presidente di Federsanità Anci Nazionale; Welfare Oggi l’ha intervistata per
conoscere il punto di vista dei Comuni sul provvedimento.
Assessore Fracassi, a suo giudizio quali sono gli aspetti positivi intro- dotti dai nuovi LEA?
Un primo elemento del tutto condi- visibile riguarda l’introduzione di un punto unico di accesso sociosani- tario e di un approccio multifatto- riale e multidimensionale che con- sente di considerare le persone nel- la loro complessità di aspetti socia- li e sanitari; è una prospettiva me- todologica condivisibile e non nor- male per la sanità, quindi un impor- tante passo in avanti. La perplessi- tà è che, pur non essendo questo approccio affatto nuovo, ma parte del patrimonio operativo consolida- to dei servizi sociali degli enti locali, questi ultimi abbiano un ruolo mar- ginale e secondario. Insomma: fina- lità condivisibile, ma impianto orga- nizzativo per raggiungerla non coe- rente o comunque non sufficiente- mente sviluppato.
Ciò detto, un secondo e forse maggiore problema connesso al- la pur positiva adozione di un ap- proccio multidimensionale è lega- to alla mancata previsione delle ri- sorse che tale approccio porta con sé. Se affermiamo che per garan- tire la salute è necessario interve-
nire su una pluralità di aspetti, non solo sanitari, bisogna avere la con- sapevolezza che questi interventi vanno poi realizzati; e ciò richiede- rebbe una riflessione sulle risorse, che da una parte andrebbero ade- guate mentre rimangono invariate, dall’altra su un diverso equilibrio tra investimento sugli interventi territoriali rispetto alle cure ospe- daliere; ma anche questo manca.
Parliamo ora delle criticità. Uno degli aspetti che sta generando un certo allarme riguarda i servizi do- miciliari; da più parti si esprime ap- prensione circa il fatto che la spe- sa sanitaria intervenga per il com- plesso delle necessità assistenziali delle persone non autosufficienti e non, come parrebbe di leggere nei LEA, solo quelle strettamente sani- tarie; cosa ne pensa?
Su questo in effetti il testo non è chiaro, facendo in un punto riferi- mento alle prestazioni infermieristi- che e connesse, mentre in un al- tro afferma l’intervento della sanità nel pagare l’assistenza tutelare in- tegralmente nel primo mese e poi al 50%. Certamente questo è un aspetto poco chiaro su cui è ne-
cessario intervenire, ma il vero pro- blema è un altro.
E cioè?
Il fatto è che se anche si specifica – come è corretto che sia – la piena pertinenza di interventi sociali nel- la cura della non autosufficienza, se non si allocano correttamente le risorse, questa affermazione rima- ne teorica. Sembri che manchi la consapevolezza che la situazione attuale – rispetto alla quale i nuovi LEA non intervengono – ha l’effet- to paradossale di discriminare i cit- tadini con minore reddito. Se infatti per un cittadino viene ritenuto ap- propriato un intervento domicilia- re o residenziale a fronte della sua situazione di non autosufficienza, la sanità interviene per la propria parte di risorse – la “quota sanita- ria”, mentre per la “quota sociale” deve pagare il cittadino o, se que- sti non è abbiente, il suo Comu- ne. Ora, i Comuni, che pure inte- grano per molte persone indigenti la quota sociale, ad un certo pun- to terminano le risorse e non pos- sono corrispondere ulteriori quote con il risultato che chi ha un red- dito sufficiente paga la “quota so-
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ciale” di tasca propria ed accede al servizio, beneficiando – come è giusto che sia – delle risorse mes- se a disposizione della sanità; chi non è abbiente, nel momento in cui il Comune esaurisce le risorse, ri- schia di venire messo in lista di at- tesa. E questa è una incongruenza del sistema ingiustificabile rispetto alla quale i LEA non intervengono.
Certo Assessore, questione di ri- sorse appunto. Ma quindi alla fine la ricetta che dobbiamo desumere è “più soldi per il sociale”? Sicura- mente condivisibile, ma…
Capisco la perplessità, ma no, non si tratta solo di questo, ma anche di ragionare sull’allocazione delle risorse esistenti e sull’organizza- zione del sistema.
Prendiamo ad esempio i progetti di tanti territori – tra cui la Liguria – in cui forme di assistenza integra- ta sociale e sanitaria permettono dimissioni anticipate dagli ospeda- li e diminuiscono i ricoveri, com-
portando peraltro costi quotidiani assai inferiori a quelli della degen- za ospedaliera. Se, a fronte di que- sta constatazione, si programmas- se un ripensamento degli interven- ti con un flusso di risorse oggi al- locate agli ospedali per finanziare via via queste forme di assistenza si otterrebbe, oltre ad una miglio- re qualità della vita per i cittadini assistiti, un circolo virtuoso con ri- sparmi che alimentano ulteriori ri- definizioni dei servizi con il risulta- to finale di più cittadini assistiti. Ma ciò non accade.
In secondo luogo è necessario pensare alle risorse esistenti co- me ad un sistema integrato da al- locare secondo criteri di ragione- volezza ed equità. Prendiamo ad esempio l’indennità di accompa- gnamento; può essere condivisi- bile che non sia legata al reddito, ma appare poco ragionevole che venga intesa in senso meramente risarcitorio soprattutto nel caso in cui il cittadino sia inserito in una
struttura residenziale. Insomma, la costruzione di un vero livello es- senziale per la non autosufficien- za passa anche per la capacità di ripensare e ridefinire organizzazio- ne dei servizi e allocazione delle ri- sorse, oltre che dall’adeguamento di queste ultime.
A questo proposito può esse- re utile sviluppare una riflessio- ne sul percorso, parallelo a quello dei LEA, che ha portato il 3 agosto scorso all’approvazione da parte della Conferenza delle Regioni dei Livelli Essenziali delle Prestazio- ni (LEP) legate al riparto del Fon- do Nazionale per la Non Autosuffi- cienza (FNA).
Certo è singolare che i due percor- si siano stati almeno sino ad ora paralleli, ma accanto a ciò questo ha reso evidenti una serie di ulte- riori anomalie su cui vale la pena di riflettere. La prima è la tendenza del nostro Paese a frazionare i fon- di e con essi le politiche. Ha sen-
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so definire un livello essenziale le- gato solo alla dotazione del FNA, o avrebbe piuttosto più senso ragio- nare di queste risorse nell’ambito di una riorganizzazione complessi- va dei servizi per la non autosuffi- cienza e di una conseguente riallo- cazione complessiva delle risorse come quella sopra evocata? E, si badi bene, non ritengo che i livelli territoriali siano esenti dal mettersi in gioco su questo piano, perché in tale ridefinizione complessiva van- no considerate anche risorse pro- prie sia a livello regionale che co- munale. Insomma, serve una sor- ta di patto che riunisca i vari sog- getti portatori di risorse e che ab- bia come obiettivo il superamento delle insufficienze e delle anomalie del sistema, come quella sopra ri- chiamata della discriminazione de- gli anziani meno abbienti dall’ac- cesso ai servizi.
Ma accanto al frazionamento di fondi vi è – seconda anomalia – una tendenza al frazionamento dei bisogni per cui, ad esempio, nel FNA una parte consistente è allo- cata per una specifica categoria di bisogno, quella della disabilità più grave. Queste “riserve” hanno si-
curamente una ragione storica nel salvaguardare determinate condi- zioni, magari sino ad un certo pun- to trascurate, ma rendono l’insie- me incoerente collocando sul sog- getto territoriale terminale – i co- muni – l’onere di ricondurre a uni- tarietà delle progettazioni parallele. Consideriamo inoltre che tali siste- mi “per quota” derivano spesso, più che da una lettura comples- siva della dimensione dei bisogni – spesso assente –, da altri fattori quali la capacità di mobilitarsi, or- ganizzarsi e far sentire la propria voce. In questa situazione gli an- ziani non autosufficienti rischiano di avere una capacità di autorap- presentazione minima e quindi di essere penalizzati nelle scelte al- locative.
Accanto a ciò vi sono altri elementi rilevanti dei LEA che vorrebbe sot- tolineare?
Sì, un tema a me molto caro, che i LEA affrontano positivamente, è la più precisa valutazione del ruo- lo dei consultori, che non riguarda solo i temi a cui generalmente essi vengono associati – natalità, pro- creazione, ecc. –, ma si ampliano
in modo chiaro alla presa in carico di soggetti fragili e al supporto psi- cologico e sostegno alle famiglie. Per un servizio sociale comunale sino ad oggi non è scontato poter- si rivolgere al SSN per aspetti dia- gnostici o terapeutici di tipo psi- cologico che pure sono parte inte- grante delle valutazioni multidisci- plinari, ma che non rientrano nel- le competenze di un ente locale. Si pensi ad esempio all’analisi del- le capacità genitoriali in una situa- zione critica segnalata dal Tribuna- le dei minori. Anche se…
Anche se…?
Spiace dover ritornare sul soli- to punto, ma a fronte del corret- to riconoscimento del ruolo dei consultori, manca una riflessione sull’assegnazione di risorse, pa- radossalmente richiamando verso questi impegnativi compiti un ser- vizio che in questi anni è stato de- potenziato.
In conclusione, assessore?
Vi sono in questa fase molte evolu- zioni positive nelle politiche socia- li del nostro Paese: l’impegno del Governo sul fronte della povertà, le linee guida sulla povertà estre- ma, il fondo per contrastare la po- vertà educativa; ciò corrisponde ad altrettanti nodi irrinunciabili che un servizio sociale territoriale de- ve affrontare ed è sicuramente po- sitivo che su tutti questi aspetti si assiste ad una rinnovata sensibilità delle istituzioni. Non è quindi fuo- ri luogo sperare che dalla discus- sione sui LEA e sui LEP possa na- scere un disegno altrettanto orga- nico ed efficacie rispetto alla non autosufficienza, che rappresenta l’altro grande ambito ancora oggi scoperto per chi deve occuparsi di risposta alle principali sfide sociali del nostro Paese.