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Eracle nel Lazio I Giganti di Flegra

21.1

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Dalla Liguria [Apoll.] II 5.10 porta Eracle direttamente a Reggio. Di una sosta nel Lazio parlano solo autori latini, o greci con interessi verso temi romani. Quello di Eracle/Ercole fu uno dei più antichi culti stranieri a diffondersi, tramite i coloni e i mercanti della Magna Grecia, presso le tribù latine. Ercole si sostituì ai personaggi delle leggende locali: ad es., subentrò a un certo Garanus come uccisore di Caco (cfr. nota succ.) o a Fauno nella paternità di Latino. A lui faceva risalire le proprie origini uno dei più importanti clan patrizi di Roma, la gens Fabia. A Roma, il suo altare era l’ara Maxima nel mercato del bestiame (forum

Boarium). Sull’Ercole romano, BAYET 1926.

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Sul Palatino, luogo del primo insediamento romano secondo la tradizione, sono state rinvenuti reperti che si possono attribuire al Bronzo recente; l’occupazione stabile del colle è testimoniata dai resti di un abitato databile alla prima età del Ferro (IX-VIII sec. a. C.). Della vasta bibl. concernente i numerosi problemi legati alle origini di Roma e alle prime fasi del suo sviluppo, mi limito a segnalare MASTROCINQUE 1993; PALLOTTINO 1993; CORNELL 1995;

CARANDINI 1997. Diodoro esponeva la più antica storia del Lazio nel VII libro (frr. 4-5); si occupava della fondazione di Roma nell’VIII (frr. 2-6).

21.2

] Da Timeo, menzionato alla fine del capitolo, Diodoro ricava forse la storia dell’accoglienza benevola e ospitale riservata a Eracle dagli illustri cittadini Cacio (= Caco) e Pinario (per una derivazione timaica, WINTER 1910, 224; MÜNZER 1911, 131 ss.; SBORDONE 1941, 177; PARATORE 1971, 276; contra GEFFCKEN 1892, 54; BAYET 1926, 131 ss.; cfr. i distinguo di Jacoby, FGrHist 566 F 89-90, Komm.). E’ un dato isolato nel panorama delle fonti in nostro possesso. Dionisio di Alicarnasso (Ant. Rom. I 39), infatti, narra la vicenda, resa celebre soprattutto da Virgilio (Aen. VIII 190-272, col comm. di EDEN 1975), del brigante Caco che si scontra con Eracle. Cacus secundum fabulam Vulcani filius fuit, ore ignem ac fumum vomens,

qui vicina omnia populabatur, scrive Servio (ad Aen. VIII 190, col nesso Cacus/ ). Fra la versione virgiliana e quelle di Properzio (IV 9.1-20) e Ovidio (Fasti I 543-82) non vi sono sostanziali differenze: Ercole, di ritorno in Grecia con le mandrie di Gerione, si ferma a riposarsi nel luogo dove poi sarebbe sorta Roma; qui Caco gli ruba alcuni capi di bestiame e li trascina nella sua grotta tirandoli per la coda; ma una bestia muggisce, il furto viene scoperto e il brigante ucciso. La leggenda compare anche in Livio (I 7), e, in questa forma, prob. non è anteriore al I sec. a. C. (una diversa tradizione sembra conservare l’annalista Gneo Gellio, fr. 7 Peter). Si tratta, a quanto pare, di un racconto eziologico, volto a spiegare l’origine del culto a Ercole nell’ara Maxima del forum Boarium, non lontano dalle scalae Caci, che collegavano

quell’area con la cima del Palatino (BAYET 1926, 248-274; COARELLI 1988, 127-139; SABBATUCCI 1992; CALORE 2000, 21-26; sui luoghi e i monumenti, cfr. i relativi lemmi in

LTUR). Secondo Verrio Flacco (ap. Serv. ad Aen. VIII 203), però, sarebbe stato il pastore Garanus a uccidere Caco, laddove Cassio Emina (ap. [Aur. Vict.] Orig. gent. Rom. 6) dà (T)recaranus come il vero nome dell’avversario di Caco. L’essere taurino tricornuto di alcune

stele daunie non sarebbe che (T)recaranus, da cui deriverebbe Garanus, demone benefattore che combatte mostri infernali (ADAM 1985; D’ANNA 1992,79 s.; CAPDEVILLE 1995,117 ss.). Su Caco, vd. in generale WISSOWA 1897; MÜNZER 1911; come “Signore degli animali”, BURKERT 1987B, 136-139; il nome sarebbe un prestito dall’etrusco, DE SIMONE 1988,37; per i legami con un personaggio della mitologia etrusca, l’indovino Cacu, SMALL 1982, 3-36;

LIMC, III 1, s. v. Cacu.

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Del culto a Ercole nell’ara Maxima si occupavano in origine le familiae dei Potitii e dei

Pinarii. Secondo quanto apprendiamo da Liv. I 7.12 ss. e Serv. ad Aen. VIII 269, dopo

l’uccisione di Caco sarebbe stato lo stesso Ercole, pro numine habitus, a dettare la procedura del rito istituito in suo onore, chiamando a celebrarlo due vecchi, Potizio e Pinario; ma essendo quest’ultimo giunto in ritardo al sacrificio serale, dopo che gli exta erano stati distribuiti, Ercole, irato, stabilì che la famiglia dei Pinari fosse solo ministra, mentre i Potizi avrebbero celebrato il rito e banchettato: unde et Pinarii dicti sunt , id est a fame (Servio, loc. cit.; cfr. pure Macrob. Satur. III 6.14). Il culto, inizialmente gestito da

famiglie patrizie, fu poi assunto dallo stato, prob. sotto la censura di Appio Claudio (312 a. C.), col praetor urbanus in qualità di officiante e i servi publici in quella di ministri (EDEN 1975, 93; BIONDO 1988; STORCHI MARINO 1997, 197).

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Il verbo è un conio diodoreo e ricorre solo qui (una volta) e al paragrafo successivo (due volte). Dion. Hal. Ant. Rom I 40 c’informa che lo stesso Eracle, ucciso Caco e recuperato il bestiame, ne dedicò agli dèi la decima parte

( ), e che l’ara su cui avvenne il rito viene

chiamata “Massima” dai Romani

(

). Un racconto quasi identico, con la menzione della decima, è in Fest. 237 s. v. Potitium, e, riferito a (T)recaranus, in [Aur. Vict.] Orig. gent. Rom. 6. Sulla consuetudine in uso presso i Romani di destinare a Ercole la decima parte dei propri averi, soprattutto in relazione all’acquisto di ricchezza e felicità materiale, cfr. Cic. Nat. deor. III 88; Plut. Aet. 267f; Macrob. Satur. III 6.11; è usanza parodiata dai comici (ad es. Plaut. Bacch. 665 s.; Stich. 233, 384-86; Truc. 561 s.). SORACI 2002, 366-373.

21.4

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Lucio Licinio Lucullo (117 - 57 a. C.), generale e uomo politico, fidato seguace di Silla; prestò servizio ai suoi ordini durante la guerra sociale e come questore nell’88 fu l’unico ufficiale a partecipare alla marcia su Roma. Nel 77, come propretore, divenne governatore della provincia d’Africa. Console nel 74, assunse il comando nella terza guerra mitridatica, conseguendo importanti successi militari. I suoi soldati, però, mantenuti sotto una rigida disciplina, cominciarono ad ammutinarsi, mentre a Roma i suoi oppositori erano sempre più numerosi. Nel 66, per la lex Manilia, fu rimosso dal comando a favore di Pompeo e rientrò a Roma. L’opposizione a lui continuò anche dopo il suo ritorno e causò il ritardo del suo trionfo fino al 63. L’enorme fortuna accumulata gli consentì di vivere nel lusso: Diodoro lo definisce “all’incirca il più ricco dei Romani dei suoi tempi”. Convinto filelleno, amò circondarsi di artisti e scrittori, ma è rimasto celebre soprattutto per l’opulenza dei suoi banchetti. Su di lui,

KEAVENEY 1992; SCHÜTZ 1994. Quello di Lucullo non è l’unico caso in cui la decima consacrata a Ercole veniva impiegata per invitare il popolo a banchetto. Simili atti di generosità furono compiuti, ad es., da Silla (Plut. Sull. 35) e Crasso (Plut. Crass. 2, 12).

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Dion. Hal. Ant. Rom I 40 riferisce che i Romani erano soliti offrire le decime presso l’ara

Maxima. Non è chiaro se il santuario vicino al Tevere menzionato qui, dove si compiono i

sacrifici con i fondi delle decime, sia il recinto stesso dell’ara Maxima, o se invece Diodoro si riferisca specificamente a uno dei templi di Ercole esistenti nell’area del forum Boarium (Liv. X 23: in sacello Pudicitiae Patriciae, quae in foro Boario est ad aedem rotundam Herculis; Fest. 242 s. v. Pudicitiae signum; Macrob. Satur. III 6.10: Romae autem Victoris Herculis

aedes duae sunt, una ad portam Trigeminam altera in foro Boario; cfr. LTUR, III, s. vv. Hercules Invictus, aedes (forum Boarium); Hercules Invictus, ara Maxima; Hercules Victor, aedes et signum).

21.5

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Per i Giganti, cfr. nota a IV 15.1.

21.6

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In [Apoll.] I 6.1 gli dèi si alleano con Eracle perché un oracolo diceva che i Giganti sarebbero periti solo quando fosse accorso in aiuto un mortale (cfr. pure Schol. in Pind. N. 1.101). La più antica allusione all’aiuto dato agli dèi da Eracle in questa occasione prob. è in Hes. Theog. 954 s.

]

Ancora una volta Eracle è presentato con i tratti dell’eroe civilizzatore, che libera il territorio da bestie o uomini selvaggi e rende possibile la coltivazione.

21.7

] La Gigantomachia era variamente localizzata dagli antichi; la maggior parte delle fonti identifica con Flegra il luogo dello scontro (cfr., ad es., Hes. fr. 43a 65 M-W [dove però è integrazione congetturale]; Pind. Nem. I 67; A. Eum. 295; E. Herc. 1194; Ion 988; Aristoph. Av. 824), ma sull’area designata da questo toponimo le indicazioni divergono. Secondo Herodot. VII 123, Flegre è l’antico nome di Pallene, la più occidentale delle tre penisole della Calcidica (cfr. anche Eforo, FGrHist 70 F 34; Steph. Byz. s. v. ). La tradizione riportata qui da Diodoro, invece, pone Flegra nella pianura cumana (Campi Flegrei della Campania: vd. Polyb. II 17.1, III 91.7; Strab. V 4.4 e 6, VI 3.5); essa risale almeno a Timeo, ma prob. è di epoca anteriore, come sembra ricavarsi dall’espressione , che potrebbe rimandare al racconto di antichi mitografi (Stesicoro?), e dalla totale assenza di qualsiasi riferimento, in questi paragrafi, alla città di Napoli (VALENZA MELE 1979, 32-36). D’altra parte, la localizzazione occidentale era già nota forse a scrittori del V sec. a. C., quali Pindaro, Eschilo ed Aristofane (COPPOLA 1995A; MARIOTTA 2003). Diod. V 71.3-4 accenna a più guerre ingaggiate da Zeus contro i Giganti, a Creta, in Macedonia presso Pallene e in Italia nella pianura che anticamente era chiamata Flegrea.

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FGrHist 566 F 89.