w(x, y) = Nxx D mπ a 2 w(x, y) (2.15) Semplificando i termini comuni e raccogliendoli a fattore comune, si ha:  mπ a 2 +nπ b 22 = Nxx D mπ a 2 (2.16) É quindi possibile esplicitare il valore del carico assiale per unità di

(44)

lunghezza Nxx che soddisfa sempre l’Eq. (2.13), e che è dato da: Nxx = Da2 m2π2  mπ a 2 +nπ b 22 (2.17) Oltre alla soluzione banale, ottenibile per m = n = 0, ha interesse dal punto di vista ingegneristico, il valore più piccolo di Nxx indicato

di seguito come Ncr, carico critico elastico della lastra compressa per

unità di lunghezza. Questo si ottiene dall’Eq. (2.14) ponendo n = 1 ed annullando la derivata prima di Ncr rispetto a m, ossia:

∂Nxx ∂m = ∂Ncr ∂m = 2D π b2  mb a + a mb b a − a m2b  = 0 (2.18)

La condizione di minimo è individuata quando:

m= a

b (2.19)

Sostituendo il termine m ottenuto ed il valore unitario per n (n = 1) nell’Eq. (2.17), il termine Ncr vale:

Ncr = 4

Dπ2

b2 = 4

π2Et3

12(1 − ν2)b2 (2.20)

Dal punto di vista pratico viene spesso fatto riferimento alla tensione critica elastica, σcr, che è data dalla relazione:

σcr = Ncr t = 4 Dπ2 b2t = 4 π2E 12(1 − ν2)  t b 2 (2.21) Estendendo questa trattazione al caso di lastra compressa in modo non uniforme e con condizioni di vincolo laterale diverse da quella appena considerata, la tensione critica elastica è usualmente espressa come:

σcr = kσ π2E 12(1 − ν2)  t b 2 (2.22) dove il coefficiente d’imbozzamento kσ dipende dalle condizioni di vincolo

e dalla distribuzione di tensione, nonché dal rapporto a/b (Rif. [13]). Viene fatta un’ulteriore precisazione. Riprendendo l’equazione (2.17)

(45)

Figura 2.7: Coefficiente d’instabilità per diverse condizioni al bordo e ponendo n = 1 si ottiene: Nxx = π2Da2 m2  m2 a2  +1 b2 2 (2.23) Si definisce il coefficiente d’instabilità k come:

k =mb a + a mb 2 (2.24) che sostituito nella (2.23) porge:

Nxx = k

Dπ2

b2 (2.25)

Il problema si riduce a valutare il minimo coefficiente k che determina il più piccolo valore di Nxx, cioè il valore del carico critico Ncr. Spesso

si rappresenta in un grafico il valore di k al variare del rapporto a/b. Dalla Fig. 2.7 si può notare come, per condizioni di semplice appoggio (simple-simple, SS) su tutti i bordi, le curve per diversi m tendano al valore 4, come ricavato nell’Eq. (2.20).

2.1.3

Fase post-buckling di lastre compresse

La soluzione ottenuta al paragrafo precedente per lastre ideali porta ad un dimensionamento non sempre corretto e a sfavore di sicurezza

(46)

Figura 2.8: Distribuzione delle compressioni a collasso (a sinistra) e modello di calcolo (a destra), tratta da [13]

in quanto è ignorata la presenza delle imperfezioni, che influenzano il comportamento strutturale. Inoltre si ipotizza un modello costitutivo del materiale (elastico lineare) ben diverso da quello reale (elasto-plastico non lineare); in aggiunta, viene anche trascurata la presenza di riserve post-critiche, ovvero di una eventuale ridistribuzione delle tensioni all’interno della sezione causata dal superamento del limite elastico del materiale.

Il problema della previsione del comportamento di elementi lontani da un comportamento ideale venne affrontato dapprima da Von Kàrmàn che osservò, con riferimento a lastre compresse lungo una direzione, che il collasso strutturale non si manifesta per una tensione pari a σcr, ma

per un valore di tensione più elevato, soprattutto per piatti di media e alta snellezza.

Per la valutazione del carico di collasso, egli introdusse il concetto di larghezza equivalente o larghezza efficace (bef f). L’elemento piano di

larghezza b e spessore t soggetto a compressione uniforme secondo una direzione principale raggiunge la crisi con una distribuzione di tensioni non uniforme, qualitativamente simile a quella riportata nella Fig. 2.8, caratterizzata da valori massimi σmax in corrispondenza delle sezioni di

vincolo laterale e minimi nelle zone di maggiore distanza da queste, ap-prossimabile con una distribuzione costante di tensione di valore pari a σav.

La larghezza efficace bef f è la larghezza dell’elemento equivalente

ca-ratterizzato dal medesimo coefficiente d’imbozzamento del piatto in esa-me e che raggiunge la crisi per un valore di tensione pari a σmax.

(47)

tensione raggiungibile, bef f viene ricavata imponendo l’eguaglianza tra

le risultanti delle tensioni medie agenti su tutta la larghezza della la-stra industriale e quella delle tensioni massima nella sezione penalizzata, ossia: σavb = 2  σmax bef f 2  = fybef f (2.26)

Le regole di progetto fanno riferimento maggiormente al concetto di lar-ghezza efficace bef f piuttosto che a quello di tensione media σav, per una

maggiore praticità.

Con riferimento all’elemento fittizio di larghezza bef f, che simula la

lastra industriale in condizioni di crisi, si ha: σcr(bef f) = fy = kσ π2E 12(1 − ν2)  t bef f 2 (2.27) Riferendosi alla tensione critica elastica σcr(b), della lastra di larghezza

b (Eq. (2.22)), dividendo le due espressioni di σcr si ottiene:

bef f = b s σcr(b) fy = b s kσ π2E 12(1 − ν2)  t bef f 2 1 fy  (2.28) Sostituendo l’espressione della larghezza efficace nell’Eq. (2.26), è possi-bile esprimere la tensione media σav come:

σav =

q

σcr(b)fy (2.29)

È possibile anche definire la snellezza relativa del piatto ¯λp, da un

punto di vista concettuale molto importante, attraverso l’espressione: ¯ λp = b bef f = s fy σcr(b) = b t s 12(1 − ν2) π2Ek σ fy = 1.052 b t r fy Ekσ (2.30)

Sostituendo i valori numerici di E e ν ed introducendo il termine ε = p235/fy, l’espressione precedente può essere approssimata come:

¯ λp =

b/t 28.4 ε√kσ

(2.31) Utilizzando l’approccio elastico, il valore limite della tensione è rap-presentato dalla tensione critica elastica, che rapportata a quella di

(48)

sner-vamento, porta alla seguente relazione: σcr(b) fy = ¯1 λ2 p (2.32) Riferendosi alla formulazione di Von Kàrmàn, la tensione limite è rap-presentata dalla tensione media che provoca il collasso della lastra indu-striale, ed è espressa dalla relazione:

σav

fy

= ¯1 λp

(2.33) L’approccio proposto da Von Kàrmàn, pur essendo più raffinato, è basato sulla lastra priva di imperfezioni, difetti che modificano sensibil-mente la risposta strutturale soprattutto in ambito post-critico. Sulla ba-se di indagini sperimentali condotte presso la Cornell University (USA) da Winter, venne proposta una formula per la valutazione più accurata della larghezza efficace della lastra industriale:

bef f b = σ fy =1 −0.22¯ λp  1 ¯ λp se ¯λp >0.673 (2.34a) bef f b = σ fy se ¯λp <0.673 (2.34b)

Quando ¯λp <0.673 non si ha penalizzazione della sezione

trasversa-le per effetto dell’instabilità locatrasversa-le e pertanto la componente in esame risulta essere perfettamente reagente.

Per elementi uniformemente compressi, gli approcci lineari, e non lineari di Von Kàrmàn e Winter, danno le curve di stabilità riportate nella figura 2.9 (Rif. [13]-[11]). Per alcune forme particolari della sezione, si può manifestare anche l’instabilità distorsionale, la cui trattazione analitica richiederebbe una procedura piuttosto complicata. Nei successivi capitoli la si affronterà tramite metodi di analisi numerica.

2.2

Approccio normativo europeo EC3

UNI EN1993-1-3 rappresenta la norma europea unificata per la pro-gettazione di profili sottili in acciaio formati a freddo. Essa fornisce le regole supplementari per le applicazioni strutturali nelle quali vengono

(49)

Figura 2.9: Curve di stabilità per lastre compresse, tratta da [11]

Figura 2.10: Profili sottili in flessione semplice, tratta da [16]

utilizzati prodotti di acciaio formati a freddo ottenuti da lamiere o nastri sottili, rivestiti o non, provenienti da laminazione a caldo o a freddo.

Come già visto in altri paragrafi, il comportamento di profili sottili formati a freddo sotto sforzi di compressione risulta caratterizzato dall’in-sidia dei fenomeni di instabilità, ed in particolare d’instabilità locale che può manifestarsi in quegli elementi piani del profilo (ala, anima, ecc.) soggetti a tensioni di compressione, uniformi o variabili. Si evidenzia cioè quella tipica vulnerabilità all’imbozzamento che penalizza la capaci-tà portante dei profili in parete sottile, come già evidenziato al paragrafo 2.

Al fine di introdurre specifiche definizioni che saranno utili nel com-prendere successivi argomenti, si prenda in esame il comportamento di due profili tipici, l’uno con sezione ad Ω e l’altro con sezione a C, consi-derati entrambi come membrature inflesse soggette a momento positivo,

(50)

quindi con l’ala superiore uniformemente compressa (Fig. 2.10).

Nel profilo Ω si rileva che l’elemento piano compresso costituito dal-l’ala superiore, raggiunta la tensione critica, tende ad instabilizzarsi con deformazioni locali concentrate nella zona centrale dell’elemento, ossia la più distante dai bordi che risultano connessi alle due anime verticali. Queste anime fungono quindi da vincoli irrigidenti per l’ala compressa che può quindi definirsi come elemento irrigidito interno.

Nel profilo C si osserva un analogo fenomeno critico nell’ala superiore compressa, ma con deformazioni concentrate verso il bordo libero dell’e-lemento, cioè nella zona più distante dall’altro bordo che risulta connesso con l’unica anima del profilo. In questo caso, allora, l’ala compressa viene definita come elemento non irrigidito sporgente.

Da tali esempi si possono dunque dedurre le seguenti definizioni ge-nerali (Rif. [16]):

• Elemento irrigidente: ogni componente (ala, anima, piega, incavo, ecc.) disposto ai bordi o in punti intermedi di un elemento piano compresso, in grado di svolgere efficacemente la funzione di vincolo irrigidente;

• Elemento compresso irrigidito: elemento piano nel quale entrambi i bordi paralleli alla direzione dello sforzo di compressione sono provvisti di elementi irrigidenti;

• Elemento compresso non irrigidito: elemento piano dotato di un so-lo bordo, paralleso-lo alla direzione delso-lo sforzo, provvisto di elemento irrigidente;

• Elemento compresso pluri-irrigidito: elemento piano nel quale, ol-tre che in corrispondenza dei bordi paralleli allo sforzo, sono presen-ti anche elemenpresen-ti irrigidenpresen-ti intermedi (le lamiere grecate ne sono un esempio tipico).

L’attuale Normativa europea di settore adotta la metodologia della larghezza efficaceutilizzando conseguentemente caratteristiche geometrico-inerziali ridotte della sezione per le verifiche statiche del profilo, ma man-tenendo inalterata la resistenza limite del materiale. La procedura im-piegata risulta razionale ed omogenea ma al tempo stesso abbastanza la-boriosa, al punto da richiedere, per gran parte delle applicazioni, a fronte

(51)

Figura 2.11: Dimensioni nominali della sezione trasversale lorda, tratta da [12]

di calcoli pesanti di tipo iterativo, l’inevitabile ricorso ad elaborazioni computerizzate con appositi software.

2.2.1

Proprietà della sezione

Le proprietà della sezione trasversale lorda devono essere determinate utilizzando specifiche dimensioni nominali delle pareti e irrigidimenti che compongono la sezione stessa (vedi Fig. 2.11).

La generica sezione trasversale è composta da elementi piani collega-ti tra loro con tratcollega-ti curvilinei di raccordo. Un aspetto molto delicato ed importante associato alla fase progettuale è costituito dalla determi-nazione delle caratteristiche geometriche, resa non immediata appunto dalla presenza di componenti curvilinee di raccordo tra i lati.

Di seguito ci si riferisce alla prescrizioni riportate in [3], applicabili a componenti che soddisfano opportune limitazioni dimensionali, in termini di rapporto larghezza/spessore. Nella stessa norma si trovano indicazioni anche per gli irrigidimenti di bordo, che possono essere a singola piega, di lunghezza c, oppure a doppia piega, di lunghezze c e d. Per queste componenti devono, in aggiunta, essere soddisfatte le seguenti condizioni:

(52)

Figura 2.12: Influenza degli spigoli arrotondati, tratta da [12]

0.2 ≤ c

b ≤ 0.6 (2.35a)

0.1 ≤ d

b ≤ 0.3 (2.35b)

al fine di fornire sufficiente rigidezza agli elementi piani da irrigidire e per evitare la relativa stabilità.

Nel caso di profili sagomati a freddo, le normative di prodotto im-pongono anche un valore minimo del raggio di piega interno, al fine di evitare fessure già nel processo di lavorazione, in funzione dello spessore. Maggiori indicazioni sono fornite nella norma UNI EN 10162 "Profilati di acciaio laminati a freddo – Condizioni tecniche di fornitura – Tolleranze dimensionali e sulla sezione trasversale.

A causa della presenza di spigoli arrotondati, la determinazione delle caratteristiche geometriche lorde della sezione trasversale viene basato sulle larghezze ideali bp degli elementi piani riferite alla linea media nello

spessore. Queste sono misurate a partire dai punti medi degli elementi di raccordo, sottraendo il contributo gr (Fig. 2.12), espresso in funzione

dell’angolo di piega φ come: gr =  r+ t 2  h tan φ 2 − sin φ 2 i (2.36) Di conseguenza, la lunghezza ideale di calcolo bp, per esempio per un

elemento irrigidito interno, risulta essere:

(53)

Per raccordi avente un raggio di curvatura interno r ≤ 5 t e r ≤ 0.10 bp

può essere trascurata la loro influenza sulle proprietà della sezione e si può assumere la sezione trasversale come formata da elementi piani (di lunghezza bp = b − t) a spigoli vivi. Quando, però, il raggio di raccordo

non rientra nei limiti specificati, l’influenza dell’arrotondamento degli spigoli deve essere tenuta in conto.

Ciò può essere eseguito con sufficiente approssimazione considerando ancora la sezione a spigoli vivi ma operando con riferimento a caratteri-stiche geometrico-inerziali ridotte nella misura seguente:

Ag = Ag,sh(1 − δ)

Jg = Jg,sh(1 − 2δ) (2.38)

Jw = Jw,sh(1 − 4δ)

in cui Ag,sh, Jg,sh e Jw,sh rappresentano rispettivamente area, momento

d’inerzia e costante d’ingobbamento della sezione lorda a spigoli vivi ed il termine δ è un fattore correttivo definito come:

δ= 0.43 Pn j=1rj φj 90◦ Pm i=1bp,i (2.39) in cui m rappresenta il numero di elementi piani della sezione trasversale a spigoli vivi, mentre n quello dei raccordi circolari di raggio rj e φj

l’angolo sotteso in gradi sessagesimali.

2.2.2

Effetti di instabilità locale

Gli effetti dell’instabilità locale e distorsionale devono essere tenuti in debito conto nella determinazione della resistenza e della rigidezza delle membrature.

Le proprietà efficaci delle sezioni trasversali dei profili sottili sono ba-sate sulle larghezze efficaci degli elementi piani componenti, compressi totalmente (ali) o parzialmente (anime) potenzialmente soggetti a feno-meni di instabilità locale da analizzare in base alla teoria della stabilità delle lastre compresse (par. 2.1.2), applicata dalle Norme contenute in EC3 ([4]).

(54)

La sezione di un profilo ottenuta da quella geometrica sostituendo agli elementi compressi le parti di essi con "larghezza efficace", viene definita sezione efficace ed è funzione del tipo di sollecitazione agente nei singoli elementi componenti.

Come primo passo si richiede, per ogni componente piana della sezio-ne, la determinazione della sua snellezza relativa ¯λp mediante la formula

(2.31). Il coefficiente di imbozzamento kσ viene ricavato in funzione delle

condizioni geometriche di vincolo all’estremità dell’elemento e dello stato tensionale rappresentato dal rapporto ψ = σ2/σ1, che rappresenta il

rap-porto tra la massima tensione di compressione e quella all’altro estremo dell’elemento. I diversi casi possibili vengono ripresi in Fig. 2.13.

La larghezza efficace degli elementi compressi dipende dal valore del coefficiente ρ utilizzato per la definizione di bef f:

bef f = ρ bp (2.40)

In relazione alle condizioni di vincolo, il calcolo di ρ si effettua distin-guendo due casi:

• per elementi irrigiditi interni, ossia vincolati su entrambi i bordi:

ρ= 1 per ¯λp ≤ 0.5 +p0.085 − 0.055 ψ (2.41a) ρ= λ¯p− 0.055(3 + ψ)¯ λ2 p (≤ 1) per ¯λp >0.5 +p0.085 − 0.055 ψ (2.41b) • per elementi non irrigiditi sporgenti, ossia con un solo bordo

vin-colato e l’altro estremo libero:

ρ= 1 per ¯λp ≤ 0.748 (2.42a)

ρ= λ¯p− 0.188¯ λ2

p

(≤ 1) per ¯λp >0.748 (2.42b)

La distribuzione di tensione sulla sezione trasversale e quindi sulle componenti piane governa la penalizzazione della sezione stessa e le for-mule presentate in normativa per le verifiche di profili in classe 4 sono basate sulla determinazione dell’area efficace Aef f e dei moduli di

(55)

(a) Larghezza efficace per componenti irrigidite interne,

(b) Larghezza efficace per componenti non irrigidite di bordo,

(56)

gli assi principali della sezione). Queste grandezze geometriche possono essere determinate con riferimento alla situazione limite in cui è raggiunto il valore massimo di tensione ammesso per la classe di acciaio del profilo, dato dalla tensione di snervamento opportunamente ridotta (fyb/γM 0).

In alternativa, è possibile fare riferimento allo stato tensionale ge-nerato dalle azioni interne effettivamente agenti e pertanto riferirsi alla distribuzione delle tensioni associate alla condizione di carico in esame. Indicando con σcom,Ed il massimo valore della tensione di compressione,

quando σcom,Ed < fyd , il coefficiente ρ può essere determinato sulla

ba-se delle equazioni (2.41) e (2.42) sostituendo a ¯λp la snellezza relativa

ridotta ¯λp,red definita come:

¯ λp,red = ¯λp rσ com,Ed fyb/γM 0 (2.43) L’Appendice E di UNI EN 1993-1-5 fornisce anche una procedura alternativa al metodo sopra descritto per determinare la sezione efficace quando il livello di tensione è inferiore alla tensione di snervamento; in particolare:

• per elementi irrigiditi interni: ρ= 1 − 0.55(3 + ψ)/¯¯ λp,red

λp,red

+ 0.18(¯λp− ¯λp,red) (¯λp− 0.6)

(2.44) • per elementi non irrigiditi sporgenti:

ρ= 1 − 0.188/¯¯ λp,red λp,red

+ 0.18(¯λp− ¯λp,red) (¯λp− 0.6)

(2.45) La formulazione sviluppata si applica concretamente ad una generica sezione trasversale con la seguente procedura operativa (Rif. [13]):

1. nella determinazione della larghezza efficace di un elemento ala, il rapporto tra le tensioni ψ si ricava in base alle proprietà iniziali della sezione trasversale lorda;

2. nella determinazione della larghezza efficace di un elemento anima, il coefficiente ψ si valuta in base all’area efficace dell’ala compressa, previamente definita, associata all’area lorda dell’anima;

Riferimenti

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