81Figura 2: Frazioni di abitazioni (%) con livelli eccedenti 200 Bq/m 3 (dati normalizzati alla
3. Energie rinnovabili
3.3 Energia idroelettrica
Oggi la produzione mondiale d’energia idroelettrica, pari a circa 1 GTep (1 miliardo di Tep), è 5 volte maggiore di quella di 10 anni fa. Questa fonte, a differenza dell’eolica e del solare, offre un apporto non insignificante al con-sumo energetico mondiale, che è dell’ordine di 10 GTep (la frazione elettrica è pari al 14% a livello globale ma a circa il 35% se si considerano solo i Paesi industrializzati). Le potenzialità dell’idroelettrico, però, non sono illimitate e sono già oggi quasi completamente sfruttate: se si tiene conto delle risorse effettivamente sfruttabili non si ritiene si possano superare rese superiori ai 1.2 Gtep/anno e, comunque, le potenzialità globali non vanno oltre i 3 GTep/anno. La maggior parte del potenziale idroelettrico non utilizzato si trova in Asia, Sud America e in Europa Orientale: il potenziale non sfruttato nei Paesi industrializzati è una quota minima. Nel complesso, il Consiglio mondiale dell’energia non prevede un contributo idroelettrico superiore al 7% del fabbisogno totale.
L’idroelettrico ha un impatto ambientale non indifferente sui climi ed ecosiste-mi locali, in conseguenza di deviazioni di corsi d’acqua, soppressione e decomposizione della vegetazione che occupava le zone inondate, e anche un impatto sulla popolazione, a causa della possibile necessità di spostamenti e dei rischi di rotture con possibili eventi catastrofici (quello delle rotture è un rischio reale: in media, nel mondo, si verifica una rottura all’anno).
3.4 Biomassa
Il desiderio di sfruttare la biomassa per produrre energia si fonda su due tipi di vantaggi, solo presunti o ragionevolmente probabili. Al primo tipo dà grande importanza un forte movimento d’opinione, convinto che i cambia-menti climatici, venturi o già in atto, siano dovuti a un aumento di concen-trazione del biossido di carbonio nell’atmosfera. Tale teoria, che ha portato alla stesura del protocollo di Kyoto, ha sostenitori ma anche validi opposito-ri nel mondo scientifico; questi ultimi, alla luce dei dati speopposito-rimentali raccolti nel Novecento sulle temperature della bassa atmosfera e sull’andamento della
98
concentrazione suddetta, muovono critiche molto forti ai modelli usati per predire il clima dei prossimi decenni.
Esistono comunque argomenti meno opinabili a favore dell’uso energetico delle biomasse. In linea di principio, esse possono contribuire a ridurre la dipendenza dagli stati esteri produttori delle materie prime impiegate tradi-zionalmente come fonti d’energia. Inoltre, dopo l’11 settembre 2001, il mondo civile è divenuto molto più sensibile alle minacce terroristiche; e può dunque apprezzare la frammentarietà intrinseca allo sfruttamento energetico delle biomasse, che avviene in impianti di dimensioni relativamente contenu-te, e anche la pericolosità molto minore d’un deposito di biomassa, rispetto a quelli dei combustibili fossili o nucleari.
Nell’aprile 2002 s’è svolto a Pisa un seminario del programma PROBIO. Vari oratori hanno illustrato le prospettive della bioenergia (o energia da biomas-sa), alcune delle quali incoraggianti. Ci sono però anche aspetti diversi. Uno degli organismi organizzatori ha pubblicato nello stesso mese un documento dove, nel paragrafo dedicato al biodiesel (cioè al carburante per motori die-sel ricavato chimicamente da oli vegetali), si legge: “L’Italia importa circa il 70% degli oli per la fabbricazione del biodiesel prevalentemente da Francia e Germania e, in misura minore, da altri Paesi europei ed extraeuropei”. Pur se non ufficiale (come dichiarato da V. Bartolelli, vicepresidente, ITALBIA, Ita-lian Biomass Association), questo dato mostra già come l’Italia non possa illu-dersi che il settore possa dare un gran contributo alla valorizzazione d’un prodotto nazionale, avvalorando dunque lo scetticismo che, a proposito delle forti agevolazioni fiscali al biodiesel, il comitato scientifico dell’ANPA ha già manifestato.
Nel gennaio 2002, nel corso d’un convegno a Roma, l’economista G. Munda comunicò un’informazione che, accostata a quella di poco sopra, rafforza parecchio la sensazione che sia necessaria un’informazione più corretta, e magari che la politica italiana sul biodiesel debba cambiare: il nostro paese produce il 70% del biodiesel europeo. In poche parole, le agevolazioni fisca-li itafisca-liane vanno a beneficio delle economie d’altri paesi, che nel biodiesel credono molto meno.
Il chimico S. Ulgiati espose inoltre i risultati d’alcuni calcoli molto interessan-ti: se il biodiesel dovesse essere miscelato al 5% (il limite entro cui non sareb-bero necessarie modifiche ai motori) in tutto il gasolio consumato in Italia, nella migliore delle ipotesi la produzione agricola nostrana, per far fronte alla domanda, sarebbe costretta ad aumentare del 200%, occupando il 50% di terreno in più. Crescerebbero del 20% anche l’acqua consumata e i pesti-cidi immessi nell’ambiente. L’obiettivo è dunque molto pericoloso, e
l’Istituto Nazionale di Ricerca dell’Alimentazione e Nutrizione, portò l’esem-pio del Brasile, dove, per produrre il carburante bioetanolo sufficiente agli spostamenti di quarantamila persone, si è dovuto fronteggiare un inquina-mento pari a quello delle attività di due milioni di abitanti.
Su uno degli ultimi numeri dell’organo ufficiale della Società Chimica Italiana, A. Girelli, dopo aver riprodotto una tabella da fonte attendibile che ricorda come il potere calorifico del petrolio grezzo sia notevolmente maggiore di quello dei vegetali più importanti, ha scritto: “La lotta all’inquinamento, alla quale fanno spesso riferimento gli zelatori delle biomasse, mi sembra alquan-to pretestuosa, daalquan-to che le emissioni del cosiddetalquan-to biodiesel non sono nel com-plesso assai migliori di quelle del gasolio debitamente raffinato”. Altrettanto si può dire dell’idea d’un ritorno in grande stile al legno come combustibile: il suo potere calorifico è meno della metà di quello del petrolio grezzo, per tace-re del fatto che la legna da ardetace-re è il combustibile solido la cui combustione genera emissioni particolarmente inquinanti (soprattutto particolato).
C’è poi l’aspetto quantitativo. Nel 2000 la biomassa rinnovabile, compreso il legno, il gas prodotto nelle discariche e il bioetanolo, fornì soltanto circa il 3,4% dell’energia necessaria agli Stati Uniti, sommando elettricità, carburanti e riscal-damento. Il rendimento con cui le piante immagazzinano l’energia solare è in media circa lo 0.1%. I costi di raccolta e trasporto della biomassa a grandi impianti industriali è molto alto, perché essa ha una bassa densità energetica. Ciò ne ha ristretto lo sfruttamento ai siti dove viene raccolta per altri scopi: car-tiere, stabilimenti alimentari, centri di raccolta e trattamento dei rifiuti.
Dal punto di vista economico, il rendimento energetico della biomassa è molto inferiore a quello dei combustibili fossili. I programmi americani più recenti nel settore della bioenergia si sono spostati verso le cosiddette bioraf-finerie integrate, capaci di produrre, con grande elasticità, oltre all’energia elettrica, anche sostanze chimiche d’interesse industriale (tramite processi enzimatici o pirolitici) e carburanti, in modo da adattare la produzione alla domanda variabile del mercato. Per i piccoli impianti, come potrebbero esse-re quelli delle singole fattorie, la biomassa potesse-rebbe subiesse-re gassificazione ter-mica o degradazione enzimatica, e alimentare celle a combustibile.
Rimangono tuttavia i limiti per cui si calcola in almeno 2500 km2la superfi-cie da coltivare (alle nostre latitudini) per fornire biomassa a una centrale da 7 miliardi di kWh/anno (per dare una vaga idea, circa un quarantesimo del fabbisogno italiano), e si ricorda che occorre consumare un litro di combu-stibile fossile per produrne due d’olio di colza esterificato (da usare come bio-diesel) o uno e mezzo di bioetanolo.
Anche F. Trifirò, nel settembre 2001, metteva in guardia contro convinzioni errate: le biomasse “devono essere raccolte, lavorate e fatte ricrescere di
100
nuovo, con i tempi dettati dalla natura; per ottenerle occorre sudore della fronte, terreno, acqua non salmastra, insetticidi, fertilizzanti e forse anche sementi geneticamente modificati, per aumentare la produttività dei raccolti. […] Attualmente in Malesia ci sono magazzini colmi d’olio di palma non uti-lizzato, materia prima ottimale per il gasolio, ma quello derivato dal petrolio è ancora più economico. Infine, ci si può chiedere quale senso abbia l’utiliz-zo delle risorse agricole per produrre prodotti chimici, quando ci sono miliar-di d’inmiliar-dividui sul pianeta ancora da sfamare e la terra è ancora piena miliar-di petrolio, carbone, gas naturale e scisti bituminosi”.