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Elezioni per l’Assemblea regionale siciliana; 1947-1955.

1947 1951 1955 Bl. Pop. Dc Bdlq Pnm Mis Psli Pri Udn Uq Altri 30,4 20,5 14,8 9,5 8,8 4,2 3,8 2,1 1,5 4,4 Dc Bl. Pop. Msi Pnm Cais Uds Psli Pri Bmlq Altri 31,2 30.2 12,8 8,7 3,9 3,8 3,0 1,7 1,3 3,3 Dc Pci Pnm Psi Msi Pli Asdr Pmp Usi Altri 38,6 20,8 10,3 9,7 9,6 4,0 2,6 2,4 0,8 1,2

Fonti: nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno.

87 In particolare si può osservare l’accanimento della conferenza episcopale guidata dal

Cardinale di Palermo Ernesto Ruffini, che arrivò a chiedere al Ministro dell’Interno, Mario Scelba, di contestare la regolarità del Pci, al fine di “mettere i nemici di Dio e della Patria fuori legge”, Lettera del Cardinal Ruffini al Ministro Scelba. 30 aprile 1948 [Stabile 1994, 283].

TAB. III 2.1.2. Elezioni per l’Assemblea costituente e per la Camera dei Deputati in Sicilia; 1946-1958. 1946 1948 1953 1958 Dc 33,6 47,9 36,4 43,0 Pci 17,9 120,9 2 21,8 21,9 Psi 112,2 1 17,5 10,8 Msi - 13,1 11,7 16,9 Pli 113,6 3 117,9 4 14,6 15,7 Pri 14,2 13,0 11,6 111,15 Monarchici 114,2 6 118,9 7 111,6 8 117,6 9 Altri 1124,3 10 11 8,3 11 1114,8 12 1113,0 13

Note: (1) Psiup; (2) Fr. Dem. Pop.; (3) Udn; (4) Bn; (5) PRI-P. Rad.; (6) Bnl; (7) Pnm; (8) Pnm-

Pmp; (9) Pnm-Pmp; (10) Uomo qual., Mis, Pri, Pd’Az, Cdr, Pisl, Iss, Mnr, Cncr, Mui, Lpi, Mli; (11) Un. Soc., Un. Mov. Fed., Cs, Cncu, Gpld, Fuarn, Mnsdg, Mnds, Mudi, Ppel, Bpu, Fai, Pdi, Pcdi; (12) Psdi, Adn, Cpi, Undip, Usi; (13) Psdi, Pss, Ced, Pcrncpi.

Fonti: nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno.

Dal punto di vista elettorale, il vittorioso esordio della sinistra nelle regionali venne immediatamente temperato con l’elezione del primo parlamento repubblicano, nel quale la Dc ottenne più del doppio del cartello social-comunista; inoltre, questo ruolo egemonico si mantenne costante anche nei successivi cicli elettorali, risolvendo a vantaggio della Dc un confronto che nelle competizioni regionali continuava ad essere serrato.

La principale minaccia nel primo decennio di storia repubblicana, fu quindi un’instabilità nel comportamento di voto in Sicilia, che pur non sconvolgendo gli equilibri tra i vari schieramenti, fece registrare sensibili variazioni nell’esito delle urne nel duplice livello elettorale, nonché tra una tornata e l’altra [TAB. III.2.1.1. e TAB. III.2.1.2.].

Questi segnali fecero percepire alla classe dirigente la caducità di un tale assetto e gli sbilanciamenti che potevano derivarne, intempestivi nella fase di ricostruzione politico-sociale e sfavorevoli al radicamento del consenso democristiano nel territorio regionale [Fedele 2006, 71]; quindi, un ambiente

elettorale che non mancò di esercitare degli influssi sulle linee d’azione differentemente seguite dalla Dc a livello nazionale e regionale.

Nella politica del paese, i vertici democristiani ebbero da subito un ruolo di primo piano, favorito dalla costante permanenza al governo, che indubbiamente influì sulla costruzione dell’egemonia democristiana in Sicilia, dove però l’effettiva istituzionalizzazione del partito dipese dalla trama di relazioni che ne congiunse l’apparato locale al centro del potere politico e decisionale.

In tal senso, le strategie di radicamento periferico della Dc vennero implementate seguendo due processi interdipendenti. Da un lato, una manovra strumentale alla penetrazione territoriale, con l’insediamento nel tessuto sociale attraverso la contiguità – talvolta la sovrapposizione – tra le sezioni del partito ed i circoli parrocchiali, mentre nel tessuto politico con un’apertura ad influenze locali, facendo “affidamento” sulla capacità di attrarre consensi delle

élites predominanti [Graziano 1974, 212; Morlino 1998, 220]. Dall’altro, la Dc si

avvalse, in maniera sempre maggiore, del ruolo privilegiato ricoperto nelle istituzioni statali e negli organi amministrativi, per fungere da mediatore tra il centro e la periferia siciliana, specialmente rispetto agli interventi previsti dal governo per gestire il problema dell’arretratezza economica nel Sud [Delle Fave 1967, 15; Gribaudi 1980, 47 e ss.].

Se il primo dei due processi appena descritti risultò decisivo per l’affermazione del partito lungo la fase di instaurazione democratica – e nel periodo immediatamente successivo –, fu attraverso il secondo che la Dc riuscì ad acquisire quell’appoggio che gli permise di consolidare il proprio ruolo egemonico all’interno del sistema politico dell’Isola. Un appoggio che comunque era ben lontano dal creare un legame propriamente fideistico tra gli elettori siciliani ed il partito, generando una forma di legittimazione politco- elettorale strumentale all’elargizione di risorse pubbliche, di cui la Dc fu il principale soggetto regolatore [Anastasi e Lo Schiavo, 83-84].

Furono difatti i governi centristi a sostenere la necessità di una politica di riforma per la ricostruzione e lo sviluppo economico che fosse guidata dal potere politico. In particolar modo, nell’area territoriale del Sud, tale processo venne avviato a partire dagli anni cinquanta, col programma meridionalistico del VI governo De Gasperi, che condusse all’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e all’approvazione della Riforma agraria88. Inoltre, con l’avvento

della segreteria democristiana di Fanfani – e l’ascesa della corrente Iniziativa Democratica – si poté assistere ad una progressiva estensione del potere pubblico in economia, con la creazione numerosi enti di Stato e la costituzione, nel '56, del Ministero delle Partecipazioni Statali, a cui fu affidato il compito di supervisione e coordinamento delle imprese pubbliche.

Su questo sfondo, si realizzò quella che è stata definita “colonizzazione dello Stato” da parte dei partiti, ossia un crescente inserimento di personale di estrazione partitica negli enti pubblici, nel quale i democristiani si ricavarono innegabilmente un canale preferenziale [Meyenaud 1966, 105-107; Caciagli 1977, 15; Panebianco 1984, 121]; di conseguenza, si creò una vera e propria borghesia di Stato, nella quale la Dc deteneva il controllo e la facoltà di distribuire selettivamente posti di lavoro, risorse pubbliche e, correlativamente, potere e prestigio.

In Sicilia, questi meccanismi si tradussero in un’esponenziale espansione della burocrazia regionale, selezionata principalmente secondo metodi di

88 Come ricordato da Renda “per evitare che in Sicilia in tema di riforma agraria legiferasse il

Parlamento nazionale (cioè la DC non Condizionata dalle destre) invece che l’Assemblea regionale (la DC al governo assieme con le destre” [1990, 333], l’Ars promulgò, con la legge regionale 27 dicembre 1950, n. 104, una riforma agraria regionale, che dispose l'assegnazione a coltivatori diretti dei terreni eccedenti certe estensioni. Il peso esercitato dalle forze conservatrici fu evidente, in quanto il programma – chiamato dalla sinistra “controriforma agraria” – prevedeva un intervento inteso alla creazione di una piccola proprietà contadina, ma concepita di natura moderata e suscettibile a molteplici possibilità di interpretazioni restrittive a vantaggio dei grandi proprietari terrieri, col fine politico di smantellare il sistema cooperativistico volontario ed allentare le tensioni sociali indebolendo il movimento contadino legato alle sinistre. Inoltre, l’Ente di Riforma Agraria Siciliana, preposto alle relative operazioni attuative – ma nel quale ai contadini non era riconosciuto alcun potere decisionale – funzionò secondo criteri di clientelismo politico, rivelandosi inoltre permeabile alle richieste mafiose [Petrusewicz, Schneider e Schneider 1989, 177-

reclutamento di natura clientelare. Se nella “fase iniziale può forse valere come scusante l’incertezza circa i poteri e le competenze della regione, così come la lentezza nel trasferimento degli uffici dallo Stato alla regione stessa” [Mastropaolo 1993, 99], nel processo di consolidamento democratico il clientelismo venne elevato a sistema, operante nelle pratiche spartitorie tra i partiti ed i gatekeepers locali, e negli schemi dell’assistenzialismo di massa.

I primi anni cinquanta furono inoltre una fase di snodo cruciale per l’irrobustimento della Dc anche in termini strutturali: in corrispondenza con l’avvento della seconda generazione democristiana, il partito avviò un processo di razionalizzazione, attraverso la messa in atto di uno sforzo organizzativo, dettato dalla volontà di svincolarsi dai condizionamenti esterni e dalla necessità di creare canali di aggregazione politica autonomi, che fossero in grado di garantire una maggiore stabilità al consenso democristiano [Morlino 1998, 176-177]; in particolare nel Meridione, la Dc mirava all’allargamento della base elettorale attraverso la modernizzazione del partito, esigendo quindi un’emancipazione dal vecchio apparato popolare.

Il disegno fanfaniano di creare un nuovo assetto per il partito, orientato secondo un piano definito e con un nucleo dirigente più propriamente laico, si tradusse in Sicilia, dal lato programmatico, nel proposito di attuare metodi di governo non strumentali ai vecchi assetti di potere notabilare, dal punto di vista costitutivo con la formazione di un ceto politico professionale, subentrando al personale sul quale si erano retti gli equilibri della Regione per un decennio [Pumilia 1998, 12 e ss.].

Questo tentativo democristiano di saldare la propria connotazione come partito di massa si rivelò inizialmente traumatico nell’innesto col sistema politico siciliano, pur non risultando lampante dai risultati elettorali, quanto piuttosto negli equilibri interni della formazione nell’apparato regionale [v.

infra cap. III § 2.2.].

Allo stesso tempo, come accennato in precedenza, fu proprio a metà degli anni cinquanta che si posero le radici dei meccanismi che consentirono

l’insediamento duraturo della Dc nella vita politica dell’Isola. Citando Anastasi, “il rinnovamento dell’élite democristiana e delle scelte economico-sociali che quell’élite ha imposto” furono “pragmaticamente in grado di mediare gli interessi che frammentavano la società siciliana ben al di là della stessa cultura interclassista delle tradizioni del partito popolare” [1993, 162]; e questa mediazione si concretizzava nella possibilità per i governi a guida democristiana di stabilizzarsi ricorrendo alle pratiche del sottogoverno come fattore di equilibrio.

La tradizionale matrice clientelare del “far politica” in Sicilia non venne quindi eliminata, quanto piuttosto modernizzata in schemi comportamentali propri del nuovo professionismo politico, nei quali vennero inglobate le strutture legate ad eredità personal-localistiche endogene. Per ritagliare considerevoli spazi di consenso, rimaneva difatti essenziale adottare meccanismi di selezione della classe politica capaci di intercettare personalità rappresentative delle realtà periferiche, come figure d’intermediazione all’interno dei sistemi di patronage, funzionali al trasferimento selettivo delle risorse centrali sulla base degli interessi locali [Morlino 1998, 219-220]; quindi dal clientelismo notabilare si passò a quello orizzontale delle borghesie e burocrazie di Stato che gestivano la spesa pubblica, causando in ultima analisi una professionalizzazione delle clientele stesse [Graziano 1974, 230; Tarrow 1974, 301].

Il ruolo primario assunto dalla Dc su questo terreno, le permise innanzitutto di affermarsi in termini di consenso nella periferia siciliana, dimostrando come nell’Isola vi fosse una stretta dipendenza tra potere di governo e potere elettorale.

Infatti, sul finire del primo decennio dall’avvio dell’esperienza autonomistica, gli equilibri elettorali – fino ad allora in fase di assestamento – raggiunsero uno stadio avanzato di definizione, cristallizzandosi negli anni a venire: più della metà dei voti si sarebbe concentrata sistematicamente sui grandi partiti di massa, seguendo un andamento che per i comunisti aveva già

virtualmente raggiunto la saturazione nel 1947, mentre per i democristiani rivelò una notevole tendenza all’espansione, erodendo l’area della destra [Anastasi 1993, 159]; al contempo, permase scarso il consenso verso i partiti laici, osservabile nell’andamento delle relative linee, al di sotto di quella tratteggiata dal Msi [Grafico III.2.1.1.].

Grafico III.2.1.1. Andamento dei principali partiti nelle elezioni dell’Assemblea