aiutandoci a cogliere come ciò richieda organizzazioni che sappiano uscire dalla dicotomia “fare” VS “comunicare”, tipica di chi opera nel sociale e
LA PERCEZIONE DEL TEMA
La percezione del tema da parte di un individuo è un passaggio im- portante. Ad esempio posso esse- re inorridito per un incidente stra- dale, ma non percepisco che an- che io posso essere coinvolto se non adotto un comportamento di- verso. E individuare quel particola- re processo comunicativo che mi fa “accendere” la mia attenzione non è semplice. Visualizzare co- sa è e cosa non è rilevante per me fra gli innumerevoli processi comu- nicativi che mi circondano è il pri- mo passo. Al di là delle teorie sulla persuasione che pongono l’accen- to sulla capacità di costruire mes- saggi che siano maggiormente percepibili rispetto ad altri, la que- stione qui in gioco è un’altra: qua- li sono i processi selettivi che ren- dono prioritario un tema, un pro- blema, un aspetto fortemente le- gato alla mia identità, ai miei com- portamenti, ai miei atteggiamenti. Nell’esempio precedente non è fa- cile capire quale immagine, quale video, quali sequenze, quale nar- razione del problema sicurezza nella guida stradale sarà più capa- ce di farmi attivare la selezione. I processi con i quali interpretiamo e selezioniamo i contenuti dei me-
dia sono molto complessi (Could- ry, Livingstone, Markham 2010). Quello su cui è importante soffer- marci è che il ruolo delle persone e delle comunità a cui appartengono nell’interpretazione è un elemen- to consolidato di cui tenere con- to nella comunicazione sociale. È una fase delicata che non è impu- tabile solo alla visibilità del tema o del problema, ma piuttosto alla capacità e alle risorse simboliche che posseggono i singoli individui. Queste non sono distribuite in mo- do omogeneo all’interno della po- polazione e, inoltre, si riproducono negli stessi contesti sociali ed eco- nomici territoriali e familiari1. Entra
in gioco il problema delle disegua- glianze culturali (Bentivegna 2009), problema che, insieme a quello delle diseguaglianze sociali, è sta- to negli ultimi tempi troppo spesso sottovalutato o relegato ai margini delle riflessioni e dell’agire colletti- vo delle organizzazioni di terzo set- tore e della pubblica amministra- zione locale. Se non ho sufficienti o adeguate risorse culturali e sim- boliche la percezione, la rilevanza e la selezione saranno fortemente condizionate e, in alcuni casi, limi- teranno pesantemente le opportu- nità che potrei cogliere. Ad esem- pio è noto che una buona alimen-
Figura 1 – Processo di cambiamento della comunicazione sociale
Percezione Rilevanza Selezione
Conoscenze Incorporazione Azioni di cambiamento
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tazione previene problemi di salu- te piuttosto gravi. Ma è anche no- to che chi ha maggiori deprivazio- ni economiche e culturali tende a sottovalutare il problema e la catti- va alimentazione aggiunge proble- mi a problemi già esistenti.
LA CONOSCENZA
Questo aspetto è strettamente col- legato alla seconda fase del pro- cesso di cambiamento, la cono- scenza. Il passaggio dalla perce- zione della rilevanza del tema alla conoscenza è innanzitutto un ac- crescimento della consapevolez- za della necessità di approfondi- re, singolarmente o collettivamen- te, un determinato aspetto che mi/ ci riguarda. Anche in questo caso il percorso non è deterministico, ma è, piuttosto, collegato sia alle caratteristiche e alle risorse indivi- duali sia a quello che è possibile trovare disponibile attraverso tut- ti i media e le relazioni interperso- nali. Entrambi gli aspetti non pos-
sono essere dati per scontati, ma, anzi, presentano difficoltà notevo- li anche quando tutto ci direbbe il contrario. Un esempio lampante è la conoscenza che dovrebbe deri- vare da processi comunicativi du- rante le situazioni di rischio o di cri- si dovuta a disastri naturali. Anche in quei momenti talvolta così rile- vanti per la sopravvivenza fisica, la problematizzazione iniziale non passa automaticamente alla co- noscenza di quello che andrebbe fatto e messo in pratica. Pur nella consapevolezza del rischio sismi- co pochi di noi si ricordano che ci sono piccoli accorgimenti da se- guire nella propria casa come fis- sare tutto alle pareti. Chi si occu- pa di comunicazione dei rischi e di prevenzione ha cercato di pensa- re e progettare modelli comples- si che prevedono una forte atti- vazione delle comunità locali e un forte coinvolgimento delle perso- ne potenzialmente interessate al- la conoscenza con particolare ri- ferimento alle situazioni di mag-
giore vulnerabilità sociale (Volter- rani 2016). Ad esempio il coinvol- gimento delle persone con disabi- lità non può essere solo su “carta”, ma passare da una dettagliata re- lazione uno ad uno che incremen- ti il grado di conoscenza dei rischi e la conseguente capacità di por- re in atto quello che è necessario per prevenirli.
L’INCORPORAZIONE
Ma la conoscenza non è sufficien- te per motivare ad una eventua- le azione. Il passaggio successivo è l’incorporazione. Alcuni studiosi di psicologia cognitiva (Hofstadter Sander 2015) hanno evidenziato la modalità con la quale gli umani al- largano il proprio bagaglio di con- cetti e termini nel proprio mondo del pensiero. Lo strumento che uti- lizziamo per categorizzare il mon- do esterno è l’analogia ovverosia leggiamo il contesto esterno con le categorie che già abbiamo nel- la nostra testa e nella nostra espe-
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rienza di vita quotidiana. L’incor- porazione dei nuovi concetti e del- le nuove esperienze avviene attra- verso paragoni e confronti (appun- to analogie) con quello che abbia- mo nella nostra testa e che pen- siamo più si avvicini al nuovo che stiamo affrontando. È evidente che le novità assolute avranno maggio- ri difficoltà ad essere incorporate ri- spetto a novità di minore portata o a semplici variazioni su temi e pro- blemi già conosciuti. Per chi non è cresciuto in Italia, il bidet è un og- getto e un concetto non facile da incorporare (e anche da conoscere) ma è più semplice di quello che de- ve fare ciascuno di noi quando pro- va a immaginare cosa significa fare una traversata senza risorse eco- nomiche in una stiva di un barco- ne stracolmo e sempre in procinto di affondare. È forse l’aspetto più importante del cambiamento attra- verso i processi comunicativi per- ché lascia poco spazio all’innova- zione profonda e tende, invece, a consolidare quello che diamo per scontato e che non presenta par- ticolari sorprese. Non deve stupi- re questo ragionamento perché la sopravvivenza della specie è stret- tamente collegata alla capacità di leggere e di valutare pericoli rap- presentati da ciò che non si co- nosce. L’archetipo della paura del nuovo e del diverso è ben radica-
to nel nostro immaginario colletti- vo ed è parte integrante della storia dell’umanità. Questo non significa che non possediamo gli strumenti culturali per poter superare questo archetipo, ma, tornando alle rifles- sioni sulle diseguaglianze cultura- li, non è pensabile che tutti lo pos- siedano allo stesso modo. È molto più semplice affermare “che abbia- mo fatto sempre così” oppure che “tanto non c’è niente da fare, è il destino” che valutare le alternative e le possibilità, costruire visioni ed orizzonti diversi (Vergani, 2012) sul tema o sul problema da affrontare.
IL CAMBIAMENTO
La quarta e ultima fase è l’azione di cambiamento. Anche questa è una fase delicata perché l’azione di cambiamento può avere effet- ti sul piano individuale o colletti- vo e può essere reale o immagi- naria. Il cambiamento individuale è quello più complesso perché pre- vede una “rivoluzione” nei com- portamenti o negli atteggiamen- ti della propria vita quotidiana. Se pensiamo alla difficoltà, per esem- pio, per i singoli fumatori di smet- tere nonostante una grande pre- senza di evidenze informative ed empiriche, possiamo comprendere che questo passaggio, che spes- so è considerato “semplice”, ab-
bia invece molti elementi di com- plessità da approfondire. L’espres- sione più comune è “vorrei smet- tere di fumare perché mi fa male, ma non ci riesco”. Altro ragiona- mento è il cambiamento dell’im- maginario collettivo che, seppur complesso, può essere raggiun- to più facilmente. Infatti questo è strettamente collegato con il mu- tamento culturale territoriale op- pure dell’immaginario collettivo sul tema. Sempre nel caso del fu- mo, i divieti crescenti degli spazi disponibili per i fumatori sono stati “accettati” come un cambiamento positivo anche dai fumatori stessi senza particolari azioni di “distur- bo” o di protesta.
Il processo di cambiamento colle- gabile alla comunicazione sociale è, dunque, complesso ed artico- lato. Se a questo aggiungiamo le difficoltà dei processi comunicativi interpersonali e mediali che sono ormai parte integrante degli studi sulle audience, ci rendiamo conto che la sfida è ardua ma molto af- fascinante per chi ha a cuore il mi- glioramento della qualità della vita delle nostre comunità.
B) IL PROBLEMA/OPPORTUNI- TÀ DEL MAINSTREAM
Ragionare sui processi di cambia- mento della comunicazione socia- le significa, quindi, tentare di ope- rare per innovare l’immaginario collettivo nella direzione di un al- largamento delle risorse simboli- che disponibili ad individui e col- lettività su temi e problemi spes- so complessi e contraddittori co- me quelli sociali. Allargare l’imma- ginario significa rendere disponibi- li e accessibili alla maggior parte delle persone immagini, idee, valo- ri che altrimenti resterebbero mar- ginali nella nostra testa.
Il mainstream è definibile come la LE QUATTRO FASI DEL PROCESSO DI CAMBIAMENTO DELLA