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Radici ed innesti: la complessità artistico-culturale italiana, napoletana ed italo-americana tra il 1910 e il

IL FERMENTO TEATRALE A NAPOLI NEL DECENNIO 1910-

2.1 Radici ed innesti: la complessità artistico-culturale italiana, napoletana ed italo-americana tra il 1910 e il

Napoli instaura un forte rapporto con l’Italia settentrionale, non solo dal punto di vista culturale, ma soprattutto economico, così come mantiene i legami costanti con l’Estero, non solo con i Paesi europei, ma anche con gli emigrati italiani in America. Questo influenza notevolmente il percorso di numerosi artisti partenopei, evidenziando l’ineludibile processo di trasformazione che caratterizza tutta la società italiana, all’ inizio del Novecento.

Appare evidente, quindi, che il nostro percorso di ricerca non si può ridurre solo all’osservazione di uno spazio geografico limitato; infatti, attraverso i paratesti e le fonti che consideriamo ormai imprescindibili come i giornali dell’epoca, osserviamo che in realtà la Prima Guerra Mondiale non può essere considerata, in effetti, un evento unicamente distruttivo e deleterio per la produzione artistica napoletana. L’evento bellico, peraltro svoltosi al fronte, rappresenta invece motivo di reazione e di creazione da parte degli artisti napoletani, tanto da poter definire questo processo “un conflitto al conflitto stesso”1: tutti i generi teatrali, soprattutto il Varietà, ma anche la

1In riferimento alla Prima Guerra Mondiale, in occasione del centenario dell’entrata in guerra

dell’Italia, 1915-2015, sono numerose le manifestazioni culturali, i momenti di incontro rivolti alla commemorazione o alla descrizione di nuovi percorsi di ricerca, in tutta Italia ed Europa.

Ricordiamo tra le più recenti pubblicazioni quelle che si occupano della sfera del privato, attraverso lettere, diari e memorie, ma tralasciando il teatro:

M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra, Bologna, Il Mulino, 2008;

A. Cazzullo, La guerra dei nostri nonni. 1915-1918: storie di uomini, donne, famiglie, Milano, Mondadori, 2014;

S. Hertmans, Guerra e trementina, Venezia, Marsilio editore, 2014; M. Isnenghi, Ritorni di fiamma. Storie italiane, Milano, Feltrinelli, 2014;

A. Gibelli, La Grande Guerra. Storia di gente comune 1914-1919, Roma. Laterza, 2015; M. Mondini, La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare 1914-18, Bologna, Il Mulino, 2015;

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canzone, l’opera lirica, il melodramma, la prosa ed il teatro dialettale, sopravvivono, pur con grande difficoltà, all’ondata della guerra.

Questo accade a Napoli, ma il processo di reazione al conflitto sembra coinvolgere tutti gli artisti italiani, napoletani compresi, che, accomunati dall’arte, contribuiscono, volontariamente o specificatamente, al progetto del Teatro del Soldato.

Si scopre, infatti, grazie all’osservazione attenta di alcune lettere ed articoli, pubblicati tra le pagine di alcuni famosi periodici artistici napoletani, che gli

L. Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, Torino, Bollati Boringhieri, 2014. Numerosi anche i nuovi siti on line dedicati alla Prima Guerra Mondiale, che ci forniscono, insieme ai siti delle Università italiane, le informazioni sulle più importanti conferenze e sui seminari rivolti a determinati personaggi o argomenti legati alla Grande Guerra in Italia:

www.lagrandeguerra.net, sito in cui vengono elencate le principali manifestazioni legate alla commemorazione, i musei e gli eventi; www.centenario 1914-1918.it, portale in cui vengono inseriti documenti, notizie su convegni e mostre in tutta Italia, riferimenti anche agli spettacoli teatrali dedicati alla Prima Guerra mondiale, in scena durante il 2014 e 2015. Ricordiamo, a proposito, L’ultima estate dell’Europa, di Giuseppe Cederna, o L’Internazionale di Roberto Bracco, regia di Giovanni Meola, entrambi in scena durante la stagione 2014-2015, oltre al duplice spettacolo di Mario Perrotta, Prima Guerra Quattordicidiciotto e Milite ignoto Quindicidiciotto. Anche le compagnie emergenti si soffermano sul racconto della Prima Guerra Mondiale, come Isola Teatro e lo spettacolo Friendly Feuer. Una polifonia europea, che ha debuttato al Napoli Teatro Festival Italia 2015. Roberto Bracco firmò diversi testi che contenevano riferimenti alla Prima Guerra Mondiale. Ricordiamo, oltre a L’Internazionale del 1915, anche L’amante lontano del 1916, L’uocchie cunzacrate e la versione italiana Gli occhi consacrati, entrambi del 1916, La culla del 1918. Nella prefazione a La culla, in R. Bracco, Teatro, Lanciano, Carabba, 1938, l’autore riporta: << questo dramma fu scritto nel luglio 1917 e pubblicato da <<La lettera>>. Se ne proibì la rappresentazione che fu poi consentita a richiesta dal tenente Gallippi, valoroso soldato, scrittore e fervido filodrammatico – di cui ebbi a piangere la morte e m’è cara la memoria>>.

Antonella Di Nallo inserisce, all’interno del suo contributo Roberto Bracco e la società teatrale fra Ottocento e Novecento, Lanciano, Carabba, 2003, un elenco dei testi teatrali e delle novelle di Bracco, elencandone le pubblicazioni sulla stampa periodica, indicando il giornale e la data della pubblicazione.

Anche la Rai e i suoi archivi rientrano nel progetto di commemorazione: www.grandeguerra.rai.it, Patrocinato dal MIBAC, il portale www.movio.beniculturali.it riporta numerose fotografie riguardanti la Prima Guerra Mondiale.

Il grande archivio in cui confluiscono gli archivi minori europei: www.europeana1914-1918.eu raccoglie le storie delle famiglie e dei privati, invitando i navigatori a consegnare le proprie memorie; indica, anche, vari eventi o mostre dedicati alla Grande Guerra. All’interno di questo sito sono conservate anche alcune foto riguardanti il Teatro del Soldato, indicando come fonte il Museo Centrale del Risorgimento. Noto è anche l’Archivio Pieve di Santo Stefano per quanto riguarda i documenti diaristici.

Il portale www.itineraridellagrandeguerra.it, prettamente storico, fa riferimento ad alcune specifiche regioni, cioè Friuli Venezia Giulia, Trentino, Lombardia, Alto Adige, Veneto.

www.cadutigrandeguerra.it pubblica l’albo dei caduti della Grande Guerra.

Anche sul portale www.14-18.it compaiono alcune foto riguardanti il Teatro del Soldato, alcune uguali a quelle pubblicate su www.europeana.eu.

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artisti, non solo vengono reclutati come soldati, ma continuano la loro attività artistica anche sul campo di battaglia. Emergono, dunque, lettere inviate ai familiari o ai colleghi, utilizzando il giornale come mezzo di comunicazione, tra le cui pagine si descrivono le condizioni in battaglia o si richiedono abiti e oggetti di scena, oltre ai generi di prima necessità.

La Guerra spinge gli artisti a produrre, a reagire, dimostrando la difficoltà della messinscena, per mancanza di mezzi e di denaro; non possiamo affermare, però, che i teatri napoletani siano stati sottoposti a totale chiusura, soprattutto dopo la disfatta di Caporetto o durante gli anni centrali della guerra, poiché i giornali dell’epoca ci dimostrano la grande diffusione dei cartelloni, l’afflusso di pubblico, il desiderio di distogliersi dal pensiero di morte e di distruzione2: questo, dunque, appare un riscontro di notevole

importanza, tralasciato in passato e in realtà sotto gli occhi di tutti.

Il problema fondamentale è che al di là della distinzione tra gli autori del cosiddetto Teatro d’Arte, in lingua napoletana o in lingua italiana, tra i testi del teatro dialettale comico e gli spettacoli del Varietà - quest’ultimo considerato un genere innovativo se letto attraverso le interferenze della satira, della sceneggiata, della canzone e dello stesso teatro sintetico futurista - esistono dei legami costanti, inscindibili e non analizzabili singolarmente. È necessario, dunque, sottolineare le commistioni e le ramificazioni che derivano dai testi di autori importanti, a loro volta poeti e autori di canzoni, non dimenticando la diffusa formazione giornalistica che caratterizza la maggior parte dei drammaturghi e dei poeti di questi anni.

Come affermano sia Vittorio Viviani che Ugo Piscopo, Scarpetta rappresenta l’autore fondamentale, e profondamente innovativo, in questo complesso passaggio tra la tradizione teatrale ottocentesca e l’evoluzione sociale verso un mondo borghese. L’innovazione presente nell’opera di Scarpetta, e nell’ottica espressa dall’autore napoletano attraverso i suoi testi ed i suoi personaggi, è fondamentale nell’osservazione del passaggio verso il nuovo

2 Nel paragrafo dedicato specificatamente al periodo bellico e alle notizie provenienti dal fronte,

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secolo3. Il concetto di rinnovamento, ma soprattutto di “riforma teatrale”, che

nasce, effettivamente, con Scarpetta e che produrrà elementi eterogenei, è fondamentale e costante nell’osservazione della produzione artistica e culturale dei primi anni del Novecento.

Se da un lato gli artisti e gli autori del decennio 1910 - 1920 osservano incerti il connubio contrastante tra l’affannosa ricerca di una “fuga esterna”, tra i contatti con l’Estero e con le altre culture e il ritorno effettivo alla lingua e alla tradizione, in realtà, oggi, appare evidente che la caratterizzazione binomiale, o meglio, sempre più eterogenea, della produzione artistica partenopea di inizio Novecento, altro non è che l’esplicitazione più originale e specifica della sua natura, di cui questa cultura non ha mai perso la connotazione.

Ciò che avviene effettivamente nel decennio artistico e culturale 1910-1920 a Napoli è un processo che non può essere catalogato attraverso categorie, ma che deve essere necessariamente osservato nella sua completezza, non tralasciando le fondamentali interferenze dei movimenti politici e delle trasformazioni economiche e sociali che investono la città.

Le osservazioni del Verdinois evidenziano alcuni elementi utili per comprendere le posizioni di alcuni personaggi del giornalismo e della cultura napoletani, appartenenti, come il Verdinois, appunto ad una generazione precedente 4.

3 V. Viviani, cit., pp.647, 649: <<la morte di Antonio Petito coincise con la caduta della Destra Storica

e con la crisi torelliana e mastrianesca. L’età di Eduardo Scarpetta che seguì fu caratterizzata dagli effetti ch’ebbe nel Mezzogiorno il così detto “Trasformismo” con l’avvento della Sinistra al potere: cioè della classe dominante borghese, ambiziosa di porsi alla guida del Paese[…]. Gli stessi teatri regionali che sorgevano con una loro fisionomia municipale erano manifestazioni nelle quali il popolo, presente nel melodramma risorgimentale ormai in declino, si rivelava attraverso una mediazione revisionistica piccolo-borghese, sia nella specie di un populismo macchiettistico, che in quella di un quietismo moraleggiante e pittoresco>>.

4 F. Verdinois, cit., pp. 217-218, 220: .<<per buona sorte non sorge più tra noi e il resto d’Italia la gran

muraglia; l’ha abbattuta il soffio potente delle nuove idee, ed ora sulla macerie ammontate passano ogni giorno, venendoci di fuori, promesse e speranze, nella quali noi ci riposiamo e ci confortiamo, lieti e superbi di considerarle come cosa nostra. Di fuori anche applausi ed incoraggiamenti c’erano venuti, quando le prime aure s’erano confuse ed un nome nostro, uscendo dal chiuso di questa terra ignorata, passava trionfante su quelle macerie e andava a respirare all’aperto, facendo vedere quanti elementi di forza avesse in sé questa regione vergine ed inesplorata, che ricchezza d’ingegno e di cuore e di studi portasse al patrimonio comune. […]Ma prima un altro punto bisogna determinare; mettere cioè in sodo questo carattere d’immutabilità e d’isolamento del nucleo drammatico napoletano ed ammettere questa dispiacevole verità che que’ nostri autori non si sono mai lasciati trascinare dal movimento artistico generale, rimanendo attaccati, più che non si convenisse, alle tradizioni e facendo

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È sicuramente accertato l’influsso della cultura francese sulla produzione artistica e letteraria italiana, e soprattutto napoletana. Ritornando al carattere innovativo del teatro di Scarpetta, Ugo Piscopo sottolinea ripetutamente il ruolo del drammaturgo ed artista napoletano, il quale, proprio perché attento alle trasformazioni sociali e politiche a cui va incontro la città, si spinge ad esaminare la nuova classe borghese, che assume un ruolo destabilizzante rispetto ai vecchi equilibri, cioè rispetto al ruolo della nobilità e del popolo5.

A questo punto è necessario dare rilievo agli eventi e alle vicende teatrali che si sono susseguiti nel corso del decennio 1910-1920, e che sono a dire il vero numerosissimi, poiché ancora oggi è possibile leggere queste notizie conservate tra le pagine dei giornali dell’epoca. Non parliamo solo di quotidiani, ma nello specifico anche dei periodici artistici, pubblicati a Napoli, attraverso le cui pagine si approfondisce la questione sul teatro italiano e partenopeo in costante trasformazione. Nonostante alcune di queste riviste siano specificatamente legate ad un genere, teatrale o musicale6, esse

ci trasmettono delle testimonianze riguardanti il grande movimento artistico e autoriale in corso in quegli anni. L’analisi della situazione artistica napoletana comprende anche l’osservazione di ciò che di nuovo si instaura su una base, non solo partenopea ma anche nazionale, di per sé già complessa, come le notizie riguardanti gli artisti e la guerra, la fondazione del Teatro del Soldato, e gli effetti dell’emigrazione sugli artisti partenopei, e soprattutto sul pubblico degli Italiani in America, che costituiranno gli argomenti fondamentali dell’intero capitolo.

Non solo articoli, ma anche recensioni, che per il loro contenuto rappresentano vere e proprie testimonianze storico-artistiche, e per il loro stile

vie più notare questo loro attaccamento dall’adesione superficiale e momentanea fatta alla rinnovazione dell’arte.. >>.

5Cfr. U. Piscopo, Maschere per l’Europa. Il teatro popolare napoletano da Petito a Eduardo, cit., pp.

30-31: << la rivoluzione teatrale del Novecento, esplosa inizialmente ad opera delle avanguardie storiche e dintorni, ha un retroterra complesso e articolato, in cui si colloca anche Eduardo Scarpetta, attore di eccezionale talento, ma anche istintivo, che viene svolgendo un suo discorso, in cui si coniugano molteplici fattori e termini di problemi. Questi, se riguardando innanzitutto e formalmente le situazioni culturali napoletane, si rapportano, anche per via mediata, ad un orizzonte più vasto di realtà in movimento, dove si comprendono il teatro in vernacolo italiano, le ipotesi di costruzione di un teatro nazionale, le inquietudini che attraversavano il mondo teatrale europeo>>.

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aprono la strada ad un’attenta analisi di una lingua che non è solo giornalistica, ma critica, e soprattutto ben diversa da quella utilizzata oggi7.

In questo contesto è necessario distinguere ulteriormente il decennio in due fasi, proprio perché l’avvento della Prima Guerra Mondiale genera inevitabili ed ulteriori trasformazioni: immaginiamo, dunque, una produzione artistica alle prese con lo sconvolgimento culturale post unitario, in cui la compresenza di generi e teatri rende la città di Napoli uno dei centri più produttivi di tutta Italia, e dall’altro lato, invece, l’ulteriore sconvolgimento inferto dall’evento bellico, che si trascina dietro anche l’impatto violento con il Futurismo.

A questo proposito appare interessante l’intervento pubblicato su <<Il Marzocco>> del 15 ottobre 1916, rivista letteraria fiorentina che presenta lunghi articoli con un forte taglio saggistico. Parliamo, dunque, di un articolo scritto e pubblicato a guerra inoltrata da Diego Angeli che, analizzando le produzioni francesi ed italiane, descrive le nuove tendenze del teatro italiano. È inevitabile che, ancora una volta, la volontà di cambiamento sia esplicita, addirittura si evince la volontà di allontanamento dal teatro francese, a lungo considerato modello principale per il teatro italiano8.

Dall’articolo sembra emergere, però, una volontà di recupero del classicismo, dell’austerità, un’eliminazione del patetismo, ancora predominante nel teatro francese e nel dramma borghese, dovuto ad un persistente influsso proveniente dal melodramma. Bisogna sottolineare, ancora una volta, che queste osservazioni sono riferibili al 1916, anno in cui la guerra non è ancora

7 Alle recensioni e alle firme della critica teatrale napoletana è dedicato un paragrafo all’interno del III

Capitolo.

8 D. Angeli, Teatro d’oggi e teatro di domani, in <<Il Marzocco>>, 15 ottobre 1916: << […]si può

dunque dire, senza timore di compromettersi troppo, che a guerra finita, le nuove opere teatrali saranno più semplici e più nude. Meno didascalie descrittive, meno sottigliezze, meno anormalità psicologiche. Si vorranno avere azioni più rapide, dialoghi più semplici, passioni più intense. Niente di guerra- intanto- o per lo meno la guerra non farà che sfiorare l’azione senza comparire sulla scena. Tentativi di questo genere non hanno avuto nessuno buon successo e perfino il cinematografo ha dovuto abbandonarli. E soprattutto nessuna esposizione di casi patologici e morbosi. […] I sentimenti tormentati, le azioni imperniate sopra uno <<stato d’anima>> che si prolunga all’infinito senza movimento visibile, le sfumature della passione o di quella che si crede tale, i piccoli casi di psicologia morbosa, i caratteri di eccezione, gli amori cerebrali e le voluttà alessandrine, in una parola tutto il bagaglio patologico che ci ha dilettato o tormentato per un così lungo periodo di anni, sarà ancora possibile dopo la guerra? Io credo di no e già si vanno delineando azioni vigorose e volenterose perché il suo ritorno sia reso impossibile. >>.

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conclusa, ma ha di certo già influenzato notevolmente, ed inevitabilmente, il pensiero e il gusto artistico degli Italiani.

Già nel 1913 <<Il Marzocco>> pubblica, in prima pagina, un lungo articolo di Luciano Zùccoli, in cui si evidenzia fortemente il rifiuto del passato, identificato soprattutto con l’aridità del capocomico e con l’eccessiva attenzione nei confronti del teatro francese che ha condotto ad una diminuzione della produzione di testi e di messinscene di autori italiani. Evidentemente il successo di pubblico, che ama soprattutto le pochades e i vaudevilles, spinge impresari e capocomici ad acquistare testi minori francesi – quelli, cioè, che in Francia non hanno più alcun successo - escamotage che da un lato porta lauti guadagni alle compagnie, dall’altro pone in secondo piano la presenza dei grandi autori italiani sulle scene9.

Se nel 1916 <<Il Marzocco>> auspica un ritorno al classicismo teatrale, riportando i grandi autori italiani sulla scena, eliminando il patetismo e l’elemento francese, tre anni prima lo stesso giornale si scaglia contro il predominio delle produzioni francesi ed estere, di cui Roberto Bracco si occupa ripetutamente, osservando la diaspora e la traduzione selvaggia dei testi italiani, e temendo per le sorti della sua produzione.

Nel 1910 <<La Maschera>> pubblica un lungo articolo sulla critica teatrale, mettendo a confronto gli scritti del passato e quelli contemporanei. Anche in

9L. Zùccoli, La riforma del teatro di prosa, in <<Il Marzocco>>, 13 luglio 1913: :<< […] ma perché il

capocomico è così duro in Italia con l’autore italiano? È quello che vado chiedendomi da molti anni con un’ansia che non saprei descrivervi. Mi hanno spiegato che ciò dipende dall’importazione sovrabbondante del teatro francese, di cui tutti dicono corna, compresi i capocomici. Ci sono, pare, dei lavori francesi che gl’importatori italiani affidano ai capocomici italiani con l’obbligo assoluto, qualunque ne sia l’esito, qualunque sia il giudizio del pubblico, di rappresentarli per parecchie sere su tutte le piazze italiane. Questi lavori a ripetizione ostinata sono moltissimi, scelti tra i peggio del teatro francese, alcuni anzi mai rappresentati e tali da non rappresentarsi mai in un qualsiasi teatro di Francia; e per questi lavori stranieri di cui gli stranieri non vogliono, i capocomici italiani sono obbligati a essere avari nelle ripetizioni dei lavori italiani, anche quando questi si possano giudicare come successi o grandi successi. […] E la critica? Ma se il maggiore numero dei giornali hanno critici i quali non desiderano e non chiedono e non lodano che roba francese; e se non protestano quando con roba francese stupida e immorale si truffa il pubblico; e se i critici, nove su dieci, fanno il critico per divertimento o per ozio o per leggerezza; e se critico e capocomico sono il più delle volte legati a doppio filo, perché il critico è anche autore e, - diciamola cruda, - ha naturalissimo e urgentissimo bisogno del capocomico, e forse non fa il critico se non per arrivare al capocomico? Per tutte queste ragioni e per altre, che sarebbe troppo lungo enumerare, mi sembra che prima di tentare una riforma diretta sul teatro di prosa, bisogna tentarla intorno al teatro. Oggi l’educazione intellettuale del pubblico è fatta dai giornali: sarà un’educazione modesta, svelta, fugace, ma è… e i giornali italiani non hanno spazio e pensiero che pel teatro francese; e il pubblico si abitua a non aver tempo e quattrini che pel teatro francese; e di nomi e di titoli francesi è rimpinzato quotidianamente il suo cervello>>.

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questo caso compare lo spettro del teatro francese, ma è importante, qui, osservare il commento dell’autore, Cesare Levi, il quale difende la buona produzione francese, non apprezzata invece dai giovani del tempo10.

Il percorso affrontato attraverso questi articoli è un viaggio a ritroso che ci fa comprendere come la presenza e l’influsso del teatro francese, all’inizio del Novecento, rappresenti oggetto di dibattito, all’interno degli ambienti teatrali