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DAL REGIME AUTORITARIO ALLA DEMOCRAZIA

2. L’assetto politico-istituzionale

2.4. Funzionamento del sistema proporzionale

L’innegabile influenza esercitata dal sistema elettorale sulla vita politica, implica una necessaria osservazione del come la scelta della rappresentanza proporzionale abbia inciso sulla formazione del sistema partitico sia italiano che siciliano, e sul funzionamento delle rispettive forme di Governo.

Nell’impostazione di Fisichella, tale influenza deve necessariamente essere misurata distinguendo gli effetti prodotti dal meccanismo elettorale in senso stretto, rispetto alle altre variabili che intervengono nel processo elettorale; a tal fine, il “potenziale di proporzionalità” viene calcolato in ambito circoscrizionale57, relazionando la formula utilizzata per il riparto dei seggi alla

magnitudine della circoscrizione [2008, 170-171]. Quest’ultimo risulta essere l’elemento maggiormente incisivo sull’esito del calcolo, in quanto “lo scarto imputabile alla diversità di formula proporzionale è in genere ridotto rispetto allo scarto che deriva dalla diversità dell’ampiezza circoscrizionale” [ivi, 176].

Come detto in precedenza, la ripartizione territoriale operata per strutturare il sistema elettorale della Camera predispose la creazione di collegi plurinominali molto ampi: inizialmente venne addirittura avanzata dai partiti “regionalisti” – tra cui i democristiani – la proposta di far corrispondere le

circoscrizioni alle “regioni storiche”; in tal caso, le diverse dimensioni territoriali e demografiche avrebbero però determinato un’eccessiva sperequazione nell’attribuzione dei seggi spettanti a ciascun “collegio regionale” e quindi una situazione di disuguaglianza tra gli elettori. Pertanto, si dispose un ritaglio infraregionale che rendesse l’insieme dei collegi più omogeneo, anche se la disparità di fondo venne mantenuta.

Una descrizione analoga, può essere riservata al funzionamento del sistema proporzionale adottato per l’elezione dell’Ars: in linea teorica, una rappresentanza calibrata su base provinciale avrebbe dovuto rispecchiare le relative caratteristiche politiche e quindi, potenzialmente, essere espressione delle istanze localistiche presenti in ciascuna ripartizione territoriale. Al tempo stesso, l’attribuzione dei seggi operata in base alla popolazione residente – essendo le province demograficamente molto differenti – rendeva la dimensione delle relative circoscrizioni altrettanto distinta. Questo comportò che l’esito della rappresentanza proporzionale fosse relazionato all’ampiezza del collegio elettorale stesso, in quanto a parità di formula “maggiore è il numero di rappresentanti da eleggere nella circoscrizione, maggiore è il potenziale di proporzionalità espresso dal sistema elettorale” [ivi, 175]: pertanto, la proporzionalità del sistema risultava maggiormente effettiva nelle province in cui venivano eletti più di dieci deputati, ossia solo quelle di Palermo, Messina e Catania; inversamente, nei collegi più piccoli, i quozienti richiesti per l’elezione escludevano dal gioco molte delle liste provinciali concorrenti, “sprecando” in alcuni casi consistenti percentuali di voto su partiti che non ottennero neanche un seggio [v. TAB. II.2.4.1].

Per quanto riguarda il metodo di ripartizione, entrambi i sistemi assunsero quello del quoziente rettificato, il cui grado di proporzionalità è stato differentemente interpretato e classificato dalla dottrina [Lijphart 1986].

TAB. II.2.4.1. Elezioni per l’Assemblea regionale siciliana (1947-1951-1955). Liste ammesse (L), liste senza seggi (Lss), percentuale voti validi alle liste senza seggi (%Lss), nei collegi elettorali.

Collegio N° seggi Elezioni 1947 1951 1955 Agrigento 9 8 5 9 L 4 2 5 Lss 15,0 5,1 7,6 % Lss Caltanissetta 6 8 5 10 L 5 2 7 Lss 7,6 6,5 19,0 % Lss Catania 16 9 9 10 L 3 4 5 Lss 5,7 4,5 8,9 % Lss Enna 5 7 6 9 L 4 3 5 Lss 21,5 20,4 9,6 % Lss Messina 13 10 7 11 L 4 1 4 Lss 7,1 1,1 4,4 % Lss Palermo 21 11 12 12 L 4 5 3 Lss 6,2 5,2 3,6 % Lss Ragusa 5 6 6 10 L 3 3 7 Lss 10,0 16,0 23,1 % Lss Siracusa 7 7 5 10 L 5 1 6 Lss 23,6 7,1 21,6 % Lss Trapani 8 9 9 10 L 4 3 5 Lss 19,2 11,3 10,6 % Lss Sicilia 90 19 19 15 L 10 11 7 Lss 4,3 1,1 2,1 % Lss

Fonti: nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno.

Come sostenuto da Rae, l’intento del correttivo al metodo del quoziente naturale sarebbe quello di abbassare il “costo” del seggio, in modo da favorire i

alla quota necessaria per l’elezione a quoziente pieno [1971, 34-35]. Nel caso italiano, la proporzionalità del sistema verrebbe quindi ulteriormente corroborata dal fatto che l’addendo al divisore fosse nelle prime due consultazioni del +3.

In direzione contraria, volge invece l’analisi comparativa di Lijphart sui metodi del quoziente, nella quale viene osservato come la proporzionalità del sistema decresca quando è la quota a decrescere [Lijphart 1994, 156]; difatti, l’abbassamento del valore necessario per essere eletti a quoziente intero aumenta il numero dei seggi attribuiti al primo conteggio, cosicché un minor numero di partiti riuscirà ad ottimizzare il proprio bagaglio di resti nella seconda ripartizione; allo stesso tempo, con la riduzione della quota, l’ammontare di voti residui si innalza più sensibilmente per i grandi partiti piuttosto che per i piccoli, determinando quindi un vantaggio dei primi nel riparto dei seggi rimanenti.

Il sistema italiano prevedeva che tale ripartizione avvenisse nel Collegio unico nazionale – nel quale la confluenza dei seggi non assegnati al livello circoscrizionale poteva essere anche molto consistente – dove però erano previste delle soglie d’accesso, fissate nell’ottenimento minimo di 300.00 voti su scala nazionale ed il raggiungimento del quorum in almeno una circoscrizione58. L’intero meccanismo, nella sua proporzionalità, andava

pertanto a premiare quei partiti che disponevano di un consenso radicato territorialmente, ma comunque anche di una ramificazione organizzativa al livello nazionale: quindi, i grandi partiti di massa. Ad avvalorare tale affermazione interverrebbe inoltre la circostanza per cui, dopo le elezioni del 1953, il valore del correttore fu abbassato a +2, in risposta alle richieste avanzate dalle formazioni minori [Carstairs 1980, 159].

58 Tali soglie, pur potendo essere considerate relativamente basse, determinarono nelle

elezioni politiche del 1972 la scomparsa dello Psiup – nato da una scissione interna del Psi – in quanto il partito, pur avendo ottenuto al livello nazionale circa 700.000 voti, non raggiunse in nessuna circoscrizione il quoziente pieno e quindi non si vide assegnare alcun seggio.

Indubbiamente, l’influenza maggiore esercitata dal sistema elettorale fu in termini di frammentazione dello spettro politico59 – dato il numero di partiti

che sistematicamente si presentavano al vaglio degli elettori – proiettata attraverso la ripartizione proporzionale nella composizione delle Camere: quando Sartori descriveva il sistema italiano come multipartitico, erano difatti otto le formazioni a poter essere contate nella rappresentanza parlamentare [1982, 10-11].

Analoghe conclusioni possono trarsi nel caso siciliano, dove inoltre il meccanismo elettorale produsse un effetto moltiplicativo di un’attitudine alla frammentazione dell’offerta elettorale, congenitamente presente nel sistema partitico regionale [v. infra cap. III § 1.3].

In entrambi i casi, il sistema mostrò comunque una tendenza al funzionamento bipolare, appannaggio dei partiti di massa, con una prevalenza democristiana che precluse l’alternanza al governo, facendo da argine alle spinte centrifughe. Al livello nazionale, tale realtà si concretizzò nella creazione di governi di coalizione a “maggioranza minima coerente”, ossia composti da partiti adiacenti sulla scala politica, imperniati sulla Dc e con l’esclusione dei poli estremi. In Sicilia, tale assetto si dimostrò saldato dalla consistenza e dalla costanza del voto democristiano, delineando un sistema a partito dominante [v.

infra cap. III § 2.1].

Infine, una componente di ambedue le discipline elettorali che produsse influenze significative fu la previsione del voto di preferenza, in quanto aggiunse alla competizione inter-partitica, anche quella intra-partitica, che produsse un elevato “frazionalismo interno”, soprattutto nelle formazioni maggiori [Lijphart 1984, trad. it. 2001, 93; Sartori 1976, 86-87].

59 Come osservato da Lijphart, ad intensificare il grado di multipartitismo concorre inoltre la

grandezza dell’assemblea da eleggere, ossia il numero totale dei seggi da assegnare [1994, 12]. A riguardo, la Camera dei deputati si pone al livello comparativo come una delle maggiormente consistenti; nel panorama italiano, l’Ars rimane tutt’oggi l’organo rappresentativo sub-statale più numeroso.

Questa costante tensione che si riprodusse all’interno del sistema partitico ebbe inevitabili “ripercussioni” sulla forma di Governo, in quanto la contestuale emersione della politica di massa rese il canale organizzativo dei partiti il principale motore del sistema politico.

Gli effetti distorsivi prodotti sul parlamentarismo furono evidenti soprattutto nel fatto che la maggior parte delle crisi di governo fossero extraparlamentari e la selezione del personale governativo extraelettorale, secondo logiche e procedure ragionate in base agli interessi organizzativi interni dei partiti [Calise 1994, 42-45]. Nonostante i confini giuridici di una forma di Governo partitocratica siano incerti, come osservato da Pasquino, il sistema italiano si evolse “tecnicamente” come una partitocrazia, “per regole di funzionamento, controllo sulle istituzioni, modalità di selezione e potere della autorità ” [2002, 16].

Come analizzeremo meglio in seguito, in Sicilia il riflesso di questa “democrazia mediata” [Duverger 1958, trad. it. 1960, 61] da un lato compresse la capacità della politica regionale di fornire indicazioni autonome che non fossero funzionali ai vertici nazionali dei partiti; dall’altro l’intreccio col modello politico-culturale endogeno produsse fenomeni degenerativi, rendendo il sistema politico locale altamente permeabile ad influenze clientelari [Calise 1994, 53-54; D’Amico 1993, 211] .