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Eisnherz, Storiella semi-futurista di un Poeta (che in parentesi,

è il sottoscritto), in <<La Follia di New York>>, 5 marzo 1911:

<<[…] o donna,

che d’umiltà vestuta, te ne rimani muta come una statua, ahimè… non hai tu, dunque, un cuore,

un’anima non hai, se spasimar mi fai, piangere e delirar? Io futurista ancora non sono diventato, sebben mi abbian tentato

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libri d’ogni color, che mi han mandato da

Milano assiduamente, con cura paziente, con mèmore pensier… Però se oggi la bussola

Tu perder mi farai, futurista, vedrai, anch’io diventerò. Così potrò cantare Le corna al gentile sesso,

e insolentir più spesso contro il moccioso amor

[…]>>.

- Sandro, Un poeta futurista italo-americano, in <<La follia di

New York>>, 5 aprile 1914:

<< […]- si sapisseve che puisia ch’aggio fatto! – Na puisia futurista?

– Se capisce! Na puisia futurista! – Fancella sentere, Marcantò! -’A vulte sèntere…

- Sì si, ’a vulimmo sentere!

E Marcantonio Battilocchio si mise a leggere ad alta voce: -Frì, frì, frì, frì, frì!...

-Ma scusa- domandò il pittore Mario Rubano […] – ’ o titolo non ‘o ddice?... -Ah, già me n’era scurdato. ’O titolo è cchisto: “La storia d’una sbornia- Poesia futurista dedicata ad Aldo Palazzeschi”.

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-Ma stateme a ssentere, se no, nun ’a leggo! -Marcantò fa ampressa…

E Marcantonio, con la sua voce stridula: Fri, fri, fri, fri, fri

Fra, fra, fra, fra, fra Una volta, come al solito,

non avevo neppure un soldo in tasca; ero così disperato

e così amareggiato

che c’era come una tempesta… nella mia povera testa

Lo stato mio muoveva a pietà… Fa fa fa fa fa fa fa fa fa fa Tara-ta tà …

Una risata generale coronò l’esilarantissimo preambolo del componimento futurista di Marcantonio Battilocchio, il quale, però, non si scompose, chè, anzi continuò a leggere con più calore e con maggiore entusiasmo. […] Mentre i presenti si accingevano a ballare intorno a lui una tarantella napoletana, così disse, assumendo un’aria piuttosto marinettesca e sforzandosi di dominare invano il babelico coro: - Signori, i futuristi non si curano né della risate, né degli insulti, né degli sberleffi della gente che non capisce! Io vi compatisco, dunque, e continuo a leggere la mia poesia- […]Un potentissimo “vernacchio” coronò quest’altra parte del componimento poetico futurista di Marcantonio Battilocchio. Era stato “more solito” il pittore Rubano.

Tu sempre puorco sì! – disse Marcantonio Battilocchio…, Tu faie scuorno a ’e napulitane! Ma i futuristi non si lasciano sopraffare da simili incidenti. Essi sono oramai abituati a sorbirsi i “vernacchi” del volgo e non soltanto i “vernacchi” subiscono, ma ricevono, quando parlano in pubblico, proiettili d’ogni genere, come a dire: patate, pomodori fradici, banane, torsoli di cavoli, ecc. Io, dunque, continuo a leggere il mio parto- >>.

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(La macchietta si conclude con un finale a sorpresa)

<<[…] l’altro giorno incontro il pittore Ruotolo all’angolo di Spring e La Fayette Streets.

- Bè – mi dice – nun saie niente? Marcantonio Battilocchio è asciuto pazzo! - Overo? …

- L’hanno purtato ’pazzaria cinche o sei juorne fa..-

- Povero Marcantonio! Ma’nce àie colpa tu, sa, si isso è asciuto pazzo… - E pecchè?

- Pecchè lìha fatto ascì pazzo ’o futurismo!... Sì tu non ’nce parlave era meglio!...

- È segno can un l’ à capito… ’O futurismo nun fa ascì pazzo a nisciuno! - Ma Battilocchio è asciuto pazzo! È stato nu libbro ’e Palazzesco ca l’à

tuccato ’o cerviello…Povero Battilocchio!>>.

- Corazon de Hierro, La canzone futurista de lo sputo, in <<La

Follia di New York>>, 15 febbraio 1914:

<< me ne andavo l’altro ieri,

a zonzo, in compagnia dei miei pensieri, che a dire la verità, sono quasi sempre neri.

Per la strada di Bowery rumorosa dove i treni, i carri elettrici e i veicoli d’ogni specie non hanno mai posa; dove la gente cenciosa si accalca sul marciapiede, senza curarsi un corno

delle persone che hanno fretta di camminare; dove ad ogni passo si vede

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lo spettacolo nauseabondo

de la più lercia e più marcia miseria umana e s’incontrano de le donne

luride, inebetite, congestionate, innanzi tempo invecchiate,

che furono, forse, ne la loro gioventù, leggiadre come le Madonne,

che, a edificazione de le pinzocchere e degli esteti,

[…]

Per quella Bowery me ne andavo a zonzo -Strada di delitti e di rapine-

Dove passano di giorno e di notte Frotte di sartine,

di canzonettiste, di ballerine, di [...]308

e di sgualdrine

nonché di spie, di poliziotti, di ruffiani, di negozianti

e di venditori ambulanti […]. Qui un poliziotto

può condurre in prigione chi gli pare, che gli piace

Perché con un uomo grosso, grande, c’è poco da scherzare…

Se ruba Tizia un pezzo di pane, perché è un nullatenente, viene di botto

trascinato in carcere come un cane. a stuzzicar la gente

che cammina in pace per la sua via […]>>

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<< […]Se ruba caio un milione, perché è un caporione

de la finanza o de la politica, tutti i giudici gli danno ragione. Conseguentemente,

se la polizia

è quasi costretta al “dolce far niente” si capisce com’essa sia

occupata continuamente. Ed ecco perché lettor mio, non so se futurista

o passatista,

ecco perché io sono stato come un rio

malvivente arrestato,

e la bellezza di cinque dollari di multa ho pagato senz’avere neanche…sputato>>.

- L’ex Turco di Ritorno, Letteratura…futurista, in <<La Follia

di New York>>, 6 settembre 1914:

<<si sono mai visti, in una poesia qualunque dei due emisferi idioti più perfetti di certi scrittori del “futurismo avanzato”? Gli “oh!” e gli “ah!” esclamativi, che vi sono sparsi a piene mani, interpolandoli con degli “eh!” e degli “uh!”: il non intendere le più semplici osservazioni: il ripetere quattro, cinque, dieci volte le stesse frasi puerili: la fuga di pensieri emotivi significati mediante la insoffribile “prosa poetica” alla Gessner; i parallelismi più strampalati, che non dicono nulla perché nulla hanno a dire: le enumerazioni stucchevoli come gli articoli d’un inventario: un modo di esprimersi senz’altro merito che- quello detto da uno di loro- o quasi- Carlo Morice- una vanità di sillabe”: i cascami di forma e le racimolature di frasi incomprese e sfacciatamente mutilate: un linguaggio, che ricorda a volte il cinguettio senza

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senso comune delle balie ai loro lattanti e a volte l’immondo turpiloquio dei bordellieri. Tutte questo cose insieme offrono il quadro più fedele che immaginar si possa della scimunitaggine umana. Gli ammiratori di tale roba, che essi qualificano siccome bellezze di primo ordine, subiscono ciò che Max Nordau chiama la suggestione d’un’assicurazione recisa. E si sa che basta un’assicurazione recisa per indurre gli ipnotizzati a mangiar patate crude per aranci>>.

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CAPITOLO II

IL FERMENTO TEATRALE A NAPOLI NEL DECENNIO