settembre | ottobre 2016
NUMERO 5
FOCUS – LEA
8 I livelli essenziali di assistenza per la non autosufficienza a cura di Maurizio Motta e Gianfranco Marocchi
10 I nuovi livelli essenziali: una occasione perduta per l’assistenza sociosanitaria? Maurizio Motta
23 Nuovi LEA: meno diritti e più costi per le prestazioni domiciliari Maria Grazia Breda
28 Verso un Piano per le non autosufficienze? Carlo Giacobini
36 Intervista a Emanuela Fracassi, Assessore alle Politiche sociosanitarie del Comune di Genova
POLITICHE
39 2 minuti – Richiedenti asilo/Cooperazione e solidarietà a cura di Alice Melzi
41 Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati in Italia Daniela Di Capua, Monia Giovannetti
48 Il Piano di Azione e Coesione: una storia italiana Daniele Ferrocino
ESPERIENZE
55 2 minuti – Minori e giovani a cura di Alice Melzi
57 Una buona idea Patrizia Bausano
61 Lo Sghembo Festival: un’esperienza di inclusione e di prossimità Alice Gamba e Ornella Morpurgo Bondioli
70 Il Tortellante: un laboratorio per l’inclusione e l’autonomia delle persone con autismo Silvia Panini, Sabrina Morgillo, Elena Orlandi
77 Recovery a Casa Satta
Rosy Guiso
83 Percorsi integrati di inclusione sociale e lavorativa in psichiatria Claudio Torrigiani
STRUMENTI
89 2 minuti – Povertà ed esclusione sociale a cura di Alice Melzi
91 Patti di collaborazione tra cittadini e amministrazioni nelle “città del Regolamento” Daniela Ciaffi
98 Il Budget della Salute per persone con bisogni complessi negli interventi integrati di Assistenza Primaria
a cura di Antonino Trimarchi
106 Comunicare per cambiare. Un nuovo approccio alla comunicazione sociale Andrea Volterrani
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DISEGNATO
PER CHI
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Welfare Oggi, nato nel 2011 raccogliendo l’eredità di
Q
uesto focus sui livelli essenziali di
assistenza per la non
autosuffi-cienza si colloca in un momento
particolarmente significativo del dibattito
e della produzione normativa sul tema.
Sul fronte della sanità, dopo quindici
anni sembra giunto alle ultime battute il
percorso di approvazione dei nuovi
Li-velli Essenziali di Assistenza (LEA) che
delineano, nell’ambito della generalità
delle prestazioni offerte dal nostro
siste-ma sanitario e in continuità con quanto
avvenuto nel 2001, quale quota di
im-pegno di spesa e per quali
prestazio-ni destinate alle persone non
autosuffi-cienti debba essere assicurato dalla
sa-nità pubblica.
Ma in questi mesi si assiste anche ad
un altro fatto di rilievo, l’evoluzione del
Fondo Non Autosufficienze (FNA) che
con l’ultima legge di stabilità ha assunto
carattere strutturale (non più finanziato
“per l’anno 2016” ma “a partire
dall’an-no 2016”) e viene inserito, anche alla
lu-ce del più pregnante ruolo dello Stato
nelle politiche sociali previsto dal
dise-gno di revisione costituzionale del
Go-verno, in una visione tesa a creare, a
partire da tali risorse, un nucleo di
livel-li essenzialivel-li delle prestazioni da
assicu-rare in modo uniforme sul territorio
na-zionale.
Come valutare questi fatti?
Soddisfa-zione, perché, con tutti gli eventuali
li-FOCUS LEA
I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA
PER LA NON AUTOSUFFICIENZA
a cura di Maurizio Motta e Gianfranco Marocchi
I nuovi livelli essenziali: una occasione perduta per l’assistenza
sociosanitaria?
Maurizio Motta
Nuovi LEA: meno diritti e più costi per le prestazioni domiciliari
Maria Grazia Breda
Verso una nuova stagione del Fondo per le Non Autosufficienze?
Carlo Giacobini
miti, questi provvedimenti possono
co-stituire un passo in avanti nella
defini-zione di un approccio organico alla non
autosufficienza? Delusione, perché
sia-mo di fonte ad un’occasione mancata?
Le valutazioni possono essere diverse.
Welfare Oggi da parte sua prova in
que-ste pagine a proporre una lettura
ana-litica di questi passaggi. Gli articoli di
Motta e Breda evidenziano i nodi
aper-ti del provvedimento sui LEA
sociosa-nitari, Giacobini ripercorre le tappe che
hanno segnato l’evoluzione del
Fon-do non Autosufficienze, Fracassi offre il
punto di vista degli enti locali.
L’obietti-vo di questi contributi non è solo quello
di informare e di esporre tesi e giudizi,
ma anche di fornire al lettore strumenti
per individuare snodi cruciali da non
di-menticare, che è opportuno restino
og-getto di attenzione anche dopo
l’appro-vazione degli atti normativi.
A lato delle argomentazioni proposte, ci
permettiamo di evidenziare alcune
sug-gestioni trasversali.
La prima è che i due passaggi sopra
ri-chiamati, la definizione dei nuovi LEA
e una riedizione per nulla “ordinaria”
del riparto del FNA, hanno sino ad ora
camminato su sentieri paralleli. Chi
ra-giona sul FNA, continua ad avere come
orizzonte i 400 milioni del Fondo (e non
a caso sceglie, vista l’esiguità di
que-ste risorse, di destinarle alle situazioni
di maggiore gravità), non il complesso
degli interventi sulla non
autosufficien-za e gli strumenti che potrebbero
met-terli a sistema. Per contro, chi ragiona
sui LEA rischia di concentrarsi su
qua-li prestazioni pagare e per quale
quo-ta, trascurando riordini necessari per
muovere verso un sistema di
interven-ti più organico per la non
autosufficien-za. Insomma il pericolo è che politiche e
strategie rimangano sullo sfondo. E ciò
avviene non nell’anno zero del
dibatti-to, ma sedici anni dopo l’approvazione
della 328/2000.
Il tema delle risorse, intendiamoci, è
importantissimo. Senza risorse la
pro-grammazione è solo teoria e i diritti
di-ventano virtuali, come alcuni degli
arti-coli del focus sottolineano. Ma
concen-trarsi su quali prestazioni pagare
sen-za inserirle in una strategia definita è
ugualmente limitativo. Se poi questi
li-miti si combinano – poche risorse, su
prestazioni mal definite entro un quadro
di programmazione assente – il risultato
rischia di essere insoddisfacente.
E questo è il rischio maggiore che
attra-versa la lettura puntuale degli atti
nor-mativi offerta dagli articoli qui
pubbli-cati. Lo si scrive nella consapevolezza
delle immani difficoltà che si incontrano
quando ci si propone di riordinare
mac-chine organizzative complesse agendo
su una questione che impatta
dramma-ticamente sulle vite di milioni di
citta-dini; ma anche nella convinzione che
senza tenere insieme i due capi della
questione – risorse e prestazioni da una
parte, politiche e strategie dall’altra – i
propositi riformatori rischiano di
arenar-si. Sia sul fronte delle prestazioni che
delle politiche.
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FOCUS
I NUOVI LIVELLI ESSENZIALI:
UNA OCCASIONE PERDUTA PER
L’ASSISTENZA SOCIOSANITARIA?
Maurizio Motta *
Nei quindici anni trascorsi dall’approvazione dei Livelli Essenziali
di Assistenza del 2001 alla loro revisione del 2016 si è diffusa la
consapevolezza di come la non autosufficienza rappresenti un problema
frequente e drammatico per le famiglie. In che misura i nuovi livelli
essenziali sociosanitari rispondono alle questioni cruciali sul tema?
Leggendo il d.P.C.M. che ha intro-dotto i nuovi LEA è difficile evitare di farsi inquietanti domande a fron-te di questo paradosso:
- è a tutti evidente la rapida cre-scita dei bisogni connessi alla non autosufficienza e la dram-matica inadeguatezza del siste-ma italiano di welfare nell’affron-tarli, il che genera crescenti sof-ferenze che travolgono le fami-glie e mettono in crisi i servizi1;
- e tuttavia i nuovi LEA esplicita-mente non prevedono per gli in-terventi sociosanitari né nuove prestazioni ed aumenti di spe-sa, né riorganizzazioni nella re-te d’offerta, che per la non auto-sufficienza sarebbero indispen-sabili considerando che richie-de necessariamente più inter-venti coordinati.
La messa a punto dei nuovi LEA è certo stata impresa complessa, tanto più dovendo navigare entro le ristrettezze finanziarie, ma me-rita riflettere sui nodi della loro ri-caduta nelle prestazioni per la non
autosufficienza, e per farlo può es-sere utile interrogarsi su una manda di fondo: a che cosa do-vrebbero servire i LEA?
Per avviare la discussione su que-sta domanda è utile riprendere la formulazione dell’art. 117 (lettera “m”) della Costituzione, che è il di-spositivo di rango giuridico più ele-vato sul tema, e che attribuisce al-la competenza legisal-lativa esclusiva dello Stato “… la determinazione
dei livelli essenziali delle prestazio-ni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tut-to il territut-torio nazionale”. La
Costi-tuzione dunque prevede che i livel-li essenzialivel-li delle prestazioni siano: - relativi ai “diritti” dei cittadini,
formulazione che configura una esigibilità delle prestazioni. Nel disposto costituzionale emer-ge un chiaro legame tra
“livel-li essenzia“livel-li delle prestazioni”
che concernono “diritti”, e che per questo devono essere
“ga-rantiti”. Per quanto gli interventi
possano essere limitati (ovvero “essenziali”) è evidente l’obiet-tivo costituzionale di impegnare lo Stato a garantirne la fruibilità. - Da garantire in modo uniforme
in tutta Italia, come set minimo
di prestazioni che il cittadino de-ve poter ricede-vere ovunque. Va anche ricordato che rispetto agli interventi sociosanitari i LEA non regolano soltanto il “Fondo per la non autosufficienza”, ma l’intero impianto delle prestazioni e servizi dedicato al tema.
Per riflettere sulla domanda del ti-tolo di questo articolo mettiamo a fuoco quali sono le criticità princi-pali del sistema di interventi sulla non autosufficienza2 e gli
aspet-ti che meriterebbero un riordino proprio tramite una revisione dei LEA. L’elenco dei temi che qui si espongono potrebbe essere utiliz-zato come una “checklist” dei nodi meritevoli di attenzione, come gri-glia per valutare se e come le mo-difiche ai LEA possono migliorare le criticità attuali, nel rispetto del mandato costituzionale.
Su questa riflessione può pesa-re un delicato interrogativo: quale grado di dettaglio devono avere i LEA? Ossia quali aspetti del siste-ma di welfare devono essere rego-lati con precisione a livello stata-le, e quali lasciati alla libera discre-zionalità regionale? Questo interro-gativo non può essere esauriente-mente discusso in un breve
artico-*] Componente della redazione di Welfare Og-gi, docente a contratto presso l’Università di To-rino, già Dirigente nei servizi sociali del Comu-ne di Torino
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FOCUS
lo, ma non gli si può del tutto sfug-gire. La tesi che si adotta in queste pagine è la seguente:
- il testo costituzionale richiama-to all’inizio include tra le carat-teristiche fondamentali dei LEA quella di essere uniformemente garantiti in tutto il territorio na-zionale;
- le due uniche ragioni in base al-la quale è utile che ogni Regione possa differenziare il suo siste-ma di welfare consistono da un lato nell’opportunità di costruire risposte che siano meglio mirate ai bisogni e alle peculiarità terri-toriali, e dall’altro nel governa-re la spesa governa-regionale. Ma si trat-ta di programmare l’offertrat-ta dei servizi adattandola alla natura dei fruitori e del territorio, e non di differenziare elementi fonda-mentali delle prestazioni da ga-rantire ovunque a bisogni che sono del tutto analoghi in ogni Regione.
Perciò è necessario non dimenti-care che uno dei problemi dell’at-tuale sistema sociosanitario per le non autosufficienze consiste nella rilevantissima differenza delle of-ferte nelle diverse Regioni, spes-so senza appropriate e spes- sostanzia-li motivazioni. Un percorso per in-trodurre livelli essenziali più unifor-mi non deve pertanto essere vis-suto come un attentato all’auto-nomia regionale, o uno svilimento della programmazione locale. Ciò detto, ripercorriamo quindi i nodi da affrontare, verificando per ciascuno dei punti cosa prevedo-no i nuovi LEA.
1. QUALI DIRITTI, QUALE ESIGIBILITÀ?
La normativa che ha genera-to i LEA sanitari e sociosanitari (il d.lgs. 229/1999), prevede che
va-dano incluse nei livelli essenzia-li prestazioni scelte con criteri an-che di compatibilità con le risor-se disponibili, e questo legame tra prestazioni pubbliche e risorse è stato rafforzato anche dalla mo-difica introdotta nella Costituzione con la legge costituzionale 20 apri-le 2012, n. 1, che impone il pareg-gio di bilancio alle Amministrazio-ni pubbliche.
Ma ne è derivata una nuova strana famiglia di diritti, quelli “finanziaria-mente condizionati”, la cui esigibi-lità per il cittadino è subordinata al-la disponibilità di risorse degli Enti che devono erogare. Naturalmen-te, anche al di là di quanto è pre-visto nell’ordinamento, si potrebbe pensare:
- che sia ovvio che le prestazioni offerte debbano essere compa-tibili con le risorse, altrimenti si definirebbero in modo demago-gico diritti virtuali, che poi non è concretamente possibile soddi-sfare se le prestazioni sono irre-alizzabili;
- che quindi tutto il welfare pub-blico funziona secondo questo criterio, ossia tutte le prestazio-ni sono sempre fruibili soltanto se le risorse lo consentono. Queste due possibili obiezioni non trovano tuttavia sempre riscontro nella realtà. Occorre infatti ricorda-re che nel welfaricorda-re pubblico vi so-no molte prestazioni che già hanso-no natura di diritto soggettivo perfetto pienamente esigibile ovunque, per le quali dunque le Amministrazio-ni non possono dilazionare od evi-tare l’intervento motivando con la scarsità di risorse quando i cittadi-ni che ne hanno i requisiti, pena un ricorso vincente del cittadino alla magistratura. Ad esempio le pre-stazioni di integrazione del reddi-to erogate dall’INPS come l’asse-gno sociale, le maggiorazioni delle
pensioni, le integrazioni al minimo (che nel loro insieme costituisco-no di gran lunga la maggior spesa pubblica contro la povertà), oppu-re gli assegni a famiglie poveoppu-re con nuovi nati e/o tre minori (istruite dai Comuni ed erogati dall’INPS), o le riduzioni tariffarie sull’energia elet-trica e sul gas.
Si potrebbe obiettare che trattan-dosi in questi casi di semplici tra-sferimenti in denaro è più facile e ragionevole prevedere l’erogazio-ne senza dilazioni o dinieghi. Ma nel welfare esistono altri inter-venti con natura di diritto esigibi-le che non consistono solo in tra-sferimenti monetari bensì in ser-vizi, come la fruibilità della scuo-la dell’obbligo al momento del suo inizio, oppure gli interventi degli Enti gestori dei servizi sociali nei casi di rischio, pregiudizio, danno per i minori. O in ambito sanitario il diritto ad avere un medico di medi-cina generale, le vacmedi-cinazioni ob-bligatorie, un ricovero ospedaliero urgente.
Sono quindi già operanti (e da mol-to tempo) prestazioni e servizi di
welfare pubblico, anche complessi
e con l’impiego di risorse umane, che hanno natura di diritti piena-mente esigibili. Non esiste dunque una impossibilità assoluta a garan-tire livelli essenziali con questa na-tura anche per i non autosufficien-ti, quanto un ritardo storico delle politiche italiane a questo riguardo. Ma che c’entra questo con i LEA? Se ci si abitua al fatto che non è possibile garantire almeno un set minimo di interventi ai non auto-sufficienti che siano sempre esigi-bili, almeno un “nucleo essenziale” di diritti enunciati nei LEA davve-ro garantiti, meglio sarebbe uscire dall’ipocrisia attuale e derubrica-re i livelli essenziali di queste pderubrica-re- pre-stazioni da diritti soggettivi (rango
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FOCUS
che la Costituzione oggi gli attribu-isce) a più modesti “tentativi di ri-chiesta” del cittadino, a “diritto di chiedere ma non di avere”. Ma co-sì il welfare pubblico abdicherebbe alla sua principale missione di ga-rantire un livello minimo di rispo-ste a bisogni importanti dei più fra-gili. Purtroppo il decreto sui nuo-vi LEA non introduce alcuna mi-glior garanzia di esigibilità rispet-to al precedente modello dei dirit-ti finanziariamente condizionadirit-ti, e dunque questo cruciale nodo re-sta immutato.
2. QUALI CONTENUTI NEI LIVELLI ESSENZIALI?
In molte tipologie di interventi so-ciosanitari per i non autosufficienti la prestazione per il cittadino, che è la sostanza concreta del diritto di tutela, dipende in modo decisi-vo dal fatto che siano offerte quan-tità adeguate di intervento, e tem-pi certi e non dilatati di fruizione. Ad esempio:
a) la possibilità di far permanere al proprio domicilio un anziano non autosufficiente, o un disabi-le, dipende dal numero di ore di assistenza domiciliare del quale può fruire (anche se l’assistenza può essere articolata e compo-sta di più interventi). Se l’assi-stenza domiciliare di tutela del-la persona si concretizza solo in un numero limitato di ore setti-manali la sua efficacia è molto ridotta, con l’effetto di non con-sentire di fatto la permanenza al domicilio, oppure di costringere le famiglie a impoverirsi per pa-gare in proprio assistenti fami-liari;
b) la possibilità di fruire di una col-locazione in struttura residen-ziale per un non autosufficien-te (in un posto letto con parautosufficien-te
della retta a carico dell’Azienda Sanitaria) è concreta nella misu-ra in cui l’attesa per poter entmisu-ra- entra-re in una struttura non è troppo lunga. Altrimenti la famiglia de-ve affannarsi a cercare altre so-luzioni mentre è in lista d’atte-sa del posto letto, o impoverirsi per pagare in proprio tutta la ret-ta di ricovero. Oppure l’anziano decede prima di entrare in strut-tura.
Questi due esempi evidenziano come la definizione di livelli essen-ziali di prestazioni da garantire è in questo tipo di interventi molto le-gata alla contestuale definizione: - del volume degli interventi,
del-la quantità dell’offerta;
- dei tempi massimi entro i quali l’offerta diviene davvero fruibile. Non sono perciò sufficienti LEA che si limitano a descrivere le pre-stazioni ma non quantificano alme-no dimensioni e quantità dei tem-pi e volumi di offerta da assicura-re. Né pare sufficiente lasciare la definizione di questi due ingredien-ti fondamentali dei livelli essenzia-li di assistenza alla totale discre-zionalità delle Regioni. È evidente che i tempi di accesso alle presta-zioni e i loro volumi di offerta so-no molto dipendenti dagli asset-ti operaasset-tivi locali. Ma anche i nuo-vi LEA espongono nuo-vincoli naziona-li su prestazioni sanitarie da garan-tire precisando sia tempi massimi (ad esempio la presa in carico dei nuovi nati entro il primo mese di vi-ta3) sia volumi certi (continuità
as-sistenziale dell’assistenza sanita-ria di base per l’intera giornata tut-ti i giorni della settut-timana4; strutture
semiresidenziali per persone con disturbi mentali e con dipenden-ze patologiche “… attive almeno 6
ore al giorno per almeno 5 giorni la settimana”5).
Dunque anche nell’assistenza
so-ciosanitaria ai non autosufficienti, allo scopo di garantire un minimo di uniformità nazionale ad un nu-cleo di diritti, i LEA non dovrebbero evitare di definire anche standard e criteri minimi, ad esempio:
- per quanto riguarda l’assisten-za domiciliare introducendo un meccanismo secondo il quale la quantità di assistenza si fon-di su un “massimale erogabile”, ossia un valore in Euro mensili che può essere tradotto in pre-stazioni domiciliari per un non autosufficiente, con valore cre-scente al crescere della non au-tosufficienza.
- Per quanto riguarda l’assisten-za residenziale: la definizione di un rapporto minimo tra nume-ro di abitanti e numenume-ro di posti letto in RSA da garantire in ogni territorio (standard di posti let-to), nonché di criteri per il gover-no delle tariffe che le RSA, en-tro una forbice di costi giorna-lieri, diversificati in base al gra-do di non autosufficienza del ri-coverato.
Rispetto a questo profilo i nuovi LEA sono presentati come un mi-glioramento dei precedenti, perché puntano a esplicitare meglio atti-vità e prestazioni, mentre il prece-dente decreto sui LEA (d.P.C.M. 29 novembre 2001) si limitava ad una loro descrizione generica6. Questa
intenzione è molto importante, ma per quanto riguarda gli interven-ti sociosanitari non pare purtrop-po che il nuovo d.P.C.M. la tradu-ca in mectradu-canismi precisi e vinco-lanti. Le prestazioni e i servizi coin-volti sono descritti nel d.P.C.M. in modo ampio, ma mancano stan-dard da rispettare in ogni Regio-ne del tipo prima richiamati, che diano concretezza ai tempi mas-simi ed ai volumi minimi di inter-vento da garantire. Questo rischia
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FOCUS
di rendere i LEA una mera elenca-zione di interventi, senza dare so-stanza concreta a un minimo tan-gibile di prestazioni da assicurare. È un po’ come se il livello essen-ziale “istruzione obbligatoria” fos-se considerato ugualmente garan-tito in Regioni che prevedano un mese di scuola all’anno oppure 9 mesi; o come se il livello essenzia-le “accesso al medico di medici-na generale” fosse comunque ot-temperato quando il medico riceve i pazienti un solo giorno alla setti-mana oppure tutti i giorni.
3. CHI PAGA LE PRESTAZIONI SOCIOSANITARIE?
Si tratta di una questione tutt’altro che meramente burocratica e lon-tana dalle offerte di servizi, perché è un importante ingrediente che in-fluenza il sistema delle cure ed i di-ritti dei cittadini. Discutiamone due snodi meritevoli di regolazione.
3.1. La contribuzione del cittadi-no ai costi delle prestazioni
Considerando che le prestazio-ni sociosaprestazio-nitarie richiedono una consistente contribuzione dei be-neficiari (ben più elevata dei ticket per le prestazioni sanitarie), i cri-teri che regolano queste contribu-zioni sono di fatto una componen-te essenziale della sostanza dei diritti agli interventi perché deter-minano quando il cittadino può ri-cevere spesa pubblica, e quanto deve contribuire. Sono inoltre un meccanismo per garantire l’omo-geneità di questi diritti sul territo-rio nazionale. La definizione dei li-velli essenziali non deve pertanto trascurare questo aspetto, consi-derandolo poco influente soltan-to perché è estraneo alla elenca-zione degli interventi che li costi-tuiscono.
Il tema meriterebbe ampi appro-fondimenti, ma occorre almeno non dimenticare che è ora obbliga-torio utilizzare l’ISEE tra i mecca-nismi per definire la contribuzione. All’ISEE è stata attribuita la natura di “livello essenziale”7, ma è
trop-po semplicistico e superficiale af-fidare completamente a Regioni ed Enti erogatori la scelta del modo di usare l’ISEE per ricavarne le con-tribuzioni per i cittadini, perché ne possono derivare meccanismi dra-sticamente diversi. Entro i LEA me-riterebbe perciò almeno regolare: a) se per calcolare le
integrazio-ni delle quote alberghiere delle rette di ricovero in RSA (eroga-te dai Comuni quando il nucleo del ricoverato non riesce a pa-garle) debba continuare ad ope-rare la logica che di norma sino-ra è stata utilizzata, secondo la quale il ricoverato deve utilizza-re tutti i suoi utilizza-redditi (indennità di accompagnamento inclusa) per pagare la retta, meno una quo-ta che resquo-ta in sua disponibili-tà. Se infatti si utilizza soltanto l’ISEE per calcolare le contribu-zioni questa modalità è di fat-to irrealizzabile, sia perché tra i redditi dell’ISEE non sono
inclu-se (dal 1° giugno 2016) pensioni di invalidità ed indennità di ac-compagnamento, sia perché il valore finale dell’ISEE non rap-presenta i redditi, bensì un mix di redditi e patrimoni con detra-zioni e franchigie;
b) alcuni criteri di massima, ad esempio per evitare/ridurre le distorsioni derivanti dal solo utilizzo dell’ISEE, che contiene redditi “vecchi”, risalenti al se-condo anno solare precedente la sua costruzione: se si usa il solo ISEE presentato a novem-bre 2016 dal nucleo di un non autosufficiente, per valutare la condizione economica vengo-no considerati i redditi posse-duti nel 2014 e i patrimoni del 31 dicembre 2015, ed entram-bi possono essere molto diversi dagli attuali, a casuale vantag-gio o svantagvantag-gio dell’utente o dell’Ente erogatore.
Il d.P.C.M. sui nuovi LEA tuttavia non accenna nemmeno a questa tematica.
3.2. La spesa delle Aziende Sa-nitarie per le prestazioni socio-sanitarie
pre-[LEA]
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FOCUS
stazioni sociosanitarie è garanti-re la tutela del non autosufficiente nelle funzioni della vita quotidiana: per la cura di sé (lavarsi, vestirsi, nutrirsi, andare alla toilette, muo-versi) e per la cura del suo conte-sto (dignità dell’abitazione, non es-sere soli). Si tratta cioè di fornire interventi in situazioni di croniciz-zazione nelle quali la qualità del-la vita dipende più che dagli inter-venti sanitari (certo indispensabili e utili quando appropriati) soprattut-to dalla possibilità di aiusoprattut-to perma-nente negli atti della vita quotidia-na, aiuto da attivare in qualunque condizione di vita della persona: in residenze, in centri diurni o al do-micilio. Ma, salvo pochissime ec-cezioni, opera un modello secon-do il quale, rispetto agli interventi sociosanitari a domicilio per i non autosufficienti:
- la competenza del SSN, anche di spesa, riguarda solo gli in-terventi svolti da personale con qualifiche strettamente sanita-rie, o con qualifica di Operato-ri Socio-SanitaOperato-ri (OSS);
- tutti gli altri interventi di tutela, mirati a garantire le funzioni del-la vita quotidiana, sono a carico del comparto socio assistenzia-le o delassistenzia-le famiglie.
Questa impostazione deve essere messa in discussione, almeno sot-to questi profili:
3.2.1. Esigenze di ragionevolezza
La ragionevolezza non è soltanto buon senso, ma un criterio costi-tuzionale al quale devono unifor-marsi i sistemi pubblici. Discutia-mone tre aspetti:
a) come ben sa qualunque famiglia che ha in casa un non autosuf-ficiente, la sua possibilità di una vita dignitosa dipende dal mix di sostegni possibili, inclusi quel-li necessari per gquel-li atti della vita
quotidiana. Dunque se di “dirit-to all’assistenza” si tratta, e de-ve essere ottenibile come lide-vello essenziale di prestazioni, que-sto diritto non può che consiste-re nel riceveconsiste-re tutto ciò che dav-vero genera tutela, indipenden-temente sia dal tipo di operato-ri coinvolti (infermieoperato-ri, operatooperato-ri sociosanitari, assistenti familiari e badanti) sia dalla forma degli interventi (lavoro a domicilio di operatori pubblici, assunzione di badanti con contributo pub-blico, lavoro di cura dei familia-ri, affido a terzi, buono servizio per ricevere assistenti familiari da fornitori terzi).
Ragionevolezza impone che il nucleo fondamentale del diritto da garantire sia “il vivere al me-glio tutelati”, e non “ricevere ore di infermiere o di OSS”. Dunque il cuore dei LEA deve consiste-re nel riceveconsiste-re tutele efficaci, an-che se composte di una gamma flessibile e articolata di interven-ti, tra i quali il lavoro di assisten-ti familiari e le atassisten-tività di cura dei familiari. Peraltro un interven-to di tutela a domicilio va pro-gettato ritagliandolo sulle con-dizioni del non autosufficiente ma anche della sua rete familia-re e delle risorse sociali (abita-zione, reddito); e quindi è mol-to difficile predeterminare qua-li interventi saranno più efficaci. Ne deriva che non è ragionevo-le assumere a priori che solo in-terventi di operatori con specifi-che qualifispecifi-che devono assume-re il rango di livello sociosanita-rio, quando altrettanto “essen-ziali” possono essere molti altri sostegni, di assistenti familiari e/o dei familiari.
b) Assumere che “sono LEA” (e quindi a carico delle Aziende Sa-nitarie) solo le prestazioni svolte
da Operatori Socio Sanitari è ir-ragionevole anche consideran-do che il costo orario dell’OSS (circa 25 €/ora a seconda che si includa il costo degli sposta-menti e della documentazione del lavoro) è notevolmente su-periore a quello dell’assistente familiare (tra i 9 ed i 12 €/ora a seconda che l’assunzione ven-ga effettuata direttamente dalla famiglia o tramite Agenzie per il lavoro). E l’assistente familiare, se inquadrata nel livello C super del Contratto nazionale di lavoro Domestico, può svolgere come lo stesso contratto prevede “…
mansioni di assistenza a perso-ne non autosufficienti, ivi com-prese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vit-to e la pulizia della casa ove vi-vono gli assistiti”. Non è perciò
ragionevole che il Servizio Sa-nitario Nazionale contribuisca al 50% del costo delle prestazioni solo per l’operatore più costoso, l’OSS. E nemmeno lo è imporre alle famiglie ed agli Enti gestori dei servizi sociali l’impiego solo di operatori socio sanitari (OSS), considerando che la tutela do-miciliare del non autosufficiente può in buona parte essere ge-stita da assistenti familiari, co-me accade in milioni di famiglie, con vantaggio sia nel volume di offerta assistenziale che nei co-sti. E tanto più irragionevole è depotenziare l’impegno sanita-rio nell’assistenza tutelare do-miciliare, considerando che se l’utente viene ricoverato il co-sto giornaliero per il SSN è più alto, in media circa 50 euro per un posto in RSA e più di 400 in ospedale.
c) Vi sono già diversi ambiti di in-tervento che non includono pre-stazioni soltanto di operatori
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nitari e/o di OSS e che pure so-no tutti interni alle competenze del SSN, anche finanziarie. Ad esempio:
- la parte di retta di ricovero che il SSN garantisce ai non autosufficienti ricoverati in lungoassistenza residenziale, o dei costi in ospitalità diur-na, come previsto con chiara natura di LEA sociosanitario sia dal precedente d.P.C.M. sui LEA (il d.P.C.M. 29 no-vembre 2001) sia dal nuo-vo d.P.C.M., che all’artico-lo 30 prevede che sia a cari-co del SSN il 50% degli inter-venti residenziali e semiresi-denziali. E questa spesa tutta sanitaria copre anche presta-zioni non svolte da OSS o da personale infermieristico, ma parte del servizio di pulizie, di somministrazione dei pa-sti e di gepa-stione corrente del-le strutture residenziali. Non va dunque dimenticato que-sto paradosso: se il SSN si fa carico nell’assistenza domici-liare ai non autosufficienti so-lo dei costi relativi a OSS e in-fermieri, ne deriva una dispa-rità di trattamento della sani-tà pubblica tra chi è ricovera-to o assistiricovera-to al domicilio, con maggiori oneri di comparteci-pazione per le persone/fami-glie che optano per una assi-stenza domiciliare;
- il ricovero in ospedale per acuti, o nei posti letto di post acuzie e riabilitazione, do-ve la spesa del SSN riguarda tutte le componenti del co-sto e gli oneri per tutti i tipi di operatori, anche non sani-tari o non OSS. E quand’an-che si volesse muovere ver-so l’introduzione di una com-partecipazione al costo da
parte dei ricoverati anche in ospedale (ad esempio un ti-cket per i costi “alberghieri”), non avrebbe senso espelle-re dalle competenze di spesa del SSN “tutto ciò che non è costo di operatori sanitari o di OSS”.
3.2.2. Quali diritti vogliamo tuteli il Servizio Sanitario nazionale?
Leggiamo questo tema con due angolazioni:
- assumere che la più consistente componente degli interventi do-miciliari in lungo-assistenza, os-sia quelli di supporto nelle fun-zioni della vita quotidiana, sono da escludere dai LEA, sono “ex-tra LEA”, assegna di fatto il do-vere di garantire queste presta-zioni solo in capo ai Comuni e ai loro Enti gestori dei servizi so-cio assistenziali. I quali sono più soggetti a incertezze nei finan-ziamenti, sia statali che regio-nali, con evidenti conseguenze sulla esigibilità di quello che per il cittadino dovrebbe essere in-vece un diritto garantito. - Quale Servizio Sanitario
Nazio-nale vogliamo? Un sistema che abbia come compito istituziona-le solo l’erogazione di prestazio-ni incardinate in specifiche pro-fessioni, oppure la tutela della salute come diritto, a prescin-dere dagli strumenti che de-ve usare allo scopo? Un servi-zio efficace sulle cure delle ma-lattie acute da guarire, o anche capace di avere piena cura delle patologie dalle quali non si gua-risce? La non autosufficienza cronica non può che essere tra le responsabilità del SSN; il che non significa che vadano evita-te comparevita-tecipazioni dei gesto-ri dei servizi sociali (sia operati-ve che finanziarie) e dei
cittadi-ni, come già i LEA prevedono e come accade.
È opportuno ricordare che sul te-ma delle competenze e spese a carico delle Aziende Sanitarie non si tratta di alimentare un conflit-to su “chi deve pagare” tra Azien-de Sanitarie e Comuni, per far ri-sparmiare i Comuni a scapito delle Aziende Sanitarie. In entrambi i ca-si ca-si tratta di denaro pubblico per il welfare, il cui uso efficiente è da perseguire comunque. Si tratta in-vece di muovere verso due obiet-tivi:
a) garantire la responsabilità finan-ziaria anche delle Aziende Sani-tarie come ingrediente necessa-rio a dare concretezza alla loro titolarità nell’assistenza domici-liare ai non autosufficienti, co-munque si attui la modalità di tutela. In caso contrario l’inte-ra spesa di assistenza domici-liare che non consiste in lavo-ro di OSS ricade sulle famiglie o sui Comuni;
b) evitare che, data l’assenza di li-velli essenziali nazionali sui ser-vizi socio assistenziali, asse-gnare l’intera assistenza tutela-re domiciliatutela-re ai Comuni collo-chi quest’area di interventi in un ambito operativo privo di garan-zie giuridicamente robuste, sia per i cittadini che per i servizi e le loro risorse.
Su questo tema il d.P.C.M. sui nuovi LEA, rispetto agli interventi sociosanitari:
- da un lato ripropone il riparto di spesa (tra Azienda Sanitarie e cittadino/Comuni) che era già definito dal d.P.C.M. 29 novem-bre 2001. Confermando dunque che il 50% della tariffa giorna-liera dei ricoveri in RSA (in lun-goassistenza) sono a carico del SSN8;
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- dall’altro prevede che le cure domiciliari sono “... integrate da
prestazioni di aiuto infermieristi-co e assistenza tutelare profes-sionale alla persona9”. Il che
si-gnifica confermare che la spe-sa a carico del SSN nelle pre-stazioni di assistenza domicilia-re riguarda solo operatori di as-sistenza tutelare con il profilo di OSS. Il comma ripropone la de-nominazione di “aiuto infermie-ristico”, che già nel precedente decreto sui LEA aveva genera-to molti equivoci. Per assumere un significato non equivoco sa-rebbe opportuno almeno con-fermare quello a suo tempo de-finito nell’ambito della Confe-renza Stato-Regioni10:
presta-zioni eseguite non da infermie-ri ma da operatoinfermie-ri diversi che nell’assistenza tutelare collabo-rano con l’infermiere professio-nale. Peraltro il citato comma 4 dell’articolo 22 del d.P.C.M. sui nuovi LEA rischia di alimenta-re un contenzioso interpalimenta-retati- interpretati-vo tra Aziende Sanitarie e Co-muni, oppure di introdurre un nuovo criterio molto problema-tico, perché prevede che l’aiu-to infermieristico e l’assistenza tutelare professionale domici-liari siano interamente a carico del SSN per i primi 30 giorni do-po la dimissione ospedaliera, e diventino a carico del SSN solo per il 50% nei giorni successivi. Nei LEA precedenti era presen-te lo spresen-tesso cripresen-terio, ma senza la qualificazione di “professionale” aggiunta all’assistenza tutelare. Ne potrebbe dunque derivare un processo opposto a quello che prima si è proposto, qualora con i nuovi LEA diventassero a cari-co di Comuni e/o famiglie anche il 50% degli aiuti infermieristici e di assistenza di OSS
incardi-nati entro le Aziende Sanitarie dopo i 30 giorni dalla dimissio-ne ospedaliera, ossia interven-ti che secondo i LEA afferisco-no a prestazioni specificamente sanitarie. Crescerebbe così an-cor di più il paradosso già prima segnalato: in ospedale o in RSA il costo OSS è a carico del SSN, al domicilio no.
4. COSTRUIRE BUONA ASSISTENZA DOMICILIARE PER I NON AUTOSUFFICIENTI
Per muovere verso questo obietti-vo due meccanismi hanno un rilie-vo cruciale.
4.1. Le differenti situazioni del-le famiglie
Le situazioni delle famiglie con non autosufficienti possono esse-re molto diverse, e mutaesse-re nel tem-po. È quindi essenziale che il “mo-do” con il quale viene offerta as-sistenza al domicilio (non sanita-ria ma sociosanitasanita-ria, di tutela ne-gli atti della vita quotidiana) pos-sa articolarsi in diverse forme, da adattare alla specifica situazione familiare:
a) vi sono famiglie che non solo conoscono un assistente fami-liare di fiducia ma desiderano utilizzare proprio quel lavorato-re, e sono in grado di gestire da sole il rapporto di lavoro al do-micilio (assunzione, buste pa-ga, versamento dei contributi): in questo caso l’intervento più adeguato è un assegno di cu-ra come contributo economico per supportare il nucleo nella re-tribuzione del lavoratore, con il vincolo di essere utilizzato per una assunzione regolare. b) Se la famiglia desidera
assume-re un lavoratoassume-re di fiducia che già conosce, ma non è in grado
di gestire da sola il rapporto di lavoro: va affiancata all’assegno di cura la possibilità di utilizza-re parte della erogazione per far gestire le incombenze del rap-porto di lavoro ad una agenzia idonea accreditata.
c) Per famiglie che non conosco-no un lavoratore di fiducia, ma preferirebbero in ogni caso l’as-sistenza di un lavoratore che sia alle loro dipendenze dirette, è utile un assegno di cura parte del quale possa essere utilizza-ta per far reperire un lavoratore da agenzie di somministrazione accreditate per queste funzioni. d) Vi sono famiglie che preferisco-no preferisco-non avere un lavoratore alle loro dipendenze perché non so-no in grado di gestirlo, sostitu-irlo, licenziarlo (ad esempio per-ché i familiari del non autosuffi-ciente sono anch’essi anziani). Dunque preferiscono ricevere un operatore domiciliare dipen-dente da altri. In questa situa-zione è appropriato un interven-to che consista:
- nel lavoro domiciliare di ope-ratori pubblici, se può essere fornito per un numero di ade-guato di ore, anche da profili di assistenti familiari non ne-cessariamente qualificati co-me gli OSS.
- Oppure in un buono servi-zio, ossia un titolo di credito che avvia prestazioni da parte di fornitori accreditati a que-sto scopo. Un valore aggiun-to del buono servizio consi-ste (se il bando di accredita-mento dei fornitori lo ha pre-visto) nella possibilità per la famiglia di trasformare il va-lore del buono in una o più prestazioni: ore di lavoro a domicilio di assistenti fami-liari dipendenti dal fornitore,
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ma anche telesoccorso, pasti a domicilio, interventi di ma-nutenzione dell’abitazione, ricoveri temporanei di sollie-vo, accompagnamenti, e altri supporti che il fornitore sap-pia mettere in opera. Peral-tro una articolazione flessibi-le di prestazioni di questo ti-po può essere utile anche alle famiglie che ricevono assegni di cura o contributi per il
ca-re giver, il che si può
ottene-re pottene-revedendo che una parte del budget di spesa sia desti-nabile a questi interventi, an-che di fornitori accreditati. e) Per famiglie nelle quali si
desi-dera che il lavoro di cura del non autosufficiente sia svolto non da estranei ma da un componente della famiglia stessa: è utile un contributo economico alla fami-glia, anche per compensare le eventuali riduzioni di lavoro re-tribuito di chi dedica tempo al non autosufficiente.
f) Vi sono famiglie che preferisco-no ricevere aiuto e assistenza da un conoscente, o da un vici-no di casa. In questi casi, oltre alla possibilità di assumerli
co-me lavoratori regolari retribuibi-li con l’assegno di cura, è uti-le poter attivare un affidamento del non autosufficiente, con un rimborso spese all’affidatario. Un criterio importante è dunque che il sistema per l’assistenza do-miciliare possa consentire di sce-gliere con la famiglia e l’utente qual è la modalità migliore in quel mo-mento per ricevere aiuti, con pos-sibilità di modificarla al mutare del-la situazione. E l’importanza per gli utenti di questa articolazione è nettamente confermata nelle con-crete esperienze di chi l’ha messa in opera, come nel sistema gesti-to a Torino dalle Aziende Sanitarie e dal Comune.
Poter offrire un’ampia gamma di scelte nel modo di ricevere assi-stenza a casa consente di attiva-re l’intervento più appropriato, evi-tando di costringere le famiglie a usare solo modalità che possono essere inadatte e rischiose, come: - dover per forza assumere in pro-prio una badante anche se nes-suno è in grado di gestire il rap-porto di lavoro, con tutti i rischi di uso improprio del denaro pubbli-co nonché di possibili abusi;
- dover per forza ricevere assi-stenza da un lavoratore che non si conosce, dipendente pubbli-co o di un fornitore, quando in-vece si ha piena fiducia in un la-voratore da assumere diretta-mente.
4.2. Flessibilità e personalizza-zione degli interventi e nell’uti-lizzo delle risorse
Un meccanismo cruciale connes-so al precedente consiste nell’evi-tare che il sistema della tutela do-miciliare predetermini a priori qua-li devono essere le forme di inter-vento. Meglio invece che si defini-sca un volume di spesa erogabile (crescente per gravità e bisogni del non autosufficiente) che possa es-sere poi trasformato in uno dei mol-ti intervenmol-ti possibili quando si fa il piano di assistenza con la famiglia. Ad esempio è troppo rigido pre-vedere che a fronte di un proble-ma di non autosufficienza si deb-ba attivare necessariamente solo una erogazione economica alla fa-miglia (come alcune Regioni hanno fatto per i pazienti con SLA). Que-sta modalità, anche se l’importo è consistente, non si adatta a quel-le famiglie che non sono in grado di gestire soltanto denaro. È molto meglio che il sistema preveda che al crescere della non autosufficien-za cresca il budget per il piano di assistenza, e che lo si possa poi tradurre in uno o più interventi sce-gliendo con la famiglia il più adatto al momento e alla situazione. Non è certo realistico che i LEA na-zionali obblighino tutti i territori ad attivare tutte le forme di offerta qui sintetizzate; ma invece è importan-te che almeno vincolino forimportan-temen- fortemen-te le Regioni a metfortemen-tere in opera il massimo di articolazioni delle mo-dalità di assistenza domiciliare, e
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disegnino un meccanismo per ar-rivare a pianificare l’intervento ap-propriato al nucleo a partire da un budget di spesa, da trasformare in “ciò che è più utile qui e ora” per quel nucleo. Tuttavia la normati-va sui nuovi LEA non accenna mi-nimamente a questi meccanismi, benché indichi genericamente di privilegiare gli interventi che favo-riscono la permanenza al proprio domicilio. Ne deriva il rischio, come sinora è ampiamente avvenuto, di una messa in opera degli interventi di assistenza domiciliare completa-mente dipendente dalle sole scel-te e iniziative regionali, o addirittura di singole Aziende Sanitarie ed En-ti gestori locali, il che allontana l’o-biettivo di garantire con i LEA un li-vello uniforme e minimo di tutele.
5. LA VALUTAZIONE DELLA NON AUTOSUFFICIENZA
Anche questo tema meriterebbe più ampie riflessioni11, ma
restan-do ai contenuti dei LEA almeno al-cuni aspetti dovrebbero essere ri-ordinati.
5.1. Quante diverse valutazioni?
È ben nota la peregrinazione al-la quale sono oggi costretti i non autosufficienti per eseguire diver-se valutazioni necessarie ad otte-nere differenti prestazioni: accer-tamento dell’invalidità civile, rico-noscimento delle condizioni della legge 104/1992, valutazione mul-tidimensionale presso Unità Valu-tative Multidimensionali. Gli effet-ti negaeffet-tivi di un tale sistema sono molti: la fatica e sofferenza aggiun-tiva imposta alle persone per ac-cedere, i costi per la duplicazione di percorsi e strutture, il rischio che questo difficile accesso escluda proprio i più fragili da prestazioni che potrebbero richiedere perché
non riescono ad arrivarci. Muove-re verso l’unificazione delle diver-se valutazioni è perciò importante per due obiettivi cruciali:
- evitare al non autosufficiente percorsi defatiganti e multipli; - adottare un giudizio sulla non
autonomia che sia uniforme, e con strumenti condivisi.
La valutazione multidimensionale in Unità Valutative di Aziende Sani-tarie ed Enti gestori dei servizi so-ciali deve essere anche finalizza-ta al sistema delle presfinalizza-tazioni lo-cali esistenti. Ma la componente fondamentale deve essere la let-tura delle capacità residue della persona, che è indipendente dal-le prestazioni conseguenti; dun-que una ricomposizione di tutte le valutazioni della non autosufficien-za non impedirebbe in alcun mo-do un successivo uso della valuta-zione per identificare le prestazio-ni più utili. Certo è obiettivo che im-plica anche riordini di tipo istituzio-nale, per unificare/correlare le valu-tazioni espresse dalle Commissioni INPS con quelle delle Unità Valuta-tive Multidimensionali. Ma se i LEA vogliono essere lo strumento cardi-ne del sistema non dovrebbero elu-dere questo obiettivo.
5.2. Hanno senso radicali diffe-renze degli strumenti in diversi territori?
Sinora ogni Regione ha definito il funzionamento delle Unità Valu-tative Multidimensionali, e scelto gli strumenti che devono utilizza-re. Ma se lo scopo principale della valutazione è l’analisi delle capa-cità residue della persona, è buo-na cosa applicare scale valutative diverse (e anche molto) in Regio-ni differenti? Se ha senso che ogRegio-ni Regione possa differenziare il suo sistema di servizi per orientarlo al-le caratteristiche territoriali, non ha
invece sufficiente motivazione ra-zionale differenziare forzatamente le diagnosi dei problemi, con scale valutative che conducono a espri-mere con radicali diversità le ca-pacità residue di un non autosuffi-ciente solo perché abita in Regio-ni diverse. Ciò che è utile adatta-re al territorio è il mix delle risposte e prestazioni, mentre converrebbe garantire uniformità nel modo con cui si valuta se la persona è in gra-do o meno di svolgere da sola gli atti della vita quotidiana; funzioni e capacità che sono certamente in-fluenzate dal suo contesto di vita, che tuttavia è relativo all’abitazio-ne e alla rete sociale di cui dispoall’abitazio-ne ma di sicuro non dipendente dalla Regione in cui vive. Non è il vivere da un lato o dall’altro di un confine amministrativo che muta la condi-zione personale di autonomia12.
Perciò rispetto all’obiettivo delle scale valutative di leggere e classi-ficare con priorità le capacità resi-due e le inabilità, sarebbe opportu-no evitare un malinteso eccesso di federalismo degli strumenti valuta-tivi, e puntare all’adozione di stru-menti più uniformi anche sul piano nazionale.
Ma è ragionevole che strumen-ti di valutazione assumano il ran-go di livelli essenziali? Se l’obietti-vo è garantire uniformità la risposta non può che essere positiva, ricor-dando che all’ISEE (che è appunto soltanto uno strumento di misura) il d.P.C.M 159/2013 ha assegna-to esplicitamente la natura di livel-lo essenziale. Altrimenti condizioni delle persone che sono identiche vengono valutate in modo diver-so nelle differenti Regioni. Peraltro l’intesa Stato-Regioni del 3 ago-sto 2016, per il riparto del Fondo per la Non autosufficienza, prevede specifiche scale e puntuali metoche per valutare le condizioni di
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sabilità gravissima, destinatarie di una prima quota del Fondo. Non si comprende perciò perché una ana-loga uniformità valutativa non deb-ba essere estesa a tutte le condi-zioni di limitata autonomia.
5.3. Il ruolo del medico di medi-cina generale
Le Unità Valutative Multidimensio-nali hanno spesso ruoli diversi nei diversi territori, e anche questo me-riterebbe la ricerca di migliori uni-formità. Tra i limiti di questi organi-smi c’è quello di esprimere una va-lutazione (e ipotesi di progetto) sen-za poter fondarsi su una conoscen-za continuativa nel tempo del non autosufficiente, che legga le sue evoluzioni. Per ridurre questo limi-te è essenziale anche un più robu-sto coinvolgimento nelle Unità va-lutative del medico di medicina ge-nerale, che di norma è l’operato-re che più ha modo di conoscel’operato-re nel tempo le condizioni del pazien-te. Ma non è sufficiente evocare in atti regionali questo coinvolgimento se poi la sua messa in opera avvie-ne solo su base volontaria. Sarebbe invece necessario introdurre precisi meccanismi normativi che la preve-dano, ed a questo scopo i LEA po-trebbero esporre i criteri di fondo su composizione e funzioni delle Unità Valutative, sebbene occorra anche introdurre questo ruolo del medico di medicina generale nelle conven-zioni nazionali che regolano il suo rapporto col sistema sanitario. Il decreto sui nuovi LEA attribuisce in più punti un ruolo rilevante alla valutazione multidimensionale del bisogno, ma si limita a prevedere che sia organizzata dalle Regio-ni, soltanto “… garantendo
unifor-mità nel proprio territorio”13,
sen-za prevedere criteri con un minimo di uniformità nazionale o
meccani-smi cruciali (come l’attivazione di interventi in casi urgenti), che inve-ce sarebbero utili anche per evita-re il rischio di una deriva burocra-tica che riduca le UVG a meri uffi-ci accertatori.
6. ALCUNI SNODI CRUCIALI NELL’OFFERTA DEGLI INTERVENTI SOCIOSANITARI
La qualità di un sistema delle cure per la non autosufficienza dipende anche dal fatto che siano presidia-ti almeno alcuni snodi del percorso degli utenti, che se non program-mati ad hoc producono criticità ri-levanti per i cittadini.
6.1. Il luogo di primo accesso
Le persone non autosufficienti e le loro famiglie nell’accesso al
welfa-re pubblico si imbattono in due
ti-piche difficoltà:
a) esistono molti interventi da na-tura assai varia che possono es-sere richiesti, ma in sedi sepa-rate (afferenti anche ad ammini-strazioni diverse); il che richie-de che l’utente o la sua famiglia intanto conoscano questa gam-ma di possibilità, e poi si possa-no recare a presentare richieste in luoghi differenti ed in momen-ti successivi.
b) Per contro è frequente la criti-cità per i familiari dei non auto-sufficienti (ad esempio quando anch’essi anziani o fragili) nel recarsi presso i diversi servizi e nel gestire le procedure che ciò comporta (documenti da con-segnare, seguire le diverse sca-denze e appuntamenti).
In molte Regioni per ridurre queste criticità sono stati attivati “Spor-telli unici” o “Punti Unici di Acces-so” variamente denominati. Tutta-via alla persona che si presenta
al-lo “sportelal-lo” perché deve assiste-re un non autosufficiente inteassiste-res- interes-sa essere aiutato a richiedere non solo le prestazioni che può riceve-re in quel luogo (ad esempio priceve-re- pre-notare la valutazione in UVG), ma anche tutti gli altri possibili sup-porti che aiutano a fronteggiare la situazione (prestazioni monetarie dell’INPS, agevolazioni fiscali, ri-duzioni tariffarie, possibilità di su-peramento delle barriere architet-toniche, trasporti facilitati, misure di tutela degli incapaci). Dunque è utile interrogarsi su questo snodo: che cosa riguardano le informazio-ni che gli sportelli riescono a forinformazio-nire al non autosufficiente ed ai familiari per facilitare loro l’accesso ai diver-si interventi? Riescono a illustrare l’intera gamma di ciò che potreb-be essere utile, anche se la presta-zione è attivata in altre sedi? E gli sportelli riescono a supportare i cit-tadini sia su “che cosa” richiede-re, sia su “come” richiedere (con-segnando la modulistica neces-saria, fissando dallo Sportello ap-puntamenti anche presso altri enti, programmando eventuali accom-pagnamenti per i più fragili)? Evi-tando dunque informazioni che si limitino ad indicare al cittadino che “… deve recarsi da sé a richiedere a qualche altro ufficio”. Certo non possono essere i LEA a dettagliare il funzionamento di sportelli di que-sto tipo, ma potrebbero prevede-re un vincolo per le Regioni nell’at-tivarli, curando che svolgano il più possibile la funzione di un front offi-ce unificato dei diversi percorsi che possono essere utili alla famiglia, anche strutturando forti integrazio-ni operative con Patronati ed INPS.
6.2. La continuità dopo il ricove-ro ospedaliericove-ro
Questo snodo deriva da un percor-so critico molto frequente:
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a) un anziano entra in ospedale per un evento acuto, ad esem-pio una frattura del femore; b) dopo la fase acuta e di
inter-vento ospedaliero viene inviato in una struttura di riabilitazione, o di post acuzie, per un numero limitato di settimane;
c) ma anche dopo questa degenza non è più autosufficiente. E dunque all’uscita dovrebbe poter trovare o una consistente assisten-za al domicilio, oppure un tempe-stivo inserimento in una struttura residenziale, se non può o non de-sidera tornare al suo domicilio. Ma questa ricerca di soluzioni e di transito da un servizio ad un altro, deve essere gestita solo dai fami-liari, con gravi problemi per chi non ci riesce? O il sistema di welfare deve garantire una continuità che offra all’utente (e alla famiglia): - un transito tra diversi luoghi e
servizi (ospedale – struttura di riabilitazione – domicilio o RSA) che non produca momenti di vuoto nell’assistenza;
- un supporto nel poter attivare ri-chieste a diversi servizi, evitan-do che il passaggio da un punto all’altro della filiera di interven-ti debba essere gesinterven-tito autono-mamente solo dall’utente o dai familiari.
Nel percorso sopra descritto que-sti due requisiti sono di norma ga-rantiti nel passaggio tra ospedale e struttura di riabilitazione o di post acuzie, poiché è l’ospedale che re-perisce il posto ed invia il paziente nella struttura post ospedaliera. Ma la criticità emerge al termine del-la permanenza in queste strutture, perché per l’accesso agli interven-ti domiciliari o residenziali devo-no poi entrare in gioco i servizi so-ciosanitari (di Aziende Sanitarie ed Enti gestori socioassistenziali) del territorio di residenza dell’anziano,
prevedendo sia una valutazione in UVG (a meno che sia considerata sufficiente l’eventuale valutazione eseguita in ospedale) che l’acces-so alle loro prestazioni.
Nelle Regioni sono state allesti-te diverse modalità affinché que-sta continuità possa essere alme-no facilitata dai servizi pubblici, con servizi dedicati a presidiare la filiera della continuità collocati en-tro i presidi ospedalieri, o enen-tro l’A-zienda Sanitaria territoriale. Tutta-via anche questo snodo organiz-zativo non può essere lasciato so-lo all’iniziativa regionale, e merite-rebbe di essere previsto come in-grediente dei LEA da garantire in modo strutturale. Con attenzione a un possibile rischio: che il percor-so per arrivare agli interventi percor- socio-sanitari di lungo assistenza (domi-ciliari o residenziali) diventi para-dossalmente più agevole per i non autosufficienti che sono stati rico-verati in ospedale, rispetto a quelli in analoghe condizioni di non auto-sufficienza (sebbene senza eventi acuti) che dal loro domicilio richie-dono domiciliarità o residenzialità sociosanitaria.
Nel d.P.C.M. sui nuovi LEA non si trova nulla su questo tema.
6.3. Centri diurni per pazienti con demenze
Due dati di fatto meritano attenzio-ne sul tema:
a) permane una particolare debo-lezza dell’assistenza al domici-lio verso pazienti con demenze, anche per le difficoltà e l’impe-gno specifico imposti nella tute-la quotidiana da queste patolo-gie in forma avanzata;
b) da tempo operano in molti ter-ritori Centri diurni per malati di Alzheimer e di demenze, con buoni risultati per i pazienti e le loro famiglie.
Dunque nei LEA meriterebbe al-meno prevedere che l’allestimen-to di centri diurni di quesl’allestimen-to tipo sia un vincolo per Regioni e Azien-de Sanitarie, come prestazione da garantire senza confidare solo nell’autonoma iniziativa locale. Il d.P.C.M. sui nuovi LEA non espri-me alcun vincolo specifico su ser-vizi semiresidenziali dedicati ai pa-zienti con demenze.
6.4 L’inserimento delle badanti nel sistema delle cure
L’esplosione del lavoro di cura svolto da assistenti familiari è fe-nomeno noto da tempo, ma sul te-ma sono drasticamente diverse le iniziative assunte nei diversi terri-tori. Tuttavia il disegno di un inse-rimento di questi lavoratori nel si-stema sociosanitario deve esse-re un obiettivo centrale se si vuo-le evitare che spetti solo alvuo-le fami-glie procurarsi lavoro di cura priva-to, il che conduce a sovraccarichi di stress e fatica, nonché alla sele-zione brutale ed arbitraria di “fami-glie che ce la fanno” (perché han-no risorse ecohan-nomiche per paga-re le badanti) e “famiglie che crol-lano” (se non le hanno). Occorre però disegnare una strategia che metta in campo azioni contestua-li, dalla formazione delle badanti, al facilitare l’incontro domanda/of-ferta di lavoro, ad incentivi econo-mici per le famiglie. I LEA potreb-bero almeno impegnare le Regio-ni a programmare esplicitamen-te questo percorso; e va ricorda-to che l’allestimenricorda-to di molte diver-sificate modalità di assistenza do-miciliare (obiettivo sopra ricordato al paragrafo 4, ma purtroppo non considerato nei nuovi LEA) costi-tuisce il terreno ideale per inserire anche il lavoro privato di cura, ad esempio se viene fornito alla fami-glia un assegno di cura finalizzato
[LEA]
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FOCUS
all’assunzione regolare di un assi-stente familiare.
7. IL RAPPORTO TRA SERVIZI SANITARI E SOCIALI
Il d.P.C.M. sui nuovi LEA espone in molti punti la necessità di un rac-cordo tra gli interventi di questi servizi, ma con un linguaggio che presume che sia sufficiente evoca-re gli interventi sociali perché que-sti si realizzino. Ad esempio per ogni tipologia di utenza e interven-ti ripete che l’assistenza descritta “… è integrata da interventi socia-li in relazione al bisogno socioas-sistenziale emerso dalla valutazio-ne multidimensionale”.
È chiaro che il meccanismo dei li-velli essenziali sociosanitari è re-so inevitabilmente asimmetrico e monco dall’assenza dei corrispon-denti livelli essenziali per i servizi sociali. Ma i nuovi LEA sociosani-tari non dovrebbero essere solo un documento di intenti, o che confi-da nel funzionamento automatico di altri comparti, e devono inve-ce dispiegare precise disposizio-ni normative. Dunque potrebbero essere un’occasione per introdurre almeno alcune premesse per da-re sostanza ai livelli essenziali so-ciali, ad esempio impegnando al-la loro emanazione, o introducen-do anche per il sistema sanitario qualche vincolo che sia precondi-zione per un raccordo robusto con i servizi sociali, come quello di atti-vare entro le Aziende Sanitarie Lo-cali i distretti secondo un reticolo territoriale che li faccia coincidere con gli ambiti degli Enti gestori dei servizi sociali.
Dopo questa rassegna di “temi per i LEA” il lettore potrebbe avanzare una più che giustificabile
doman-da: ma sono proprio i LEA il con-tenitore giuridico appropriato per regolare questi snodi? Non si ri-schia di appesantirli o snaturarli con prescrizioni troppo dettagliate e organizzative? La checklist di te-mi che si è esposta intende esse-re uno strumento per verificaesse-re se e quanto i LEA svolgono le funzioni loro assegnate dalla Costituzione, ritenendo che le questioni elenca-te debbano essere gestielenca-te entro i livelli essenziali; ma questa tesi de-ve misurarsi con la domanda prima avanzata, e lo si può fare con que-ste riflessioni:
a) Se i nodi evidenziati meritano regolazione, quale altro conte-nitore normativo diverso dai LEA sarebbe utilizzabile?
Cer-to singole norme dedicate ad argomenti specifici. Ma ricor-diamo da un lato la sempre più evidente necessità di una pro-grammazione organica del
wel-fare per le non autosufficienze, e
dall’altro il rischio di un mosaico
di singole leggi spot, dedicate a limitate tematiche, che possono generare un welfare scomposto e con buchi non gestiti. Il tema è attuale, se ad esempio pensia-mo alle norme sul “Dopo di noi” e a quelle sull’autismo14, o alle
ipotesi di leggi dedicate al “so-stegno ai care giver”.
Oppure un “Piano nazionale per la non autosufficienza”; o spe-cifici “Progetti obiettivo”/“Atti di indirizzo”. Ma se questi diversi strumenti di pianificazione vo-gliono essere fondativi del si-stema merita interrogarsi da un lato sul loro grado di cogenza normativa verso Regioni ed En-ti gestori, e dall’altro sul rischio di depotenziare la funzione dei LEA, riducendoli a mera decla-ratoria di prestazioni senza vin-coli adeguati di messa in opera. In merito va ricordato che l’in-tesa Stato Regioni del 3 agosto 2016 ipotizza un “piano trienna-le per la non autosufficienza” e