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VESCOVI E CAPITOLI CATTEDRALI IN LIGURIA

E m in en tissim o a c R e v e r e n d is s im o lo h a n n i Canestri

A r ch iep isc op o G en u en si

n u p e r ad cardinalatum p r o m o t o .

Valeria Polonio ha curato, oltre al profilo generale, le pagine dedicate a Genova e a Luni - Sarzana; Josepha Costa Restagno quelle relative alla Diocesi di Albenga.

PROFILO GENERALE

Sette anni fa, nel corso del VI Convegno di Storia della Chiesa, C.D. Fonseca, parlando del mondo ecclesiastico genovese nel Duecento, poneva in rilievo « l ’alto tasso di litigiosità tra l ’arcivescovo e il suo col­

legio capitolare » *. L ’osservazione era tanto più interessante in quanto 10 studioso esaminava il settore specifico della cura anim arum , che già di per sé si rivelava buon esempio di contrasti potenziali ed effettivi.

11 fatto è che molti aspetti della vita ecclesiastica ai vertici delle dio­

cesi d ’Occidente, nel periodo che va all’incirca dal X secolo al conci­

lio di Trento, sono fortemente segnati dai rapporti tra i vescovi e i ri­

spettivi capitoli cattedrali.

Come è noto, i capitoli assumono una propria fisionomia giuridi­

ca e umana ben distinta da quella dei presuli, al punto da apparire le­

gati alla cattedrale più degli stessi titolari della cattedra, almeno in al­

cuni casi. Le reciproche relazioni possono oscillare tra punti molto di­

versi, passando dalla collaborazione a contrasti durissimi, a seconda dei luoghi e dei periodi; sovente esse caratterizzano e a volte addirittura condizionano le attività episcopali. Non per niente il Le Bras definisce i corpi capitolari delle cattedrali “ausiliari concorrenti” rispetto ai ve­

scovi. Per le più floride fortune economiche e per il maggior peso ec­

clesiastico di tali comunità egli traccia una parabola ascendente che, nel­

la massima estensione, si colloca tra il secolo X II e il X IV, favorita

1 C.D. Fonseca, Canoniche regolari, capitoli cattedrali e "cura animarum", in P ievi e parrocchie in Italia nel basso Medioevo. A tti del V I Convegno di Storia del­

la Chiesa in Italia (Firenze, 2 1 - 2 5 settembre 19 8 1), Roma 19 84 (Italia sacra, 35- 36), I, p. 273.

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da una disposizione positiva del diritto e della prassi ecclesiastica uni­

versale. Entro queste linee di tendenza, il Le Bras rileva molte e pro­

fonde differenze da luogo a luogo, sia nell’estensione e nell’incisività delle conquiste capitolari, sia nei termini cronologici in cui esse sono poste in atto. Successivamente si nota un’inversione del fatto, altret­

tanto variabile ed elastica2.

Data l ’importanza e la differenziazione del fenomeno, è parso uti­

le esaminarlo da vicino, assumendo come primo campione quella Ge­

nova che aveva già annunciato spunti interessanti. Ma, proprio per la sua speciale fisionomia dalle caratteristiche estreme, è sembrato oppor­

tuno allargare l ’esame ad altre due sedi episcopali liguri, Albenga e Luni - Sarzana. Una sita nella Riviera di ponente, l ’altra all’estremo li­

mite verso levante, per la loro posizione geografica, distanziata e aper­

ta a influssi differenti, esse sono buoni campioni del mondo ligure. A motivo della frammentata storia del medesimo mondo ligure, sono so­

prattutto ottimi esempi di situazioni molto differenti, nei diversi cam­

pi della vita civile che nel medioevo tanto strettamente si intrecciarono con la vita religiosa ed ecclesiastica.

Alle sue origini la vicenda presenta un aspetto uniforme. Tra X e XI secolo i canonici delle cattedrali sono i primi collaboratori del vescovo, in un mondo ecclesiastico che riflette ancora in parte un an­

tico spirito comunitario, ma in cui il presule è sempre più eminente e autonomamente definito. In parallelo i capitoli assumono una propria fisionomia che tende a distaccarsi dalla cattedra e a identificarsi con la chiesa che officiano e con ciò che vive attorno ad essa : la città.

Insisto su questo dato. Nei tre casi esaminati il capitolo e la ri­

spettiva città si corrispondono, si legano reciprocamente per tutta una serie di motivi: vi convergono l ’importanza delle funzioni religiose com­

piute dai canonici e vissute dai fedeli come privati e come membri del­

la comunità; l ’estrazione dei canonici stessi, sovente usciti dal mondo urbano; la parte di prim’ ordine da essi sostenuta - almeno a Geno­

2 G . Le Bras, Le istituzioni ecclesiastiche della cristianità medioevale, ed. ita­

liana a cura di P. C ip ro tti-L . Prosdocimi - A . G ia c o b b i-G . Pelliccia, in Storia del­

la Chiesa dalle origini ai nostri giorni, X II/ 1-2, Torino 1973 - 1974, tomo 2, pp.

499-517.

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va - nell’urbanizzazione di ampie zone, mediante l ’affitto a basso ca­

none di suoli edificabili di proprietà capitolare; vi converge lo svilup­

po del comune, in sintonia con l ’affermazione del collegio che governa la maggior chiesa. Quest’ultimo è, a mio avviso, un altro punto di ri­

lievo. C’è analogia tra lo stile capitolare, in cui opera una comunità im­

portante di per se stessa e che si esprime attraverso le d ìg n ìta te s , e lo stile comunale, che conosce assemblee a livello diverso e opera attra­

verso un sistema rappresentativo.

Tale rapporto privilegiato è un dato comune ai tre casi esaminati.

Invece molto diversi sono i traguardi raggiunti dai tre capitoli. Sullo sfondo generale cui si è accennato, abbiamo situazioni divergenti.

A Genova il collegio che vive all’ombra di S. Lorenzo raggiunge, nella prima metà del Duecento, una posizione tale da dar luogo a una gerarchia ecclesiastica tendenzialmente duplice. Tutta la diocesi si ri­

volge a un vertice doppio; anzi, tutta la provincia: i vescovi suffraga­

ne! prestano giuramento al metropolita e al capitolo affiancati. Questo è il punto di arrivo di una vicenda lunga e articolata. Filoni diversi hanno contribuito a costruire la preminenza capitolare. Lo stesso favo­

re dei vescovi ha fondato e accresciuto una fortuna economica indispen­

sabile e posto il clero della cattedrale in una posizione superiore a quel­

la di altri chierici. Della disposizione della città si è fatto cenno. Un altro settore di grande rilievo è il rapporto tra S. Lorenzo e le altre chiese della città e della diocesi. Tra il loro complesso e il presule, la m a te r e c c le s ia r u m si colloca in una situazione intermedia che tende ad alzarsi sempre più in direzione del vertice. Ultimo settore di grande spicco nel rapporto cattedrale - episcopato è la scelta dei presuli. Il fat­

to è doppiamente importante e per il crescente ruolo rivestito dal ca­

pitolo in seno al corpo elettorale e per la possibilità che uno dei con­

fratelli - per lo più l ’arcidiacono — venga eletto alla cattedra. A Ge­

nova - come altrove - il capitolo tende al protagonismo in fatto di elezioni vescovili. Tuttavia la persistente presenza di almeno un rap­

presentante del restante clero è un significativo richiamo dal basso. An­

cora più importante è il fatto che, già poco prima della metà del Due­

cento, per bocca di molti confratelli cominciano a parlare interessi di gruppo, nel caso specifico della consorteria Fieschi.

Nonostante le ombre che accompagnano il momento della massima affermazione, i canonici hanno coronato con piena soddisfazione uno

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sforzo ascensionale che li ha sovente impegnati in violenti scontri con il capo della diocesi. Nelle altre due sedi i risultati sono molto più mo­

desti. Vi sono somiglianze nel punto di partenza, nelle aspirazioni (evi­

dentissime a Luni - Sarzana, più sfumate ad Albenga che pure vanta la comunità canonicale più numerosa), negli stessi ambiti in cui si espli­

cano le attività e gli eventuali successi capitolari; vi è coincidenza cro­

nologica nella manifestazione di aspirazioni e di affermazioni. Ma le af­

fermazioni della comunità non sfiorano mai la preminenza del presule.

Ciò è evidente nel confronto diretto, nel campo dei rapporti con le al­

tre chiese, nella stessa nomina dei canonici, cui il vescovo resta estra­

neo a Genova, ma non a Sarzana.

A questo punto è inevitabile chiedersi il perché della differenza.

Perché, partendo da aspirazioni e condizioni non dissimili, si approdi a risultati di livello diverso. Io propongo una risposta che tiene conto delle situazioni locali, con molta attenzione per gli aspetti istituzionali e politici, specialmente in rapporto al vescovo e alla città. Si delinea­

no tre casi differenti. Genova e Luni si trovano su sponde opposte: da un lato si pone un precoce e definitivo tramonto delle temporalità ve­

scovili - di qualunque peso esse siano state - , affiancato da una ra­

pida affermazione di forme precomunali e comunali; dall’altro si pre­

senta addirittura il caso della mancanza di una vera città (fatto, credo, eccezionale) e della presenza di un vescovo titolare di comitato. Alben­

ga rappresenta una situazione intermedia tra le due. Là la città esiste, in una ininterrotta tradizione di origine romana; ma nel comitato sono ancora vive le forme feudali, al cui godimento aspirano i protagonisti della vita urbana, proprio il vescovo e il comune. Il risultato è un rap­

porto presule - città molto interessante e di un singolare equilibrio.

Di fronte agli sbocchi notevolmente divergenti, vi è un unico ele­

mento comune. Si tratta di un dato cronologico - collocabile alla me­

tà del secolo X III - che in Liguria segna un punto di arrivo o, in ogni caso, una cesura nella parabola dei rapporti vescovo - capitolo. Da questo momento ha inizio un’inversione di tendenza, più o meno deci­

sa e rapida a seconda dei luoghi e soprattutto degli ambiti di azione.

I canali su cui si rileva il fatto sono gli stessi individuati in preceden­

za, ma si nota una accentuazione del lato puramente ecclesiastico. Nel­

la diocesi di Genova si delinea un livellamento tra le varie parrocchie, livellamento di cui anche la cattedrale risente, in una generale sotto­

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missione all’arcivescovo. Il mondo genovese si avvia a raggiungere la situazione già esistente in precedenza nelle altre due diocesi; alla fine del Trecento l ’operazione è compiuta.

Il filone del legame capitolo - città subisce a sua volta profonde modifiche. L ’inserimento in S. Lorenzo di molti elementi del clan Fie- schi trascina i canonici nel vortice delle lotte di parte. La comunità che officia la cattedrale non rispecchia più la città nel suo complesso: rispec­

chia una o più fazioni. Il capitolo chiude la fase più significativa del­

la sua esistenza, quando era sentito come il portavoce della religiosi­

tà di tutta una comunità fervente e in espansione. Ora esprime un par­

tito, che può fornirgli momentanei successi ma che lo priva della sua vera base vitale. Sovente esprime più partiti. La discordia interna si nota anche a Sarzana. La divisione è rilevabile ugualmente ad Alben­

ga, dove pure la presenza di un deciso vescovo di origine genovese e la dura pressione politica ed ecclesiastica esercitata dalla Dominante nel­

la seconda metà del Duecento hanno lasciato poco spazio ai canonici.

Il coinvolgimento nella politica locale e le fratture interne contri­

buiscono alla perdita - in un primo tempo temporanea e saltuaria - della prerogativa capitolare più prestigiosa: la prevalenza - o l ’esclu­

siva - nella scelta dei vescovi. Ma si tratta di un fenomeno lento e contrastato. Ad Albenga probabilmente i canonici sono tagliati fuori già sullo scorcio del secolo X III. Nelle altre due sedi si danno da fare ben più a lungo, sostenuti anche, verso la fine del X IV secolo, dall’atmo­

sfera del “grande scisma”. L ’ultimo tentativo è compiuto a Genova esat­

tamente nel 1400. Successivamente le scelte, operate formalmente dal papa, non sono esenti da pressioni locali. Nel caso della Dominante tali pressioni esercitano sovente un condizionamento pesante: ma sono le volontà del governo politico che operano direttamente, tramite lettere, ambasciatori, amici, corruzioni; i capitoli - legati a un mondo comu­

nale ormai soverchiato da un’entità politica volta verso forme di prin­

cipato - non solo non sono più protagonisti effettivi, ma non vengo­

no usati nemmeno come paravento.

Quindi è tutto finito? Dopo tanti tentativi e successi i canonici già agli inizi del Quattrocento hanno accantonato ogni aspirazione com­

petitiva nei rapporti con l ’episcopato? Non è così. Almeno non lo è a Genova e a Sarzana. Ad Albenga si rileva una buona armonia, anche a motivo dell’opera di qualche vescovo zelante e attento. Ma nelle al­

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tre due sedi i canonici si sono arroccati in quella che è la base e la ra­

gione stessa della loro esistenza: la cattedrale e il chiostro. Se da un lato hanno perso buona parte del controllo sulla formazione delle loro stesse comunità a motivo delle frequenti designazioni di confratelli ope­

rate dai papi, dall’altro rivendicano autonomia rispetto al presule per il governo integrale del proprio collegio e di tutto il vasto complesso cattedrale. Naturalmente a Genova resta la traccia più profonda di un privilegio più accentuato: là ancora agli inizi del Cinquecento i canoni­

ci esercitano piena giurisdizione sulla propria organizzazione e sul nu­

meroso clero che fa capo alla cattedrale, anche su quello in parte spe­

sato dalla repubblica. La sottomissione formale all’ autorità vescovile giunge unicamente dopo il concilio di Trento; e, forse, uno studio dei tempi successivi potrebbe riservare ancora qualche sorpresa.

Si sono accennate le linee di tendenza e i campi di osservazione di un rapporto che sottintende molti aspetti della vita del tempo, pur nella sua caratterizzazione ecclesiastica. Sotto quest’ultimo aspetto la pa­

rabola si può compendiare nella vicenda dell’espressione E cclesia la n u e n - sis. Nel X e XI secolo essa designa il complesso delle forze ecclesiasti­

che locali; vi presiede il vescovo, che ha una certa cura di partecipare ai laici le decisioni prese. Successivamente il termine comincia a re­

stringersi e a rendere più materiale il significato: nell’uso locale la Ia- n u en sis E cclesia è la cattedrale, la chiesa comunale per eccellenza, che parla, agisce, riceve donazioni tramite il suo capitolo e da esso si fa rappresentare. Dopo il Duecento le due parole lentamente mutano an­

cora significato e tornano a inglobare il clero, uniformemente sottoposto all’arcivescovo; assumono anche una connotazione astratta. In questo pic­

colo itinerario linguistico si colgono i resti di un’antichissima immagine comunitaria; si rileva la successiva tendenza a fissare alla città la sua sacralità, in uno sforzo di autonomia; si nota infine il successo della centralizzazione operata dalla Sede apostolica attraverso un saldo lega­

me con il presule.

ALBENGA

Uno dei più antichi, anzi forse il più antico degli atti che riguarda­

no i vescovi di Albenga - se si eccettuano le partecipazioni a sinodi tar­

do antichi e altomedievali ed altre notizie più indirette o laconiche 1 - è la donazione di un molino in Toirano fatta dal vescovo Deodato

(*) Desidero ringraziare per la loro cortesia: il dott. A ldo Agosto, don A n ­ tonio Bonfante, mons. Fiorenzo G erini, suor Ugolina M ollo, don Claudio Paolocci, mons. Alessandro Piazza, la prof. V aleria Polonio, il prof. G iovanni Puerari.

Nel corso del lavoro vengono usate le seguenti abbreviazioni:

A C A A rchivio Comunale, Albenga

A C apA A rchivio Capitolare della Cattedrale, Albenga A C V A A rchivio della Curia Vescovile, Albenga A R A A rchivio Raimondi, Albenga

A S G A rchivio di Stato, Genova BCapA Biblioteca Capitolare, Albenga BDC Biblioteca D oria, Camporosso

ITPM H istoriae Patriae Monumenta edita iussu regis K aroli A lb erti M GH M onumenta Germaniae Histórica.

1 Sui vescovi di Albenga vedi F. Ughelli, Italia Sacra sive de Episcopis Italiae, IV , Venetiis 1 7 1 9 2 ( = Bologna 19 73), coll. 9 1 0 - 9 2 4 ; B. Gams, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae, Ratisbonae 18 73, pp. 8 1 0 -8 1 1 ; C. Eubel, Hierarchia Catholica M edii A evi, I, M onasterii 1 9 1 3 2, pp. 81-82; inoltre, più strettamente locali: BCapA, G .A . Paneri, Sacro, e vago Giardinello, e succinto Repilogo delle Raggioni delle Chiese, e Diocesi d’Albenga, ms. sec. X V I I ; G . Cottalasso, Saggio storico sopra l ’an­

tico ed attuale stato della città d'Albenga, G enova 18 2 0 ( = Albenga 19 8 4 ); G . Se­

meria, Secoli Cristiani della Liguria, II, Torino 18 43, pp. 343-473; D. Navone, Del- l'Ingaunia, Albenga 1853 - 18 5 7 ; G . Rossi, Storia della C ittà e Diocesi di Albenga, Albenga 18 7 0 ; L. Raimondi, La serie dei vescovi di Albenga, in « R ivista Ingauna e Intem elia », n.s., I l i (1948), pp. 9 -11, 21-24, 39-40; A . Borzacchiello, Tavola sinot­

tica dei vescovi di Albenga in base a vari cataloghi, in Synodus Dioecesana Albin- ganensis X V I , Albingauni 19 6 1, p. 391.

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al monastero di San Pietro di Varatella nel 1076 2; ciò avviene lauda- tìo n e n o s tr o r u m ca n o n ico r u m , con l ’espressa elencazione di ventidue ca­

nonici - tra i quali sono distinti in ordine l ’arciprete, l ’arcidiacono, il cu sto s, presbiteri, diaconi, accoliti e suddiaconi - e di undici m ilite s Sancii lo h a n n ìs. È così evidente come il vescovo di Albenga - capo di una diocesi che, è forse superfluo ma significativo ripeterlo, è tra le più vaste della L ig u ria3, di un vescovato che nel basso medioevo risul­

ta di gran lunga il più ricco della Riviera di Ponente4 - veda a tale data ampiamente organizzato il consesso di dignitari, religiosi e laici, che lo assistono; e soprattutto come appaia importante, espresso in mo­

do incisivo, l ’assenso da essi prestato ad un atto solenne5.

2 II documento, conservato in copia seicentesca di mano di G .A . Paneri, in BDC, Diversorum II, c. 184, è edito da D. Navone, D ell’Ingaunia cit., I l i , p. 104, e da G . Rossi, Chronicon veteris m onasterii S. T etri de V aratella in Albinganensi dioeeesi, in «M iscellanea di Storia Ita lia n a » , X I (1 8 7 1 ), pp. 315-328.

3 Annuario delle Diocesi d ’Italia, s.l. 1 9 5 1 : sia per superficie, sia per nume­

ro di parrocchie, la diocesi di Albenga risulta oggi inferiore solo a quella di G e­

nova, malgrado le decurtazioni territoriali avvenute in età moderna e contempora­

nea a favore delle diocesi lim itrofe.

4 Sono indicativi in questo senso i dati delle prestazioni obbligatorie alla Se­

de pontificia, da cui risulta come il vescovato di Albenga pagasse cifre m olto più alte degli organismi ecclesiastici viciniori; in particolare, nel secolo X I V contribui­

sce con 800 fiorini, laddove il monastero della G allinaria paga 150 fiorini ed i ve­

scovati di Savona e Ventim iglia rispettivam ente 12 5 e 10 2 fiorini: H. Hoberg, Ta- xae prò communibus servitiis ex libris obligationum ab anno 12 9 5 usque ad annum 14 5 5 conjectis, C ittà del Vaticano 19 49 (Studi e Testi, 144), pp. 6, 106, 132.

5 Per quanto riguarda il capitolo della cattedrale, oltre alle citate opere ge­

nerali vedi: P. Accame, Cenni storici sul Capitolo della Cattedrale di Albenga, G e­

nova 18 98, inquadramento generale con l ’edizione di alcuni documenti; condotti con rigorosa critica ed ampia disamina delle fon ti gli studi di G . Puerari, I l Capitolo della Cattedrale di Albenga nel tardo medioevo. Problem i e prospettive di politica economica, in «B o llettin o L igustico», X X I X (1977), pp. 33-42; G . Puerari, I l Capi­

tolo della Cattedrale di Albenga nei secoli X I I I e X IV . Note di storia e documen­

ti, in « R iv ista Ingauna e Intem elia », n.s., X X X I - X X X I I I ( 1 9 7 6 - 19 7 8 ), pp. 39-56, con particolare riguardo agli statuti capitolari; infine L.L. Calzamiglia, Il Capitolo del­

la Cattedrale di Albenga nel secolo X I V , Tesi di Laurea in d iritto canonico, P onti­

ficia U niversità Lateranense, anno acc. 19 8 2 - 1 9 8 3 .

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La stessa situazione si ripete meno di trent’anni dopo, quando nel 1103 il vescovo Aldeberto fa una donazione, questa volta ben più con­

sistente, al monastero di Lérins, c o n s ilio ca n o n ìco r u m m e o r u m tu ctu s, sim u lq u e c o n s e n t ie n t i b u s . . . e c c le s ì e m e e v a s s a llis 6. Qui anche la giu­

risdizione temporale del vescovo appare già organizzata, ed è anzi da sottolineare l ’importanza dei m ilites e dei vassalli che in questo docu­

mento appaiono assumere un ruolo ancor più importante di quello con­

sultivo demandato ai canonici.

Questo documento ci introduce nel vivo di una delle problemati­

che più consistenti nella storia dei vescovi di Albenga, quella del loro potere temporale. Il secolo X II vede il progressivo affermarsi delle due grandi forze che hanno un ruolo determinante nel pieno medioevo al- benganese: il vescovo ed il comune. È utile qui ricordare come nell’anti­

ca città municipale, comitale e vescovile, si verifichi una continuità pres­

soché totale sotto il profilo sia delle strutture del centro urbano, sia del ruolo di capoluogo cui fa riferimento un ampio territorio, quasi im­

mutato dalla romanità fino al medioevo e all’età m oderna7. Nella fat­

tispecie, dopo il secolo XI caratterizzato da lunghe (e di conseguenza stabili) signorie degli Arduinici e per ultima della marchesa A delaide8, nei secoli successivi il vescovo raggiunge un ruolo di potenza feudale alternativa a quella m archionale9, soprattutto nelle due porzioni orien­

6 La donazione è edita in Cartulaire de VAbbaye de Lérins, a cura di H.

M o ris -E . Blane, Paris 1 8 8 3 - 1 9 0 5 , doc. 17 1.

7 Per il territorio di Albenga è ancora fondamentale lo studio di N. Lam- boglia, Topografia storica dell'Ingaunia n ell’antichità, Albenga 19 33 (Collana Sto­

rico Archeologica della Liguria Occidentale II, 4 ); per la città vedi N. Lamboglia, La topografia e la stratigrafia di Albingaunum dopo gli scavi 19 5 5 - 1 9 5 6 , in « Ri­

vista di Studi L ig u ri» , X X X V I (1970), pp. 23-62; J. Costa Restagno, Albenga. Topo­

vista di Studi L ig u ri» , X X X V I (1970), pp. 23-62; J. Costa Restagno, Albenga. Topo­

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