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L’efficacia delle sentenze della Corte non è stato un tema immediatamente affrontato né in sede costituente, né dalla dottrina. Infatti, i primi lavori sui conflitti di attribuzione tra poteri si concentravano soprattutto sull’elemento soggettivo e oggettivo degli stessi. Il tema dell’efficacia delle sentenze era completamente tralasciato o affrontato molto marginalmente in connessione con l’esame dell’oggetto del giudizio.

114 O agiscano fraudolentemente per aggirare la Costituzione attraverso un esercizio del potere mirato

all’accrescimento delle proprie competenze. Ruggeri A. Spadaro A., Lineamenti, op. cit., 261.

115 Si è interrogato sulla reale portata di questo equilibrio .rottanelli de’ Santi .., Cenni introduttivi, in

Bindi E., Perini M. (a cura di) Recenti tendenze in materia di conflitti di attribuzione tra poteri dello

Stato, atti del seminario tenutosi a Siena i 24 maggio 2002, Milano, 2003. L’A. ha sottolineato

l’importanza dell’interrogativo su cosa sia questo equilibrio, di quali materiali sia composto, quali siano i suoi fini, la sua ragione, dato che dal testo della Costituzione non si estrae molto. Il fine a suo avviso rimarrebbe, nonostante le mutazioni del tempo e della storia che ne impongono l’attualizzazione, la separazione dei poteri in chiave di libertà e di democrazia.

41 L’evoluzione delle diverse tesi dottrinali sul tema116 ha inizio negli anni ’50. Muovendo dalla natura sostanzialmente giurisdizionale della Corte, si ritenevano utilizzabili gli istituti tipici del diritto processuale ed in particolare si arrivava ad attribuire alle decisioni della Corte un’efficacia che andava ben oltre il giudicato tipico del diritto processuale comune: un’efficacia assimilabile a quella propria di una norma costituzionale, che potrebbe essere modificata solo da una disposizione di pari grado117. Da qui poi la nascita e il radicamento della tesi che riconosceva valore di interpretazione autentica alle decisioni della Corte118. Tale tesi avrebbe contribuito tra gli anni ‘50 e ‘70 ad alimentare il diffondersi di analisi processualistiche della giustizia costituzionale, fino alla sua consacrazione con l’affermazione del carattere autoritativo del giudicato della Corte che in quanto tale sarebbe “vincolante per tutti, pur non avendo la natura né di atto politico né di atto amministrativo, bensì di sentenza”119. Con il superamento della tesi dell’interpretazione autentica120, la dottrina ha proseguito con approccio processuale evidenziando come l’oggetto del giudizio sia rappresentato da un accertamento in concreto e non dall’interpretazione di disposizioni, che

116 Si rimanda, per l’esame delle diverse tesi dottrinali, qui succintamente richiamate, alla ricostruzione

proposta da Perini M., Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali nei conflitti fra poteri dello

stato, Milano, 2003, 13 e ss.

117 Si fa qui riferimento alla tesi di Selvaggi C., I conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra regioni,

in Foro it, 1956, IV coll. 134 ss, al quale si deve la nota distinzione tra oggetto primario e secondario nei conflitti di attribuzione. Il primo sarebbe rappresentato dal “regolamento di competenza” il secondo dall’accertamento della validità o invalidità dell’atto su cui verte il conflitto. In particolare il giudicato si formerebbe rispetto all’oggetto primario che riguardando “l’appartenenza del potere, si estende a tutti i provvedimenti che, in base a quel potere potranno essere emanati. Tutti gli atti emanati dall’autorità dichiarata competente nell’esercizio della medesima attribuzione saranno indiscutibili per forza di giudicato; qualsiasi atto che emani dalla medesima attribuzione e venga reiterato dall’ente dichiarato incompetente, sarà illegittimo per violazione del giudicato, senza che sorga l’onere di elevare nuovamente il conflitto”.

118 Forse mossa dalle affermazioni contenute nelle sentenze nn. 17 e 18 del 1957 in cui si legge che

“spetterebbe alla Corte definire le sfere delle rispettive competenze costituzionali con una efficacia che trascende il caso che ha dato occasione alla controversia”.

119 Duini G., I conflitti di attribuzione fra Stato e regioni e fra regioni. Giudizio costituzionale ed altri

rimedi giuridici, Milano, 1970, 13. L’A. partiva dal ruolo della Corte come organo già investito di

altissime funzioni nel campo istituzionale, la cui decisione avrebbe un efficacia generale in quanto interpretazione vincolante delle norme sulla competenza. La pronuncia sul potere possiederebbe, quindi, un valore generale e astratto.

120 In particolare era stata evidenziata l’assenza di una norma che riconosca alla Corte il potere di

interpretazione autentica. Inoltre la natura giurisdizionale della Corte non potrebbe convivere con il suo ruolo di interprete autentico della Costituzione. Cfr. Grottanelli de Santi G., I conflitti op. cit., 115. Nella stessa direzione Mazziotti M., I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, op. cit., 52, il quale, smentendo la tesi che individua quale oggetto del conflitto l’interpretazione delle norme che conferiscono le attribuzioni, ha evidenziato l’interpretazione costituisce semplicemente la motivazione della sentenza, non il suo dispositivo ed il valore che essa assume non deriva dalla forza del giudicato, ma dall’autorità della Corte.

42 rappresenta invece il presupposto logico - l’argomentazione - su cui si basa l’accertamento121. Sono state poi via via introdotte e esaminate le diverse categorie mutuate dal diritto processuale: si affacciava, accanto al giudicato, anche la figura del precedente122 presa in prestito dai sistemi di common law e riadattata all’ordinamento italiano.

Parallelamente allo sviluppo di tesi che indagavano l’efficacia delle decisioni della Corte in un’ottica “processualistica”, alcuni autori procedevano lungo una direttrice diversa, affrontando l’argomento sul piano del diritto sostanziale. Escludendo che la statuizione sulla competenza potesse avere “autorità di giudicato”, .rottanelli de’ Santi le aveva riconosciuto valore di precedente ed, in particolare, aveva osservato che la parte della sentenza che contiene l’accertamento relativo alla spettanza del potere sarebbe in grado di svolgere un ruolo “sul verificarsi di casi analoghi e futuri e, da un punto di vista concreto, in dipendenza della maggiore o minore specificità del potere accertato, nonché della coerenza della giurisprudenza, nel tempo, della Corte”123. In questo senso è il comportamento conforme alla statuizione sulla competenza, da parte degli altri poteri, a conferire efficacia alla stessa, senza necessità di ricorrere alla categoria processuale del giudicato.

Questa ricostruzione che muove dal diritto sostanziale è alla base anche di alcuni studi più “recenti” i quali hanno tra i presupposti l’idea che l’efficacia di “precedente” delle

121 Cfr. Mazziotti M., I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, op. cit., 17 ss L’A. ha specificato

che l’oggetto del conflitto sarebbe costituito dall’accertamento in concreto del potere di disciplinare una specifica fattispecie. Riconoscendo che il compito della Corte sia quello di assicurare l’ordinato svolgimento della vita costituzionale, rimuovendo le situazioni di contrasto, l’A. ha evidenziato la necessità che la Corte proceda, non solo alla rimozione dell’atto lesivo, ma anche alla disciplina di quella fattispecie, non astrattamente definita, ma come storicamente individuata e sulla quale è sorto il conflitto.

122 La differenza tra precedente e giudicato e l’applicabilità di questi istituti al giudizio costituzionale è

magistralmente ricostruita da Pizzorusso A., Stare decisis e corte costituzionale, in Treves G. (a cura di) ,La dottrina del precedente nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino 1971, 31 e ss.

123 Grottanelli de Santi G., I conflitti di attribuzione fra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni, Milano

1961, 157 L’A. rifiutando la tesi che la Corte abbia un potere di interpretazione autentica, poneva nei limiti dell’influenza di fatto e del valore di precedente il problema dell’efficacia delle sentenze. Precisava inoltre che le precedenti decisioni non sarebbero vincolanti per la stessa Corte. Un uso simile del “precedente” si trova nell’opera di .rassi S., Il giudizio costituzionale sui conflitti di attribuzione, op. cit., 379. Secondo l’A. le decisioni della Corte sono sempre di tipo definitorio perché tendono, pur limitando i propri effetti alla soluzione del concreto esercizio di un determinato potere, a definire le regole di comportamento della regione o dello Stato nell’ambito della sfera costituzionale. La decisione della Corte avrà quindi una efficacia immediata (e vincolante per le due parti in conflitto) di ridefinizione del rapporto tra le due sfere di attribuzioni; mentre avrà efficacia di precedente autorevole per l’azione futura dei due enti.

43 sentenze della Corte consenta la formazione di norme giuridiche integrative delle lacune dell’ordinamento.

È stato evidenziato come, nell’ambito del diritto processuale, la Corte costituzionale abbia un vero e proprio potere di attuazione-integrazione124 che discenderebbe dalla stessa disciplina lacunosa dei conflitti125. Dall’indeterminatezza, deriverebbe in capo alla Corte il potere “di attendere, con elasticità, alla delicata funzione di illuminare tutti i luoghi bui della normativa costituzionale relativa alla distribuzione delle attribuzioni costituzionali”126. Per cui la scarsa o inesistente disciplina normativa avrebbe giustificato l’uso del precedente127. Tale assunto ha portato a ritenere che le decisioni della Corte ripetute nel tempo, e quindi non prese singolarmente, andrebbero, nel loro complesso, ad integrare le regole dello stesso processo costituzionale.

Questa idea è stata sviluppata attraverso l’analisi empirica delle decisioni della Corte128 in materia processuale ed è stato evidenziato come in tale ambito l’efficacia delle decisioni della Corte sia assimilabile all’idea di precedente nei paesi anglosassoni. In sostanza, quando manchi la regolamentazione di una fattispecie processuale è la stessa Corte a crearla in relazione al caso specifico ricorrendo ad “argomenti retorico-argomentativi”129. Se successivamente si ripresentano davanti alla Corte fattispecie analoghe, quest’ultima applicherà la medesima regola, in modo costante, finchè poi non sarà vincolata a farlo dall’usus fori da lei stessa creato. Questa efficacia giuridica è riscontrabile in tutti i precedenti in materia processuale ed è dotata di una sua persuasività che discenderebbe da un lato dal principio di uguaglianza, nel

124 Mazziotti di Celso M., I conflitti, op. cit., vol I, 117. L’A., utilizzando un’iperbole, aveva evidenziato

con preoccupazione come alla Corte fosse stata attribuita una funzione “pretoria” e addirittura “costituente”, che destava non poche perplessità.

125 Florenzano D., L’oggetto del giudizio sui conflitti 67 e ss. L’A. ha sottolineato come da sempre la

dottrina si sia interrogata sull’attività di precisazione causata dalla lacunosità del dettato normativo e abbia individuato nella Corte il soggetto che dovesse svolgere tale attività integrativa attraverso l’interpretazione (nello specifico l’A. ha richiamato i lavori di Mazziotti di Celso, Pensovecchio Li Bassi e Pomodoro). Anche Pizzorusso A., Stare decisis, op. cit., 80, aveva osservato come la disciplina positiva in materia processuale sia largamente lacunosa e volutamente frammentaria.

126 Florenzano D., L’oggetto del giudizio sui conflitti, 75.

127 Florenzano D., L’oggetto del giudizio sui conflitti, op. ult. cit., 215.

128 Perini M., Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali, op cit., 80 e ss. L’A. ha proposto

un’analisi delle vicende che attengono all’improcedibilità del giudizio per mancato deposito dei ricorsi introduttivi e all’inammissibilità del conflitto per carente indicazione del petitum del ricorso introduttivo, procedendo all’individuazione della pronuncia capostipite in materia per poi verificare l’accoglienza di principi e regole in essa fissati nella giurisprudenza successiva.

44 senso che la Corte sarà portata a trattare in modo uguale situazioni uguali, dall’altro lato dalle stesse caratteristiche del sistema di giustizia costituzionale130.

L’efficacia persuasiva del precedente processuale diventerebbe vincolante in virtù della costante applicazione nel tempo di quella regola di giudizio. La Corte, man mano che si succedono le decisioni, enuncerà la regola decisoria, per cui nell’applicare la medesima regola non farà riferimento al singolo precedente o alla serie di precedenti analoghi ma estrapolerà la ratio decidendi che assumerà le forme di una norma generale e astratta da applicare al caso di specie131.

Allontanandosi dalle regole del processo, le decisioni della Corte sembrano possedere un’efficacia diversa quando si passa sul piano del diritto sostanziale.

I precedenti della Corte in tal senso considerati non sarebbero da soli idonei a produrre effetti di diritto sostanziale ma, come accennato sopra, la loro efficacia discenderebbe dall’azione degli altri soggetti istituzionali132. Il complessivo comportamento dei soggetti coinvolti, le prassi esistenti, le tesi avanzate dalla dottrina troverebbero una sede di razionalizzazione nel giudizio sui conflitti, dove la Corte servendosi di questo materiale può enunciare una regola da applicare.133

Si andrebbe a delineare un’efficacia diversa sia dal precedente, perché l’indirizzo giurisprudenziale tenderebbe ad imporsi anche al di fuori dell’ambito processuale, sia dal giudicato perché l’efficacia trascenderebbe il caso deciso. Si tratterebbe di un

tertium genus di efficacia delle decisioni costituzionali.

130 Pizzorusso A., Stare decisis e corte costituzionale, 55-56. L’A. ha individuato alcune caratteristiche

proprie dell’attività della Corte costituzionale italiana che renderebbero più agevole l’osservanza del principio dello stare decisis. In particolare ha elencato: la competenza esclusiva dell’organo giudicante; l’unicità del collegio e l’assenza di divisioni in sezioni; la professionalità e durata dei giudici che garantiscono una certa stabilità alla composizione dell’organo; il numero ridotto di decisioni; l’elevata importanza delle decisioni che impegnano le parti e i giudici alla coerenza rispetto ai precedenti.

131 Perini M., Il seguito delle decisioni costituzionali in materia di conflitti di attribuzione tra poteri, in

Bin R., Brunelli G., Pugiotto A., Veronesi P. (a cura di) Effettività e seguito delle tecniche decisorie

della Corte costituzionale, Napoli, 2006, 310.

132 In questo senso Florenzano D, L’oggetto del giudizio sui conflitti, op. cit., 77. L’A. considerando

complessivamente l’esperienza dei conflitti, ha evidenziato come siano anche altri soggetti complici nella delineazione dell’oggetto della competenza, ad esempio gli organi dello Stato con la prospettazione dei ricorsi, la dottrina con le sue interpretazioni. Tali indicazioni non sono di per sé sufficienti a precisare definitivamente i conflitti, perché tale precisazione può provenire solo dalla Corte o dal legislatore. Tuttavia l’A. ha ribadito il ruolo di rilievo rivestito dai “potenziali utenti della giurisdizione”, i quali partecipano “istituzionalmente” all’attuazione dell’art. 134 della Costituzione e alla delimitazione dell’oggetto di questa competenza. “Essi sono i primi a dover prospettare il conflitto verificatosi” e ad “esprimere un’opzione suggerendo le argomentazioni logico-giuridiche che rendono compatibile al sistema la scelta indicata e voluta”.

133 Perini M., Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali, op. cit., 61; cfr. Florenzano, nella nota

45 Da questo presupposto si è mossa l’indagine di chi134 ha voluto verificare il ruolo che la Corte ricopre nella forma di governo partendo dal seguito e dagli effetti sostanziali delle sue decisioni. La Corte, in quanto organo costituzionale al pari degli altri, sarebbe in grado di influire sulla forma di governo attraverso le sue decisioni. Queste rappresenterebbero un mero comportamento di un organo costituzionale che potrà offrire, in mancanza di una disciplina scritta, un precedente utilizzabile da qualunque altro soggetto istituzionale per risolvere casi analoghi. Le sentenze della Corte esprimerebbero una norma giuridicamente vincolante di livello costituzionale, metterebbero per iscritto, cioè, il contenuto di consuetudini costituzionali135. Pertanto l’efficacia delle decisioni sui conflitti apparirebbe generale e astratta non per una qualità intrinseca, ma in conseguenza dell’evidenziarsi di norme consuetudinarie integrative del testo costituzionale che la Corte per un verso contribuisce a creare e per l’altro enuncia espressamente136.

Nega invece l’esistenza di consuetudini costituzionali nel nostro ordinamento Bin137, contestando anche quelle decisioni che ne hanno fatto in concreto applicazione, ritenendo che in questi casi la Corte abbia semplicemente operato un’interpretazione per principi, elaborando la regola per il caso concreto; si riconosce in sostanza l’attività creatrice di norme giuridiche della Corte.

Tirando le fila delle tesi fin qui riportate, appare quantomeno possibile riconoscere una efficacia ultra partes della decisione della Corte138 in riferimento al suo contenuto sostanziale, che attiene alle regole di comportamento rivolte ai poteri di volta in volta

134 Perini M., Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali, op. cit., Capitolo IV.

135 La Corte costituzionale, secondo Perini, riveste un ruolo centrale nell’affermazione delle

consuetudini costituzionali. La sua analisi parte dall’esame di due vicende e della relativa giurisprudenza costituzionale: l’insindacabilità parlamentare e la mozione di sfiducia individuale del ministro, dalle quali emerge che la Corte, da un lato, in quanto soggetto sovrano partecipa assieme agli altri organi costituzionali alla formazione della consuetudine: contribuisce ad elaborarla attraverso i propri comportamenti (usus) e la propria volontà (animus se obligandi); dall’altro fornisce alle norme sorte in via di prassi una stabile formulazione interpretativa. “Il giudizio sui conflitti si mostrerebbe, dunque, come luogo privilegiato in cui gli equilibri raggiunti nei rapporti tra poteri, se “in armonia” con la Costituzione, si cristallizzano in “disposizioni” costituzionali stabili per opera della Corte costituzionale” Perini M., Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali, op. cit., 440.

136 Perini M., Il seguito e l’efficacia, op. ult. cit., 427. 137 Bin R., L’ultima fortezza, op. cit., 38 e ss

138 “(…) l’accertamento dell’attribuzione/competenza potrebbe, in qualche modo spiegare effetti “erga

omnes” (quale accertamento finium regundorum “anche” rispetto agli altri poteri non coinvolti). In ogni

caso sarebbe sciocco sottovalutare l’effetto di precedente vincolante – nell’ipotesi di identico contesto – che ogni decisione sui conflitti intrinsecamente, benchè non formalmente, possiede.” In questi termini Ruggeri A., Spadaro A., Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino 2009, 266; contra Cicconetti S.M., Lezioni di giustizia costituzionale, Torino, 2010, 111.

46 coinvolti. L’esecuzione delle sentenze della Corte deriva infatti dall’esigenza “di collaborazione e coordinamento delle attività degli organi costituzionali tra di loro senza i quali ogni discorso intorno alla giustizia costituzionale appare concretamente inutile”139.

L’efficacia sostanziale e ultra partes delle decisioni della Corte deriverebbe quindi da due fattori. Da un lato dall’affermazione di regole generali ricavabili dalla prassi. In questo senso ci si riferisce ai casi in cui la Corte decide ricavando dal comportamento costante dei poteri l’esistenza di una consuetudine costituzionale che ha ovviamente una efficacia erga omnes. Dall’altro lato, l’efficacia deriverebbe dalla legittimazione della stessa Corte, in quanto organo superiorem non recognoscens, e dal riconoscimento del suo ruolo da parte degli altri poteri, i quali saranno portati ad adeguarsi alle pronunce della Corte, non solo in riferimento al caso concreto, ma anche per il futuro: dettando regole di comportamento, le decisioni della Corte incidono sul concreto atteggiarsi degli organi costituzionali, anche se non direttamente interessati dal conflitto poiché la fitta rete degli assetti istituzionali ne determina l’indiretto coinvolgimento.

Se si riconosce questa efficacia alle decisioni della Corte, non si può prescindere da una valutazione dell’impatto che tali decisioni hanno sulla trama dei rapporti istituzionali e della loro incidenza sulla forma di governo. È innegabile, in tal senso, il rilievo delle sentenze che hanno deciso il conflitto sulla sfiducia individuale del ministro e quello sul potere di grazia (rispettivamente con le sent. nn. 7/1996 e 200/2006) che hanno “ispessito”140 il tessuto costituzionale in relazione ai rapporti tra Parlamento-Governo-Presidente della Repubblica. È altrettanto innegabile l’incidenza di quelle sentenze che, pur non interessando direttamente elementi qualificanti della forma di governo, hanno interpretato disposizioni ordinarie, la cui controversa applicazione aveva originato il conflitto: si ricordano a titolo esemplificativo le sentenze in tema di segreto di stato e di responsabilità ministeriale su cui si tornerà più avanti, o la sentenza n. 1 del 2013141 in cui la Corte ha proposto un’interpretazione

139 .rottanelli de’ Santi G., I conflitti di attribuzione, op. cit., 159.

140 Romboli R., (a cura di) Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2011-2013), Torino, 2014. 141 Il caso noto attiene al conflitto tra Presidente della Repubblica e Procura di Palermo. In particolare

la Procura di Palermo sosteneva di poter chiedere al giudice nel contraddittorio delle parti, ai sensi dall’art. 268 c.p.p., di valutare la rilevanza delle intercettazioni presidenziali casualmente raccolte e di disporre la distruzione di quelle irrilevanti. In senso opposto il Presidente della Repubblica lamentava

47 delle disposizioni processuali sulle intercettazioni totalmente difforme da quella proposta dalla Procura di Palermo.

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