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Pier Maria Rosso di San Secondo: «sbandati» e «marionette» alla ricerca del Paradiso perduto.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUA E LETTERATURA ITALIANA

Tesi di Laurea

Pier Maria Rosso di San Secondo:

«sbandati» e «marionette» alla ricerca del

Paradiso perduto.

Candidato

Angela Rosalia Digrigorio

Relatore Correlatore

Prof.ssa Angela Guidotti Prof. Giorgio Masi

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1

Indice

Introduzione ………....2

1. Pier Maria Rosso di San Secondo………..………....4

1.1 La vita……….4

1.2 La critica...11

2. L’opera di Rosso fino a Marionette, che passione!...14

2.1 Rosso e le prime esperienze teatrali………...………..14

2.2 Rosso e le tappe della sua «fuga»………...………..24

2.3 Dalle opere in prosa a Marionette, che passione!: una nuova

categoria di personaggi, gli «sbandati»………..…. 35

2.4 La fase di nuovo teatro………...………..39

2.5 Rosso tra Grottesco ed Espressionismo………...………48

3. Marionette, che passione!……….56

3.1 Sintesi della vicenda……….56

3.2 Analisi dell’opera………. 58

3.2.1 Confronto con la novella Acquerugiola (1916)………...58

3.2.2 Marionette, che passione!..………...64

4. L’opera di Rosso dopo il 1918……… 102

4.1 L’emergere di una particolare figura femminile tra narrativa e

teatro………...102

4.2 La Bella Addormentata e l’ultimo teatro………..…………..…....106

4.3 La morte in scena: La scala e Lo spirito della morte……….…….123

4.4 La ricerca del Paradiso perduto: Il ratto di Proserpina……..…....137

Conclusioni………...147

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2

Introduzione

Pier Maria Rosso di San Secondo è uno scrittore che interpreta il malessere storico e sociale dell’uomo del Novecento. Il periodo nel quale scrive Rosso va dai primi anni del Novecento fino al secondo dopoguerra. L’Italia è uscita dall’ultimo difficile ventennio dell’Ottocento, la vita, artistica e sociale, appare ricca di nuovi fermenti e allo stesso tempo vede il nascere di sempre più acute contraddizioni sociali e morali: i problemi delle nazionalità, la frattura tra nuovo settore tecnico-industriale e le vecchie strutture del passato, la perdita dell’identità dell’uomo insieme alle certezze dei vecchi valori ormai disgregati. La realtà sociale, infatti, appare cristallizzata entro vecchie formule e convenzioni che imprigionano l’uomo rendendo difficile ogni tipo di rapporto intellettuale o morale. Nel tentativo di ‘riordinare’ il mondo che lo circonda, l’uomo si trova a vivere in una società basata sulla finzione e sull’alienazione e tutto ciò porta a una crisi di identità nell’individuo come nella società.

Dopo le prime esperienze teatrali e narrative, Rosso è consapevole, all’indomani della Grande Guerra, del fatto che si è dissolto tutto un mondo di valori etici e culturali su cui la generazione precedente di scrittori aveva basato la propria linea poetica. Egli, grazie ai suoi viaggi intrapresi nell’Europa centro-settentrionale, si situa molto presto al crocevia delle grandi esperienze letterarie italiane ed europee, volte alla costruzione di un nuovo stile sia sul piano narrativo, che su quello drammaturgico. In Italia gli influssi della cultura europea vengono recepiti da varie correnti, i temi sono: libertà dei sensi; lacerazione tra vita interiore e vita esteriore; rivolta, spesso irrazionale, dell’uomo contro le meschinità e le convenzioni della società, contro le oppressioni psicologiche esercitate da una moralità che lo imprigiona entro vecchie regole; il pensiero della morte e la vita come ricerca tortuosa di una propria identità e di una pacificazione interiore, spesso senza alcuna soluzione.

Rosso partecipa ai movimenti più fertili dell’Avanguardia novecentesca: dal versante vociano a quello futurista, dal Grottesco fino ad essere considerato uno dei maggiori esponenti dell’Espressionismo in Italia, anche se egli non può e non deve essere collocato integralmente in nessuno di questi movimenti: la sua scrittura oscilla infatti tra moduli lirici e ironici, distesi e drammatici; il linguaggio diviene per l’autore la sede in cui condensare, tramite l’eterogeneità degli stili, l’incertezza del reale. Rosso, a livello compositivo si muove, inoltre, attraverso tre forme principali: «dramma borghese»,

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3 «tragedia classica» e «fiaba drammatizzata» come vedremo tramite l’analisi della sua opera. Scoperta l’impossibilità di controllare la realtà e svelata l’ipocrisia della società dell’epoca, lo scrittore si esprime tramite le antinomie più laceranti. Le sue opere si basano infatti sul perenne contrasto tra malattia e salute, passione e ragione, Nord e Sud, vita e morte.

La maggior parte dei critici è d’accordo nel ritenere che il dualismo tra passione e razionalità sia il tema che attraversa tutto il lavoro e la vita di Rosso. Non c’è dubbio che quest’opposizione sia apparsa in ogni tempo e sotto diverse forme (materia e spirito, istinto e ragione, vita e forma); in ogni caso lungi dal ricalcare vecchi schemi, l’urto tra l’irrazionale insito nell’animo umano che sveglia tutti i sensi e turba la vita dell’uomo da una parte e la coscienza razionale dall’altra, è sentito e rappresentato dal nostro autore in maniera originale.

La dialettica tra determinato e indeterminato, unitario e frantumato, vita e sogno, Eros e Thanatos, attraversa le opere di Rosso fin dalle prime esperienze teatrali tramite personaggi particolari che l’autore definisce «sbandati», «sperduti nel mondo», «marionette»; questi personaggi li incontriamo ad esempio in Marionette, che passione! del 1918 e in La bella addormentata del 1919, come in molte altre opere significative dell’auotore, per giungere fino a Lo spirito della morte del 1930, dramma spesso considerato come conclusivo della parabola esistenziale vissuta dai tre protagonisti nel dramma del ‘18. L’opposizione tra questi poli, che convivono nell’animo dei protagonisti sansecondiani, si presenta come il leitmotiv con cui l’autore penetra i meandri più oscuri della coscienza moderna e svela, al contempo, l’inquietudine e la fragilità presenti nell’uomo.

La sua riflessione si arricchisce, inoltre, grazie all’humus culturale della sua terra natale, la Sicilia; di questa terra egli porta con sé perenne memoria, percepibile soprattutto nelle descrizioni di alcuni luoghi e personaggi e da questa memoria scaturiscono i maggiori temi delle opere sansecondiane.

Rosso ci offre la testimonianza di un’odissea che si configura personale e generazionale allo stesso tempo, una ricerca inesausta del senso della vita che diventa manifestazione di uno scarto insanabile tra individuale e sociale, soggetto e realtà storica.

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1. Pier Maria Rosso di San Secondo

1.1 La vita

Pier Maria Rosso di San Secondo, narratore e soprattutto drammaturgo novecentesco, fa parte di quella generazione di scrittori e artisti che contribuirono ad introdurre molti aspetti della cultura europea nel panorama della letteratura teatrale italiana.

Egli nasce a Caltanissetta il 30 Novembre del 1887 da una famiglia aristocratica. Dopo gli studi liceali compiuti nella città natale, si trasferisce a Roma dove si iscrive ai corsi di legge presso la facoltà di Giurisprudenza, nella quale si laurea nel 1909 con una tesi di diritto civile. Nella capitale giunge, dati i suoi interessi letterari, accompagnato da una lettera del padre per Luigi Pirandello; i due scrittori con gli anni intrattengono stretti rapporti professionali e d’amicizia.

Rosso fin da giovane inizia un lungo e irrequieto vagabondare che lo porta a toccare diverse tappe. Roma si presenta all’autore come la prima occasione per ampliare le sue conoscenze e i suoi orizzonti, ma anche durante il soggiorno nella capitale continua a mostrare irrequietezza: i chilometri che pone tra sé e la Sicilia non gli bastano a liberarsi da quel fondo inquieto e dallo «spettro di un duro male che aveva insidiato lo spirito di persone a lui vicinissime […], la madre reclusa […] come una folle […], il fratello suicida»1.

Il suo spirito irrequieto e tormentato lo porta a compiere ulteriori spostamenti e fughe improvvise; dopo aver lasciato la sua terra natale per la capitale, staccandosi dalle dolenti esperienze familiari, negli anni prebellici compie, infatti, il suo primo viaggio in Olanda, nella quale torna di frequente. Il contatto con la cultura europea gli fornisce l’occasione di cogliere il senso di crisi di fine secolo. Ha inizio la sua produzione novellistica: al periodo olandese appartiene La signora Liesbeth, le Elegie a Maryke (Mare del nord,

Serenata, Una cena in presenza di Jean Steen) e Il poeta Ludwig Hansteken, inserito poi

nella raccolta Ponentino. Tornato in Italia le suggestioni assorbite durante questi viaggi, insieme alla sua meridionalità, permettono all’autore di dare vita al suo teatro:

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5 caratterizzato da forti contrasti che gli permetterà di essere considerato uno dei maggiori innovatori del teatro italiano novecentesco.

Rosso debutta il 27 ottobre 1908 al Carignano di Torino, dove va in scena La sirena

ricanta, primo lavoro teatrale dell’autore, interpretato dalla compagnia di Alfredo Sainati,

il cui testo però è andato perduto: «il pubblico si interessò […] e applaudì molto ai primi due atti, in cui vi è l’impronta di un ingegno energico e potente; piacque meno il terzo, ch’è uno scorcio troppo arrischiato, troppo voluto»2. A questo periodo risalgono probabilmente altre due opere: La Tunisina, rappresentata il 28 gennaio 1918, al teatro Paganini di Genova, in dialetto siciliano, da Angelo Musco, e Madre, presentata dallo stesso Musco al Teatro Verdi di Milano nel febbraio dello stesso anno.

Nel 1911 pubblica Le sintesi drammatiche che comprendono: L'occhio chiuso, La

notte, La fuga, L’anniversario, Il re della zolfara, Monelli, La sintesi. Le sintesi si

configurano come vera e propria fusione dei temi e dei modi tipici della scrittura sansecondiana. Dal 1912 collabora con la rivista romana «Lirica» che gli permette di frequentare Antonio Baldini e Vincenzo Cardarelli fondatori nel 1919 della rivista romana «La Ronda», la quale persegue un ideale di scrittura “lirica” cui anche Rosso sarà incline. In questo ambiente Rosso si lega in amicizia con Nino Savarese e Giuseppe Antonio Borgese. Quest’ultimo dopo aver recensito favorevolmente le Elegie a Maryke nel 1914, lo introduce alla casa editrice Treves con una raccolta di pagine liriche e di novelle che la casa editrice pubblica senza indugi nel 1916 con il nome di Ponentino e che dà allo scrittore immediata risonanza; con la stessa casa editrice pubblica nel 1917 il romanzo La fuga, precedentemente apparso su «Nuova Antologia», e ora accompagnato da una prefazione di Luigi Pirandello.

Negli anni della prima guerra mondiale i ritmi creativi e produttivi dell’autore sono molto intensi, Rosso è in grado di avvicinarsi all’ambiente letterario italiano anche tramite la partecipazione a varie iniziative editoriali che gli permettono non solo che di pubblicare i suoi lavori ma anche di far parte a pieno della situazione contemporanea: oltre a collaborare al giornale romano «Idea nazionale» fra il 1914 e il 1918, collabora anche al «Giornale di Sicilia», dove vengono pubblicate, tra il 1915 e il 1916, numerose sue

2 La cronaca teatrale, pubblicata nell’articolo de «Lo Spettacolo», è completamente riprodotta da L.

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6 novelle. Gli viene poi affidato un ruolo di rilievo nella redazione del neonato inserto letterario del «Messaggero», il settimanale «Messaggero della domenica», fra il 1918 e 1919. Qui si trova a lavorare al fianco di Federico Tozzi e sulla rivista compaiono, a puntate, il romanzo La mia esistenza d’acquario, parti del dramma La Bella

Addormentata e del romanzo La morsa, quest’ultimo poi stampato da Treves nel 1918.

Pirandello si fa subito promotore dell’opera drammaturgica di Rosso di San Secondo: nel 1917, anno della pubblicazione del romanzo La fuga, impone quasi al capocomico Virgilio Talli la rappresentazione dell’opera Marionette, che passione!. L’ormai affermato capocomico si mostra inizialmente perplesso per come il pubblico, ancora impreparato alle novità che propone l’autore, avrebbe potuto accogliere quest’opera. L’insistenza di Pirandello porta infine alla rappresentazione del dramma. La sera del 4 marzo del 1918, al Teatro Manzoni di Milano, va in scena Marionette, che passione! con l’interpretazione di Maria Melato (La Signora dalla volpe azzurra), Annibale Betrone (Il Signore in grigio), Ettore Berti (Il Signore a lutto) e Ione Frigerio (La Cantante); nello stesso anno la commedia viene rappresentata al Niccolini di Firenze e in entrambe le occasioni ha un esito contrastato. Soltanto dopo la prima parigina del 1923 ottiene un enorme successo e registra un’elevata risonanza soprattutto nel mondo della critica teatrale che da allora prenderà il sopravvento su quella letteraria.

In questi anni l’autore lavora molto, ma gli esiti discontinui delle sue opere provocano qualche perplessità da parte della critica. Nonostante ciò Rosso continua la sua attività di scrittore «alluvionale». Vanno in scena alcuni lavori teatrali: Per fare l’alba al teatro Argentina di Roma il 12 Febbraio 1919; La Bella Addormentata nel 1919; Amara a Modena; L’ospite desiderato a Milano nel 1921, La danza su di un piede al Teatro Eliseo di Roma nel 1922, pubblicata due anni dopo da «Comoedia», e Lazzarina tra i coltelli al Teatro Sociale di Brescia nell’aprile del 1923, anch’essa pubblicata su «Comoedia»3.

Questi ultimi due testi vengono pubblicati da Mondadori, Milano nel 1925 in un unico volume. Lazzarina tra i coltelli provocò tra il pubblico polemiche e contrasti, come riporta Jacobbi nella nota introduttiva al dramma4.

3L. FERRANTE, Rosso di San Secondo, cit., p. 115.

4R. JACOBBI, in P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, Teatro, Roma, Bulzoni, 1976, vol. I, cit., p.

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La Bella Addormentata viene portata sulla scena da Virgilio Talli e Maria Melato, il

15 agosto 1919. Scrive Marco Praga a proposito della prima: «I primi due atti furono applauditi con una cordialità con una convinzione con una unanimità confortanti. Poi la catastrofe…mormorii di impazienza e qualche sibilo… un ricredersi del gran pubblico, tutto in piedi… il fiasco… trasformato in successo»5. Forse è questa reazione da parte del

pubblico che porta Rosso a riscrivere il terzo atto abolendo l’impiccagione sulla scena del Notaro Tremulo. Il testo con le modifiche apportate viene pubblicato da Treves nel 1923. La commedia viene rappresentata in Francia nel 1927 e nello stesso anno in Germania, a Düsseldorf, in entrambi i casi ebbe grande successo.

Negli stessi anni pubblica in volume La mia esistenza d’acquario e la raccolta di novelle Io commemoro Loletta. Nel 1920 escono i romanzi Le donne senza amore e La

festa delle rose e la raccolta di novelle Il Bene e il Male. Nel 1921 su «La Rassegna

italiana» pubblica Zagrù, mentre nel 1922 escono Minuetto dell’anima nostra e La donna

che può capire capisca su «Nuova Antologia».

Il successo parigino del 1923 di Marionette, che passione!, messo in scena alla Maison d’Oeuvre con il titolo di Passiones de fantoches e della Bella Addormentata presentata al Teatro di Grenelle nel 1927, attribuiscono a Rosso fama europea 6. Su l’«Information» si scriveva: «[…] Questo lavoro rappresenta una liberazione dalle antiche formule e apre nuovi orizzonti sulle possibilità dell’arte drammatica di domani. Ma si è stupiti nel constatare che questo è teatro, cioè interesse e vita profonda»7.

Nello stesso anno della rappresentazione parigina di Marionette, in Italia vanno in scena Lazzarina tra i coltelli e La roccia e i monumenti.

Il 18 Ottobre 1924 va in scena a Buenos Aires, al Teatro Cervantes, Una cosa di carne, con Tatiana Pavlova e Renato Cialente, dopo la censura italiana avvenuta a Genova nello stesso anno. La prima rappresentazione italiana avverrà a Milano l’anno successivo e viene pubblicata nel 1926. Questo episodio porta Rosso a scrivere un Preludio nel quale difende l’opera da «quel corruccio di sopracciglia, quell’aguzzare di pupille necessario talvolta per cogliere, traverso il particolare rappresentato, la verità generale umana voluta

5M. PRAGA, Cronache teatrali, Milano, 1920, cit. in P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, Teatro, p.

233.

6L. FERRANTE, Rosso di San Secondo, cit., pp. 121-122. 7 Ivi, p. 122.

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8 indagare e approfondire» e polemizza contro quei falsi pregiudizi che avevano portato il Prefetto di Genova a un «violento ordine che impediva appunto all’opera di rivelarsi al cuore dell’uomo», continuando Rosso non si spiega, ironicamente, il motivo della censura e conclude dicendo che se non può trovare in Italia la via per giungere al cuore dell’uomo, sarà costretto a cercarla all’estero, come appunto avvenne.

Nel 1925 è la volta di Canicola, Musica di foglie morte e Il fiore necessario. La scala viene rappresentata il 16 novembre 1925 al Teatro Olimpia di Milano, con interpreti ancora la Pavlova e Cialente, viene poi ripresa al Teatro La Fenice di Venezia nel 1955; e ancora Il delirio dell’oste Bassà è rappresentato al Teatro Argentina di Roma il 9 dicembre 1925 da Maria Melato e Annibale Betrone e pubblicato in volume da Treves lo stesso anno.

Tra il 1926 e il 1928 Rosso è in viaggio per l’Europa, tra Francia e Germania, dove a Parigi, a Praga, a Dusseldorf e a Berlino vengono rappresentate alcune sue opere. La tappa di Berlino si rivela fondamentale insieme a quella olandese per quell’incontro di mediterraneità siciliana e avanguardia europea che caratterizza sempre più i suoi lavori. Nel 1926 pubblica con Treves un volume di commedie, Notturni e preludi mentre vengono rappresentate Le esperienze di Giovanni Arce, filosofo, Febbre e Tra vestiti che

ballano.

Tra vestiti che ballano va in scena per la prima volta al Teatro Olimpia di Milano il 3

dicembre 1926, con protagonista la Pavlova. Con questo dramma Rosso ottiene enorme successo, infatti viene accolto con grandissimo favore dal pubblico, viene ripreso più volte, tradotto in varie lingue e diffuso attraverso la radio e la televisione. Con quest’opera, insieme a Le esperienze di Giovanni Arce, filosofo, rappresentata al Teatro Olimpia di Milano il 2 giugno 1926, dalla compagnia di Ettore Petrolini, per la quale fu concepita, Rosso vuole dare una prova di «mestiere» al teatro tradizionale che lo aveva stroncato per altre opere ben più significative, come Il delirio dell’oste Bassà. Scrive così Praga su Rosso, dopo la prima: «[…] deve essere contento dell’opera sua anche se non assomiglia alle sue opere precedenti. D’essere un artista, e di prim’ordine, egli ci ha dato

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9 già tante prove; questa volta ci ha dato quella di saper essere, se vuole, un uomo di teatro, di teatro nel significato rigido della parola»8.

Rosso continua a rimanere un uomo e uno scrittore inquieto. Del primo Novecento egli esprime motivi, contraddizioni, limiti ed eccessi, in linea con altri scrittori di una generazione più vecchia ma, come lui, pronti a distinguere quanto di nuovo affiorava dalle ormai non più recenti lacerazioni del tessuto sociale. Sono questi gli anni delle opere più incisive e dense di umori espressionistici della sua drammaturgia: La signora Falkenstein e Lo spirito della morte (1929).

La signora Falkenstein è una delle poche commedie che viene accolta all’unanimità,

come una delle opere di Rosso più equilibrate e riuscite. La rappresentazione ebbe luogo il 5 giugno del 1929 a Milano, al Teatro Olimpia, scritta su misura per Tatiana Pavlova, è una delle manifestazioni delle esperienze germaniche di Rosso degli anni Trenta. Le stesse atmosfere e ambientazioni berlinesi le ritroviamo nell’atto unico Il nuovo teatro del 1937 o nella commedia fantastica Il segno verde, di data incerta, ma sicuramente risalente a quegli anni: vi appare una Berlino piena di fermenti sperimentali e rivoluzionari, nella quale Rosso mette in scena ancora una volta la sua concezione della società borghese moderna come centro di alienazione, dove nemmeno l’arte può sottrarre l’uomo al suo dramma d’insicurezza e disarmonia.

Lo spirito della morte, insieme a Marionette, che passione!, è considerato uno dei testi

più significativi dell’espressionismo sansecondiano, scritta nel 1930, viene poi inserita in un volume dal titolo Climi di tragedia, con Amara e Per fare l’alba. Fu un’opera che non ebbe grande risonanza dopo la sua prima, il 26 novembre 1931. Diversamente fu invece accolta la messa in scena di Bragaglia dieci anni più tardi, il 18 dicembre 1941: la sua regia fece ricredere la critica e in seguito l’opera venne replicata in varie città d’Italia.

Nel 1934 Rosso riceve il premio dell’Accademia d’Italia, per il quale Pirandello stesso lo aveva proposto; in seguito si trasferisce a Lido di Camaiore, frequente luogo di ritrovo tra l’autore, accompagnato dalla moglie, il fratello Ugo, Pirandello e Marta Abba9. La

salute di Rosso comincia a farsi malferma e una grave malattia lo costringe a letto per quasi un anno. Tra il ’34 e il ’41 nell’attività di Rosso vi è un ritorno alla novella. Vengono

8M. PRAGA, Cronache teatrali, cit. in P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, Teatro, a cura di R.

JACOBBI Roma, Bulzoni, 1976, vol. II, p. 57.

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10 pubblicate le raccolte Il cielo sulle colline e Viaggio con Polifemo. Si colloca inoltre in questi anni la composizione de Il ratto di Proserpina che sarà rappresentata per la prima volta a Gibellina, in provincia di Trapani, solo nel 1988.

Il ratto di Proserpina è stata considerata da Rosso stesso l’opera riassuntiva e

conclusiva della sua attività di drammaturgo. Vi lavorò fino agli ultimi anni di vita, entro i quali non ebbe la possibilità di assistere a una sua rappresentazione, l’opera fu rimaneggiata più volte e all’inizio giravano diverse versioni. La prima notizia si ha in un intervista fatta all’autore da Raul Radice in «L’Ambrosiano» il 29 luglio 1933. Nel 1953 Alberto Casella ne curò una regia radiofonica e nel ’54 l’editore palermitano Flaccovio pubblica in volume una vecchia versione, diversa da quella già modificata in sede radiofonica. Il testo definitivo è stato curato da Jacobbi e pubblicato su «Ridotto» nel 1965.

Gli ultimi anni di vita vedono Rosso sempre più solo e abbandonato da quegli amici, in parte scomparsi, che lo avevano accompagnato durante la sua vita umana e artistica. Alla fine della seconda guerra mondiale torna per un breve periodo a Roma, dove tenta un breve e incompiuto approccio con il cinema. Con Garzanti, nel 1946, pubblica il suo ultimo romanzo Incontri di uomini e di angeli. Nel 1954 riceve il premio Melpomene per

Il ratto di Proserpina e nello stesso anno pubblica la sua ultima raccolta di novelle, Banda municipale, dedicata a Caltanissetta, con la casa editrice Salvatore Sciascia.

Nel 1955 si reca a Venezia per assistere alla messa in scena de La scala, rappresentazione allestita per il Festival Internazionale della Prosa a La Fenice, così da permettere al teatro italiano di porgergli un ultimo caloroso saluto10.

Rosso di San Secondo si spegne il 22 Novembre del 1956 a Lido di Camaiore.

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1.2 La critica

I primi lavori significativi dedicati a Rosso di San Secondo appartengono agli ultimi anni ’50 del Novecento. Si tratta di lavori complessivi sull’autore che rimarranno per molto tempo isolati. Il teatro di Rosso di San secondo11 del 1957 di Giovanni Calendoli è la prima lettura critica dell’intera opera teatrale di Rosso; con essa Calendoli fornisce una panoramica della vita di Rosso e del periodo storico-letterario nel quale egli si inserisce. L’opera fornisce una chiara e dettagliata analisi delle opere teatrali di Rosso, in particolare quelle che precedono Marionette, che passione!; interessante il confronto che il critico fa tra il dramma del ’18 e il suo antecedente, Acquerugiola del 1916.

Sempre sul finire degli anni ’50 Luigi Ferrante scrive la prima monografia sull’autore,

Rosso di San Secondo12 (1959) che a tutt’oggi rappresenta un valido testo per conoscere l’autore nisseno in relazione al periodo letterario in cui scrive. Ferrante, procedendo con l’analisi delle opere, pone particolare attenzione al linguaggio scenico di Rosso e al tema principale della sua poetica, ovvero la contrapposizione tra passione e razionalità.

Dopo quasi vent’anni di silenzio sull’autore, una svolta avviene nel 1972 con la pubblicazione di un testo complessivo sul teatro scritto da Ruggero Jacobbi, Teatro da

ieri a domani13, nel quale sono contenuti alcuni saggi su Rosso. Proprio Ruggero Jacobbi nel 1976 cura l’edizione completa delle opere teatrali di Rosso, proseguendo il lavoro iniziato da Luigi Ferrante nel 1962 e mai portato a termine a causa della di lui prematura scomparsa. Jacobbi fissa una versione definitiva dei testi basandoli sulle edizioni a stampa, dalle prime alle successive pubblicazioni, tenendo conto delle varianti; ad esempio de La Bella Addormentata, sono riportati entrambi i finali che scrisse Rosso.

Negli anni ’70 si inizia così a dedicare maggiore attenzione a Rosso. Nel 1977 esce infatti una rassegna critica a cura di Paola Daniela Giovannelli14, e nel 1978 Anna Barsotti15 pubblica una monografia sull’autore. Il modulo interpretativo, tematico e strutturale dell’opera sansecondiana assunto dalla Barsotti è quello del leitmotiv della «fuga» che caratterizza, secondo l’autore, il destino di ogni uomo e specialmente di chi,

11G. CALENDOLI, Il teatro di Rosso di San Secondo, Roma, Vito Bianco, 1957. 12L. FERRANTE, Rosso di San Secondo, Rocca San Casciano, Cappelli, 1959. 13R. JACOBBI, Teatro da ieri a domani, Firenze, La Nuova Italia, 1972.

14P. D. GIOVANNELLI, La critica e Rosso di San Secondo, Bologna, appelli, 1977. 15A. BARSOTTI, Rosso di San Secondo, Firenze, La Nuova Italia, 1978.

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12 come lui, si sente estraneo alla società. Si prefigura così la prospettiva morale e intellettuale con cui Rosso rappresenta il mondo contemporaneo: tale prospettiva mette in risalto la categoria dei cosiddetti «sbandati» che Anna Barsotti individua man mano nelle opere sansecondiane. Si configura un viaggio esistenziale compiuto dall’autore per sanare le fratture dovute alla crisi e all’alienazione dell’individuo, alla fine del quale Rosso cerca di tornare a una dimensione reale-ideale che possa servire da approdo a questa incessante «fuga».

Sempre nel 1978 Andrea Bisicchia pubblica Invito alla lettura di Rosso di San

Secondo16. Bisicchia propone una lettura critica dell’opera completa di Rosso, ponendo maggiore attenzione alle varie correnti a cui Rosso si accosta: Grottesco, Espressionismo, Simbolismo ed Estetismo. Interessanti le opinioni riportate da Bisicchia sulle varie rappresentazioni delle opere sansecondiane.

Devono passare dieci anni per giungere al significativo lavoro di Paolo Puppa, La

morte in scena17, col quale il critico ha voluto concentrare la sua attenzione su uno dei principali temi dell’opera sansecondiana, ovvero la presenza della morte, come si evince dal titolo. Il lavoro svolto da Paolo Puppa riguarda due delle opere principali di Rosso:

Marionette, che passione! e Lo spirito della morte. Il percorso analizzato è quello che

segue Rosso dal 1918 al 1929, ovvero quello della «morte della passione» che, attraverso una lotta sfrenata dei suoi personaggi nel tentativo di contrastare gli istinti passionali a favore della ragione, giunge, nell’opera del ’29, alla «passione della morte». Naturalmente questo percorso non riguarda esclusivamente questi due drammi, difatti Puppa riporta numerosi e vari collegamenti ad altre opere sansecondiane. Questo approfondimento da parte di Paolo Puppa credo sia uno dei più significativi presenti oggi nel panorama della critica.

16A. BISICCHIA, Invito alla lettura di Rosso di San Secondo, Milano, Mursia, 1978. 17P. PUPPA, La morte in scena, Napoli, Guida, 1986.

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13 Nel corso degli anni ’80 si hanno solo alcune raccolte di interventi avvenuti durante i convegni dedicati all’autore nel 198318 e nel 198719, e una miscellanea del 1988 a cura di

Flora Di Legami, Angela Guidotti e Natale Tedesco20.

Dagli anni 2000 in poi si contano pochi significativi interventi tra cui ricordo il lavoro di Angela Guidotti21 e quello di Roberto Salsano22. L’indagine svolta dai due critici

interrompe un lungo silenzio sull’autore, con la volontà e la speranza di portare ad una rivalutazione dell’opera sansecondiana.

Il lavoro di Angela Guidotti raccoglie l’analisi dei testi drammatici più significativi dell’autore, dalle Sintesi drammatiche (1905-1908) a Il ratto di Proserpina (1933), per rintracciare in Rosso tutte quelle tematiche che servono allo scrittore per trascrivere le mille angosce dell’esistenza, dalle quali l’uomo sembra non riuscire a sottrarsi. Tutto quello che si può fare è cercare una conciliazione degli opposti, come fa Rosso nel dramma del 1933, anche se dall’analisi svolta si giunge all’amara consapevolezza che questa riconciliazione non verrà mai realizzata completamente dall’autore.

Il lavoro di Roberto Salsano pone particolare attenzione all’internazionalità di Rosso in relazione alle varie tendenze culturali, ai contributi specifici dati dall’autore e a un’indagine approfondita sul suo rapporto con le poetiche ruotanti tra Grottesco, Espressionismo, Futurismo e Verismo. L’autore insiste particolarmente sull’importanza delle didascalie drammaturgiche presenti nelle opere di Rosso.

I lavori su Rosso nel XXI secolo si concludono al momento con la riedizione di tutto il teatro sansecondiano a cura di Andrea Bisicchia23 nel 2008-09.

18 AA.VV.

Borgese, Rosso di San Secondo, Savarese, Atti dei Convegni di Studio Catania, Ragusa,

Caltanissetta, 1980-82, a cura di Paolo Mario Sipala, Roma, Bulzoni, 1983.

19 AA.VV. Pier Maria Rosso di San Secondo nella letteratura italiana ed europea del Novecento, a cura

di Marisa Sedita Migliore, Caltanissetta, Salvatore Sciascia editore, 1989.

20F. DI LEGAMI, A. GUIDOTTI, N. TEDESCO, Pier Maria Rosso di San Secondo, Marina di Patti,

Pungitopo, 1988

21A. GUIDOTTI,Spazio scenico come “camera oscura” nel teatro di Rosso di San Secondo, in Storia

della Sicilia, Pensiero e cultura letteraria dell’Ottocento e del Novecento, vol. VIII, Roma, Editalia, 2000.

22R. SALSANO, L’immagine e la smorfia, Rosso di San Secondo e dintorni, Roma, Bulzoni, 2001. 23A. BISICCHIA, Tutto il teatro, voll. I-II, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 2008-2009.

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2. L’opera di Rosso fino a Marionette, che passione!

2.1 Rosso e le prime esperienze teatrali

Prima dell’avventura olandese del 1907, Rosso intraprende la strada del teatro con due commedie, Madre e La sirena ricanta, i cui copioni sono andati perduti. Entrambe furono messe in scena nel 1908. Madre si suppone sia d’ambientazione paesana, poiché andò in scena per la compagnia siciliana di Nino Martoglio e forse va inserita in quel filone del teatro dialettale e regionalistico molto diffuso nei primi anni del novecento24. A questo periodo giovanile appartiene anche La Tunisina la cui rappresentazione avviene nel 1918, in siciliano, con Angelo Musco protagonista.

Per La sirena ricanta si è potuta immaginare l’atmosfera grazie a una recensione nella rivista «Lo Spettacolo»25. Il dramma affronta lo stesso tema che troveremo ampliato e in parte modificato nel romanzo La mia esistenza d’acquario del 1919: Eva suscita nell’amante della madre, uccisore di quest’ultima, il vecchio amore; l’uomo vede nella figlia l’amante di sempre e con essa desidera rivivere le stesse passioni finché Eva non lo abbandona per finire tra le braccia di un altro. Inizia qui a configurarsi il prototipo di «donna» sansecondiana, che porta con sé tutte le novità rispetto alla tradizione naturalistica (che dai romanzi giovanili di Verga prosegue attraverso D’Annunzio fino al romanzo d’appendice del Novecento) e che vedremo svilupparsi soprattutto nelle opere degli anni ’20. In questi testi è possibile rintracciare come le tensioni di autorealizzazione, diverse e contrastanti, della donna sansecondiana, conducano a due poli opposti: quello della frigidità e quello dell’erotismo, e come allo stesso tempo questi due estremi rappresentino due facce della stessa medaglia, come si può evincere dalle parole della protagonista del romanzo del ‘19:

«Fredda forse sono nata, ma bruciava in me un tizzo di cui dovevo liberarmi»26.

«Colsi, nell’eccitazione di tutti i miei sensi, un profumo che era come sepolto dalle cose o che stesse in fondo ad ogni cosa, come il presupposto della mia esistenza»27.

24 Cfr. A. BARSOTTI, Rosso di San Secondo, cit., p. 9. 25L. FERRANTE, Rosso di San Secondo, cit., pp. 115-116.

26P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, La mia esistenza d’acquario, Caltanissetta-Roma, Salvatore

Sciascia Editore, 1991, p. 11.

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15 Lo stesso clima del romanzo si intuisce per La sirena ricanta, grazie ai riferimenti riportati nella recensione e soprattutto grazie alla descrizione dettagliata dell’insieme scenico:

«Gli atti sono brevi, condensati, soffusi di nebulosità, dominati dal fato e dal simbolismo; vi è molto di D’Annunzio, ma più ancora del Maeterlinck. Le scene si svolgono sempre nella penombra; nel second’atto le lampadine elettriche rosse paiono lumeggiare di sangue i discorsi dei personaggi»28.

Con Madre e La sirena ricanta si può già rintracciare la duplice direzione verso la quale l’interesse giovanile del Rosso drammaturgo si muove: un polo siculo-regionalistico ed un altro simbolistico. Già dalle prime produzioni teatrali si evince dunque come i testi di Rosso siano caratterizzati da un’ampia esplorazione di generi: «i testi trascorrono dal dramma borghese alla fiaba drammatizzata, alla tragedia pseudo dannunziana»29.

La prima vera e propria testimonianza delle tendenze del teatro sansecondiano degli esordi, va rintracciata però nelle Sintesi drammatiche, pubblicate soltanto nel 1911, ma composte tra il 1905 e il 1908. I sette componimenti che le costituiscono si distanziano, per struttura e motivi d’ispirazione, dal teatro borghese ottocentesco e dal dramma storico, dalle forme dell’estetismo dannunziano e dallo stesso sintetismo futurista. La raccolta, il cui titolo, solo superficialmente, «rimanda all’esperienza futurista», apre la via a «una serie di linee tematiche destinate a svilupparsi nei testi maggiori»30. Infatti Le Sintesi, se da una parte sembrano anticipare di un decennio l’estrema essenzialità e concisione delle opere teatrali futuriste, dall’altra appare chiaro come esse si distacchino da altri importanti spunti dello stesso movimento, quali l’esaltazione della macchina, della modernità e della velocità, preferendo porre lo sguardo sulla realtà umana ormai disincantata e rassegnata31. Rosso inizia un periodo di sperimentazione dove il linguaggio è ridotto all’essenziale e i contenuti indagano su temi come la vita, la morte, la passione o l’incomunicabilità. In particolar modo nelle Sintesi possiamo scorgere due linee principali: da una parte abbiamo L’occhio chiuso, La notte e La sintesi più «simboliste», dall’altra La fuga, Il re

della zolfara e Monelli tipicamente «regionalistiche».

28L. FERRANTE, Rosso di San Secondo, cit., p. 116.

29A. GUIDOTTI, Spazio scenico come “camera oscura” nel teatro di Rosso di San Secondo, in Storia

della Sicilia, Pensiero e cultura letteraria dell'Ottocento e del Novecento, cit., p. 207.

30 Ibidem.

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16 Nelle sintesi La notte e L’occhio chiuso, la notte rappresenta il momento ideale per cogliere l’uomo negli attimi della sua introspezione più profonda. È in questa fase del giorno che l’uomo ha infatti la possibilità di capire il «vero» delle cose, del mondo che lo circonda, quando «dormono quelli che hanno l’anima in pace» e «veglia […] la gente irrequieta»32. Vediamo apparire già gli «outsider» sansecondiani che popolano il teatro e

la prosa del nostro autore. Il guardarsi dentro, l’introspezione che deriva dal gesto della palpebra di chiudersi, sono motivo di rivelazione di quella coscienza critica e autocritica di un’umanità che si tormenta per nulla. Il teatro diventa dunque dramma dell’anima, di un io colmo di angoscia, un io intimo che va a sostituire la realtà materiale ed esteriore33. L’occhio e la palpebra confrontano le loro opposte prospettive

una capace di rappresentare e di credere alle forme, l’altra che tende oltre. Non appena scende infatti la palpebra, si mette in moto l’altro teatro, la scena nascosta, invisibile, nei cui meandri ripiega e sprofonda la vista, per risalire poi, ormai indeterminata e caotica34.

La tecnica del nuovo teatro è ravvisabile nella giustificazione che L’occhio dà alla Palpebra:

L’OCCHIO Gente di taverna veglia a quest’ora o gente irrequieta. Dormono quelli che hanno l’anima in pace.

LA PALPEBRA E quest’uomo non è in pace.

L’OCCHIO Lo so. Ma tu chiuditi.

LA PALPEBRA Questi mi tormenta.

L’OCCHIO Sforzati.

LA PALPEBRA Ma perché tanto interesse?

L’OCCHIO Quando ti chiudi, io mi ricolgo e guardo dentro.

LA PALPEBRA Che vedi?

L’OCCHIO L’angoscia di quest’uomo, raffigurata in ombre, in persone, in gesti. […] Io rido. […] Vedo un essere che si tormenta per nulla………

……….. ……….. ………..

Ti chiudi? Va bene. Ecco! Incomincia:»;35.

32P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, L’occhio chiuso, in ID., Teatro, cit., p. 55. 33 Cfr. A. BARSOTTI, Rosso di San Secondo, cit., pp. 13-14.

34P. PUPPA, La morte in scena¸ cit., p. 11.

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17 Dietro questa tecnica vi è la lezione dell’umorismo pirandelliano, basato sul contrasto tra Soggetto e Oggetto, tra Autore e Opera36. A essere rappresentato è il caos interiore, lo

sdoppiamento dell’essere in passione e ragione. Questa sintesi, come sottolinea Roberto Salsano, si presenta dunque come una sorta di «manifesto di poetica drammatica», e poiché ciò che l’occhio dice di vedere è ciò che vede il drammaturgo, ma anche «ciò che indica come visibile in una scomposizione critico-analitica portata a livello di proiezione scenica, Rosso si avvia al teatro sintetico oscillando tra teatralità e metateatralità […]»37. Analizzando il dialogo possiamo vedere come l’angoscia che si proietta in ombre e gesti richiami il «teatro ‘intimo’ strindberghiano» come se allo sguardo possano giungere segni decifrabili solo attraverso l’allucinato e il simbolico tipici della dimensione onirica. È già da questa sintesi che possiamo rilevare un impianto affine alla poetica espressionistica38.

Vi è un altro ambito entro il quale possiamo inserire questa sintesi: si tratta del versante comico e grottesco del teatro primonovecentesco rappresentato da quel «Io rido..» pronunciato dall’occhio. Seppur il grottesco di Rosso si differenzia da quello dei suoi colleghi con i quali collabora al «Messaggero della domenica», da lui diretto, non è di poco conto che nello scambio di battute fra L’occhio e La palpebra, «nella proiezione di questo particolare», il riso appunto, «venga calata la tragicità della condizione umana espressa dalla sintesi nel suo complesso». È così che l’azione idealistico-romantica dell’occhio che guarda dentro, umoristicamente si intreccia con i motivi più vicini al dramma dell’uomo moderno: il tormento che domina chi guarda con serietà la scena è svuotato di ogni ragione, ma al tempo stesso non è contrapposto «ad alcuna visione trascendentale che superi la vanità del reale». Si tratta di un dramma talmente inconsistente da non far sorridere, ma addirittura ridere, con una «punta di ‘grottesco’ intellettualistico, di seria ridicolizzazione». Vedremo come tormento e riso si alternano nel personaggio sansecondiano che, diventato qui occhio, si vede vivere da fuori. Questo ridere che scaturisce dal profondo appare come una sorta di liberazione dell’inconscio dalla «serietà intellettuale»39. Il riso si basa sul giudizio della condizione dell’essere,

dunque non si tratta di comicità piena. Il fatto stesso che l’azione del riso sia spostata all’occhio, senso altamente più intellettuale, negando così quel tipo di grottesco che

36 Cfr. P. PUPPA, La morte in scena, cit., p. 12.

37R. SALSANO, L’immagine e la smorfia, Rosso di San Secondo e dintorni, cit., p. 59. 38 Ivi, p. 62.

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18 associa il ‘comico’ all’elemento della bocca, sede naturale dell’azione, esprime bene la componente riflessiva che Rosso fa assumere all’umorismo.

Nelle sintesi di Rosso troviamo affinità soprattutto drammaturgiche, inerenti al linguaggio e alla strutturazione dei testi: viene abbandonato il dialogo discorsivo o dialettico per uno più lirico, soffocato da numerosi silenzi scanditi da pause e reticenze; la presenza della didascalia è dilatata oltre le sue funzioni convenzionali, fino quasi a prendere il sopravvento sul dialogo; forte importanza viene data al gesto teatrale, portatore dell’azione scenica vera e propria; viene usato l’anonimato dei personaggi che non rappresentano tanto l’individuo quanto l’uomo che con le sue angosce si ritrova solo in un mondo ormai disgregato40. Queste scelte compiute dall’autore sono il frutto della volontà di voler sconfessare quel teatro «realistico» divenuto ormai troppo convenzionale, nei temi come nelle tecniche espressive. Temi, ambienti, personaggi e oggetti del vecchio bagaglio verista assumono infatti un significato esemplare o simbolico distante ormai dai modelli naturalisti precedenti, anche se questi ultimi continuano a costituire il punto di partenza dell’autore. Nella sintesi La notte gli elementi che accomunano il teatro sansecondiano a quello tedesco, soprattutto quello espressionista che si sviluppa tra il 1907 e il 1925, sono ancora più marcati rispetto a L’occhio chiuso. Ne La notte la vicenda melodrammatica della famiglia abbandonata dalla Donna fuggita con l’amante, piomba pesantemente sulla scena e sprofonda nell’ombra. A illuminare il tutto vi è solo un lumino ad olio, fuori la pioggia che batte sui vetri; questo sfondo inoltre presenta una coincidenza con il futuro dramma Marionette, ove il pomeriggio domenicale piovigginoso incombe sulla scena dell’ufficio postale. Compaiono, all’inizio della sintesi, L’uomo e La bambina, soli nella loro disperazione, in quanto il dramma, l’abbandono della madre appunto, appare sulla scena già consumato: altro elemento che accomuna la sintesi al dramma del 1918.

(Egli ha il viso bruno e le occhiaie nere di polvere di carbone: i suoi occhi brillano

perciò d’una lucidità come di febbre nel cavo profondissimo; indossa una camicia turchina che, insieme al bruno del viso e al berretto che tiene in capo, rivela il suo mestiere)41.

A partire da questa prima descrizione dell’uomo, possiamo vedere come il punto di arrivo della sintesi sia espressionista e allo stesso tempo come quello di partenza sia

40 Cfr. P. CHIARINI, Rosso di San Secondo e il teatro tedesco del Novecento, «Studi germanici», n. s. a.

III, n. 1, febbraio 1965, pp. 90-117 e n. 3 ottobre 1965, pp. 321-335.

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19 ancora naturalista. L’apparenza febbrile conferita allo sguardo, messa in risalto con l’intento di creare un effetto scenico tipico dell’Espressionismo, si innesta su elementi ancora naturalistici, quel «bruno» del viso e quelle «occhiaie nere di carbone». Come sottolinea ancora Salsano, quel «i suoi occhi brillano perciò di una lucidità come di febbre» si riallaccia alla «temperie figurativo-rappresentativa espressionistica» e acquista una sua valenza solo grazie alla descrizione sottoposta veristicamente al rilievo «obiettivo popolaresco del ritratto». La mancanza di identificazione del personaggio viene infatti riequilibrata dall’importanza attribuita alla descrizione realistica dei particolari dell’aspetto e dell’abbigliamento che ci forniscono anche l’identificazione sociologica del «mestiere». Diversamente il teatro verista andava ad illustrare la naturalezza di aspetti e situazioni senza alcuna forzatura42.

Un altro esempio si può individuare nella didascalia che descrive La bambina: «[…]

ingoiando, fissa con occhi grandi il vuoto come seguendo un pensiero non infantile»43 la quale supera la dimensione realistica per quel «pensiero non infantile» che si riferisce a un coinvolgimento soggettivo-emotivo. Da un lato la fissità dello sguardo rimane a un livello essenzialmente realistico, dall’altro diventa proiezione di un dramma che riguarda comunque solo gli adulti. Anche in questo caso la drammaturgia sansecondiana oscilla tra verismo e suo superamento44.

Ad essere rappresentati dunque non sono più soltanto i particolari del corpo o i ‘segni’ che esso porta con sé, ma l’intero sconvolgimento dell’anima passionale dei personaggi. Al ritorno dell’adultera in casa, la scena si anima leggermente ma la violenza non riesce a esplodere, si spegne perché riassorbita dallo sguardo simbolico dell’autore che toglie, tramite il buio, il senso ai gesti drammatici che potrebbero scatenarsi sulla scena. I dialoghi sono ridotti al minimo. Più che attribuire importanza ai personaggi Rosso mette in evidenza le cose e i gesti solitamente più banali. Ciò che di solito viene tralasciato nel teatro tradizionale prende il sopravvento e diventa dominante: il «vuoto» sul «pieno», il «silenzio» sulla «parola», i «sentimenti» sulle «azioni», ciò che le cose proiettano sull’ambiente o sull’animo dell’uomo prevale sulle cose stesse. Così come anche le didascalie predominano sui dialoghi:

42 Cfr. R. SALSANO, L’immagine e la smorfia, Rosso di San Secondo e dintorni, cit., pp. 75-76. 43P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, La notte, in ID., Teatro, cit., p. 57.

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L’UOMO (le guarda i capelli scarmigliati sul capo chino e negli occhi gli luccica

l’innumerevole riverbero delle interne passioni cozzanti: la rivede bambina al paesello natio, quando insieme si baloccavano; la rivede giovinetta e risente la tenerezza del primo amore; la vede donna e sente la gioia del lavoro e del matrimonio; la vede madre e risente la sacra venerazione).

Finito! Finito!

(Un impeto nuovo di afferrare quel corpo che gli sta davanti, di spezzarlo, di

frantumarlo, gli fa protendere le mani.)

[…] (si frena. Poi ad un tratto con un singhiozzo disperato) Perché? Perché? Perché? (Nella voce di lei è tutto lo strazio della umanità che soffre della sua debolezza)

LA DONNA (scoppiando in pianto) Perché?

L’UOMO (per l’affanno d’una giornata ch’è stata un secolo, casca stanco sulla sedia

presso il letto, La voce di lei che gli risuona nell’anima - «Perché?» -

Non sa nemmeno lei il perché! - Guarda ancora la donna e la vede quale è realmente: un piccolo corpo fragile che sussulta ad ogni singhiozzo. Egli, che spasima di dolore, comprende quale schianto interno ella sentirà ad ogni sussulto. - Pensa alle insidie della vita; pensa all’eterno rimescolio della strada dove, costretto a lavorare, ha sentito più volte le acuminate punte dell’invidia, dell’odio, del livore, del disprezzo pungergli il cuore; vede l’intricato turbinio dell’umanità, ne sente il brulichio, ne vede l’incomposto serpeggiare delle passioni. Si sforza di pensar quella donna, quell’esile creatura peccatrice, sola in mezzo al mondo. - Si alza; va verso la finestra. La città dorme. Una fine pioggerella sbatte sui vetri. –

Il buio lo atterrisce; torna indietro) Anna, va a letto45.

Vediamo come il pensiero divagante dell’uomo, che riguarda il linguaggio dell’anima, nella prima didascalia, sia collegato ad una realtà di lavoro e di fatica, causa determinante del «casca stanco sulla sedia» della didascalia successiva. L’apertura introspettiva si collega nuovamente alle tonalità veristico-naturalistiche. La chiave di volta di questo procedimento dialettico è il cenno allo sguardo realistico oggettivo del «la vede quale è realmente» che si collega immediatamente all’effetto prodotto sull’uomo: egli si abbandona ad un pensiero totalmente autonomo e collocato in una dimensione spazio-temporale distante rispetto a quella scenica. Lo stesso sforzo dell’uomo nel figurarsi l’esile creatura testimonia l’avvenuto passaggio tra le due dimensioni. Il superamento del teatro borghese, imperniato sul triangolo marito-moglie-amante, avviene con il rifiuto, da parte dell’uomo, di seguire il codice d’onore che lo porterebbe ad abbandonare la moglie

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21 adultera: grazie a un’intima e travagliata meditazione interiore, l’uomo finisce per accogliere il valore tradizionale della famiglia46.

Vi è ancora la rappresentazione dell’ottica privata del personaggio e del riverbero delle sue innumerevoli passioni. Il pensiero puramente interiore scandito da quell’azione dell’anima di vedere e rivedere, è lo stesso esito al quale Rosso perviene nella precedente sintesi L’occhio chiuso, di quel «io mi rivolgo e guardo dentro» che esprime a pieno quella poetica della ‘vista interna’ consona al movimento espressionista.

Sul piano «tematico e tecnico-drammaturgico» si può rilevare un collegamento tra la sintesi L’occhio chiuso, le altre sintesi e «una fondamentale linea del teatro successivo sansecondiano»: dal punto di vista tematico abbiamo il motivo della «notte», dal punto di vista della strutturazione drammaturgica, lo sdoppiamento tra passione e riflessione47.

Nonostante l’avvicinarsi al Nuovo Teatro, l’autore continua dunque a conservare riferimenti alla tradizione isolana, «sia popolare-dialettale che, […] verghiana». Vediamo infatti come nelle successive sintesi, La fuga, Il re della zolfara e La sintesi, predomini maggiormente l’ambientazione siciliana ma al contempo temi e miti regionali continuino ad essere immersi dall’autore in una prospettiva culturale tutta europea. Ne La fuga troviamo «il bellimbusto smargiasso e pauroso, la sedotta-e-abbandonata ingenua e passionale, i modi tipicamente meridionali del rapporto maschio-femmina, lo spettro dei ‘fratelli terribili’ e del padrone avaro e tirannico»48. Ne Il re della zolfara viene proposto, attraverso i conflitti tra ribelli e vecchio minatore, il tema della zolfara, modulo tipico del teatro verista siciliano:

IL CAVALIERE SABUCIA …Ma siamo tutti disgraziati! Tutti! Anch’io! Anch’io! E più di voi! [...] La nostra disgrazia è d’essere nati qua, in questa terra bruciata! (Col braccio

teso verso la porta) È quello il nostro nemico! È quello! Vedete com’è giallo! Come la

faccia della morte è giallo!49.

Nel linguaggio delle didascalie emerge un modo di giudicare il mondo contemporaneo tipico di un popolo abbandonato e sottomesso, che accomuna i destini degli «sbandati» sansecondiani, anticipando gli sviluppi dell’opera più matura:

46 Cfr. R. SALSANO, L’immagine e la smorfia, Rosso di San Secondo e dintorni, cit., p. 81-106. 47 Ivi, p. 96.

48A. BARSOTTI, Rosso di San Secondo, cit., p. 19.

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22 «La massa ribelle esce, stringendosi per l’angusta porta e si riversa sul piazzale, muta,

vinta, disfatta […]. Torna la massa ribelle, pei cento buchi della montagna, dentro la terra, rassegnata al suo destino…»50.

L’istanza psicologica, nella rappresentazione sulla scena del pensiero e dei sentimenti dei personaggi, rivela la futura tendenza al monologo e alla liricità del futuro teatro sansecondiano. Il tono esasperato che contraddistingue ambienti e personaggi anche diversi tra loro, ma comunque accomunati dalle stesse angosce e dalle stesse passioni, si evolve originalmente nel successivo Marionette, che passione! del 191851.

Ne La sintesi i temi principali sono la solitudine del vecchio pastore e il mito della maternità. Si tratta dell’ultima sintesi della raccolta, quella che maggiormente risulta esente da un effettivo intreccio. Tutto il testo poggia sull’estrema decisione del pastore di sacrificarsi a vantaggio del resto della famiglia. È per questo che questa sintesi è la più vicina al taglio tipico del ‘genere’, ma è anche il componimento nel quale «il verismo descrittivo» dell’ambiente campestre e pastorale che fa da sfondo al dramma «accoglie la tensione d’una religiosità laica nell’intuizione d’una vita ideale oltre la morte»52. Anche qui, nell’impianto drammaturgico, si vede come per l’autore contino più delle parole, i gesti, i sospiri e le pause che Il pastore scambia con La moglie, tutti elementi che scandiscono ogni momento dell’esistenza che al contrario la parola da sola non è più capace di esprimere. Rosso concentra in questa sintesi tutto il dolore dell’Umanità: un padre consapevole di morire, supplica la moglie di lasciarlo solo e di avviarsi verso il feudo prima che il sole tramonti, perché solo sapendola salva, insieme alla creatura che porta in grembo, potrà morire sereno. Con l’arrivo del buio della notte è la morte stessa a far cessare la rappresentazione. In quest’ambientazione rustica e piena di miseria «l’angoscia si iperbolizza dunque nell’evento per eccellenza tragico del nostro quotidiano, la morte»53.

IL PASTORE (si è alzato su d’un braccio, ha guardato sorridendo la moglie ch’è scomparsa;

ora si mette di nuovo supino; si fa il segno della croce) In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito

Santo.

50P. M ROSSO DI SAN SECONDO, Il re della zolfara, in ID., Teatro, cit., vol. I, p. 81.

51 Cfr. A. GUIDOTTI, Spazio scenico come “camera oscura” nel teatro di Rosso di San Secondo, in

Storia della Sicilia, Pensiero e cultura letteraria dell'Ottocento e del Novecento, cit., p. 208.

52 Cfr. R. SALSANO, L’immagine e la smorfia, Rosso di San Secondo e dintorni, cit., p. 109. 53P. PUPPA, La morte in scena, cit., p. 13.

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23

(Si volta su di un lato, il suo respiro si fa più calmo. Chiude gli occhi. Aspetta.)54.

Il fatalismo regionale che lo scrittore siciliano porta con sé, rappresentato mirabilmente dal dialogo denso di pathos tra Il pastore e La moglie,

«verrà a coincidere, ai primi del novecento ma ancor più fra le due guerre, col presentimento d’un fenomeno più vasto, di portata europea, […] responsabile dell’alienazione o integrazione meccanica degli individui nella società moderna»55.

Con la sintesi L‘anniversario ci spostiamo invece verso ambientazioni e personaggi borghesi. La vicenda si avvicina molto allo stampo umoristico e all’ironia tagliente, per la situazione che viene a crearsi sulla scena: l’anniversario della morte del marito della protagonista diventa occasione per la nascita di un nuovo rapporto, grazie a un incontro fortuito, tra la donna e un amico del defunto stesso. Abbiamo una «ironica visione corrosiva della durata dei vincoli affettivi istituzionali» che ci ricorda, quasi, l’amara saggezza di alcune novelle pirandelliane. L’argomento serio della sintesi si snoda alla fine con una chiusa che si colloca fra commedia e tragedia56:

IL SIGNORE […] Ci rivedremo domani?

LA SIGNORA Domani? No… è l’anniversario… è un anno domani!... Vado a Roma… vado a deporre una corona di fiori…

IL SIGNORE (resta pensieroso. Una lunga pausa)

LA SIGNORA (l’osserva attentamente).

IL SIGNORE (dopo avere un po’ esitato) Se mi permette domani… di accompagnarla…

LA SIGNORA Oh! Perché deve perdere un bagno?

IL SIGNORE Anche per l’amico… una visita alla sua tomba…

LA SIGNORA (porgendogli la mano con un sorriso) Grazie… grazie… venga. Alla stazione… domani… con il primo treno.

IL CAMERIERE (dietro al banco) Scommetto che si sono intesi57.

L’anniversario si colloca dunque fra la vecchia commedia borghese, della quale però rifiuta le lunghe rappresentazioni con conseguenti particolarizzazioni di dialoghi, ambienti e personaggi, e l’imminente teatro grottesco. Per quanto riguarda alcuni elementi della vicenda e dell’atmosfera che avvolge la sintesi, possiamo cogliere dei collegamenti con il futuro dramma Marionette, che passione!: personaggi borghesi

54P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, La sintesi, in ID., Teatro, cit., vol. I, p. 90. 55A. BARSOTTI, Rosso di San Secondo, cit.,pp. 19-20.

56R. SALSANO, L’immagine e la smorfia, Rosso di San Secondo e dintorni, cit., p. 110. 57P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, L’anniversario, in ID., Teatro, cit., pp. 70-71.

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24 avvicinati grazie a un incontro fortuito; stessa atmosfera sonnolenta e monotona (la scena della sintesi è invasa dalla «calma grave dei pomeriggi estivi»); ricorrere della presenza di situazioni appartenenti alla routine quotidiana (come si evince dalla didascalia iniziale nella quale vengono descritte le azioni prima di un cameriere e poi di un ragazzo); l’atmosfera statica iniziale dell’ambiente che va a contrastare con la successiva vivacità del dialogo che vi esplode58. Elementi, questi, che ritroveremo ampliati in Marionette.

L’esperienza futura di Rosso lo porta a rappresentare una crisi esistenziale e poetica che non può più essere contenuta entro gli schemi delle Sintesi, incapaci, nella loro visione ‘ristretta’, di rappresentare il ‘grottesco’ dell’esistenza «come momento di mediazione verso un espressionismo più complesso e tragico»; ma se le Sintesi, e come vedremo altri lavori del primo periodo, esprimono ancora fiducia nell’animo e nei valori dell’uomo, è solo con il romanzo La fuga del 1917 che si impone lo sconvolgimento di ogni tipo di giudizio e di morale, sconvolgimento che raggiungerà l’apice con il dramma

Marionette, che passione! del 191859.

2.2 Rosso e le tappe della sua «fuga»

Rosso, fuggito quasi dalla terra natale e dalla difficile situazione familiare, giunge giovanissimo a Roma e dopo aver interrotto gli studi universitari, tenta una nuova «fuga», questa volta in Olanda, nel 1907. Rientra nella capitale dopo tre anni per ultimare gli studi, ma l’esperienza in Europa lascia una traccia profonda nella sua vita e nel suo immaginario. Per Rosso questo primo spostamento verso l’Europa rappresenta il momento di fondazione di quell’asse Nord-Sud, tanto geografico quanto umano e morale, che negli anni la critica, insieme alla costante tematica della «fuga», ha rintracciato nei suoi scritti. La ‘fuga’ compiuta da Rosso, agli inizi della sua esperienza biografico-letteraria, si presenta innanzitutto come un «viaggio della coscienza e dell’esperienza» per poi diventare man mano «via crucis dell’individuo, insofferente della propria impotenza ad agire e che si dibatte fra le maglie di […] quel destino contemporaneo che sembra frustrare […] ogni velleità umana di libera scelta, di autodeterminazione»60.

La sua formazione culturale sarà fortemente influenzata da questi spostamenti:

58 Cfr. R. SALSANO, L’immagine e la smorfia, Rosso di San Secondo e dintorni, cit., pp. 110-111. 59 Ivi, p. 114.

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25 «più che dai libri i suoi punti cardinali sono dati dai luoghi che assumono un valore emblematico: la Sicilia solare e istintiva, la metropoli caotica e alienante, il Nord con il calore bianco dei suoi rigori invernali che favoriscono l’ordinato delirio di una ragione vanificante»61.

Punti cardinali questi mai immobili e costanti, che rappresentano il punto di partenza per le sue future riflessioni sulla natura dell’animo umano. Proprio nella prosa dei primi anni è possibile rintracciare tali moduli interpretativi, prima che la critica ponesse maggiore attenzione sull’autore di teatro a discapito del narratore.

A partire dal 1912 fanno la loro comparsa nella nuova rivista «Lirica» i primi scritti in prosa di Rosso, ovvero quelle novelle che nel 1914 verranno raccolte in volume presso Sanpaolesi sotto il titolo di Elegie a Maryke. Quest’opera e le novelle raccolte in seguito in Ponentino (1916), si pongono a una certa distanza dai modelli del naturalismo isolano che caratterizzano invece le prime opere drammaturgiche dell’autore. Esse tendono a privilegiare i moduli dell’area vociana entro cui si andava elaborando un tipo di narrativa basata sulla frantumazione del racconto tardo-ottocentesco, attraverso la linea del narrare per frantumi. Per di più la prosa autobiografica si offriva all’autore come la più congeniale ad esprimere le proprie tensioni esistenziali. L’ambientazione di questa prima esperienza narrativa dell’autore è appunto l’Olanda. L’impianto fortemente lirico, sorretto dai pensieri e dai tormenti interiori di un anonimo quanto sconosciuto narratore, ci induce a pensare che si tratti di testi scritti, o perlomeno pensati, durante gli anni del volontario ‘esilio’ in Olanda, come una sorta di ‘diario’ lirico che registra, con lieve trasfigurazione simbolica, le emozioni e le riflessioni dello stesso autore. Composte da una serie di brevi novelle, le Elegie delineano dal punto di vista dell’anonimo protagonista la storia d’amore con la ragazza del titolo, dal loro primo incontro casuale alla separazione finale e allo stesso tempo ci viene mostrato il percorso di ‘cura’ che l’io narrante intraprende in un paese straniero. Il testo comincia infatti con un’immagine di smarrimento: lo sconosciuto narratore si ritrova in una spiaggia del Mare del Nord quasi come se non avesse idea delle motivazioni che lo hanno spinto fino a lì:

«Chi mai mi ha scaraventato su questa spiaggia sonante che sembra da un momento all’altro deva, infrollita, disfarsi nel mare? Era dunque mio destino che io passassi i piedi

61G. CALENDOLI, La formazione culturale di Rosso di San Secondo, in Rosso di San Secondo nella

cultura italiana del Novecento, a cura di E. Bellingeri, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, p.

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26 su questi banchi di sabbia che con la loro inerzia trattengono il bello e leonino impeto dell’onda?»62.

Da queste poche righe è possibile cogliere le linee di sviluppo della prima esperienza narrativa di Rosso, piene di lirismo e di immagini simboliche dalle quali con il tempo egli si allontanerà per assumere forme più propriamente convenzionali. L’autore inventa un nuovo personaggio che immette in un’atmosfera piena di angoscia e oniricità: è il personaggio ammalato tipico del Novecento che cerca una cura alla sua malattia interiore. Non è un caso che l’autore inizia il racconto proprio con un interrogativo esistenziale, che scaturisce dall’anima del protagonista turbato dal proprio presente e incerto sul proprio futuro. La prima immagine che ci viene presentata si pone dunque come simbolo di questa situazione interiore: una spiaggia che è da un lato in grado di trattenere l’impeto del Mare del Nord, dall’altro è ad un passo dal lasciarsi trascinare via da esso. Il discorso si sposta automaticamente sul rapporto conflittuale tra Uomo e Natura, l’impeto dell’onda che si infrange sulla spiaggia suscita nell’io narrante alcune riflessioni sull’arroganza dell’Uomo nei confronti della Natura stessa.

«Questo tratto miserello di costa, che la piccola genía degli uomini, con faticosi sudori, ha rubato al regno delle acque e che nella vasta scena rappresenta la terra, è ben meschina cosa nuda e scura con un lembo chiaro di sabbia davanti […]: le casette dai tetti rossi allineati sulla duna, entro cui la grossolana vanità borghese si scalda, sicura di sé, accanto al caminetto, sembrano gingilli posati là a caso dalle mani del destino, ad un cenno del destino pronti a ruzzolare»63.

«Oh, possedere per un istante le mani di un Dio e farle piombare dalle nubi ad un tratto su tanta ridicola ambizione di Governi e di popoli, su tanta ridicola menzogna! Menzogna!... Tutta menzogna!...»64.

Il tratto di costa che è riuscito a sfuggire al dominio dell’acqua è simbolo delle capacità e allo stesso tempo del vano orgoglio dell’Uomo, che risulta ben poca cosa di fronte alla Natura possente: questa continuerà a dominare in eterno a discapito dei ridicoli tentativi di prevaricazione intrapresi dall’Uomo. In seguito anche le casette borghesi dai tetti rossi che vediamo emergere dal freddo paesaggio, ancor più della spiaggia, si erigono a simbolo della vacua vanità e dell’ignoranza dell’Uomo nei confronti del Tutto.

62P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, Elegie a Maryke, Roma, Sanpaolesi, 1914, p. 11. 63 Ivi, pp. 11-12.

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27 Il tormentato protagonista riesce solo momentaneamente a trovare la pace interiore grazie alla presenza della ragazza, la quale si presenta quasi come una divinità, una creatura onirica appartenente al mondo naturale. Il protagonista soggiorna in un villaggio immerso nella natura e ogni giorno percorre la strada che lo porta alla spiaggia dove Maryke ha la sua dimora privilegiata. Tutte le descrizioni dei loro incontri sono piene di accostamenti della giovane al mondo naturale; l’ambiente nordico risulta dunque essere inscindibile dalla ragazza che profuma di natura e dal suo corpo «s’eleva si fresco odore di latte». L’arrivo dell’inverno offre lo spunto per ulteriori considerazioni sull’impotenza umana nei confronti della Natura: i due protagonisti, trovandosi nel mezzo di una bufera di neve, sono travolti da un vento impetuoso, e l’io narrante nota come l’uomo sia così ingenuo da credere che «il cambiare di stato e di condizione quando si voglia» sia una propria prerogativa. L’arroganza dell’uomo arriva così in alto da considerarsi egli stesso l’elemento dominante, arrogandosi il diritto di plasmare il mondo a suo piacere. In realtà gli uomini, pur convinti di predominare, combattono uno scontro impari con la Natura.

Da una parte abbiamo dunque l’aspetto più selvaggio e primordiale della Natura, con la potenza degli agenti atmosferici che mettono alla prova gli esseri umani, dall’altra parte vediamo il protagonista in grado di assaporare la parte più dolce di essa attraverso la figura di Maryke che ne diviene il «simbolo lirico […] in una specie di immersione panica, a tratti sensuale, e a tratti astrale, nel cosmo misterioso della natura»65.

La casa di Maryke risulta ben diversa dagli interni delle case borghesi che Rosso descriverà in numerose occasioni nella sua produzione successiva: essa risulta essere un’estensione del paesaggio naturale, all’interno del quale l’io narrante è capace di raggiungere una completa pace interiore. Continuando a camminare in parallelo con quello che è il moto circolare proprio della natura, anche le Elegie si chiudono con il richiamo a quello che è stato il loro inizio, ovvero la spiaggia deserta. Ora però il protagonista è giunto a una nuova fase della sua vita: anch’egli, grazie a Maryke, può sentirsi un tutt’uno con la natura:

«Siamo come l’acqua freddi, come la terra, come le nubi. E, come il nostro spirito attonito si è disciolto nella immensità, così un desiderio fisico è nelle membra di disfarsi nel mare, nella sabbia, fra la schiuma e divenire, mare, sabbia, aria, schiuma…»66.

65A. BARSOTTI, Rosso di San Secondo, cit., p. 30.

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