3. I rimedi
3.2 Gli effetti restitutori
In conseguenza della dichiarazione di nullità, per il cliente che abbia deciso di farla valere, riveste particolare importanza la disciplina degli effetti derivanti dal contratto nullo. Al riguardo, in applicazione delle regole generali, si deve ritenere che la nullità abbia effetto retroattivo, dal quale scaturisce per il cliente e per la banca l’obbligo di restituire quanto ricevuto dalla controparte in adempimento del contratto dichiarato nullo.
Ciò che non è certo, tuttavia, è quale sia la disciplina applicabile a tali obbligazioni restitutorie. In dottrina, tradizionalmente, si è ritenuto che, in generale, gli obblighi restitutori trovino il proprio regolamento nel modello delineato dalle norme sulla ripetizione dell’indebito (salvo il generale effetto preclusivo della prescrizione dell’azione tesa ad ottenere la ripetizione dell’indebito259)260. In particolare, i sostenitori di tale soluzione ritengono che
258 R. LENER, Il controllo amministrativo sulla correttezza dei comportamenti degli intermediari nei
rapporti contrattuali con la clientela, cit., p. 570. Cfr. anche A. BARENGHI, I contratti dei
consumatori, in Diritto civile, Vol. III, Tomo II, Il contratto in generale, di N. Lipari, P. Rescigno
e A. Zoppini, Milano, p. 105 ss.
259 Art. 1422 c.c.: sul punto si veda A.BONFILIO,V.MARICONDA, L’azione di nullità, in I contratti
in generale, a cura di G. Alpa e M. Bessone, IV, Torino, 1991, p. 510.
260 Del resto, questo indirizzo sembra coerente con l’evoluzione storica dell’istituto secondo
la quale il codice civile del 1942 avrebbe portato a compimento il processo di unificazione dell’istituto, iniziato con il codice civile del 1865. Infatti, sia nel diritto romano classico, sia in quello giustinianeo e poi nel diritto comune vi erano autonome azioni di restituzione: mancava un modello unitario. Tuttavia, il fatto che nel codice civile abrogato la disciplina dell’indebito si rinvenisse in due contesti normativi diversi (tra i quasi contratti, agli artt. 1145 e 1150, e nella sezione del pagamento in genere, all’art 1237) poteva, se mai, fornire prova della disciplina non unitaria degli obblighi restitutori: così A.D’ADDA, Gli obblighi
conseguenti alla pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento tra restituzioni e risarcimento, in Riv. dir. civ., 2000, II, p. 529.
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la disciplina della ripetizione dell’indebito sia un modello unitario applicabile a tutte le azioni restitutorie.
Secondo una diversa e meno supportata interpretazione, però, gli
effetti restitutori derivanti dalla nullità del contratto261 non sarebbero soggetti
al richiamato regime ordinario della disciplina dell’indebito oggettivo, bensì ad un regime speciale.
In particolare, le norme degli artt. 2033 ss. c.c. sarebbero idonee a disciplinare gli obblighi restitutori sia nel caso di inesistenza originaria dell’obbligo (ed è il caso in analisi del contratto nullo) sia per ogni ipotesi di caducazione successiva (a seguito di pronuncia di annullamento, rescissione e risoluzione) della fattispecie negoziale fonte delle prestazioni poi risultate
indebite262. Il presupposto logico di questa opinione è il ricorso all’azione di
261 Ma non solo: il riferimento è anche a quelli derivanti dalla risoluzione del contratto. 262 Aderiscono a questa impostazione tra gli altri: U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito,
Milano, 1974, p. 236 ss.; R.SACCO, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1993, II, p. 583 ss.; P.RESCIGNO, La ripetizione dell’ indebito (voce), in Noviss. Dig. it., XV, Torino 1968, p. 1238 ss.; E.MOSCATI, Pagamento dell’indebito, (sintesi di informazione), in
Riv. dir. civ., 1985, II, p. 211 ss.;ID, Caducazione degli effetti del contratto e pretese restitutorie, in
Riv. dir. civ., 2007, I, p. 220, il quale così giustifica il fondamento del modello unitario: «Non è facile spiegarsi il perché di un sistema apparentemente non omogeneo, che invece la giurisprudenza e una parte della dottrina considerano monolitico per la forza espansiva della disciplina dell’indebito. Infatti, non vi è dubbio che dal punto di vista delle pretese restitutorie la disciplina dell’indebito e il diritto dei contratti siano andati ognuno per conto proprio, con soluzioni contrastanti e non sempre facilmente armonizzabili. Una chiave di lettura può essere trovata nell’autonomia che l’obbligazione restitutoria da indebito si è conquistata rispetto alla fonte del rapporto fondamentale. Nel sistema delle fonti dell’obbligazione, quale risulta dal Code civil (e, nella sua scia, nel nostro codice civile del 1865), il pagamento dell’indebito costituiva una fonte di obbligazioni diversa dal contratto, confluendo, assieme alla gestione di affari, nella categoria dei quasi-contratti (artt. 1370-1381 Code civil, artt. 1140-1150 c.c. it. 1865). Il sistema non è cambiato con il codice vigente, ove alle due tradizionali figure di quasi-contratto se ne è aggiunta una terza, l’arricchimento senza causa (artt. 2041-2042 c.c.), di cui però si è censurata la collocazione dopo la gestione di affari e il pagamento dell’ indebito, quasi come una norma di chiusura. Questa autonomia tra l’azione di ripetizione e i rimedi contrattuali- che ha portato ad accentuare in alcuni ordinamenti di civil law, quale ad es., quello francese, la rilevanza dell’ errore del solvens – è tipica dei sistemi, come il nostro, in cui vige il principio di retroattività della caducazione degli effetti del contratto. Ciò comporta che, in caso di
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ripetizione dell’indebito come un mezzo di reazione contro ogni spostamento patrimoniale sine causa, in tutti i casi in cui venga effettuata in favore di un soggetto un’attribuzione patrimoniale rivelatasi successivamente non dovuta. Diviene irrilevante il fatto che la mancanza di causa sussistesse già al momento del pagamento indebito ovvero sia sopraggiunta a seguito di una pronuncia retroattiva: quello che rileva è la comune circostanza oggettiva del difetto di causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale realizzata, senza distinguere a seconda che si tratti di restituzioni contrattuali o meno. La mancanza di regole che disciplinino espressamente le conseguenze della nullità, così come in generale gli effetti delle impugnazioni contrattuali, ha indotto alcuni interpreti a ritenere che il legislatore abbia talvolta utilizzato espressioni ellittiche, come quella di retroattività, altre volte scelto formule ben più esplicite e non equivoche, come appunto quella del rinvio al pagamento dell’indebito263. La retroattività della nullità avrebbe, quindi, il
compito di cancellare il contratto264 e di dare ingresso, in modo implicito, alle
regole della condictio, dato che le prestazioni eseguite in base ad un titolo mai
contratto a prestazioni corrispettive, ciascuna delle due prestazioni è valutata autonomamente rispetto all’altra al fine della restituzione. In altri termini, laddove l’obbligazione restitutoria sia la conseguenza della caducazione degli effetti del contratto, l’obbligo dell’accipiens indebiti non segue i principi del contratto, a cominciare da quello della corrispettività tra le due prestazioni restitutorie. Su queste posizioni è attestata fermamente la giurisprudenza italiana che ha escluso l’applicazione dell’eccezione di inadempimento (art. 1460) alle obbligazioni restitutorie ex art. 2033 c.c.».
263 In questo senso, L.GUERRINI, Risoluzione per inadempimento e restituzione, in Trattato della
responsabilità contrattuale, diretto da G. Visintini, I, Inadempimento e rimedi, Padova, 2009, p.
477. Il riferimento è all’art. 1463 c.c., secondo cui, quando il contratto viene risolto per impossibilità sopravvenuta, la parte liberata deve restituire le prestazioni che abbia ricevuto «secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito».
264 In questo senso G.SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1459, in Il codice
civile. Commentario, fondato e diretto da P. Schlesinger, continuato da F. D. Busnelli, Milano,
2007, p. 685 ss., secondo cui sarebbe impossibile «distinguere tra vicende dell’atto e del
rapporto». Contra v. su tutti V.ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato2, a cura di G.
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risultato valido265. Da tale lettura, pertanto, la disciplina del pagamento
dell’indebito assumerebbe il ruolo di clausola generale 266 o di polo
normativo267 di tutte le obbligazioni restitutorie. Si tratta del resto di una
soluzione che viene frequentemente ribadita dalla stessa giurisprudenza268.
Tuttavia, è proprio da un’attenta lettura delle pronunce giurisprudenziali che emerge lo scarto tra princìpi di diritto affermati dalla dottrina e soluzioni attuate nel caso concreto dai giudici: l’analisi delle soluzioni praticate dalla giurisprudenza mostra, infatti, come sia solo apparentemente pacifico il principio di riconducibilità di tutti gli effetti restitutori derivanti da contratto inefficace (ma tutto o in parte ineseguito) alla disciplina dell’indebito269.
Le argomentazioni addotte dagli interpreti a sostegno
dell’applicabilità delle norme sulla ripetizione dell’indebito si fondano,
innanzitutto, sul dato testuale e richiamano l’art. 1463 c.c.270 che, in materia di
risoluzione per impossibilità sopravvenuta, rinvia espressamente agli artt. 2033 ss. c.c. In particolare, secondo questo orientamento, nell’art. 1463 c.c. il
265 Per delle conferme giurisprudenziali in proposito si veda, ad esempio, Cass., 2 agosto
2006, n. 17558, in Rep. Foro it., 2006, voce Contratto in genere, n. 626.
266 Espressione di E.MOSCATI, in L. Aru, E. Moscati, P. D’Onofrio, Delle obbligazioni, Artt. 2028
- 2042 c.c., in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 225 ss.
267 Espressione di U. BRECCIA, Indebito (ripetizione dell’) (voce), Enc giur., Roma, 1989, p. 3
nonché ID., Il pagamento dell’indebito, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, IX, Torino, 1984, p. 932.
268 Cfr. Cass., 27 dicembre 1994, n 11177.
269 Si rinvia a E.BARGELLI, “Sinallagma rovesciato” e ripetizione dell’indebito. L’impossibilità della
restitutio in integrum nella prassi giurisprudenziale, in Riv. dir. civ., 2008, I, p. 119, la quale
afferma «vengano o meno richiamati gli artt. 2037 e 2038 c.c., le soluzioni della giurisprudenza
paiono ispirate a scelte intuitivamente equitative: non sempre accompagnate da una chiara percezione delle questioni teoriche, da una visione globale (e non settoriale) del sistema delle restituzioni e dalla consapevolezza delle loro conseguenze economiche effettive».
270 Questo il dettato dell’art. 1463: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per
la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito».
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legislatore avrebbe esplicitato quello che invece ha lasciato implicito nelle altre ipotesi di caducazione del contratto: nell’unica disposizione in cui ha disciplinato le obbligazioni restitutorie, lo ha fatto prevedendo l’applicazione delle norme sulla ripetizione dell’indebito. Questo dato ha fatto supporre che lo stesso richiamo si sarebbe avuto anche per le restituzioni conseguenti alle altre ipotesi di caducazione, se solo il legislatore le avesse disciplinate espressamente.
Al riguardo sono opportune alcune considerazioni.
Non pare veritiera l’affermazione secondo la quale è soltanto con il dettato dell’art. 1463 c.c. che il legislatore si sarebbe premurato di disciplinare le obbligazioni restitutorie. Infatti, dall’analisi di alcuni tipi contrattuali (come i contratti di compravendita e di appalto) emerge una chiara disciplina delle restituzioni: l’aspetto problematico è semmai la definizione dell’ambito di applicazione.
In secondo luogo, il rinvio presente nell’art. 1463 c.c. sembra che debba rimanere circoscritto all’ambito della risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Infatti prendendo atto dell’ordine sistematico in cui il legislatore ha disciplinato le varie ipotesi di risoluzione e gli effetti da esse derivanti all’interno del capo XIV del libro quarto del codice civile, si intravede l’autonomia della norma in questione. Più precisamente, tra le tre ipotesi di risoluzione previste nel nostro codice civile, la prima ad essere trattata è quella per inadempimento, rispetto alla quale il legislatore si è limitato a sancirne, all’art. 1458 c.c., la retroattività degli effetti (con le eccezioni che abbiamo già messo in evidenza). La sezione seguente, la seconda, è riservata alla risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta e all’art. 1463 c.c. è presente, appunto, il rinvio alla disciplina dell’indebito di cui si sta discutendo. Infine, nella terza sezione il legislatore,
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regolando gli effetti della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, ha affermato che questi ultimi sono gli stessi stabiliti dall’art. 1458 c.c. Da questo raffronto sembra esservi autonomia tra la norma che prevede la retroattività (per due tipi di caducazione) e quella che espressamente fa rinvio agli artt. 2033 ss. c.c. (per la sola risoluzione per impossibilità sopravvenuta). Se non pare, dunque, facile l’estensione della previsione di cui all’art. 1463 c.c. alle altre tipologie di risoluzione diverse da quella per impossibilità sopravvenuta, ancor meno agevole appare l’esportazione della norma al di fuori dei confini dell’istituto della risoluzione, entro quelli della nullità.
In aggiunta, occorre prestare attenzione ad un elemento riguardante le scelte linguistiche del legislatore. Più precisamente, all’art. 1422 c.c. il legislatore, per riferirsi alle azioni di ripetizione si esprime al plurale, prevedendo che «l'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione,
salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione»;
invece, all’art. 1463 c.c., utilizza il singolare riferendosi «alle norme relative alla
ripetizione dell'indebito». In riferimento al plurale dell’art. 1422 c.c., è
spontaneo chiedersi quante e quali siano queste azioni di ripetizione.
Già questa visione d’insieme sulla collocazione delle norme all’interno del codice civile e sulle espressioni linguistiche utilizzate dal legislatore dovrebbe far sospettare la fragilità della valenza universale del rinvio dell’art. 1463 c.c. Che questo rinvio non possa da solo (come invece si sostiene) costituire le basi di un indiscusso rinvio alla disciplina dell’indebito, è reso ben evidente dalla considerazione di una norma di grande rilievo in materia, della quale, solo di recente, sembrano essere state adeguatamente indagate le implicazioni ai fini che qui rilevano: il riferimento è all’art. 1189 c.c., ovvero
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all’unica disposizione che, oltre all’art. 1463 c.c., richiama in modo (apparentemente) diretto la disciplina della condictio271.
Come noto, le regole sull’adempimento dell’obbligazione prevedono che il pagamento debba essere fatto al creditore, al suo rappresentante ovvero ad un soggetto indicato dall’interessato o autorizzato dalla legge. La norma in questione dispone al riguardo che il debitore che esegue un pagamento a chi, in base a circostanze univoche, è apparso legittimato a riceverlo, è liberato se riesce a provare che al momento del pagamento era in buona fede. In più, ed è questo il punto che a noi interessa, chi ha ricevuto la prestazione sarà tenuto a restituirla al vero creditore, secondo le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito. Se da una parte la tutela dell’affidamento determina la liberazione del solvens (primo comma), dall’altra, esigenze di giusta causa dell’attribuzione fanno sì che l’accipiens sia tenuto alla restituzione verso il vero creditore «secondo le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito» (secondo comma). Questa norma offre uno spunto di riflessione significativo. In proposito, infatti, è stato sostenuto 272 che, nonostante il rinvio esplicito, la
disciplina dell’indebito oggettivo, di fatto, non trova applicazione perché il
solvens che agisce per la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. lo fa sulla
base di un titolo che gli deriva dall’aver eseguito una prestazione risultata non dovuta; invece nel caso previsto dall’art. 1189 c.c., il vero creditore (rimasto estraneo alla fattispecie solutoria) agisce sulla base di un titolo preesistente e nei confronti di un soggetto diverso da colui che ha ricevuto il pagamento indebito, l’accipiens. In altri termini, nella disciplina dell’indebito la fonte dell’obbligazione deriva dall’aver eseguito una prestazione
271 Il riferimento è alla recente analisi di L.GUERRINI, op. cit., p. 9 ss.
272 In particolare si veda E.MOSCATI, Indebito soggettivo e attuazione del Rapporto obbligatorio, in
Riv. dir. civ., 1974, I, p. 72 ss.; ID, Il pagamento dell’indebito, Milano, 1973. Sul punto si veda altresì U.BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., p. 287.
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(oggettivamente o soggettivamente) non dovuta; invece la disposizione in esame, che si caratterizza per il fatto di attribuire un’azione ad un soggetto (il creditore effettivo) che è rimasto estraneo alla fase solutoria, non sembra coordinabile con il carattere di rimedio personale della condictio273 (che per
questo non può essere concesso ad un soggetto rimasto estraneo alla fattispecie solutoria). Emerge allora con tutta chiarezza come dall’aver eseguito un pagamento ad un soggetto che non era il creditore della prestazione adempiuta, nonostante il riferimento testuale, non sorga un’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. Alla base di questo ragionamento sembra porsi la seguente condivisibile opinione: l’esistenza di un rinvio espresso non può, in quanto tale, impedire all’interprete di superare l’argomento letterale. In tal senso, dunque, a proposito del riferimento testuale contenuto nell’art. 1189 c.c. si è parlato di richiamo «non tecnico» alla
disciplina dell’indebito274. Allora appare singolare il fatto che tale superabilità
del dato letterale sia stata auspicata e affermata proprio dagli stessi interpreti che poi hanno affermato rigidamente la preminenza dell’argomento letterale
ex art. 1463 c.c. Dalle considerazioni appena svolte emerge, infatti, come il
rinvio esplicito sia insufficiente per affermare la connessione inscindibile tra risoluzione e disciplina dell’indebito e per precludere, quindi, all’interprete il superamento dell’argomento letterale.
273 In questo senso, L.GUERRINI, op. cit., p. 10.
274 E.MOSCATI, Indebito (pagamento dell’) (voce), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, p. 83 ss. Altri,
come ad esempio A.NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione e arricchimento, Milano, 1998, p. 564 ss., negano che tra vero creditore e creditore apparente operino le regole del pagamento dell’indebito, e propongono di superare il non coerente dato letterale collocando la fattispecie in esame nell’ambito di un diverso istituto; più precisamente, secondo questa tesi, il riferimento alla normativa sull’indebito andrebbe colto «sul piano storico» in quanto «retaggio del codice abrogato», e l’azione ex art. 1189, co. 2, basandosi su una valutazione comparativa tra il patrimonio del creditore effettivo (privato del proprio diritto alla prestazione), andrebbe qualificata come fattispecie di arricchimento senza causa.
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Veri e propri problemi di disciplina delle restituzioni, è evidente, sorgono quando all’interno del contratto non si rinviene alcuna disciplina convenzionale delle conseguenze dello scioglimento del contratto. In mancanza di una chiara disciplina legislativa, si ritiene allora che un’eventuale disciplina convenzionale validamente prevista dalle parti possa risolvere il problema della sorte della prestazioni già eseguite.