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L’emergere di una particolare figura femminile tra narrativa e

4. L’opera di Rosso dopo il 1918

4.1 L’emergere di una particolare figura femminile tra narrativa e

Per capire il procedere del teatro di Rosso nel periodo tra le due guerre e dopo

Marionette, che passione!, ritengo opportuno soffermarmi brevemente sul rilievo che

acquisisce la figura femminile a partire dalle opere narrative dell’autore. Già nelle Elegie

a Maryke la presenza della donna del titolo si rivela essenziale per il protagonista,

ponendosi come immagine salvifica ed espressione immediata della natura; ancor più nel romanzo La mia esistenza d’acquario del 1919 la figura della donna comincia ad assumere il ruolo di protagonista assoluta, come accade anche nei romanzi e nei drammi successivi: Le donne senza amore e La festa delle rose (1920), La danza su di un piede (1922), Lazzarina tra i coltelli (1923), Una cosa di carne (1924) sono solo alcuni esempi di opere nelle quali l’autore sviluppa il tema della passione amorosa che contraddistingue particolari e tormentate figure femminili, le quali si pongono in contrapposizione con altrettante figure maschili che cercano invece di contenere gli istinti passionali.

L’irrazionalità, la sensualità, il dissidio tra carne e spirito, passione e razionalità, vanno a caratterizzare la figura sempre più ambigua della donna sansecondiana. Rosso si allontana ancora di più dagli stilemi lirici e introspettivi dei testi precedenti per accogliere trame sempre più complesse. Non c’è più un singolo “io” anonimo attorno al quale ruota una vicenda ricca di riflessioni e considerazioni esistenziali, bensì una continua alternanza di punti di vista fra le donne protagoniste. Vediamo anche come le figure maschili rimangono sempre sullo sfondo, al di fuori dell’azione, quasi incapaci di capire cosa sta accadendo e di proporre delle soluzioni o, anche quando cercano di contrastare l’emergere degli istinti passionali, finiscono per fallire.

Insieme al tema della passione nel romanzo La mia esistenza d’acquario del 1919 viene ripreso il tema dello smarrirsi nella Natura: nelle prime opere narrative di Rosso il tendere verso il mondo naturale rappresenta la cura per la «malattia» del protagonista, e l’io narrante decide di tentare la fuga nel freddo Nord perché convinto che la natura di quei luoghi possa guarirlo. Lauretta, protagonista e narratrice in prima persona, non compie mai nessuna scelta consapevolmente: l’elemento naturale e quello acquatico rappresentano per lei l’unica realtà possibile.

103 Questo romanzo stilisticamente si colloca a metà strada tra il lirismo delle Elegie e le novità dell’impianto narrativo che assumeranno i romanzi degli anni ’20 come vedremo in seguito. Nonostante l’autore torni ad utilizzare la narrazione in prima persona, questa volta lo fa attraverso l’immagine eterea della protagonista, che difficilmente possiamo scindere dall’ambiente che la circonda. Ella è avvolta da un’atmosfera onirica fin da piccola che la fa sentire completamente distaccata dalla vita reale:

«Io ho vissuto sempre come un’ombra di me; mai me stessa, bensì il ricordo di me stessa. Io sono un ricordo che vagola come una lucciola nelle notti tiepide di primavera […] riconosco, soltanto, la mia parentela con i rosai delle aiuole, con i palmizi che li sovrastano, con le querce foltissime giù nel pendio della valle, con le file di salici lungo il torrente […]. Lo stupore vegetale è il solo che mi dia la conoscenza della mia esistenza; lo comprendo. Il resto non lo comprendo»231.

L’intera narrazione risente della condizione della ragazza e tutto il romanzo è circondato da un’aura che lo pone sul piano dell’irrealtà. Eccetto i ricordi che riguardano l’infanzia vissuta in collegio, il resto del romanzo si svolge in una villa, ereditata dalla ragazza dopo la morte della madre, circondata dalla natura. Nel nuovo luogo dove si trova adesso la ragazza, viene a sovrapporsi un altro elemento del suo passato: il ricordo della madre che, uccisa dal secondo marito, opprime il luogo dove si svolge l’azione. La presenza della donna limita tutta l’esistenza di Lauretta, come da sempre del resto, in quanto la ragazza fin da piccola ha avuto una particolare adorazione per la madre, la quale però non le è mai stata vicina. Gli unici momenti in cui Lauretta poteva passare in sua compagnia erano i sogni, nei quali la ragazza si sentiva veramente viva e felice, rimanendo invece assente e apatica durante il resto del giorno.

Il senso della dimensione onirica avvolge l’intero romanzo, conferendogli un’impronta tipicamente simbolista. A differenza delle Elegie e di altri testi sansecondiani, non troviamo qui la collocazione geografica del luogo in cui si svolge l’azione. Il tutto ci viene descritto tramite le riflessioni e le descrizioni di Lauretta, contribuendo a conferire al testo l’atmosfera di sogno. Il bosco si presenta come palcoscenico nel quale viene ripetuta la stessa vicenda che vedeva protagonista la madre, anche se adesso l’attrice è cambiata: è Lauretta stessa che, agli occhi degli amanti della madre che gravitano intorno alla villa, prende il posto della defunta. Ella non riesce ad essere se stessa nemmeno tra gli uomini,

104 ma solamente un’ombra della madre. Lauretta arriva ad accettare allora la sua condizione di dipendenza dalla figura materna, come se la sua vita fosse solo una continuazione di quella di lei e volendo far luce sull’omicidio della madre comincia ad indagare su quello che è accaduto quel fatale giorno.

La villa in cui si è consumato il delitto, fin dall’inizio è descritta dall’autore tramite particolari significativi: gli oggetti, le pareti, tutto sembra raccontare la tragedia che lì si è consumata e che continua a proiettare le sue ombre sulla vita della ragazza. Lauretta, «avvelenata dall’odore del delitto recente ancora fresco nei tappeti, nelle tende, nei mobili e in tutte le cose della villa della morta e dell’assassino»232 vaga per le stanze della villa come in un sogno e spesso l’attenzione dell’autore ritorna su un particolare oggetto appartenuto alla madre della ragazza, uno spillone. Dopo che l’assassino della madre viene rilasciato, la ragazza, torna in quelle stesse stanze, adesso occupate anche dalla presenza dell’uomo, con una nuova consapevolezza: è decisa a far credere all’uomo di volergli concedere il suo corpo, per poi liberarsi una volta per tutte dalle sue angosce. Prima di incontrare l’uomo, la ragazza si sente avvolta da una calma mai provata, «quasi fossi al termine del mio soffrire» dichiara, e durante il rito di preparazione, la sua attenzione è richiamata dallo spillone «dalla testa di topazio, guarnito di perline», quasi inconsciamente la donna lo prende e lo porta con sé. Giunta nella camera in cui riposa l’uomo, Lauretta gli si avvicina cominciando a sussurrargli parole di amicizia, in quella stessa stanza nella quale era avvenuto il delitto e nella quale la protagonista, entrandovi la prima volta dopo la morte della madre, si era sentita, come mai lo era stata, realmente «sveglia» e lucida. Dopo aver illuso l’uomo con la promessa di perdonarlo e liberare entrambi dal peso del loro passato, Lauretta gli si avvicina ed estrae dal seno lo spillone e così si conclude il romanzo: «Lo tastai per trovare il punto giusto. E immersi lo spillone, come lo immergessi nell’acqua. Io godetti allora, e mi disfeci come una medusa morta in un acquaio»233. Lo spillone si configura così come la chiave simbolica della liberazione

della protagonista.

La linea tematica ben definita a partire dalle Elegie, ovvero quell’opposizione tra passione e freddezza, sensualità e razionalità, fervore e pace che contraddistingue in maniera opposta esperienza del Nord ed esperienza del Sud, sviluppata maggiormente

232P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, La mia esistenza d’acquario, cit., p. 43. 233 Ivi, p. 209.

105 dall’autore nel romanzo La fuga, rimane tema fondante della maggior parte delle opere di Rosso, narrative e soprattutto teatrali. Già nel suo dramma di maggior successo,

Marionette, che passione!, abbiamo visto i tre protagonisti rimanere intrappolati

definitivamente nel vortice della passione, dopo aver tentato inutilmente di sfuggirvi. La lotta, dunque, di questi «sbandati», di queste «marionette», rimane un inutile sforzo. Questi «randagi della vita», descritti dall’autore nel lungo discorso affidato all’io narrante de La fuga, e all’autore stesso nel Preludio a Marionette, continuano a popolare le opere di Rosso con la loro continua lotta tra passione e ragione, opposizione questa che ne La

festa delle rose, romanzo del 1920, giunge ad un tragico epilogo.

Rosso dopo le Elegie intraprende dei cambiamenti stilistici e di registro, il punto di vista della rappresentazione è radicalmente cambiato: la solitudine e i tormenti interiori, che conducevano l’io narrante verso la volontà di perdersi nell’abbraccio della Natura, lasciano ora spazio alla dimensione umana e al vivere in una comunità che è luogo di assoggettamento a norme e pratiche sociali. Anche nel romanzo La festa delle rose ritorna un luogo ormai familiare al lettore: una spiaggia olandese. La spiaggia deserta delle

Elegie però viene sostituita qui dalla vivace atmosfera di un luogo di villeggiatura. L’

immagine dell’onda che si infrange sulla spiaggia, mentre nelle Elegie suggerisce all’io narrante riflessioni sulla Natura e sull’arroganza dell’Uomo nei confronti di essa, qui viene riproposta spogliata da quelle significazioni filosofiche e morali: tra i villeggianti è uso comune costruire dei fortini di sabbia e aspettare la sera, quando sale la marea, per vedere quale di essi sia più solido. Alla fine anche il fortino vincitore verrà travolto e distrutto dall’acqua. L’autore sembra ricordarci come l’elemento naturale abbia sempre la meglio, mentre i tentativi di controllarlo da parte dell’uomo siano solo dei giochi infantili. Ancora una volta il fallimento dell’uomo nel contrastare gli istinti naturali è lo stesso del tentativo nel contrastare quelli passionali.

Ne La festa delle rose Quintilio, pianista e compositore, è combattuto tra due donne: sensuale e passionale Lucilla, pacata, candida e verginale Hedda; la prima chiara metafora del Sud, la seconda del Nord: il loro incontro non può che portare alla catastrofe. Il vero contrasto non riguarda però le due donne, ma le due diverse atmosfere che esse riescono a creare con i loro animi completamente opposti. Dapprima fonte di ispirazione delle opere del pianista è l’animo sensuale, caldo e passionale di Lucilla; in seguito anche Hedda si configura come dea ispiratrice per le opere dell’uomo; ma come ha modo di

106 constatare Lucilla non è la donna in quanto persona a sedurre Quintilio, ma i desideri e le sensazioni che ella suscita nell’animo tormentato dell’uomo. Ciò è confermato dal fatto che l’allontanamento di Hedda provoca l’esaurirsi nel pianista di ogni fonte di ispirazione. Ancora una volta Rosso conferma il fallimento a voler trovare la cura in un luogo lontano, diverso, come Quintilio si era illuso di trovare nuova linfa per le sue opere nel freddo Nord. La malattia è dunque tutta interna all’uomo.

In questo romanzo, come anche in Le donne senza amore dello stesso anno, Rosso si concentra sulla pericolosità dell’abbandono completo e incondizionato alla passione, che se da un lato è portatrice di vitalità, dall’altro contiene in sé una potente forza distruttiva. La stessa passione da cui Rosso ci mette in guardia in Marionette, che passione!. Il personaggio di Lucilla, si basa proprio su questa passione incondizionata che non le permette di focalizzarsi su altro e a causa della sua gelosia porterà Hedda alla morte. Alla figura di Hedda può essere accostata invece quella di Betty del romanzo La fuga, per la quale, a causa delle teorie impartitele da Brunilde Trymer, la passione si configura dapprima come proibita e in seguito come vera e propria malattia che consuma. Nel romanzo Rosso ci dimostra ancora una volta come sia impossibile sfuggire al dominio della passione e come ignorarla non può portare ad altro se non ad un suo improvviso e violento riaffiorare della stessa.

La donna dunque si configura ancora una volta come elemento-chiave dei testi di Rosso, di cui l’autore ne evidenzia l’aspetto fisico, sensuale che la conferma come oggetto di desiderio e allo stesso tempo fonte di sofferenza. Dopo Marionette molti altri testi di Rosso risultano esemplari a riguardo.

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