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CAPITOLO II: I DELITTI DI OMESSO VERSAMENTO

4. L’introduzione dei delitti di omesso versamento e le questioni di diritto

4.3 Sull’elemento soggettivo

Di notevole pregio le sentenze richiamate in quanto le Sezioni Unite hanno ritenuto che il gap intercorrente fra il momento dell’effettuazione delle ritenute o quello in cui matura il debito iva e l’introduzione delle nuove fattispecie di reato, può al più incidere sulla qualificazione e sussistenza dell’elemento soggettivo.

Risolta, dunque, in senso affermativo, la questione rimessa dal giudice

a quo, le Sezioni Unite hanno fornito importanti precisazioni sul tema

110SANTORIELLO, Carta dei Diritti dell’Uomo, cit.

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dell’elemento soggettivo.

Si è già precisato che l’elemento soggettivo che deve connotare la condotta penalmente rilevante è il dolo. Diversamente dalle altre figure di reato, previste dal d. lgs. 74/2000, che presuppongono un dolo specifico di evasione, i reati in esame sono punibili a titolo di dolo generico.

Questa previsione ha suscitato non pochi dubbi. Si tratta, infatti, di uno dei punti salienti su cui si basa la già richiamata dottrina che ha ritenuto gli interventi di riforma del 2006 e del 2004 in controtendenza rispetto alle finalità che il legislatore si era prefissato con il d. lgs. 74/2000112. Se quest’ultimo intendeva punire le fattispecie più gravi, connotate da un dolo qualificato, da un intento, cioè, fraudolento, la sussistenza di un dolo generico nei reati oggetto della disamina determina, certamente, una distonia.

Ciò che si richiede, ad avviso della Suprema Corte, è la coscienza e volontà di non versare gli importi dovuti all’Erario e che tali somme superino l’ammontare di cinquantamila euro. A provare la sussistenza del dolo, basterebbe la presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge la consapevolezza del soggetto di dovere delle somme all’Erario in misura uguale o superiore ai cinquantamila euro113.

Aspetto dibattuto è, poi, quello che attiene al trattamento da riservare ai soggetti che versino in situazioni di difficoltà economica (infra, cap. III). Se è indubbio che, in tali ipotesi, i soggetti sono tendenzialmente privi di scopi evasivi, per cui il mancato versamento non scaturisce da un intento

112 Al riguardo, cfr. nota 27.

113 Il contribuente diviene debitore verso il Fisco nel momento in cui compie operazioni

imponibili, poiché è in tale momento che riscuote l’iva che dovrà accantonare per il successivo versamento all’Erario, sempre che l’iva subita in via di rivalsa, cioè l’iva sugli acquisti o comunque deducibile non sia di importo pari o superiore. Circa le ritenute, invece, il sostituto è obbligato ad accantonare le somme dovute all’Erario quando eroga gli emolumenti ai sostituiti, cioè nel momento in cui sorge il debito nei confronti del Fisco.

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doloso ma da esigenze di liquidità, sia la dottrina che la giurisprudenza 114 si sono espresse nel senso della sussistenza del reato. Il contribuente ha l’onere di accantonare periodicamente le somme dovute, in modo da potere poi adempiere all’obbligo del versamento. Il fatto di rilasciare la certificazione o di versare nella situazione di chi è debitore di iva nei confronti dell’Erario, è di per sé sufficiente (anche in presenza di una crisi di liquidità che si confida di poter superare) a configurare il reato, pure sotto il profilo soggettivo, essendo tale condotta frutto di una scelta consapevole del contribuente

114 In merito alla mancanza di liquidità, cfr. VALSECCHI, Le Sezioni Unite chiamate a

decidere dell’applicabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute certificate alle omissioni relative all’anno 2004, cit. Sottolinea l’Autore che un simile caso «andrebbe trattato

come un’ipotesi di “actio libera in causa” o, più precisamente, di “omissio libera in causa”. (…) l’omissio (ossia il mancato versamento delle ritenute alla scadenza annuale), che integra il fatto tipico del reato, non è libera in sé (in quanto al termine ultimo per effettuare il versamento il contribuente è oggettivamente impossibilitato ad adempiere, perché privo della necessaria disponibilità economica), ma era tale in causa, e cioè in rapporto alla sua origine (in quanto in un dato momento il soggetto ha scelto liberamente di tenere una condotta che l’avrebbe messo nelle condizioni di non poter adempiere, in seguito, all’obbligo tributario entro il termine di legge)». Cfr. anche, SOANA, I reati tributari, cit., p. 280-283. In ordine alla rilevanza esimente della crisi di liquidità, cfr. LANZI–ALDROVANDI, L’illecito penale tributario, cit., p. 300, secondo i quali, astrattamente, “posto che il reato in esame si consuma – come si è chiarito – solo con lo spirare del termine per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, è possibile che il sostituto ometta il versamento delle ritenute operate nei termini contemplati dalla disciplina fiscale, con la volontà di provvedervi comunque entro il termine penalmente rilevante: il verificarsi di situazioni eccezionali che rendano successivamente impossibile tale versamento dovrebbe escludere non solo l’elemento soggettivo, ma anche la sussistenza della condotta omissiva, che presuppone la possibilità di tenere il comportamento imposto dalla norma giuridica”. In senso analogo, cfr. MARTINI, Reati in materia di finanza e

tributi, cit., p. 601-602. In riferimento alla giurisprudenza di merito che ha escluso che la grave

situazione di illiquidità integri la causa di forza maggiore, cfr. Tribunale di La Spezia, 20.12.12, in Riv. pen., 2013, 305 ss; Tribunale di Milano, 9.11.2010, in www.penalecontemporaneo.it. Per la giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. pen., Sez. III, 16.5.2012, n. 30140, in Dir. pen. E

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medesimo.

Le sentenze in esame sono comunque di massima importanza anche perché hanno offerto significative aperture proprio per quanto concerne l’esclusione della colpevolezza nelle ipotesi di crisi di liquidità. Infatti, la lettura più “clemente” fornita dalla Suprema Corte, muoveva dalla impossibilità di escludere, in relazione a determinate fattispecie, gli effetti della crisi economica che ha investito il nostro Paese negli ultimi anni. Pertanto, hanno affermato le Sezioni Unite che, sulla scorta delle decisioni cui erano già pervenuti alcuni giudici di merito115, per evitare di essere sanzionati penalmente, occorre provare che la situazione di crisi non soltanto sussista al momento della scadenza del termine ultimo, ma che essa sia antecedente all’omesso versamento e che si sia protratta fino alla scadenza, nonché le cause oggettive che l’hanno determinata116.

Dunque se, come è noto, affinché un soggetto possa essere chiamato a rispondere del reato omissivo, deve materialmente avere la possibilità di adempiere detto obbligo giuridico117, meritevoli di attenzione e di approfondimento saranno quei casi in cui il soggetto versi nell’impossibilità materiale di adempiere.

115 Su questo profilo, cfr. Tribunale di Milano, Ufficio del Gip., sent. n. 3926,

07.01.2013, in Corr. Trib., 10, 2013, p. 799, con nota di IORIO e MECCA: “Non si può addebitare il dolo al contribuente imputato per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate se l’inadempimento risulta essere dipeso dalla mancanza di liquidità, derivante dal comportamento omissivo e dilatorio da parte di enti pubblici che avrebbero dovuto saldare fatture di impressionante importo per forniture ricevute dal contribuente e se risulta che quest’ultimo abbia perseguito tutte le strade per riuscire a recuperare liquidità e fare fronte ai debiti tributari”.

116 Tuttavia, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 37424/13, hanno dichiarato infondata

la carenza dell’elemento soggettivo, non essendo stata sufficientemente provata la grave situazione di difficoltà economica addotta dal ricorrente a sostegno della stessa.

117 Sul punto, cfr. V

ALSECCHI, Le Sezioni Unite chiamate a decidere dell’applicabilità

del delitto di omesso versamento delle ritenute certificate alle omissioni relative all’anno 2004,

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Nei casi oggetto di esame da parte della Corte, i ricorrenti avevano lamentato la violazione del principio di colpevolezza, sancito dall’art. 27 Cost., essendo l’impossibilità di adempiere dipesa dalla non consapevolezza – in capo ad essi – delle conseguenze penali della propria condotta, seppur gli stessi fossero consapevoli degli obblighi di versare le somme dovute all’Erario nei termini mensili – o periodici – previsti. Nei casi in esame, infatti, nel momento in cui si erano perfezionati gli illeciti amministrativi, i contribuenti non sapevano che le loro omissioni, sanzionate in via amministrativa, avessero anche una rilevanza penale.

La Corte ha, però, negato fondatezza all’assunto posto dai ricorrenti circa la cd. ignoranza inevitabile. Essa, infatti, si applica al cittadino “comune”, non anche a quei soggetti che per il ruolo rivestito o l’attività svolta sono destinatari di un dovere di informazione ed aggiornamento costanti118. A nulla è rilevato, peraltro, il ridotto termine per adempiere a disposizione del contribuente, che va dall’entrata in vigore della legge alla scadenza prevista per il versamento; a tal fine la Cassazione ha richiamato la già citata pronuncia della Corte costituzionale119.

118 Nella richiamata sentenza n. 18757 del 2012, il ricorrente rilevava che, circa la

componente attiva della condotta, ossia la certificazione, essa si era realizzata interamente nel 2004, cioè prima dell’entrata in vigore dell’art. 10-bis. In quel momento, dunque, il contribuente non poteva conoscere le conseguenze cui sarebbe andato incontro. La Terza Sezione riconosceva come fondato il motivo, poiché contrariamente vi sarebbe stata una violazione del principio di colpevolezza, così come enucleato dalla celebre sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale.

119 Cfr., ordinanze Corte costituzionale, nn. 224 del 2011 e 25 del 2012. In particolare,

il termine per adempiere riconosciuto ai soggetti in questione è congruo e non lesivo del principio di uguaglianza. Può, infatti, il legislatore prevedere il medesimo trattamento sanzionatorio per soggetti che dispongono di termini diversi, rimettendo poi al giudice, in virtù dei poteri riconosciutigli dall’ordinamento, la possibilità di valutare la diversità del termine ai fini della determinazione in concreto della pena da irrogare.

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