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L’EFFICACIA SOSTANZIALE DELLE DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN SEDE DI CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI TRA POTERI DELLO STATO.

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

Corso di dottorato in Scienze giuridiche

C

URRICULUM IN

G

IUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI

Coordinatore: Ch.mo Prof. Roberto Romboli

T

ESI DI DOTTORATO

L’

EFFICACIA SOSTANZIALE DELLE DECISIONI DELLA

C

ORTE COSTITUZIONALE IN SEDE DI CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI TRA

POTERI DELLO

S

TATO

.

Tutor Candidata

Prof.ssa Elena Malfatti Dott.ssa Rosa Pastena

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2

L’

EFFICACIA SOSTANZIALE DELLE DECISIONI DELLA

C

ORTE COSTITUZIONALE IN SEDE DI CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI TRA

POTERI DELLO

S

TATO

.

SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO I ... 9

1. I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato: una prospettiva storica. ... 9

1.1 I conflitti di attribuzione ... 10

1.2 I conflitti costituzionali ... 13

1.3 I conflitti di cui all'art. 134 Cost. ... 18

2 Il controverso ruolo della Corte ... 23

3. Linee evolutive delle decisioni della Corte costituzionale. ... 25

4. Il principio di leale di collaborazione nei conflitti tra poteri dello Stato. ... 28

5. L’efficacia delle sentenze della Corte. ... 40

6. Sulla necessità di una indagine empirica... 47

CAPITOLO II ... 50

1. Premessa ... 50

2. Le prime sentenze sul segreto di Stato: dall’illegittimità costituzionale ai conflitti d’attribuzione. ... 51

2.1. Il caso Abu Omar e la riforma legislativa. ... 59

2.1.1. La sentenza n. 106 del 2009. ... 64

2.2 Il caso Pollari. ... 75

2.3 Alcune considerazioni d’insieme sulla giurisprudenza in tema di Segreto di Stato. ... 81

3. La responsabilità ministeriale. ... 84

3.1 Il caso Matteoli. ... 86

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3 3.2.1 Il caso Mastella. ... 94 3.2.2 Il Caso Berlusconi. ... 95 3.2.3 Le sentenze gemelle. ... 99 3.3 Il caso Castelli... 103 3.3.1 La sentenza n. 29 del 2014. ... 107 3.4 Un primo bilancio. ... 109 3.5 Il caso Tremonti. ... 113

3.5.1 L’ordinanza n. 212 del 2016, un’inammissibilità “vestita”. ... 117

3.6 Riflessioni d’insieme. ... 118

4. La mozione di sfiducia individuale: il caso Mancuso. ... 124

CAPITOLO III ... 137

1. Efficacia delle sentenze e ruolo della Corte. ... 137

2. Discrezionalità e politicità dei giudizi della Corte... 144

3. Attuali tendenze dei conflitti di attribuzione tra poteri. ... 151

4. Effetti e conseguenze del nuovo assetto dei conflitti tra poteri. ... 158

CONCLUSIONI ... 165

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4

INTRODUZIONE

La previsione, tra le competenze della Corte costituzionale, del sindacato sui conflitti tra poteri dello Stato risponde all’esigenza di garantire l’architettura dei poteri come delineata dalla stessa Costituzione. La contemporanea esistenza di diverse funzioni e la loro distribuzione tra diversi soggetti e organi ha determinato un’articolazione di strutture costituzionali1 molto ricca, che dovrebbero reggersi sull’equilibrio del sistema di “check and balances”, i c.d. pesi e contrappesi, posti appunto a garanzia dei singoli poteri. Tuttavia, forte dell’esperienza totalitaria, l’Assemblea costituente aveva paventato il rischio di lasciare al mero equilibrio tra i poteri l’assetto costituzionale, immaginando che questo non sarebbe stato immune da alterazioni patologiche2. Per questo è stato introdotto un meccanismo di garanzia di tale equilibrio, attraverso l’individuazione di un soggetto terzo che potesse giustiziare i conflitti sorti tra i poteri, al fine di evitare che le dinamiche istituzionali fossero travolte dalle situazioni politiche e di garantire l’osservanza delle regole individuate dalla Carta costituzionale. Tuttavia l’individuazione di tale competenza non è stata accompagnata da una discussione pacifica, anzi le incertezze definitorie, di cui si dirà nel corso del primo capitolo, hanno determinato la laconicità dell’art. 134 Cost.

Tali difficoltà hanno caratterizzato anche la discussione della legge n. 87 del 1953, ed in particolare dell’articolo 37 che ha definito l’ambito soggettivo del conflitto interorganico.

Come si avrà modo di evidenziare, l’istituto del conflitto tra poteri dello Stato ha conosciuto un avvio molto lento, per poi sbocciare a partire dagli anni ’90. In questo suo “crescendo” la Corte è stata più volte chiamata a risolvere conflitti dall’alto “tono costituzionale”3 che, in un primo momento, la dottrina non era neanche riuscita ad

1 Zagrebelsky G., Marcenò V., Giustizia costituzionale, Bologna, 2012, 421 ss. 2 Ruggeri A., Spadaro A., Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2009, 239 ss.

3 Mezzanotte C., Le nozioni di “potere” e di “conflitto” nella giurisprudenza della Corte costituzionale,

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5 ipotizzare. In questa evoluzione, anche il concetto di separazione dei poteri è stato riletto alla luce del crescente pluralismo istituzionale e della crescente autonomia dei poteri di garanzia, il che ha messo in luce non tanto l’idea di separazione quanto quella di naturale convivenza e collaborazione dei singoli organi per lo svolgimento di un'unica funzione e per l’attuazione del disegno costituzionale delle competenze. La categoria dei confitti per vindicatio potestatis non è stata più sufficiente a descrivere l’ambito di conflittualità dei poteri e ha ceduto, ormai totalmente, il passo ai conflitti per menomazione o interferenza.

Dopotutto già Montesquieu4 aveva ipotizzato che la contrapposizione tra i poteri non potesse essere rigida, ma dovesse essere elastica per consentire una collaborazione tra questi ed evitare l’immobilismo.

L’oggetto del conflitto risiederebbe, quindi, proprio nel rapporto tra organi e, più specificamente, nell’individuazione di una competenza flessibile che attiene al momento dinamico della collaborazione. Ed è in questa rete di rapporti, dinamici, fluidi e interconnessi che trova il suo fondamento il principio di leale collaborazione, il quale rappresenta null’altro che l’altra faccia della medaglia del principio di separazione dei poteri5. La Corte ha cominciato ad utilizzare tale principio come canone per interpretare le regole che disciplinano il riparto delle competenze. Nell’ambito del presente lavoro si avrà modo di evidenziare la giurisprudenza che tale principio richiama e definisce. In particolare, il giudice costituzionale ha precisato che la leale collaborazione opera laddove vi sia “la convergenza dei poteri verso la definizione, ciascuno secondo la propria sfera di competenza, di una fattispecie di rilievo costituzionale, ove essi, piuttosto che separati, (siano) invece coordinati dalla Costituzione, affinché la fattispecie si definisca per mezzo dell’apporto pluralistico dei soggetti tra cui è frazionato l’esercizio della sovranità”6.

Il principio di leale collaborazione tra i poteri sarebbe quindi connaturato allo stesso funzionamento dei diversi poteri dello Stato. Ove però si determini un illegittimo

4 Montesquieu, L’esprit de lois, I, lib. XI, cap. VI (tr. it. di B. Boffito Serra, Milano 1989, 318): “ (…)

i tre poteri dovrebbero rimanere in stato di riposo. Ma siccome, per il necessario movimento delle cose, sono costretti ad andare avanti, saranno costretti ad andare avanti di concerto”. Il tema sarà approfondito nel corso del Capitolo I.

5 Bin R., Il principio di leale cooperazione nei rapporti tra poteri, in Riv. Dir. cost, 2001, 7. 6 Corte cost., sent. n. 87 del 2012, cons. dir. par.7; sent. 88 del 2012, cons. dir. par.5.

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6 sconfinamento nell’altrui competenza, o non vi sia la cooperazione richiesta, la Corte è chiamata ad intervenire per ristabilire l’equilibrio e indicare il modus operandi a cui i poteri dovranno attenersi, valutando in concreto il comportamento tenuto dagli stessi. A questo punto è lecito chiedersi come la Corte intervenga per imporre la legalità costituzionale anche ai comportamenti degli organi politici ed, in particolare, quale efficacia sia riconosciuta alle decisioni del giudice dei conflitti.

La discussione sull’efficacia della statuizione sulla competenza contenuta nelle sentenze della Corte non ha inizialmente interessato la dottrina, per lo più concentrata a individuare soggetto e oggetto del conflitto, ma è proprio nell’indagine su quest’ultimo che si possono incontrare le prime marginali riflessioni attinenti all’efficacia e il seguito delle decisioni della Corte.

Si avrà quindi l’occasione di passare in rassegna, seppur velocemente, le diverse tesi che hanno accompagnato tale indagine.

Sulla scia delle prime intuizioni di Mazziotti di Celso7, il quale già all’inizio degli anni ’70, aveva evidenziato che l’esecuzione delle decisioni della Corte è affidata in primo luogo allo spontaneo ossequio di tutte le autorità e dei cittadini verso il supremo organo di garanzia della Costituzione, si proverà a seguire la strada tracciata da coloro che si sono rifiutati di ricondurre l’efficacia delle decisioni della Corte ai classici istituti del diritto processuale, quali ad esempio il giudicato e il precedente, e si andrà ad indagare, nel concreto, in che modo i diversi poteri hanno dato seguito alle pronunce della Corte. Partendo quindi dall’idea di fondo che le decisioni del giudice costituzionale abbiano una efficacia che trascende il caso concreto, si proverà ad esaminare alcune vicende8 per verificare se, da un lato, gli altri organi costituzionali percepiscano come vincolanti tali decisioni e, in secondo luogo, se la loro efficacia possa discendere o meno dal leale e spontaneo ossequio verso la Corte costituzionale, si andrà cioè a verificare se può essere individuata un’efficacia sostanziale delle decisioni del giudice costituzionale. Per questo motivo si procederà ad analizzare tre vicende molto differenti tra loro, che investono tutte, in modo diverso il potere esecutivo. Tale scelta non è frutto del caso, ma nasce dalla considerazione delle esigue norme contenute nella Costituzione sul

7 Mazziotti di Celso M., Il procedimento e la decisione sui conflitti di attribuzione, in Studi in memoria

di Carlo Esposito, Padova, 1973, 1857 e 1861.

8 Si utilizza il termine vicende perché accanto alla giurisprudenza costituzionale, saranno evidenziati i

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7 funzionamento del Governo, il che consente di mettere in luce la funzione integrativa della Corte.

Si procederà quindi all’esame della giurisprudenza in tema di segreto di Stato, di responsabilità ministeriale e, infine, in tema di mozione di sfiducia individuale di un ministro.

Le prime due vicende vedono come protagonisti da un lato il potere politico (Governo e Parlamento) e dall’altro il potere giudiziario. Come si avrà modo di evidenziare, la quasi totalità dei conflitti tra poteri vede coinvolta l’autorità giudiziaria, la quale, a differenza dei poteri politici, non può avvalersi di altri strumenti di composizione interna delle fratture e dei contrasti, per cui l’unico rimedio possibile è portare i conflitti alla cognizione del giudice costituzionale.

Nei due casi richiamati la giurisprudenza costituzionale ha consentito di dare applicazione ed interpretazione alle norme, previste anche da leggi ordinarie, sul funzionamento di una particolare competenza. Oltre alle diverse sentenze della Corte, che consentono di individuare veri e propri “filoni” giurisprudenziali, sarà necessario esaminare il comportamento degli altri poteri di volta in volta coinvolti. Per questo, a titolo di esempio, una particolare attenzione sarà riservata alla giurisprudenza parlamentare in tema di responsabilità ministeriale, che può essere considerata lo specchio dell’effettivo seguito che il Parlamento ha dato alle sentenze della Corte sul tema.

Si coglierà, quindi, l’occasione per ricostruire i filoni giurisprudenziali in tema di segreto di Stato e di responsabilità ministeriale.

Con riferimento all’ultima vicenda, la solitaria e celebre sentenza sulla sfiducia individuale del ministro, in cui si contrappongono due poteri tipicamente politici, sarà possibile evidenziare come la Corte ha operato per ammettere l’esistenza di una consuetudine costituzionale, che ha consentito di dare valore generale alla statuizione sull’esistenza dell’istituto della mozione di sfiducia individuale.

L’esame di queste vicende consentirà di mettere in rilievo l’efficacia sostanziale delle decisioni della Corte, attraverso la quale sarà possibile ricostruire la posizione assunta dalla stessa all’interno dell’ordinamento.

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8 Senza voler anticipare troppo in queste prime pagine introduttive, si avrà l’occasione di evidenziare le attuali tendenze in tema di conflitti d’attribuzione tra poteri per interrogarsi sul ruolo assunto dal giudice dei conflitti negli ultimi anni.

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CAPITOLO I

1. I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato: una prospettiva

storica.

L'istituto del conflitto d'attribuzione ricopre un ruolo centrale nella costruzione ed evoluzione dei rapporti e degli equilibri tra poteri dello Stato. Le decisioni della Corte nei conflitti si sono rivelate fondamentali per disegnare le attribuzioni dei singoli poteri, andando ad integrare il testo intenzionalmente lacunoso della Costituzione.

La stessa formulazione dell’articolo 134 Cost. aveva indotto la dottrina a parlare di una competenza appena abbozzata e tale da consegnare di fatto al legislatore futuro una norma in bianco, contribuendo a costruire un istituto “malamente ed incompiutamente svolto”9.

Deve tuttavia affermarsi che è proprio ai confini indeterminati e mobili dell'istituto che si deve la sua “fluidità”, ovvero la sua capacità di accompagnare l'evoluzione dell'ordinamento durante le diverse fasi e, soprattutto, nei periodi di maggiore conflittualità.

Nonostante il carattere fortemente innovativo e mutevole dei conflitti di attribuzione, gli studi sul tema sono stati negli ultimi anni piuttosto frammentari, concentrati su singoli istituti o su singoli organi di volta in volta coinvolti nei giudizi costituzionali. Questo anche perché la giurisprudenza della Corte in tema di conflitti resta quantitativamente poco influente (negli ultimi anni circa il 2-3% delle decisioni

9 Crisafulli V., Lezioni di diritto costituzionale II, Cedam, Padova, 1984, 411. L'A. sottolineava come la

materia dei conflitti fosse lacunosa e tutt'altro che perspicua, e in quanto tale estremamente fluida e incerta; cfr. Malfatti E., Panizza S., Romboli R., Giustizia costituzionale, Torino, 2003, p 194. Per l’A. la previsione dei conflitti nell'art. 134 Cost. rappresenta una delle norme in bianco previste nella Carta costituzionale con profili di indeterminatezza e genericità, i cui lavori preparatori non riescono a dare nessun ulteriore chiarimento. Sul tema della lacunosità del testo costituzionale e sul potere integrativo delle decisioni della Corte si tornerà più avanti.

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10 totali10). Ad ogni modo, e ad eccezione di alcuni lavori11, lo studio sistematico di questo istituto è stato accantonato davanti all'esigenza o all'opportunità di uno studio casistico o tematico della giurisprudenza della Corte dei conflitti.

La maggior parte dei lavori monografici risale infatti agli anni '50; i quesiti che si ponevano i giuristi dell'epoca riguardavano da un lato il “concetto di conflitto” e dall'altro il “concetto di potere”. L'approccio sistematico dei giuristi del tempo, dettato probabilmente dalla complessità del tema, ci consente di analizzare il percorso storico-giuridico che ha portato alla scrittura dell'art. 134 Cost. e la sua interpretazione in

primis dottrinale e poi giurisprudenziale.

1.1 I conflitti di attribuzione

Prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana con il termine “conflitti di attribuzione” si faceva riferimento all’istituto disciplinato originariamente dalla legge sarda sui conflitti del 20 novembre 1859, n. 3780. Questo istituto nasceva nella Francia rivoluzionaria, laddove i parlamenti, attraendo a se la maggiore attività dello Stato, invadevano spesso le funzioni esecutive, sconfinando in un excès de pouvoir. Quando vennero spogliati delle attribuzioni di ordine amministrativo che avevano usurpato, si ritenne opportuno togliere ad essi anche il giudizio sulla propria competenza per difendere l'amministrazione da nuove future invasioni12.

La soluzione legislativa adottata in Francia fu seguita dal Regno Sardo; la legge 20 novembre 1859, n. 3780, sotto il titolo «Norme da adottarsi nei vari conflitti di giurisdizione» definiva così i conflitti: «Vi è conflitto quando l'autorità giudiziaria si occupa di questioni riservate alle determinazioni dell'autorità amministrativa, e quando un tribunale ordinario si occupa di una questione riservata ai tribunali del contenzioso amministrativo»13.

10 Nel 2016, le pronunce in sede di conflitto di attribuzioni tra poteri sono state 11 pari al 3,75% del

numero delle decisioni totali (9 di ammissibilità e 2 nel merito). Si tornerà su questi dati nel corso del Capitolo III.

11 Che saranno via via richiamati nel corso della trattazione.

12 Cfr. Azzariti .., Problemi attuali di diritto costituzionale, Milano, 1951, 200-201; Redenti E., Il

conflitto di attribuzioni nella Costituzione e nel codice di procedura, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 1948,

248; .uglielmi .., I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in La Corte costituzionale (raccolta

di studi), Roma, 1957, 401.

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11 Una delle questioni più dibattute era quella relativa all'autorità a cui affidare la risoluzione del conflitto, problema che in Francia non aveva avuto una soluzione uniforme: in un primo momento era stata fatta rientrare nella potestà del .overno, salvo ricorso all'Assemblea nazionale; poi passò al Direttorio esecutivo; quindi al primo console. La competenza fu poi devoluta al Consiglio di Stato, ritenendo che un corpo collegiale fosse più opportuno allo scopo, seppur sempre promanante dall'amministrazione e sotto il controllo del Capo dello Stato. Con l'avvento della seconda repubblica (1848) la decisione dei conflitti fu affidata a un tribunale misto composto da membri dell'autorità giudiziaria e del Consiglio di Stato. In sostanza nel sistema francese si era sempre scartata l'ipotesi che l'organo giudicante potesse provenire esclusivamente dall'ordine giudiziario. Probabilmente, si temeva che lo strapotere dei giudici andasse a invadere le potestà dell'amministrazione attiva (che è poi lo stesso motivo per il quale è nato l'istituto del conflitto)14.

La legge del Regno Sardo affidava, invece, la risoluzione dei conflitti al Sovrano - capo del potere esecutivo e di quello giudiziario - attraverso decreto reale e sentito il Consiglio di stato.

Questa legge aveva previsto sia i conflitti di attribuzione, che si verificavano quando l'autorità giudiziaria si occupava di questioni riservate all'autorità amministrativa, sia i conflitti di giurisdizione fra tribunali ordinari e quelli del contenzioso.

Più tardi, l'art. 13 della legge 20 marzo 1865, all. E, estese a tutte le provincie del Regno la legge sarda sui conflitti e l'art. 10, all. D, attribuì al Consiglio di Stato in Adunanza .enerale e in sede giurisdizionale la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra autorità amministrativa e quella giudiziaria ordinaria. Affidando la competenza al Consiglio di Stato, il legislatore stabiliva la natura giurisdizionale dell'atto di risoluzione del conflitto che fino ad allora, essendo affidato al Capo dello Stato, era considerato come un “atto di sovranità”. Allo stesso tempo, la scelta del Consiglio di stato come organo chiamato a risolvere il conflitto finiva con l'apparire contraddittoria rispetto alla natura giurisdizionale della relativa competenza: infatti, il Consiglio di Stato veniva considerato come un “corpo amministrativo”, con la conseguenza che il nuovo giudice del conflitto sarebbe apparso del tutto privo della posizione di terzietà che sarebbe dovuta scaturire dalla natura giurisdizionale del procedimento di

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12 risoluzione15.

Questa previsione appariva in contrasto con il nuovo sistema che aveva come base fondamentale l'abolizione dei tribunali del contenzioso. Si osservava, infatti, che abolito il contenzioso amministrativo si sarebbe dovuto abolire anche l'istituto dei conflitti, dovendo bastare all'amministrazione la difesa ordinaria di diritto comune16. L'istituto finiva per essere logicamente fuorviante e incompatibile con il principio della divisione dei poteri - che avrebbe dovuto, in realtà, garantire - spogliando l'autorità giudiziaria di una competenza che le sarebbe spettata17.

I dubbi sfociarono nell'approvazione della L. 31 marzo 1877, n. 3761, che, pur denominandosi legge sui conflitti di attribuzione, regolò soltanto i conflitti di giurisdizione. L'art. 3 stabiliva, infatti, che le sezioni unite della Cassazione giudicavano i conflitti di giurisdizione positivi o negativi tra tribunali ordinari e altre giurisdizioni speciali, nonché le nullità delle sentenze di queste giurisdizioni per incompetenza o eccesso di potere. I conflitti di attribuzione, intesi come conflitto tra autorità amministrativa e giudiziaria, venivano descritti sotto l'eccesso di incompetenza del giudice ordinario (art.1). Tuttavia, la dottrina aveva osservato come tra l'autorità amministrativa e la giurisdizione ordinaria non poteva sorgere un conflitto in senso tecnico, ma poteva solo essere sollevata una questione di competenza, in relazione alla sussistenza o meno di un diritto18.

Quindi, il conflitto d'attribuzione nella legge del 1877 si concretizzava come il mezzo straordinario concesso all'amministrazione di investire direttamente la Corte di Cassazione a sezioni unite della questione di competenza.

Sulla base di questa legislazione, la dottrina dell'epoca aveva creato una classificazione dei conflitti.

Si parlava di conflitto positivo quando due autorità si dichiaravano ambedue competenti, o negativo quando, al contrario, si dichiaravano ambedue incompetenti. Tra le varie distinzioni si ricorda quella tra conflitti interni e conflitti esterni. I primi sorgevano tra autorità dello stesso potere; secondo la prevalente dottrina del tempo,

15 Bertolini F., L'invasione di competenza nei conflitti costituzionali, Milano, 2004, 7. L’A. offre una

esaustiva ricostruzione del conflitto di attribuzione nell’ordinamento statutario.

16Mancini, Relazione alla Camera in data 16 giugno 1875, nel volume Unificazione e riforma della

legislazione civile, penale e amministrativa, Roma, 1876, 770 e ss.

17 Bertolini F., L'invasione di competenza, op. cit., 8. 18 Manca A., Conflitto, op. cit., 797.

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13 non erano giuridicamente rilevanti19 e erano risolti internamente al potere stesso, dalla sua massima autorità.

I conflitti esterni erano distinti in conflitti di giurisdizione, tra autorità di ordini diversi nell'esercizio della stessa funzione, e conflitti di attribuzione, tra autorità di ordine diverso che svolgono diversa funzione.

Ulteriore distinzione era quella tra conflitti ordinari e costituzionali a seconda che l'attribuzione di competenza discendesse da una norma di legge ordinaria o costituzionale. Si identificavano quindi in base alla norma attributiva di competenza.

1.2 I conflitti costituzionali

I conflitti d'attribuzione introdotti con l'art. 134 Cost. sono stati qualificati - seppur con qualche titubanza iniziale di cui si dirà più avanti - come conflitti costituzionali20. L'idea di risolvere in via giurisdizionale le controversie costituzionali tra gli organi dello Stato nasceva nello Ständestaat, ovvero in quello che la dottrina tedesca aveva definito come lo “Stato di ceti”, in cui la potestà di governo era ripartita tra principe e ceti organizzati. Il concetto di controversia costituzionale (Verfassungsstreitigkeit), quindi, si collegava alla matrice di giustizia costituzionale (derivante dal modello della Staatsgerichtsbarkeit) risalente all'inizio dell'Ottocento. Era in relazione alla struttura dualista della monarchia costituzionale che si precisava il concetto di controversia costituzionale: quando, cioè, le due parti del patto costituzionale, il Monarca (il governo del re) e l'Assemblea (Parlamento rappresentante dei ceti), si scontravano nell'interpretazione delle norme costituzionali relative alle loro funzioni.

La Costituzione veniva, quindi, considerata come espressione di un accordo fra i due21

19 Diversamente .uglielmi, I conflitti, op. cit. 408 e ss. riteneva che i conflitti di giurisdizione interni

fossero giuridicamente rilevanti. L'autore preferiva distinguere i conflitti tra eterogenei ed omogenei a seconda che i due poteri svolgano diverse funzioni o la medesima. La categoria più interessante sarebbe quella dei conflitti eterogenei, i quali possono qualificarsi come conflitti di attribuzione perchè le due autorità esplicano la stessa funzione anche appartenendo a diversi poteri dello stato ed affermano o negano entrambe di avere una determinata potestà o escludono che l'altra la abbia. Rileva per l'autore distinguere inoltre tra conflitti di attribuzione interni ed esterni, ovvero tra organi appartenenti o meno allo tesso potere. Esempio classico è il conflitto tra organi esecutivi della p.a. e giudici speciali.

20Pensovecchio Li Bassi A., Conflitti costituzionali, in Enc. Dir, VIII, 1002; Manca A., Conflitto, op.

cit., 793; .uglielmi .., I conflitti, op. cit. 410.

21 Così ad esempio la costituzione della Sassonia-Weimar-Eisenach (Karl August) era concepita come

un «contratto fra principi e sudditi» cfr. Schmitt C., Dottrina della Costituzione, a cura di Caracciolo A., Milano, 1984, 78.

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14 ed il funzionamento dell'organizzazione statale poggiava sulla bipartizione dei poteri22. Lo Stato non appariva, quindi, come un soggetto unitario ma come un insieme di istituzioni. Lo sviluppo, poi, di strutture confederali o federali resero necessaria una precisa ripartizione di competenze fra governo centrale e governi locali e, quindi, un apparato di norme volte a determinarle e di organi giurisdizionali che assicurassero l'applicazione di queste norme. Da qui nasceva una particolare concezione della giustizia costituzionale, dove, accanto al sindacato di legittimità delle leggi o di altri atti giuridici, occupava una posizione primaria anche la risoluzione di controversie relative ai diritti, alle attribuzioni o alle sfere di competenza dei poteri pubblici. Non è un caso, quindi, che le prime costituzioni che hanno espressamente disciplinato la risoluzione dei conflitti costituzionali siano state quelle germaniche.

.ià a fine ottocento, l'art. 76, al. 223, della Costituzione dell'impero (1871) prevedeva la competenza speciale del Bundesrat a dirimere i conflitti costituzionali che potessero insorgere tra i diversi stati della confederazione24.

Successivamente, la Costituzione di Weimar dell'11 agosto del 191925 attribuiva ad un organo indipendente, il tribunale costituzionale del Reich26, il compito di decidere le controversie costituzionali. Il riconoscimento costituzionale del conflitto poneva così le premesse per una definizione più ampia e rigorosa del concetto di controversia costituzionale.

Il terreno tedesco si presentava fertile, ed è, infatti, qui che attecchirono le prime elaborazioni dottrinali già dalla fine dell'800. Nascevano in .ermania le teorie che consentirono di ampliare l'interpretazione del conflitto sia sul piano delle ipotesi

22Pensovecchio Li Bassi A., Conflitti costituzionali, in Enc. Dir, VIII, 999.

23 L'art. 76 della Costituzione dell'impero germanico, 16 aprile 1871, così recitava «I conflitti fra i vari

Stati della Confederazione che non appartengono per loro natura al diritto privato e quindi non devono essere risolti dalle competenti giurisdizioni per queste specie di contestazioni vengono risolti dal Consiglio federale su domanda d'una delle parti. I conflitti costituzionali che sorgono negli Stati della Confederazione la cui Costituzione non ha stabilito alcun potere per risolvere questi conflitti, sono, su domanda di una delle parti, amichevolmente appianati dal Consiglio federale, e se questo non vi riesce vi si provvede con una legge dell'Impero».

24Manca, A., Conflitto, op. cit., 793.

25 Costituzione di Weimar, 11 agosto 1919, art. 19: «Il tribunale costituzionale del Reich, in quanto non

vi sia la competenza di un altro organo giudiziario del Reich, decide, su richiesta di una delle parti contendenti, le controversie costituzionali che sorgano nell’interno di un Land, per la cui soluzione non esista alcun tribunale, ed altresì quelle di natura non privata fra diversi Länder, o fra il Reich e un Land. Il presidente del Reich esegue le decisioni del tribunale costituzionale.»

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15 suscettibili di dar luogo a conflitto sia sul piano dei soggetti legittimati27.

È in questa fase che vengono, quindi, elaborate le diverse teorie sull'interpretazione del conflitto costituzionale.

Secondo una prima teoria, detta tradizionale, in quanto più antica e più lungamente seguita, i conflitti costituzionali sarebbero esclusivamente quelli tra Parlamento e .overno. L'evidente semplicità e riduttività di questa classificazione era figlia dell’assetto politico del tempo: nasceva, infatti, nel periodo in cui le funzioni fondamentali dello Stato risultavano espresse dal Sovrano da un lato, e dalla rappresentanza delle altre classi, dall'altro. Il funzionamento dello Stato poggiava, quindi, sul dualismo di questi due organi. Questa teoria fu accolta dalla dottrina che non riconosceva natura costituzionale ai conflitti tra organi giurisdizionali e organi amministrativi e aveva difficoltà ad ipotizzare conflitti tra organi legislativi e giurisdizionali28.

In antitesi alla teoria tradizionale si sviluppava la teoria oggettiva,29 per la quale controversie costituzionali erano tutte quelle che riguardavano l'interpretazione o l’applicazione della Costituzione, indipendentemente dai soggetti tra i quali la controversia insorgeva. I conflitti tra .overno e Parlamento, anche se costituivano le ipotesi più frequenti o comunque di maggior rilievo, non potevano esaurire da soli la categoria in esame, perché quest’ultima avrebbe dovuto essere individuata avendo riguardo non ai soggetti tra i quali insorge una controversia ma all'oggetto, ovvero alla circostanza per cui la controversia fosse effettivamente sorta intorno a una norma costituzionale.

La giurisprudenza della Corte di Weimar sulla scorta della teoria oggettiva, aveva ampliato di fatto i presupposti soggettivi delle controversie costituzionali, animando le critiche di chi riteneva che l'obiettivo della giustizia costituzionale non fosse la tutela di tutti i soggetti dell'ordinamento nei confronti dello Stato, ma quello di garantire l'omogenea applicazione delle norme statali di organizzazione nei confronti dei

27 .rassi S., Conflitti costituzionali, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 1989, 365. 28 Pensovecchio li Bassi, Conflitti costituzionali, in Enciclopedia del diritto, VII, 999; dello stesso autore

I conflitti di attribuzioni, Milano, 1957, 142. Tra i fautori della Teoria tradizionale nella dottrina italiana

cfr. Rossi L., La parità giuridica dei poteri costituzionali nello stato moderno, in Scritti vari di diritto

pubblico, V, Milano, 1939, 25; Manca A., Conflitto, op. cit., 793.

29 Sviluppata in particolar modo da Kahl, Protokolle der Verfassungsausschusses cfr. .rassi S., Conflitti

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16 soggetti dell'ordinamento federale (tipico della teoria tradizionale).

In risposta alla teoria oggettiva, si sviluppava in senso diametralmente opposto la teoria soggettiva, per la quale i conflitti costituzionali erano quelli in cui le parti avevano natura di soggetti o organi costituzionali. Per cui non qualsiasi controversia relativa all'applicazione di una norma costituzionale poteva rientrare nella categoria in esame. I sostenitori di questa teoria30 osservavano che, secondo la teoria oggettiva, anche la violazione dei diritti fondamentali contenuti nella Costituzione da parte delle pubbliche autorità avrebbe potuto essere denunciata dai cittadini sollevando una controversia costituzionale. Per cui, per la teoria soggettiva il criterio per determinare la natura costituzionale di una controversia sarebbe dato dall'appartenenza dei soggetti all'organizzazione costituzionale.

Prendeva piede successivamente, anche nella pratica del tribunale costituzionale di Weimar, la cosiddetta teoria mista31 , che integrava il criterio oggettivo con quello soggettivo. Si consideravano costituzionali quindi quelle controversie che avevano ad oggetto l'interpretazione di norme costituzionali del Reich o dei singoli Lander, che sorgessero tra soggetti o organi titolari di funzioni costituzionali.

In questo modo si creavano le basi per ampliare la legittimazione attiva, includendo non solo gli organi supremi ma anche i soggetti che concorrevano alla formazione della volontà politica o che applicavano norme costituzionali di organizzazione (come le minoranze, i parlamentari, i partiti politici, ecc.). Si ampliava così anche l'oggetto della controversia: non solo le norme fondamentali, ma anche quelle di grado costituzionale o integrative della Costituzione.

Appariva evidente l'insufficienza congenita della teoria tradizionale: la complessità dei rapporti tra poteri dello Stato non era più circoscritta al dualismo Sovrano-Parlamento, in quanto potevano ipotizzarsi ben altri tipi di controversie costituzionali. Inoltre, le controversie tra Parlamento e .overno, per la loro natura spiccatamente politica, venivano risolte attraverso gli strumenti del voto di sfiducia o dello scioglimento

30 Si riportano i riferimenti ai testi degli autori tedeschi, come richiamati dal Pensovecchio Li Bassi A.,

Il conflitto di attribuzione, op. cit. Jellinek W., Verfassung und Verwaltung des Reichs und der Lander,

in Teubners Handbuch, Berlin-Leipzig, 1925, 29; Schmitt C., Verfassunglehre, Berlin, 1983 117.

31 Pensovecchio Li Bassi A., Il conflitto di attribuzione, op. cit., 144. L’A. richiama come fautori della

teoria mista: Triepel, Wesen und Entwicklung der Staatsgerichtsbarkeit, in Veroffentlichtslehrer, Berlin-Leipzig, 1929, 23; Friesenhahn, Die Staatsgerichtsbarkeit, in Handbuch des deutschen Staatsrechts, II Tubingen, 1932, 534; nella dottrina italiana Virga, I conflitti di attribuzione, in Foro pad., 1949, IV, 15.

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17 anticipato32.

La teoria oggettiva, svalutando l'importanza dell'elemento soggettivo, ammetteva che qualsiasi contrasto concernente la Costituzione sarebbe dovuto rientrare nelle controversie costituzionali, riconoscendo quindi a qualsiasi organo la facoltà di adire alla Corte costituzionale. Quindi, sarebbe stato ammissibile anche il ricorso del singolo cittadino contro lo Stato qualora avesse ritenuto di essere stato leso dalla violazione di una disposizione costituzionale o di un'altra norma della costituzione concernente i diritti soggettivi.

Opposte sono le ragioni che hanno fatto cadere la teoria soggettiva, perché ovviamente non si può prescindere dall'oggetto della controversia.

Così la teoria mista, seppur aveva il pregio di comprendere la necessità dell'elemento soggettivo unitamente a quello oggettivo, non precisava i rapporti alla stregua dei quali avrebbe dovuto essere determinata la natura della controversia medesima.

Dal superamento delle teorie classiche nasceva negli anni ’50 il pensiero del Pensovecchio Li Bassi. Il giurista, partendo dall'incompletezza e l'insufficienza delle teorie tedesche, adottava il criterio finalistico: era necessario indagare quale fosse lo scopo posto a fondamento della singola controversia. Era quindi solo alla stregua del criterio causale che poteva precisarsi l'ambito entro il quale la lite si svolgeva e la specie di norme intorno alla quale si muoveva.

Si escludeva che una controversia che abbia come causa il mantenimento o il ripristino della legalità in seno all'organizzazione di un ente, quindi magari sollevata da un ufficio per provvedere all'eliminazione di una irregolarità dell'attività di un altro ufficio, potesse avere carattere costituzionale. Viceversa, quando la controversia fosse stata provocata da una particolare e più grave violazione di norme formalmente costituzionali poteva parlarsi di controversia costituzionale. Lo scopo non era, quindi, il mero ripristino della legalità, ma la conservazione o ripristino della regolarità costituzionale. Per questo la controversia avrebbe dovuto necessariamente avere come ambito di svolgimento quello dell'organizzazione costituzionale e come oggetto l'applicazione di una o più norme regolatrici di una funzione costituzionale33.

32 Pensovecchio Li Bassi A., Conflitti costituzionali, op. cit. 1000.

33 Con il termine funzione costituzionale, qui il Pensovecchio si limitava a considerare quella legislativa

e di governo, richiamando una classificazione di .aleotti S., La garanzia costituzionale. Presupposti e

concetto, Milano, 1950, 130 ss., pur ammettendo che possano rientrare tra le funzioni costituzionali anche altre difficilmente qualificabili come quelle, ad esempio, del Presidente della Repubblica.

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18 La lesione costituzionale doveva essere, secondo l'autore, interpretata in senso ampio, così da comprendere ogni possibile diretto pregiudizio, arrecato dall'attività di un qualsiasi ufficio, all'ordinato funzionamento dell'organizzazione costituzionale. Tale lesione non era solo collegata alle manifestazioni di volontà degli organi costituzionali, ma anche a qualsiasi attività che si presentasse come un pericolo per l'ordine costituzionale34 . Quindi, si ammetteva la possibilità che anche attività che non trovavano la loro disciplina in Costituzione fossero in grado di menomare la competenza degli organi costituzionali.

Il conflitto costituzionale veniva, quindi, definito come «una controversia intorno all'appartenenza di una potestà, che interessa la sfera costituzionale e ha come oggetto l'interpretazione o l'applicazione di norme costituzionali di competenza»35.

Sicuramente hanno natura costituzionale i conflitti previsti dall'art. 134 della Costituzione.

1.3 I conflitti di cui all'art. 134 Cost.

In Assemblea costituente l'idea di un conflitto tra poteri venne portata avanti senza grandi contrasti e senza una particolare illustrazione nella seduta plenaria della c.d. Commissione dei 75. Venne però successivamente criticata in Assemblea, dove fu affrontato il tema di una più ampia definizione del concetto di conflitto.

Il deputato Condorelli36 era a favore della funzione di risoluzione dei conflitti affidata alla Corte, i quali erano intesi come usurpazione di poteri costituzionali, alla base dei colpi di stato. Proponeva, in sostanza, l'individuazione di uno strumento di immediata lotta alle usurpazioni. La proposta di Condorelli venne respinta, perchè tacciata di carenza di realismo, e perchè si riteneva pericoloso allargare la competenza della Corte a giudizi sostanzialmente politici e non riconducibili agli schemi astratti tipici della

34 Diversamente .aleotti S., La garanzia costituzionale, cit., cap III essendo solo le funzioni di .overno

e Parlamento disciplinate in Costituzione, solo questi possono porre in essere violazioni della Costituzione ed in particolare lo stesso concetto di lesione costituzionale coinciderebbe con la semplice violazione delle norme della Costituzione che regolano il funzionamento dei suddetti organi costituzionali.

35 Pensovecchio Li Bassi, Il conflitto di attribuzioni, cit., 152.

36 Assemblea costituente, CCCX, Seduta 28 novembre 1947 antimeridiana, 2619. Tutti gli interventi

riportati di seguito appartengono alla medesima seduta, il cui resoconto è consultabile al seguente indirizzo: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed310/sed310nc.pdf

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19 legittimità.

Nella stessa direzione andavano gli interventi di Mortati, il quale sottolineava la pericolosità di estendere la competenza di un organo costituzionale al caso dei conflitti, prevedendo che una tale ingerenza negli equilibri istituzionali avrebbe portato solo a ingenerare discredito sull'operato della novella Corte37.

Il democratico Bertone sosteneva l'inutilità di prevedere questa nuova funzione, in quanto i conflitti tra poteri erano sostanzialmente quelli tra potere giudiziario e potere amministrativo già devoluti al Consiglio di Stato e alla Corte di Cassazione. Anche il democratico Nitti vedeva una sovrapposizione di funzioni tra le due corti, ma sottolineava soprattutto l'eccessiva commistione con la politica.

La proposta dei più era quella di ripetere la dizione della legge del 1877, precisando che i conflitti oggetto del giudizio della Corte fossero circoscritti nell’ambito di quelli già affidati alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la suddetta legge, chiarendo, in questo modo, che alla Corte veniva trasferita la competenza a risolvere tali conflitti tra esecutivo e giudiziario, individuando con chiarezza i limiti di questa sua funzione. In senso opposto c'era chi, come il socialista Persico, si opponeva e sottolineava la netta distinzione tra i conflitti di giurisdizione di cui facevano parte quelli di attribuzione, come previsti dalla legge del 1877, ed i conflitti costituzionali di competenza della Corte.

Il dibattito successivo all’entrata in vigore del testo costituzionale non riuscì a risolvere con chiarezza il problema sulla identità o meno dei suddetti conflitti dando vita a diverse interpretazioni del dettato costituzionale.

Da un lato si sviluppò la tendenza a includere nella categoria dei conflitti tutti i possibili contrasti di competenza tra uffici di poteri diversi e, quindi, anche i conflitti tra l'autorità giudiziaria e l'autorità amministrativa, previsti dal codice di procedura civile e devoluti alla Corte di cassazione, da cui l'idea che la risoluzione dei conflitti tradizionali fosse stata sottratta alla Cassazione e affidata alla Corte costituzionale38.

37 Assemblea costituente, CCCX, Seduta 28 novembre 1947 antimeridiana, 2621.

38 Tra gli altri cfr. Rocco F., A proposito di alcuni dissensi interpretativi dell'art. 134 della Costituzione,

in Rass dir Pubbl., 1948, I, 145; .asparri P., I conflitti di attribuzione, in Giur. Ital, 1949, IV, 17; Lentini A., I conflitti di attribuzione e di giurisdizione della nuova costituzione della Repubblica italiana, in Corr. Amm., 1949, 22; Baschieri .., La costituzione italiana, Firenze, 1949, 428; Favara P., Equilibrio

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20 Ad esempio, Balladore Pallieri39 sosteneva che la nuova Corte si sostituisse alle sezioni unite della Corte di cassazione, ipotizzando una competenza residuale e del tutto identica a quella che fino al 1948 aveva avuto la Corte di Cassazione; Amorth40 sottolineava invece la modifica che l'art. 134 Cost. aveva apportato all'ordinamento giuridico con riferimento alla specifica competenza della Suprema corte di Cassazione di risolvere i conflitti d'attribuzione tra potere esecutivo e giudiziario; così molti altri autori41, pur riconoscendo che i conflitti di cui al 134 Cost. possano includere una serie di rapporti più ampia di quella tradizionalmente considerata (circoscritta ai conflitti tra amministrazione e giurisdizione), affermavano allo stesso tempo che la competenza sui conflitti spettante alla Corte di cassazione fosse ora devoluta alla Corte costituzionale42.

Dall'altro lato si faceva largo l'opposta idea che nella categoria dei conflitti tra poteri rientrassero solo quelli costituzionali e non tutti quelli tra uffici appartenenti a poteri diversi43 . Redenti44 , ad esempio, riteneva del tutto aberrante di fronte al sistema l’opposta soluzione; Raggi45 e Azzariti46 ritenevano salde le storiche competenze della Corte di Cassazione, affermando la necessità di individuare altre figure di conflitti di attribuzioni devolute alla Corte Costituzionale.

La scheletrica norma dei conflitti non poteva essere interpretata né su base letterale, né facendo riferimento ai lavori preparatori (che offrivano esiti contrastanti). Occorreva quindi interrogarsi su quale fosse il fine della competenza introdotta, il quale trovava la sua origine nella necessità di reprimere le violazioni non di una qualsiasi norma giuridica relativa alle attribuzioni degli organi dello Stato, ma delle sole violazioni che siano tali da turbare la normalità della sfera costituzionale. Tale

39 Balladore Pallieri .., La nuova Costituzione italiana, Milano, 1948, 156. 40 Amorth A., La Costituzione italiana, Milano, 1948, 134.

41 Cereti C., Diritto costituzionale italiano, Torino, 1948, 289 ss; Pergolesi F., Diritto costituzionale,

Bologna, 1948, 125; Biscottini .., La Costituzione della Repubblica italiana, Milano, 1948, 79, Lucifredi R., La nuova costituzione italiana, Milano, 1953; .asparri, I conflitti di attribuzione, op. cit., 17.

42 Lucifredi R., Attribuzioni (conflitto di), in Enc dir., IV, 291.

43 Berio A., Conflitti di attribuzione e corte costituzionale, in Nuova Rass. 1948, 549; Virga P., I conflitti

di attribuzione, in Foro padano, 1949, IV, I.

44 Redenti E., Il conflitto di attribuzioni nella Costituzione e nel codice di procedura, in Riv. Trim. dir.

Proc. civile, 1948, 247.

45 Raggi L., I conflitti di attribuzioni e la Corte costituzionale, in Nuova rass. Leg. Dottr. Giur., 1948,

741.

46 Azzariti .., I conflitti di attribuzioni tra i poteri dello stato secondo la nuova costituzione, in Riv.

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21 normalità poteva, ad esempio, essere compromessa quando un ufficio si fosse allontanato dai limiti di competenza ad esso assegnati straripando nella sfera riservata ad un potere diverso o menomando le funzioni di quest'ultimo47.

Ad ogni modo, tra chi sosteneva la natura costituzionale dei conflitti introdotti dall'art. 134 Cost. era possibile distinguere opinioni diverse: alcuni48 ritenevano che la nuova norma costituzionale contemplasse solo i conflitti tra organi supremi, cioè organi al vertice di poteri diversi (superiorem non recognescentes); altri affermavano che si riferisse a conflitti tra uffici di poteri diversi originati da atti di natura costituzionale49; altri ancora sostenevano che i conflitti in esame fossero quelli tra organi costituzionali intorno all'applicazione o interpretazione di norme costituzionali50 ; c’era poi chi, criticando le suddette posizioni, riteneva che tali conflitti nascessero da una irregolare interpretazione o applicazione di norme costituzionali di competenza da parte di un organo, costituzionale o ordinario, dal quale potesse derivare una lesione per un altro organo costituzionale appartenente ad un potere diverso51.

Questi dubbi dottrinali animarono il dibattito in sede parlamentare sui disegni di legge per l'ordinamento ed il funzionamento della Corte costituzionale.

Le diverse tesi che si erano prospettate in dottrina riecheggiarono nei vari interventi parlamentari e si affacciò l'opportunità che il Parlamento non risolvesse il contrasto, lasciando alla Corte costituzionale il compito di autolimitare la propria competenza. Tale tesi non prevalse e dopo una serie di emendamenti si arrivò all'approvazione dell’art. 37 della L. 11 marzo 1953, n. 87.

47 Inoltre era stato osservato(Azzariti G., I conflitti di attribuzioni tra i poteri, op cit. 212) che ritenere

la competenza dei confitti di attribuzione classici trasferita alla Corte costituzionale avrebbe rappresentato una contraddizione e un passo indietro rispetto all'evoluzione del contenzioso amministrativo che aveva visto la graduale parificazione dei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione, e non solo, sarebbe stata in contrasto anche con il nuovo art. 113 Cost. che proclamava “contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria e amministrativa”.

48 Petrucci M., La corte costituzionale, cit. 462; Virga P., I conflitti di attribuzione cit., 14; Pierandrei F.,

Le decisioni degli organi della giustizia costiuzionale, in Scritti giuridici in memoria di Orlando, II,

Padova, 1957, 281; Redenti E., Il conflitto di attribuzioni, op. cit, 251.

49 Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1952, 548. 50 Virga P., I conflitti di attribuzione, op. cit. 14.

51 Pensovecchio Li Bassi A., Il conflitto di attribuzioni, op cit., 165 e ss. Questa tesi è stata smentita da

Mazziotti di Celso M., Il conflitto, op. cit., 14. L’A. ha sottolineato come non basti, affinchè vi sia conflitto, che sorga una controversia interorganica tale da turbare il funzionamento del meccanismo costituzionale, ma occorre che tale controversia abbia un carattere di particolare gravità in quanto sorge fra poteri, cioè fra parti costituite in posizione tale da essere in grado di influire in modo determinante sull'attività degli organi costituzionali dello Stato, limitando o eventualmente arrestando l'esercizio delle loro funzioni.

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22 In particolare, affermando che il conflitto deve insorgere fra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, si è chiarito quanto implicito52 nell'art. 134 Cost, cioè che il conflitto, quale che ne sia stata l'origine storica, deve giuridicamente insorgere fra organi capaci di impegnare l'intero potere: solo in questo senso può parlarsi di conflitto tra poteri dello stato e non tra organi di tali poteri. .ià allora, sembrava a questo punto doversi escludere anche l'interpretazione che il conflitto debba insorgere necessariamente fra organi supremi dei vari poteri, in quanto ben possono autorità inferiori di un potere dello Stato prendere provvedimenti definitivi in lesione delle attribuzioni di un altro potere53.

A margine dei dubbi interpretativi, la norma è riconosciuta come un “ardito progresso”54 dell'ordinamento giuridico italiano, estendendo il dominio della legalità a rapporti che fino a quel momento erano restati fuori. Questi conflitti non erano mai stati disciplinati dalle leggi, non perchè ignorati ma perchè poggiando su basi politiche erano considerati come risolubili solo sul terreno politico in un sistema di spontaneo equilibrio tra gli stessi organi costituzionali pariordinati e tutti al vertice dell'organizzazione statale. La nuova Costituzione apriva, così, una nuova via di risoluzione dei conflitti anche sul piano giuridico. La dottrina55 sembrava cogliere il difficile e delicato ruolo della Corte: si paventava il rischio di una delegittimazione della Corte per l'eccessiva politicità della funzione di risoluzione dei conflitti.

Questa diffidenza e le incertezze definitorie hanno determinato un notevole ritardo nell'affermazione dell'istituto nella successiva esperienza costituzionale.

Infatti, dovrà attendersi la metà degli anni '70 per le prime decisioni di merito da parte della Corte.

Il primo ricorso risale al 1965, ma fino al 1975 tutti i conflitti sono stati dichiarati inammissibili perchè di inconsistente rilievo costituzionale. Dagli anni '70 la Corte ha cominciato ad ampliare la portata soggettiva dell'istituto, riconoscendo la legittimazione a sollevare al conflitto a chi sia in grado di dichiarare in via definitiva

52 In questi termini cfr. Mazziotti M., Il conflitto, op. cit. 14. 53 Mazziotti M., Il conflitto, op. ult. cit.

54 In questi termini Azzariti, I conflitti di attribuzione, op. cit., 215.

55 Crisafulli V., Lezioni di diritto costituzionale, op. cit., 411. Per l'A. rendere giustiziabili i conflitti tra

i massimi poteri dello Stato, che di solito sono risolti nella concreta dinamica delle forze politiche attive, rassomiglia molto alle «generose utopie che hanno ispirato e ispirano, con scarsi risultati pratici ed ingente dispendio di mezzi finanziari le organizzazioni del tipo Società delle Nazioni ed organizzazione delle nazioni unite, oggi».

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23 la volontà del potere a cui appartiene, secondo la formulazione dell'art. 37 della l. n. 87 del 1953.

2 Il controverso ruolo della Corte

Il dibattito intorno all'interpretazione delle disposizioni sulla Corte aveva fatto emergere da subito che, in ragione degli ampi margini di significato lasciati dalle disposizioni costituzionali, per propria natura generali e generiche, l'attività del giudice costituzionale avrebbe potuto assumere connotati certamente esorbitanti da quella concezione della giurisdizione come mero “ius dicere”, ovvero come attività intesa semplicemente a “dichiarare” il diritto, scevra da qualsiasi apporto innovativo56. In un primo momento, l'interesse della dottrina si era focalizzato sull'aspetto politico delle pronunce nell'ambito del giudizio di legittimità costituzionale di una legge, in quanto questa specifica attribuzione della Corte era quella più caratteristica nonché la più feconda.

In particolare, veniva da subito in rilievo come il ruolo ibrido57 della Corte a metà tra organo giurisdizionale e organo politico si scontrasse proprio con quei poteri a cui più facilmente veniva accostato. La Corte costituzionale, in quanto nuovo potere dello Stato, non riconducibile pienamente né all'alveo del potere giudiziario né del potere legislativo, ha dovuto farsi posto in concreto tra gli altri poteri, scontrandosi soprattutto con quello giudiziario, in un primo momento, e con quello legislativo, in un secondo momento.

Anche il giudizio sui conflitti esprimeva la strutturale ambiguità dei giudizi

56 Florenzano D., L'oggetto del giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato, Trento, 1994,

17 in nota n. 12.

57Sulla natura “ibrida” della Corte vi è un sconfinata letteratura, tra tutti cfr. Cheli E., Il giudice delle

leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri, Bologna, 1996, 30 e 108. L’A. ha ricordato

come i costituenti davanti alla scelta fra i due modelli, uno ad accentuata valenza giurisdizionale e uno ad accentuata valenza politica, optarono per una soluzione di compromesso. “La conseguenza fu una

forma di ibridazione tra i due modelli fondamentali, con la costruzione di un sistema di giustizia

costituzionale del tutto peculiare (…)” Tale scelta fu dettata da ragioni politiche contingenti: da un lato la volontà di creare un organo sufficientemente forte, ma staccato dal potere giudiziario, che si riteneva inidoneo a svolgere una funzione di rinnovamento basata sui nuovi valori costituzionali, dall’altro, la volontà di creare un organo cui i conflitti sulla legittimità delle leggi arrivassero filtrati da altri soggetti, da cui l’incidentalità della questione di legittimità.

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24 costituzionali, divisi tra i valori che sono chiamati a tutelare e la vocazione giurisdizionale del metodo con il quale devono imporre il rispetto di tali valori. L'aspetto politico dei conflitti tra poteri fu ampiamente sottolineato in sede costituente58 fino a diventare argomento contro l'istituzione dell'organo di controllo di costituzionalità, perché, inserendosi a posteriori in un sistema “equilibrato” basato sulla separazione dei poteri, avrebbe sicuramente inciso e determinato una situazione di squilibrio.

Non può non considerarsi il giudizio della Corte sui conflitti tra poteri come un giudizio almeno parzialmente “politico”59 . Il sistema costituzionale italiano è caratterizzato da un sistema di check and balances che garantisce la separazione e divisione dei poteri. Tuttavia, è stato sottolineato60 come in nessuna parte della Costituzione venga affermato il principio della divisione dei poteri: l'unica disposizione da cui si può desumere che i poteri debbano essere separati istituzionalmente è proprio quella che prevede che possano trovarsi in conflitto e che affida alla Corte la risoluzione dello stesso conflitto61. Detto questo, non esiste alcun ulteriore principio che chiarisca come tale separazione debba aver luogo. Il regolare funzionamento del sistema riposerebbe sull'assunto che ciascuno dei poteri si mantenga nei limiti dell'esercizio delle proprie funzioni, il cui contenuto non è, tuttavia, specificato in Costituzione. È la Corte costituzionale che dovrà enucleare i principi che regolano i rapporti tra i poteri.

Sulla scorta di queste considerazioni, molti autori hanno da subito sostenuto la politicità del giudizio sui conflitti. Azzariti62 , ad esempio, evidenziava come l'intrecciarsi dei profili politici e giuridici costringesse la Corte a tener conto di entrambi nelle sue pronunce. Crisafulli,63 invece, dubitava che situazioni così spiccatamente politiche potessero essere spoliticizzate.

Il problema relativo agli aspetti politici delle decisioni della Corte investiva direttamente la questione della sua posizione nell'ordinamento, della sua

58 V. supra.

59 Sulla politicità del giudizio della Corte si tornerà più avanti, cfr. Capitolo III. 60 .rottanelli De ‘Santi .., I conflitti di attribuzione, op. cit., 19-20.

61 Sicchè il principio e la sua tutela sarebbero enunciati nella stessa frase dell'art. 134 Cost.

62 Azzariti .., La posizione della Corte costituzionale nell'ordinamento dello stato italiano, in Studi

sulla costituzione, III, Milano, 1958.

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25 partecipazione o meno alla funzione di indirizzo politico e della natura delle sue funzioni64.

Deve sicuramente riconoscersi la posizione apicale della Corte65: in effetti la natura della Corte come organo costituzionale superiorem non recognoscens è in stretto collegamento con la natura delle funzioni, in considerazione della sua posizione di indipendenza rispetto agli altri organi sovrani e della sua partecipazione, unitamente agli altri poteri, alla ripartizione della sovranità fatta in Costituzione. .li aspetti richiamati - tutti significativamente confermati dalle stesse disposizioni costituzionali - sembrano trovare il loro punto centrale e il loro appiglio principale nella c.d. discrezionalità di giudizio della Corte 66 . Questa discrezionalità 67 è il frutto dell'attribuzione di un generale potere di incontestabile efficacia, da un lato, e della lacunosità delle norme costituzionali da applicare, dall'altro.

La discrezionalità del giudice costituzionale, nonché la valutazione che esso fa del contesto politico in cui si pongono le questioni e in cui si inserisce la decisione, caratterizzano tutte le attività della Corte, senza possibilità di distinguere tra i giudizi di legittimità o i conflitti di attribuzione, evidenziando così il carattere unitario della funzione svolta dalla stessa nell’ordinamento. Questo rilievo ben si concilia con l’idea che la funzione tipica della Corte sia quella di realizzare il principio di legittimità costituzionale, che non solo caratterizzerebbe il giudizio di costituzionalità delle leggi, ma sarebbe il fine ultimo di tutte le attribuzioni delle Corte costituzionale68.

3. Linee evolutive delle decisioni della Corte costituzionale.

64 Tra gli altri, sul tema cfr. Mezzanotte C., Corte costituzionale e legittimazione politica, Roma, 2014;

Cheli, Atto politico e funzione di indirizzo politico, Milano 1961; .rottanelli de Santi .., Indirizzo

politico, in Enc. .iur., XVI, 1988; Sandulli A.M., Sulla posizione della Corte costituzionale nel sistema degli organi supremi dello Stato, Riv. Trim. dir. Pub., 1960, 705 ss; Cheli E., Il giudice delle leggi,

Bologna, 1999, 29 ss.

65 Sulla ricostruzione del ruolo della Corte nell’ordinamento come organo sovrano in particolare cfr.

Barile P., La Corte costituzionale organo sovrano: implicazioni pratiche, in Giur. Cost., 1957, 907.

66 In questi termini .rottanelli de’ Santi .., I conflitti di attribuzione, op. cit., 28.

67 Sostiene la necessaria discrezionalità dei poteri della Corte anche Barile nel lavoro da ultimo

richiamato. In particolare proprio l’accertamento di tale discrezionalità è elemento di chiusura per dimostrare la partecipazione della Corte alla funzione di indirizzo politico. Barile P., La Corte

costituzionale organo sovrano, op. cit., 917 e ss. Si tornerà sul tema della discrezionalità della Corte nel

Capitolo III.

68 Modugno F., La corte costituzionale italiana oggi, in Scritti su La giustizia costituzionale in onore di

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26 Come già ricordato, la Corte costituzionale ha nel tempo mutato il suo atteggiamento nei confronti dell’istituto dei conflitti di attribuzione, acquisendo sempre maggiore consapevolezza del suo ruolo. Dopo un periodo di prima chiusura, in cui fino al 197569 nessun conflitto era stato dichiarato ammissibile, la Corte ha attraversato una fase in cui ha sostanzialmente operato una ridefinizione del potere giudiziario, che è durata fino agli anni 90, per poi aprirsi a conflitti che per i primi commentatori erano assolutamente inammissibili o addirittura improponibili (se non addirittura ai limiti con la fantasia) perché fortemente legati ai rapporti politici e connotati della fluidità tipica del sistema costituzionale.

.li anni ‘90 hanno infatti segnato il vero e proprio decollo dell’istituto del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, che ha portato ad una crescita numerica progressiva delle decisioni: dalle 25 pronunce del 1998 (31 nel 1999; 43 nel 2000; 35 nel 2001) fino alle 40 del 200270.

La crisi politica71 di quegli anni aveva fatto emergere a livello superficiale elementi centrali nei rapporti tra gli organi costituzionali, che prima di allora non erano mai sfociati in conflitti veri e propri perché risolti nell’ambito della dialettica istituzionale72.

La Corte si andava via via liberando dei timori connessi all’apertura del conflitto e alla ricaduta che tale apertura avrebbe avuto sul suo ruolo, seppur timidamente perché inizialmente a fronte di una più ampia ammissibilità sono state poche le decisioni di accoglimento.

Bisogna rimarcare che la Corte, anche se evitava l’accoglimento, “farciva” la motivazione delle sue sentenze di rigetto di principi e indicazioni volte a ridefinire gli

69 E’ interessante evidenziare che il relatore di tutte le decisioni tra il 1974 e il 1975 è stato Vezio

Crisafulli, il quale aveva ritenuto “generosa utopia” rendere giustiziabili anche i conflitti fra i massimi poteri dello Stato (cfr. Crisafulli V., Lezioni di diritto costituzionale, op. cit., p. 411 v. supra nota n. 55) ma al quale, di fatto, si deve il “decollo” dell’istituto.

70 I dati sono tratti da Ruggeri A., Spadaro A., Lineamenti di giustizia costituzionale, op. cit., 241. 71 Cfr Grassi S., Conflitti costituzionali, 378 L’A. imputava l’incremento dei ricorsi per conflitto tra

poteri “al progressivo deterioramento dei rapporti istituzionali (sempre meno estranei alle situazioni di antagonismo diffuse nella società civile) ed alla necessità di trovare sbocchi giurisdizionali alla accentuata conflittualità che ne derivava”.

72 “Discussi e risolti nell’atmosfera più discreta dei palazzi dei poteri in conflitto” in questi termini

Cuocolo F., Sulla legittimazione del ministro di Grazia e giustizia a essere parte in conflitti di

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27 assetti istituzionali. Ad esempio la ormai celebre sentenza n. 1150 del 198873 sull’immunità parlamentare, che ha riconosciuto la competenza delle Camere a qualificare i comportamenti dei propri membri come opinioni date o voti espressi ed ha riconosciuto il connesso effetto inibitorio per l’autorità giudiziaria, ha fissato alcuni principi nei rapporti tra Parlamento e Magistratura; la sentenza n. 403 del 199474 in tema di responsabilità ministeriale ha richiamato il principio della leale collaborazione, come strumento di mediazione per risolvere quei rapporti non sempre chiari che la legge pone tra Collegio inquirente e Camera dei Deputati; o ancora la sentenza n. 7 del 199675, sull’ammissibilità della sfiducia individuale del ministro, pur non accogliendo le pretese del ricorrente, ha permesso di ridefinire la posizione del Ministro di giustizia e del singolo ministro in seno al Consiglio; fino ad arrivare ad esempi più recenti come le sentenze 87 e 88 del 201276 in cui la Corte ha colto l’occasione per ricostruire, oltre alla procedura relativa all’accertamento dei reati c.d. ministeriali oggetto del giudizio, anche il sistema delle immunità e il principio di leale collaborazione.

La Corte, dagli anni ‘90 in poi, sembra per tanto aver acquistato consapevolezza del suo ruolo che non può limitarsi alla statuizione sulla spettanza o meno di un’attribuzione contestata, ma deve ridisegnare gli equilibri delineati in Costituzione. L’oggetto del conflitto risiede proprio nel rapporto tra organi e, più in particolare, nell’individuazione di una competenza non vista come una statica ripartizione di poteri o diritti, ma nel momento dinamico della collaborazione, della relazione tra tali organi: per questo le pronunce della Corte non si limitano a stabilire in una “formula asettica”77 il giudizio sulla spettanza del potere, ma hanno spesso un contenuto positivo, indicano precisi adempimenti a cui le parti del conflitto sono tenute.

Tale atteggiarsi delle sentenze della Corte è ancora più evidente quando si passa dal conflitto come vindicatio potestatis al conflitto di interferenza, in cui la decisione verte

73 Cfr. Corte cost. n. 1150 del 1988, per un commento Zanon N., La Corte costituzionale e la

giurisprudenza parlamentare in tema di immunità: affermazioni di principio o regola del caso concreto?, in Giur. Cost., 1988, 5595.

74 Vedi infra capitolo II. 75 Vedi infra capitolo II. 76 Vedi infra capitolo II.

77 L’espressione è presa in prestito da Cerri A., Competenza, atto e rapporto nel conflitto di attribuzioni,

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28 sul rapporto tra gli organi quando le loro competenze si svolgono intrecciandosi e intersecandosi78.

Questo “contenuto positivo”, che spesso si incontra nelle decisioni della Corte, si configura come una sorta di vademecum o linee guida che gli organi coinvolti dovrebbero seguire per non rischiare di entrare in conflitto.

Sono regole che la Corte fa discendere non solo da norme e principi costituzionali: in alcuni casi derivano dall’interpretazione di norme di grado legislativo, in altri casi da prassi o consuetudini costituzionali, in altri casi ancora dal contenuto di sue precedenti pronunce. Molto spesso la Corte fa ricorso al principio di leale collaborazione.

4. Il principio di leale di collaborazione nei conflitti tra poteri dello

Stato.

Riprendendo quanto sopra argomentato, l’oggetto del conflitto risiederebbe proprio nel rapporto tra organi e, più specificamente, nell’individuazione di una competenza flessibile che attiene al momento dinamico della collaborazione. Questo discorso vale soprattutto per i conflitti da menomazione. Nel conflitto da vindicatio potestatis tale interferenza non si riscontra, perché consiste nella rivendicazione statica di un’attribuzione di un potere contro un altro potere. Tali forme di conflitto sono assolutamente residuali nella prassi79, che ha visto, invece, il proliferare di conflitti da menomazione. Questo perché, ad oggi, risulta molto più difficile di quanto non fosse in passato che si discuta circa la spettanza di una competenza, a fronte della possibilità di mettere in discussione le modalità con le quali tale competenza è stata esercitata. La necessità di una collaborazione tra i poteri è un’idea risalente: è stato fatto notare80 che, già nella teoria della separazione dei poteri, Montesquieu ipotizzava che la

78 Per Cerri A., Competenza, atto e rapporto nel conflitto di attribuzioni, op. ult. cit. il conflitto da

interferenza nasce nell’ambito di un rapporto di collaborazione tra organi o enti.

79 Cfr. Ruggeri A. Spadaro A., Lineamenti op. cit. 261 che evidenziano l’improbabilità di un conflitto

da usurpazione “è davvero difficile immaginare un organo così sciocco e folle da rimettere in discussione le attribuzioni costituzionalmente previste, per esempio rivendicando per se ciò che non gli spetta”. Considerano inoltre superata la distinzione tra vindicatio e menomazione Veronesi P., I poteri

davanti alla Corte. Cattivo uso del potere e sindacato costituzionale, Milano, 2009, 30 e ss. e Pisaneschi

A., I conflitti op. cit., 324.

80 Sorrentino F., I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, in Riv. Trim. Diritto Pubblico, 1967,

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