1. I titoli
1.2 La raccolta bancaria del risparmio
1.2.2 I “titoli di deposito”: certificati di deposito
Ulteriori titoli in relazione ai quali la Banca d’Italia ha esercitato i poteri di cui all’ottavo comma dell’art. 117, t.u. banc., sono i certificati di deposito e i buoni fruttiferi (la cui emissione è consentita, come per le obbligazioni, a tutte le banche), determinandone il contenuto minimo tipico.
Il fondamento legislativo per l’emissione di tali strumenti risiede nell’art. 12, co. 6, t.u. banc., ove il legislatore introduce la categoria generale dei «titoli di deposito», specificando che si tratta di titoli che possono essere
nominativi o al portatore e riservando alla Banca d’Italia il compito di
«disciplinare le modalità di emissione» di tali strumenti456.
456 Per un commento alla norma contemporaneo alla sua entrata in vigore si rinvia a
D.FOCARELLI, R.TEDESCHI, Il ruolo della concorrenza nell’evoluzione delle politiche di raccolta delle
banche italiane, in Banca d’Italia, Temi di discussione, n. 189, 1993. Benché richiamati in alcune
leggi di settore (anche fiscali), i certificati di deposito non hanno ricevuto nel nostro ordinamento una disciplina organica. Un primo richiamo si rinveniva nella delibera CICR del 21 ottobre del 1949 in cui i certificati di deposito erano ricompresi tra le possibili forme di raccolta degli istituti di credito a medio termine costituiti sotto forma di società per azioni: così C.BALDINELLI, Commento sub art. 12, in Commentario al testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia, a cura di F. Capriglione, Padova, 1994, p. 82. Un altro riferimento poi si
riscontrava nell’art. 1, lett. b), l. 27 luglio 1962, n. 1228, recante «Trattamento tributario degli
Istituti di credito a medio e lungo termine», ove venivano ricompresi i certificati tra i mezzi di
raccolta assoggettati all’imposta di ricchezza mobile cat. A; anche il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), faceva riferimento ai certificati di deposito, determinando (all’art. 26, co. 1) la misura delle ritenute sugli interessi passivi corrisposti dagli enti creditizi a medio-lungo termine. Con la delibera del 28 gennaio 1963, il CICR aveva fornito la disciplina relativa all’emissione di “certificati di
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Anche in relazione a siffatti titoli, il recente intervento del legislatore, attraverso il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, ha eliminato l’inciso «in conformità
delle deliberazioni del CICR», risultando così accresciuta la discrezionalità
dell’Autorità nella determinazione delle modalità di emissione.
In ossequio a tale attribuzione di competenza, la Banca d’Italia è intervenuta con delle previsioni ad hoc, contenute anch’esse nelle richiamate
Istruzioni di vigilanza per le banche457 (Titolo V, Capitolo 3, Sezione III), volte a
definire i titoli in analisi458 e a predeterminarne le caratteristiche tipiche
minime459.
deposito per finanziamenti a medio termine” da parte degli istituti a ciò abilitati; per gli enti a medio-lungo termine ha assunto rilievo anche la l. 10 febbraio 1981, n. 23, art. 10, per le generali potestà autorizzatorie che attribuiva al CICR per le emissioni di buoni fruttiferi e certificati di deposito. Al contrario, in relazione all’emissione di certificati di deposito da parte delle aziende di credito, non erano state dettate norme ad hoc: tale disciplina, infatti, si rinveniva nelle previsioni di carattere amministrativo emanate dalle autorità di settore (il CICR, con la delibera del 2 maggio 1987 che dettava previsioni uniformi per tutte le categorie di aziende delle modalità di raccolta del risparmio a scadenza protratta).
Prima dell’entrata in vigore del t.u. banc., poi, ulteriore elemento di dubbio riguardava la possibilità o meno per i certificati di deposito di circolazione al portatore, stante il disposto dell’art. 2004 c.c. («Il titolo di credito contenente l'obbligazione di pagare una somma di danaro non
può essere emesso al portatore se non nei casi stabiliti dalla legge»): la risposta positiva a tale
quesito sancita dal sesto comma dell’art. 12, t.u. banc., sotto il profilo economico, riflette la «presa d’atto di una realtà operativa che si è andata ormai consolidando presso l’insieme degli
intermediari bancari, dietro l’esigenza di assecondare l’evoluzione del mercato finanziario e le diversificate esigenze della clientela», così C.BALDINELLI, op. cit., p. 83.
457 Ai certificati di deposito è dedicata la Sezione III, del Capitolo 3, all’interno del Titolo V. 458 Titolo V «Operatività», Capitolo 3 «Raccolta in titoli delle banche», Sezione I «Disposizioni di
carattere generale», §3 «Definizioni»:
«”certificati di deposito” e “buoni fruttiferi”, titoli di credito emessi per la raccolta del risparmio a breve e medio termine. Essi costituiscono “titoli individuali” in quanto ogni titolo rappresentando una specifica operazione di prestito, può essere emesso su richiesta del singolo cliente delle cui specifiche esigenze può quindi tener conto [ciò non toglie, ovviamente, che la banca possa offrire, in blocco, certificati (o buoni) tra loro identici]; sono emessi generalmente “a flusso continuo”».
459 Sezione III «Certificati di deposito e buoni fruttiferi», §2, «Caratteristiche dei titoli»:
«I certificati e i buoni sono titoli destinati alla circolazione e come tali devono possedere caratteristiche
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L’Autorità chiarisce innanzitutto che si tratta di titoli «destinati alla
circolazione» che, come tali, «devono possedere caratteristiche che ne agevolino l'individuazione da parte del pubblico»: assume rilievo, allora, la presenza, tra le
disposizioni normative che disciplinano la materia della raccolta bancaria del risparmio, dell’art. 117, co. 8, del t.u. banc., il quale, come si è visto, a sua volta è collocato all’interno del Titolo VI dedicato alla «Trasparenza delle
condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti».
I certificati e i buoni devono indicare [Le indicazioni da riportare sui titoli devono riferirsi alla succursale nel caso di banche extracomunitarie; nel caso di banche comunitarie, le informazioni possono riferirsi alla casa madre]:
- la denominazione, l’oggetto e la sede della banca, con l’indicazione dell’ufficio del registro delle imprese presso il quale essa è iscritta;
- il capitale sociale della banca versato ed esistente al momento dell’emissione;
- il valore nominale, gli elementi necessari per la determinazione della remunerazione del prestito, le modalità di rimborso, le eventuali garanzie.
I certificati e i buoni hanno durata non inferiore a 3 mesi e non superiore a 5 anni.
Per le emissioni a tasso variabile è consentito esclusivamente l’utilizzo di parametri finanziari. Gli emittenti possono adottare sia parametri a breve termine, sia a medio e lungo termine, sia una combinazione di più indicatori. I parametri devono essere calcolati con criteri di oggettività e rilevati su mercati ampi e trasparenti. Deve trattarsi di indicatori di mercato monetario (ad es. rendimento dei BOT, EURIBOR, LIBOR), di indicatori a medio-lungo termine (ad es. RENDISTATO) e di indici di borsa. [Si rammenta che per i certificati di deposito non aventi le caratteristiche standard sussiste l’obbligo di comunicazione ai sensi dell’articolo 129 T.U. (cfr. Tit. IX, Cap. 1, delle presenti Istruzioni)].
Non è consentita l’emissione di titoli denominati “certificati di deposito” (o “buoni fruttiferi”) che possiedano caratteristiche diverse da quelle indicate nelle presenti Istruzioni. È del pari vietata l’emissione di titoli dotati delle caratteristiche indicate per i certificati (o i buoni) ma diversamente denominati. [Tale divieto non si applica nel caso in cui il titolo sia altrimenti “tipizzato” dall’ordinamento ovvero l’emissione sia destinata a mercati diversi da quello italiano. In tali casi, trovano applicazione le disposizioni di cui alla Sez. IV del presente Capitolo.].
Nel caso in cui l’emissione di certificati di deposito e di buoni fruttiferi avvenga senza la consegna materiale dei titoli, va rilasciata al cliente una ricevuta non cedibile a terzi e deve essere garantita la possibilità di ottenere il titolo senza oneri aggiuntivi [Alla circostanza che il titolo non venga cartolarizzato non conseguono ulteriori obblighi né l’automatico instaurarsi di un contratto di deposito titoli, salva diversa espressa volontà delle parti. Inoltre, alla mera sottoscrizione di titoli non cartolarizzati non si applicano gli obblighi di comunicazione periodica alla clientela previsti dalla normativa in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali.]».
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Dalla disciplina dettata dalla Banca d’Italia emerge la natura di categoria generale dei «titoli di deposito» - prevista già dal legislatore all’art. 12, co. 6, t.u. banc. – la quale ricomprende al suo interno i certificati di deposito, i buoni fruttiferi e gli «altri documenti».
I certificati di deposito e i buoni fruttiferi, in particolare, sono titoli di credito per la raccolta bancaria del risparmio (di fondi rimborsabili) a breve e medio termine, destinati alla circolazione, i quali presentano una garanzia
del rimborso c.d. alla pari che consiste nella conservazione del capitale460. Si
tratta di strumenti che possono essere emessi sia in forma standardizzata sia individuale, alla cui base vi è una specifica operazione di prestito da cui scaturisce un rapporto diretto tra emittente e singolo investitore; tali strumenti, infatti, si caratterizzano per il fatto di essere titoli individuali, nel senso che ogni titolo, rappresentando una specifica operazione di prestito, può essere emesso su richiesta del singolo cliente, tenendo conto delle specifiche esigenze di questo in termini di durata, ammontare o prospettive di remunerazione. Dal carattere individuale dei certificati di deposito ne consegue la modalità di emissione a flusso continuo: non vi sono infatti scadenze prestabilite che la banca deve rispettare nell’emettere questi titoli; la Banca d’Italia conferisce alle banche anche la possibilità di emettere in
blocco certificati tra loro identici461.
Dopo le indicazioni riguardanti la natura dei certificati, la Banca d’Italia, al §2 delle Istruzioni di vigilanza, ha previsto in modo specifico alcune «caratteristiche dei titoli» in analisi.
460 G.FAUCEGLIA, P.BRENCA, Commento sub art. 12, in Commento al Testo unico delle leggi in
materia bancaria e creditizia, cit., p. 122.
461 R.LENER, La raccolta bancaria del risparmio attraverso certificati di deposito, in Società, banca e
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L’Autorità, in particolare, richiede che tali strumenti rechino: «la
denominazione, l'oggetto e la sede della banca, con l'indicazione dell'ufficio del registro delle imprese presso il quale essa è iscritta; il capitale sociale della banca versato ed esistente al momento dell'emissione; il valore nominale, gli elementi necessari per la determinazione della remunerazione del prestito, le modalità di rimborso, le eventuali garanzie»462.
La Banca d’Italia ha anche fornito indicazioni vincolanti sulla durata dei certificati di deposito, prevendo, in origine, che essa dovesse essere compresa tra un minimo di 3 mesi e un massimo di 5 anni, abbassandola
poi463 ad un mese, fino ad arrivare, da ultimo, alla sua completa eliminazione
(nel tentativo di agevolare la crescita del mercato degli strumenti di debito a
breve termine)464; la durata poi deve essere indicata dall’emittente nel
regolamento di emissione465; i certificati di deposito possono presentare un
tasso fisso oppure variabile, a seconda della scelta del cliente, e possono essere nominativi o al portatore466 (i buoni fruttiferi, invece, si presentano
soltanto con un tasso fisso e unicamente al portatore).
Particolare interesse assume il divieto sancito dalla Banca d’Italia, secondo cui «non è consentita l'emissione di titoli denominati "certificati di
deposito" (o "buoni fruttiferi") che possiedano caratteristiche diverse da quelle indicate nelle presenti Istruzioni». È vietato anche l’opposto, ovvero «l'emissione di titoli dotati delle caratteristiche indicate per i certificati (o i buoni) ma
462 Con la precisazione che «le indicazioni da riportare sui titoli devono riferirsi alla succursale nel
caso di banche extracomunitarie; nel caso di banche comunitarie, le informazioni possono riferirsi alla casa madre».
463 Si veda il Provvedimento della Banca d’Italia del luglio 2004.
464 Cfr. Disposizioni di Vigilanza in tema di raccolta in titoli delle banche del 26 aprile 2006. 465 Cfr. Disposizioni di Vigilanza in tema di raccolta in titoli delle banche del 26 aprile 2006.
466 E possono vedere applicati come parametri di indicizzazione anche le valute (cfr.
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diversamente denominati» 467 , salvo che «titolo sia altrimenti "tipizzato"
dall’ordinamento ovvero l’emissione sia destinata a mercati diversi da quello italiano»468.
Dalla disciplina dettata dalla Banca d’Italia sembra emergere l’intenzione di voler scindere il genere «certificati di deposito», in due sotto- categorie: “titoli individuati” e “titoli in blocco”, soggetti a diversa disciplina, anche se «vi sono due elementi che, almeno a un primo approccio, sembrano turbare
questa lettura dicotomica della fattispecie, pur apparentemente postulata, come si è visto, dalle Istruzioni»469. Al riguardo, infatti, occorre considerare innanzitutto
la disciplina delle Istruzioni di vigilanza dedicata alle «caratteristiche dei titoli», da cui sembra emergere la necessaria destinazione dei certificati di deposito
alla circolazione470; assume poi particolare rilevanza, in quanto risponde
all’esigenza di facilitare l’individuazione da parte del pubblico, di profili di “standardizzazione” del contenuto dei titoli in analisi dalla quale sembrano
trovare giustificazione le indicazioni vincolanti fornite dalla Banca d’Italia471,
benché ciò appaia in contrapposizione con la richiamata individualità voluta dalla stessa Banca d’Italia472.
467 Istruzioni di Vigilanza per le banche, Titolo V, Capitolo 3, §2; si veda sul punto Così G.
FAUCEGLIA, P.BRENCA, Commento sub art. 12, in Commento al Testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia, cit., p. 104 ss.
468 In tali casi, trovano applicazione le disposizioni di cui alla Sezione IV (Altri titoli) del
Capitolo in analisi.
469Così R.LENER, op. ult. cit., p. 2259, ove precisa ulteriormente che «da ciò potrebbe, inoltre,
ricavarsi, come elemento di differenziazione rispetto alla raccolta bancaria tramite emissione di obbligazioni, la conclusione che l’emissione di certificati di deposito non sia necessariamente un’operazione di finanziamento della banca funzionalmente unitaria, potendosi risolvere in una molteplicità di operazioni di prestito con i singoli clienti».
470 Anche se la Banca d’Italia ha ammesso l’emissione dei certificati di deposito anche senza
la materiale consegna dei titoli, con semplice rilascio al cliente di una ricevuta non cedibile a terzi e con garanzia di ottenere il titolo senza oneri aggiuntivi.
471 R.LENER, op. ult. cit., p. 2259.
472 Sul requisito dell’individualità cfr. le note valutazioni di G.FERRI, I titoli di credito2, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1965, p. 36, ove, ribadita
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Ai fini di trasparenza, possono denominarsi “certificati di deposito” soltanto quei titoli che soddisfano le caratteristiche indicate dalle Istruzioni di
Vigilanza, il cui contenuto può essere individuato dal cliente in modo agevole
e “trasparente”; ne consegue che il margine di manovra delle banche nella determinazione delle caratteristiche di questi titoli in modo “personalizzato”, ovvero in funzione delle richieste individuali del cliente, è comunque limitato al rispetto delle caratteristiche standardizzate previste nelle Istruzioni
di vigilanza. Al fine di ridurre il rischio di credito, è consentita l’emissione di
certificati di deposito a tasso variabile ancorandola a parametri finanziari a breve termine, a medio-lungo termine oppure come «una combinazione di più
indicatori, purché siffatti parametri siano calcolati con criteri di oggettività e rilevati su mercati ampi e trasparenti»473.
Un’ulteriore questione profilatasi in relazione ai certificati di deposito riguarda la disciplina normativa cui risulteranno soggette le banche quando offrono questi strumenti. Gli interpreti che hanno affrontato il tema si sono chiesti in particolare se trova applicazione la disciplina bancaria della
trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari474 oppure quella
l’unitarietà del concetto di titoli di credito, precisa che la distinzione tra titoli individuali e titoli di massa si basa essenzialmente su una diversità di funzione economica: strumenti di mobilizzazione del credito i titoli individuali, strumenti di dissociazione tra proprietà (in senso economico) e controllo delle ricchezze, i titoli di massa. Lo spunto è ripreso, di recente, da N. SALANITRO, Titoli di credito e strumenti finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, p. 1 ss., ove l’osservazione che la distinzione tra titoli individuali e titoli di massa pare traducibile «nel senso che la funzione economica dei titoli individuali si manifesta soprattutto nell’ausilio allo
svolgimento delle attività commerciali per provvedere al pagamento (ad es. cambiali, assegni) degli acquisti di beni e delle esecuzioni di servizi; mentre la funzione economica dei titoli di massa (titoli di debito e/o di investimento) è rivolta soprattutto ad agevolare la raccolta dei capitali occorrenti per l’esercizio e lo sviluppo delle stesse imprese».
473 R.LENER, op. ult. cit., p. 2260, ove si precisa che deve trattarsi di indicatori del mercato
monetario (ad es. rendimento dei BOT, Euribor, Libor), di indicatori a medio-lungo termine (ad es. Rendistato), di indici di borsa.
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di cui all’art. 25-bis, t.u. fin., la quale prevede regole di condotta in relazione all’emissione da parte di banche di prodotti finanziari, la quale rinvia agli artt. 21-23, t.u. fin. Al riguardo assume particolare rilevanza il dato letterale del provvedimento della Banca d’Italia, in materia di trasparenza, il cui art. 1.1, co. 4, sancisce la non applicabilità della disciplina della trasparenza bancaria ai «servizi e alle attività di investimento [e] al collocamento di prodotti
finanziari», richiamando espressamente quanto previsto dall’art. 23, co. 4, t.u.
fin. Il quinto comma, poi, dell’art. 1.1, lett. a), stabilisce che le norme sulla trasparenza bancaria non si applicano «ai servizi e alle attività di investimento
come definiti dal T.U.F. e al collocamento di prodotti finanziari aventi finalità di investimento, quali, ad esempio, obbligazioni e altri titoli di debito, certificati di deposito, contratti derivati, pronti contro termine». La Banca d’Italia, inoltre,
nella nota 1 allo stesso art. 1.1, co. 4, fa rinvio alla definizione di «prodotto
finanziario» contenuta nell’art. 1, co. 1, lett. u), t.u. fin, prevendo poi che «la disciplina di cui al presente provvedimento si applica, quindi, oltre che ai depositi, anche ai buoni fruttiferi e ai certificati di deposito consistenti in titoli individuali non negoziati nel mercato monetario». Sembra riemergere, dunque, anche con
riferimento alla determinazione della disciplina applicabile, la
contrapposizione tra «titoli individuali non negoziati sul mercato monetario» - soggetti alla disciplina sulla trasparenza bancaria – e gli altri certificati di deposito, qualificabili quali strumenti finanziari e assoggettabili perciò alla disciplina del t.u. fin., benché entrambe le categorie appartengano al genere dei certificati di deposito; ed è proprio da ciò che deriva una certa «difficoltà
per l’interprete» in quanto se da una parte la disciplina dettata dalla Banca
d’Italia riflette la volontà di operare la distinzione in parola, dall’altra però
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differenziare le due species secondo criteri certi e univoci»475. Tale “sdoppiamento”
di disciplina certamente non giova a conferire certezza e trasparenza al contenuto e alla struttura degli strumenti in analisi, risultando allora attribuito ai giudici il compito di verificare, quando ormai l’emissione è avvenuta, la correttezza dell’una o dell’altra qualificazione. In proposito, si è auspicato uno sforzo dell’interprete di «fornire di un contenuto, se possibile,
diverso le due sub-categorie, spostando in una prospettiva de iure condendo – dunque quale mero auspicio o suggerimento per la futura regolamentazione secondaria – la pur corretta riflessione in ordine alla opportunità di dare “nome” differente alle due differenti figure»476.
Neppure dalla normativa primaria sembrano potersi ricavare delle soluzioni certe della questione. L’art. 11 della richiamata legge per la tutela del
risparmio477 - che ha introdotto l’art. 25-bis, t.u. fin.478- infatti sottopone sia la
sottoscrizione sia il collocamento di prodotti finanziari479 emessi dalle banche
alla disciplina degli artt. 21-23, t.u. banc., ove vengono fornite regole di condotta per intermediari che prestano servizi e attività di investimento, ma non si chiarisce quando siffatti prodotti emessi dalle banche debbano considerarsi prodotti finanziari. Ai sensi dell’art. 1, primo comma, lett. u), t.u. fin., sono prodotti finanziari «gli strumenti finanziari e ogni altra forma di
475 R.LENER, op. ult. cit., p. 2261.
476 Ancora R.LENER, op. ult. cit., p. 2262, ove si precisa altresì che la pur corretta riflessione
sull’opportunità o meno di denominare in modo differente le due figure, diviene «mero
auspicio o suggerimento per la regolamentazione secondaria. A meno di non concludere, beninteso, che le due figure sono in principio distinte, ma in realtà sono la medesima… e allora l’auspicio sarebbe una rapida rimozione delle norme che creano l’equivoco circa la possibile “duplice natura” dei certificati di deposito».
477 L. 28 dicembre 2005, n. 262.
478 Sul punto si veda A.PORTOLANO, Commento sub art. 25-bis, in Il Testo unico della finanza, a
cura di M. Fratini e G. Gasparri, Torino, 2012, I, p. 447 ss.
479 Il riferimento alla sottoscrizione e al collocamento permette di ricomprendere l’attività
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investimento di natura finanziaria», con la precisazione, aggiunta
successivamente e che sembra complicare ulteriormente lo scenario, secondo cui «non costituiscono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non
rappresentati da strumenti finanziari»480. Al riguardo è stato sostenuto come da
tale definizione possa «solo dedursi che un prodotto finanziario deve possedere due
requisiti: deve trattarsi di una “forma di investimento” e deve essere “di natura finanziaria”»481. Il problema è stato affrontato precisando come nel concetto di
“investimento” siano insiti il conferimento di una somma di un bene