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EPIGRAFE FUNERARIA GRECA CONSERVATA A GENOVA NEL CASTELLO MACKENZIE

?

Il castello Mackenzie fu costruito tra la fine del secolo scorso e gli inizi del Novecento dall’architetto Gino Coppedè in eclettico stile neogotico esso domina la valle del Bisagno nei pressi della piazza Manin, là dove sono ancora conservati tratti delle fortificazioni secen­

tesche, precisamente a ll’innesto fra le mura dello Zerbino e le mura di S. Bartolomeo. Dopo un periodo alquanto lungo di parziale abbandono e di usi impropri, il poderoso e complesso edificio, acquistato da una Società privata che intende destinarlo a Museo del Novecento, è ora og­

getto di lavori di restauro, che hanno offerto alla Soprintendenza archeo­

logica della Liguria l ’occasione di compiere ricognizioni sui materiali de­

corativi che il committente vi fece inserire al momento della costru­

zione: si tratta, fra l ’altro, di numerosi pezzi di scultura in bassorilievo

Questo contributo rientra n ell’ambito di un progetto di ricerca di interesse nazionale, condotto presso l ’istitu to di Storia Antica e Scienze Ausiliarie d ell’Uni- versità di G enova col finanziamento del Ministero della Pubblica Istruzione, sul te­

ma: «E p igrafia e territorio: la Grecia e le regioni periferiche settentrionali in età antica ».

1 Gino Coppedè nacque a Firenze il 26 settembre 18 66 e morì il 20 settem­

bre 19 27. Proprio la progettazione e la costruzione del castello Mackenzie a Genova (tra il 18 97 e il 1906) lo portò alla ribalta fra gli architetti contemporanei. Il com­

m ittente, Evan Mackenzie, un facoltoso assicuratore, fiduciario a Genova dei Lloyds di Londra, era un appassionato d’arte, studioso e collezionista, fra l ’altro, di edi­

zioni dantesche; egli stesso a Firenze raccolse pezzi di antiquariato destinati al co­

struendo edificio. Cfr. R. B ossaglia-M . Cozzi, I Coppedè, G enova 1982, pp. 11-12 , 2 2 (sul cosiddetto "stile Coppedè"), 49-55 (con alcune foto del Castello: a p. 55 la foto 47 mostra una veduta d ’insieme del cortile in cui, nel muro alla sinistra di chi sale la prima rampa di scale, si scorge la collocazione d ell’epigrafe greca), 161- 16 4; per la biografia M. Cozzi, s.v. Coppedè, Gino, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, X X V I I I , 19 83, pp. 593-597. U n’ampia documentazione fotografica del castello è anche n ell’opera, curata dallo stesso architetto: Castelli e ville di Gino Coppedè, Milano, s.d. (ma 19 14 ), tavv. 1 - 2 3 . Sul Mackenzie: R. B ossaglia-M . Cozzi, op. cit., p. 49 con nota 8,

e di alcune epigrafi, di varia età, murati in diverse sedi negli spazi di cortili e terrazzi interni del castello. Tra le epigrafi antiche autentiche ivi rinvenute2, ve n’è una greca. Per invito del funzionario della So­

printendenza, dott. Bruno Massabò, il pezzo è stato controllato autopti- camente il 16 febbraio e fotografato il 24 marzo 1988.

Si tratta di una stele funeraria in marmo bianco - giallastro granu­

loso, rettangolare, larga cm 27 alla base e cm 28 in alto, alta cm 32,8 e sormontata da un frontone a triangolo isoscele alto cm 12, includen­

te un bassorilievo circolare assai consunto (corona?) del diametro di circa cm 6 affiancato da due acroterii parimente logori alti circa cm 8.

M urata alla parete interna di un terrazzo non visibile dalla strada, nel­

la zona nord - est del castello, la stele sporge per lo spessore di cm 1,4 -f- 3. Lo specchio epigrafico, circondato da una cornice liscia, larga cm 3,5 alla base e cm 2,2 ai lati lunghi, oltre che da una cornice in lievissimo aggetto che sostiene il frontone, misura cm 22 alla base ed è alto cm 28. La stele presenta una frattura smussata e scheggiata in cor­

rispondenza dell’acroterio sinistro, ove è visibile in parte una grappa in ferro; essa risulta in linea con lo spiovente sinistro del frontone. La pietra è inoltre rotta, con smussature al centro e a destra, trasversal­

mente per tutta la sua larghezza, in corrispondenza della quinta riga del­

l ’iscrizione. Un’altra linea di sottile fessurazione corre quasi perpendico­

larmente dal punto centrale della precedente frattura fino alla base, Sgoc­

ciolature di cemento si osservano sulla parte centrale del frontone e lun­

go l ’asse mediano della stele.

Nello specchio epigrafico si trovano 13 linee di scrittura, lunghe tra un massimo di cm 21,5 e un minimo di cm 14,5. Le lettere sono alte mediamente cm 1,5: alcune di esse (o m i c r o n , th eta e rho) sono an­

golate a losanga, mentre il sig m a è riquadrato: O O ^ II Lo spazio interlineare varia da cm 0,5 a cm 1. L ’incisione, non troppo accurata, è poco profonda; anche l ’impaginazione è imperfetta, soprat­

tutto nell’allineamento a destra e nella centratura dell’ultima riga, la più breve. Lo stato di conservazione è mediocre: sarebbe opportuno un restauro q, almeno, l ’eliminazione delle sgocciolature di cemento che

2 A llo studio di quelle latine si dedica il collega ed amico prof. Giovanni Mennella.

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obliterano in parte alcune lettere. Considerazioni paleografiche assegna­

no la stele al III sec. d.C. Si legge:

A ùp(r)X iav) K c c X W tc L v , A ù p (r))ao v ) 'IitTióo'Tpa- irov, ùòv a ìm j< ; eì-

xoaxE^aé-nqv, %cd

5 • A ù p (r)X iov) 'Irm óffTpctTov, TOTTEpOC 'iTxCTCloffTpà-t o u, èv Suo-!, p/iqaiv xp aTE p à M o tp a xocte

-0T)xaTO. - O tiX (iu o<;) Aòp(T])ao<;) 1 0 Mev o ìtio<; to ù<;

yXuxutóitoui; cruv-YSVEÌt; ¡J,VT)[J(,T)C,

'Xapiv, iipwai;.

1 - 2 A Y P - lapis-, A Y P , e A Y P - C IG ; A Y P . e A Y P . M uratori. 3 TON. Y IO N C IG ; TÒN. Y O N M uratori. 4 KOCIEHAETHN. K À I M uratori. .5 A Y P . C IG e M uratori; 'iTwrócnpaTov letto ancora da C IG è ora del tutto scomparso nel­

la frattura. 6 La stessa ha fatto sparire pressoché integralmente la seconda ir.

7 TOY.EN. C IG e M uratori. 8 M O IP A . M uratori. 9 O Y A A Y P lapis;

0H K A T O - O Y A . A Y P . CIG . 10 M E N O IT IO C --- T O YC M u ratoli; ME-N O I T I O Q T O Y C C IG . 13 X A P IN H P iiA C M uratori; X A P IN . H P ftA C C IG.

« Aurelia Callisto, Aurelio Ippostrato, figlio di lei, ventiseienne, e Au­

relio Ippostrato, padre di Ippostrato, in due mesi la violenta Moira si portò alla tomba. Ulpio Aurelio Menezio (onora) i dolcissimi congiun­

ti, in memoria, come eroi ».

L ’iscrizione, pur non essendo inedita, è poco nota. Il solo testo, senza alcun accenno né alle dimensioni né alla forma del materiale la­

pideo di supporto, fu pubblicato per la prima volta dal Muratori nel N ovu s t h e s a u r u s 3. Più di un secolo dopo, con lievi modifiche, l ’epi­

3 Novus thesaurus veterum inscriptionum . . . , coll. L.A. M uratori, III, Milano 1740, p. M C D X X X IX , 1 (con traduzione latina).

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grafe fu ristampata dal Franz nel III volume del C I G 4: entrambi gli editori affermavano che l ’epigrafe si trovava a Venezia e l ’attribuivano ad Aquileia. Non risulta nessuna successiva edizione; il Kaibel non l ’ac­

colse nella sua raccolta delle I n s c r ip t io n e s Italiae e t Sicìlìae del 1890, limitandosi ad annotare brevemente nella tavola di conguaglio di averla giudicata p e r e g r i n a 5.

Movendo dalle scarne indicazioni fornite dai lemmi del Muratori e del Franz, è possibile ricostruire in parte la storia dell’epigrafe. L ’epi­

grafista tedesco (che subentrò al Bockh n ell’edizione del materiale già in parte predisposto in schede fin dal 1838) 6 disponeva in realtà, oltre che del T h esa u ru s muratoriano, di un’altra fonte, apparentemente ine­

dita: egli cita infatti anche “le schede” del Niebuhr. Quanto al Mura­

tori, egli aveva lavorato esclusivamente a tavolino, come ben sapeva lo stesso Franz, il quale ritenne doveroso riportare nel lemma gli a u cto r e s dell’erudito modenese. Questi si era servito principalmente di una co­

pia inviatagli da uno studioso originario di Udine, allora assai noto e stimato, il conte Francesco B eretta7, ma ne aveva collazionato il testo con un’altra trascrizione, che Apostolo Zeno gli aveva inviato in una scheda (contenente anche il disegno di altre tre epigrafi greche) allegata ad una lettera scritta da Venezia il 17 dicembre 1704 8. Fonte dichiara­

ta dallo Zeno era un suo amico, Giovanni Antonio Astori, corrispon­

dente, fra gli altri, di Scipione M affei9. La scheda, pubblicata con l ’epi­

4 Corpus inscriptìonum Graecarum, III, B erlin 1853, 67 51,

5 Inscriptiones Graecae, X I V , Berlin 18 9 0 , p. 77 7: C IG , 6 7 5 1 abieci pere­

grinimi.

6 C fr. J. Franz in C IG , II I, p. I.

7 Così è chiamato dal M uratori, ma il nome completo era G iovanni Francesco:

W . Monaco, in Dizionario biografico cit., IX , 19 67, p. 55. Nacque a Udine il 21 maggio 16 7 8 e ivi morì il 19 dicembre 17 68: erudito cultore di storia locale, oltre che membro d ell’Accademia romana, è ricordato soprattutto per la Patria del Friuli descritta e illustrata, Venezia 1753. Fra l ’altro, forn ì al M uratori anche il manoscritto di una cronaca locale.

8 V . in Lettere di Apostolo Zeno cittadino veneziano istorico e poeta cesareo . . . , I, Venezia 1752, pp. 10 4-105, n. 72.

9 La voce relativa a ll’Astori manca nel recente Dizionario biografico cit. a n. 1.

C fr. Biografia universale antica e moderna, Venezia, G . B. Missiagli, III, 18 2 2 , p. 358;

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stolario dello Zeno, risulta, al confronto con l ’originale ora ritrovato, paleograficamente accurata. Suscita però meraviglia che il testo epigra­

fico sia raffigurato privo del frontone e inquadrato in una lastra ret­

tangolare circondata sui quattro lati da una larga cornice riempita a tratteggio e sobriamente decorata da sottili strisce a ovoli, che è .da considerarsi del tutto fantasiosa: infatti lo stesso tipo di incorniciatura racchiude nel disegno altre due epigrafi (una stele figurata, a frontone triangolare, e una tabula ansata). Ciò probabilmente è dovuto a man­

canza di interesse per il supporto lapideo. In ogni modo, questa, che è l ’unica traccia archeologica affiorante nella tradizione manoscritta del­

l ’epigrafe, si rivela destituita di attendibilità,

Va poi messo in rilievo che l ’epigrafe risultava integra agli a u cto r e s del Muratori. Ciò permise già al Franz di integrare con certezza la la­

cuna provocata dalla frattura che danneggiava soprattutto la linea 5.

Tale rottura dovrebbe essere abbastanza antica, poiché il Niebuhr omi­

se, nella scheda giunta al Franz, la linea 5 10 : forse la riga era già illeggibile, a meno che l ’omissione non fosse dovuta a mera dimenti­

canza o svista del dotto prussiano. La trascrizione del Niebuhr era, ad ogni modo, fedele nella riproduzione della forma del sig m a riquadra­

to u ; laddove il Muratori prestò, a quanto parrebbe, immeritata fidu­

cia al Beretta, trascrivendo sempre il sig m a lunato, Al contrario, mag­

gior credito, come accennato, avrebbe meritato l ’apografo dell’Astori, che riproduce accuratamente non solo Q , ma anche

O

e ^ (for­

me che nessuna edizione a stampa segnala). Qualche difficoltà suscita però in proposito l ’annotazione del Muratori (riprodotta anche dal Franz) secondo cui Apostolo Zeno in prim a linea l e g it KAAAICTON, in ter-tia YONATHN, in se p tim a ENAYCIMH--- . Infatti il confronto con la scheda allegata alla lettera pubblicata dallo Zeno conferma soltanto in parte l ’osservazione muratoriana circa la linea 3 (che è riprodotta

Dizionario biografico universale, Firenze, D, Passigli, I, 1840, p. 2 0 9 ; N ouvelle bio­

graphie générale, Paris, Firmin-Didot, III, 1855, col. 482. L ’A stori nacque a Venezia il 16 gennaio 16 7 2 ; fu letterato e antiquario, accademico degli Anim ati a Venezia e degli Arcadi a Roma, visse a Padova e m orì a Venezia il 23 giugno 1743.

10 Cfr. l ’annotazione a C IG , 6751, 11 Ibidem.

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così: YONATHC • EI), mentre alla linea 1 si legge KAA AICTiìN e alla linea 7 ENÀYC. IMHC IN. Può darsi che la scheda inviata al Mu­

ratori non fosse veramente l ’originale dell’Astori ma una copia imper­

fetta fattane dallo stesso Zeno, che poi avrebbe pubblicato l ’autografo astoriano insieme con là propria lettera nel suo epistolario: se è così, il Muratori fu indotto dallo Zeno a trovare un’errata conferma alla pre­

senza del sigm a lunato, testimoniata dal Beretta.

Come detto, secondo le concordi testimonianze note al Muratori e al Franz, l ’epigrafe si trovava a Venezia: precisamente nel palazzo Grimani presso la chiesa di S. Maria Formosa. L ’edificio, con ingresso da terra sul ramo Grimani della "ruga” Giuffra, al numero civico 4858, di proprietà statale dal 1981, fu per un certo tempo sede di notevoli raccolte di oggetti d ’arte e di reperti archeologici, radunativi soprattut­

to da due esponenti della omonima famiglia veneziana, che fu partico­

larmente legata alle vicende dell’espansione della Serenissima in Orien­

te 12. Il primo fu il cardinale Domenico, figlio del doge Antonio Gri­

mani e vissuto fra il 1461 circa e il 27 agosto 1523; egli fu appassio­

nato raccoglitore di codici e di antichità varie l3. Ne seguirono le orme sia Marino sia specialmente Giovanni (circa 1500 - 1592 o 1593), che successero a Domenico nel patriarcato di Acjuileia . Una ricca collezio­

ne archeologica greco - romana fu lasciata per testamento dal card. Do­

menico Grimani alla Repubblica di Venezia nel 1523: essa rappresento il primo nucleo dell’attuale Museo archeologico alle Procuratie Nuove.

Questo materiale, già conservato in S. Chiara di Murano, era per gran parte proveniente da Roma, dove Domenico aveva soggiornato e dove m o rì15. Nel 1586 il patriarca Giovanni Grimani donò altri oggetti, che

12 Touring Club Italiano, Guida d’Italia. Venezia, M ilano 19 8 5 3, p. 5 4 6 (e cft.

p. 287). Descrizione e illustrazioni del palazzo in E. Bassi, Palazzi di Venezia. Adm i­

randa urbis Venetae, Venezia 19 76, pp. 228-235. Sulla famiglia Grim ani R. Cessi, s.v.

Grim ani, in Enciclopedia italiana, X V I I, Roma, 19 33, pp. 970-971.

13 V . s.v. Grimani, Antonio, in N ouvelle biographie cit., X X I I , 18 5 8 , coll. 80- 8 1 ; B. Forlati Tamaro, Il Museo archeologico di palazzo Reale di Venezia, Roma 1953, p. 3.

14 R, Cessi, s.v. cit.

15 C, A n ti, Il Regio Museo archeologico nel palazzo Reale di Venezia, Roma 1930, p. 7; B. Forlati Tamaro, /. cit., Ead., L ’origine della raccolta Grim ani, Venezia 19 4 2 (non vidi).

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giungevano non solo da Roma, ma anche da Aquileia e direttamente dalla Grecia. Si tratta di parte della raccolta che era stata in precedenza ospitata nel palazzo presso S. Maria Form osa16: quivi però rimase ancora materiale artistico e archeologico, che purtroppo andò disperso essendo stato messo in vendita dopo la caduta della Repubblica di Venezia e ancora nel corso del XIX secolo 17. Tale fu, evidentemente, la sorte del­

la lapide di Aurelia Callisto, la cui permanenza a Venezia nel palazzo Grimani è, allo stato della documentazione, dimostrata per il periodo dal 1704 ai primi due o tre decenni dell’Ottocento, essendo nota al N iebuhr18. Entrata nel mercato antiquario, se ne persero le tracce e, attraverso vicende che non è stato possibile chiarire, entrò a far parte della collezione Mackenzie a Genova.

Quanto alla provenienza originaria della stele, va sottolineato che la fonte più antica finora rinvenuta (l’Astori citato dallo Zeno nella let­

tera al Muratori del 1704) non parla affatto di Aquileia, limitandosi a questa genericissima affermazione « iscrizioni greche . , . che in Venezia sono sparse, portatevi da varii luoghi » 19. Risulta dunque praticamente certo che l ’erudito modenese ne trovò affermata l ’origine aquileiese dal B eretta20; nel lemma del N ovu s thesau ru s, però, non è esplicitamente det­

to che Aquileia fosse la sede o r i g i n a r i a della stele. Infatti il M u­

ratori scrisse semplicemente: lapis e d u c t u s ex A quileia; nel lemma del

16 C. A n ti, l. cìt.\ B. F o llati Tamaro, II Museo cit., pp. 3-4; Ead., Le iscrizioni greche e latine di Venezia e la loro provenienza, in Actes du I I e Congr. intern. Epigr.

gr. et lat., Paris 19 52, p. 296.

17 E. Bassi, op. cit., p. 2 2 8 ; Touring Club Italiano, Guida cit., p. 546.

18 Questi sono termini prudenziali, poiché del 17 dicembre 17 04 è la lettera di A . Zeno al M uratori e poiché, d ’altra patre, il Niebuhr fu in Italia dal 1 8 1 6 al 18 23:

cfr. H. Nissen, Allgem eine deutsche Biographie, X X I I I , Leipzig 18 66, pp. 655-657.

Non si è rinvenuto, tra le lettere del Niebuhr, nessun accenno riferibile con preci­

sione a ll’epigrafe in esame; in B. G . Niebuhr, Briefe. Neue Volge 18 16 -18 3 0 , Band I, Briefe aus Rom (1 8 16 -18 2 3 ), Bern-München 19 8 1, p. 76 ci sono notizie di un qua­

derno di epigrafi greche (non si sa quali esattamente) avute da A n d ré M ustoxidi a Venezia (lettera da Firenze, in data 2 3 .9 .18 16 alla Philol.-hist. Klasse der Akadem ie der W issenschaften zu Berlin); in una lettera da A lbano del 2 0 .7 .18 2 2 si allude a comunicazioni epigrafiche e filologiche dirette al Bekker, al Böckh e al Buttmann.

19 Lettere di A. Zeno cit., p. 104.

20 N ell’Epistolario di L.A. M uratori, edito e curato da M. Campori, Modena

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CIG q u e ll’e d u c tu s diventa un molto più impegnativo erutus-, in la p id e A quileiae eruto. Ed anche questo piccolo particolare può far riflettere sulla trasformazione delle notizie nel passaggio da un lemma all’altro in mancanza di riscontri diretti. Circa l ’attendibilità della notizia forni­

ta dal Beretta al Muratori, è certamente lecito attenersi alla prudenza, ma, non essendo stato possibile un riscontro diretto nella corrisponden­

za tra il conte udinese e il Muratori, non è neppure corretto accusare il primo pregiudizialmente di errore. Dati i rapporti che Giovanni Gri­

mani ebbe con la città di cui fu patriarca, è del tutto verisimile che egli avesse trasportato di là a Venezia anche la stele di Aurelia C alli­

sto; potrebbe però anche darsi, proprio per la stessa ragione, che il Be­

retta abbia erroneamente messo anche questa fra altre antichità di pro­

venienza aquileiese. La sua origine italiana (e non solo aquileiese) fu negata, come già accennato, dal Kaibel: tuttavia non è stato possibile appurare in qual modo egli giungesse a tale convinzione: può darsi che il Kaibel vedesse direttamente la stele tra l ’ottobre e il novembre 1877, quando egli visitò biblioteche e musei dell’Italia settentrionale, in vista della compilazione del c o r p u s delle I n s c r ip tio n e s I t a l i a e 21, Pur­

troppo non risulta che egli abbia pubblicato nulla in m ateria22; non si può neppure escludere che in quegli anni l ’iscrizione di Aurelia Calli­

sto non si trovasse già più nel palazzo veneziano.

Nemmeno il ritrovamento della lapide sembra possa consentire pro­

gressi decisivi circa l ’identificazione del suo luogo d’origine, a meno che qualche cosa possa dire l ’analisi litologica del marmo, che si spera possa essere effettuata dalla Soprintendenza competente.

1 9 0 1-1 9 1 5 , voli. 12 (più uno di Indici), sono contenute parecchie lettere al Beretta (nei voli. V II I-X I I), ma nessuna fa riferim ento all’epigrafe in oggetto. Si noterà an­

che che non risulta alcuna missiva a ll’Astori.

21 II compito di pubblicare le epigrafi greche d ’Italia e di Sicilia fu affidato al K aibel nel 18 73, ma il lavoro fu interrotto dal viaggio in Grecia fra l ’ottobre 1873 e la prim avera 1874. A metà settembre di q u ell’anno, poi, il Kaibel ritornò in Germ a­

nia. Compì un nuovo viaggio in Italia fra il 18 77 e la prim avera del 18 7 8 ; il corpus era già sostanzialmente pronto nel luglio 18 8 2 : v. W . Radice, G. K aibel, in « Biogra- phisches Jahrbuch fiir Altertum skunde », X X V I I , 19 04, p. 28.

22 Ciò si desume dalla bibliografia del K aibel elencata in appendice aWart. cit.

nella nota precedente.

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L ’analisi interna del testo offre scarsi frutti. Dal punto di vista grammaticale, già il Franz notò la particolarità costituita dall’accusati­

vo KocXXurcciw (per KaXXwrTU), da KaXXio-rcò, -ou<;) alla linea 1 23. Si tratta di un fenomeno che occorre in lesbico, in beotico, talora in do­

rico 24. Ciò potrebbe indurre ad escludere la provenienza dell’epigrafe da zone diverse, per esempio ionico - attiche: ma la prudenza è d’ob- bligo, data la cronologia piuttosto tarda dell’iscrizione in esame, per la quale è possibile pensare a una normalizzazione analogica dei nomi fem­

minili in -w per influsso degli accusativi in -v della prima declinazio­

n e 25. L ’onomastica è poco caratteristica. A parte la presenza dei genti­

lizi romani A urelius e Ulpius, tutt’altro che rari (come è ben noto) nel­

le epigrafi greche e che ben si accordano con la datazione su base pa­

leografica, riportandoci agli anni posteriori al 212 d.C,, i nomi KaXXicnrto, 'I'rT'KÓo'upaTOt; e MevoÌtco<; sono tutti diffusi ampiamente dal punto di vista geografico, se non frequentissimi in assoluto. Il primo è attestato epigraficamente almeno in Attica, in Beozia, nella Locride occidentale, in Argolide, in Eubea, nelle Cicladi, a Cipro, in Asia Minore, in S ic ilia26.

'I'TCTOa'Tpa'coi; si trova almeno in Attica, in Tessaglia, in Macedonia, in Eubea, in Cirenaica, a Cefallenia, in Asia M inore27. Infine, MevoÌttio^

occorre per lo meno in Attica, in Tessaglia, nella regione di Epidauro,

23 In C IG , 6 7 5 1, dove è citato H. L. Ahrens, De Graecae linguae didectis, II, De dialecto Dorica, Gòttingen 18 43, p. 238.

24 H. Chantraine, Morphologìe historìque du grec, Paris 19 642, p. 90.

25 Così già H. L. Ahrens, /. cit.

26 Attica: oltre alle numerose attestazioni negli indici di IG , II (26 occorren­

ze) e di IG , I I I (tre occorrenze), si possono citare: SE G, I I I, 19 7; X I V , 2 0 9 ; X X I , 9 4 2 ; X X I V , 24 3 ; X X V , 2 9 7 ; X X V I I I , 33 9; X X X I V , 193. Beozia: IG , V I I , 2 6 9 4 ; SE G, X V I , 30 0, linea 12. Locride occidentale: SE G , X X I I I , 35 0, linea 3. Argolide:

IG , IV , 697 (Hermione), Eubea: SEG, X X V I I I , 723 e 724 (Eretria). Cicladi: IG , X I I, 5, 1-2, 368 (Paro). Cipro: SEG, X X X , 16 4 4 (Salamina). Asia M inore: IK , 18, 253 (Cizico). Sicilia: SE G, X X V I , 1089 (integrato).

27 Attica: IG , II, 1 1 6 e 243 = IG , II/ III2, 228 e 55 8 ; SE G, X X I , 15 0; X X V I I I , 148. Tessaglia: SE G , X V , 370a; X X I II, 4 2 1 ; X X V , 67 0 ; X X V I I, 2 1 5 . Macedonia:

SE G, X V I I , 3 1 8 (Tessalonica); X X V I I , 2 6 1a (Berea); X X X I V , 639 bis (Kozani, nel­

l ’area di Aiani). Eubea: IG , X I I , 9, 245 A , linea 337; 249 B, linee 32 e 329-330;

378 (Eretria). Cirenaica: SE G , X X , 735a II, linea 3. Cefallenia: SE G , X X V , 607.

Asia M inore: M A M A , V I, 353 (Diokleia).

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nelle Cicladi, a Creta, in Asia Minore 2S. I tre nomi sono, a quanto ri­

sulterebbe, compresenti in attestazioni epigrafiche soltanto in Attica e in Asia Minore. Ma non sembra questo un argomento abbastanza soli­

do, almeno da solo. Nella stessa direzione parrebbe indirizzare l ’uso del­

l ’epiteto 'ripwt; attribuito ai defunti, che compare in Attica soltanto dal I/II sec. d.C. ed è frequentissimo in Asia Minore, ma che è usato an­

che altrove, con o senza la raffigurazione di una corona 29, la cui presen­

za al centro del frontone è però in questo caso assai ipotetica, data la cattiva conservazione. Le formule del testo sono tutte molto comuni:

da pivritXTQ«; X&ptv, di cui ricorrono infiniti esempi in età ellenistica e romana e su cui è perfino inutile soffermarsi, all’aggettivo yXuxutcc'TO^, che è fra i più adoperati per esprimere il rimpianto per i cari defunti30.

da pivritXTQ«; X&ptv, di cui ricorrono infiniti esempi in età ellenistica e romana e su cui è perfino inutile soffermarsi, all’aggettivo yXuxutcc'TO^, che è fra i più adoperati per esprimere il rimpianto per i cari defunti30.

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