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Eredità biologica ed eredità sociale: dal lamarckismo all’effetto Baldwin

3. Il neo-lamarckismo americano Gli storici hanno spesso evidenziato quanto il dibattito post-darwiniano

3.4 Eredità biologica ed eredità sociale: dal lamarckismo all’effetto Baldwin

Nel 1895, lo psicologo di Princeton James Mark Baldwin (1861-1934) pubblicò il celebre saggio Mental Development in the Child and the Race. In- tegrando gli studi sull’imitazione nello sviluppo cognitivo dei bambini con la

moderna nozione di adattamento biologico, il volume segnò la prima tappa nella tematizzazione di quel “nuovo fattore” evolutivo poi rinominato “se- lezione organica”. Rifiutando sia l’Allmacht della selezione naturale che l’e- reditarietà debole, secondo tale ipotesi i comportamenti adattativi, pur non essendo trasmissibili alla discendenza, avrebbero permesso agli organismi di sopravvivere fintantoché non si fosse verificata una “concurrence” fra accomo- damenti ontogenetici e variazioni congenite selezionabili. In questo modo, seppur indirettamente, il comportamento indirizzava la filogenesi incanalan- do la selezione naturale durante lo sviluppo. Fra il 1896 e il 1897, il medesimo fattore fu discusso dallo psicologo britannico Conwy Lloyd Morgan (1852- 1936) e da Osborn.

Si è spesso insistito sul fatto che il cosiddetto “effetto Baldwin”, defi- nizione introdotta da Simpson nel 1953, rappresentasse un’ibridazione fra darwinismo e lamarckismo, una simulazione del lamarckismo tramite mec- canismi darwiniani (B. Continenza 1984, 1986; R.J. Richards 1987; B.H. Weber e D.J. Depew 2003). Almeno in parte, i tre coautori della teoria della selezione organica furono mossi dallo stesso bisogno: ridefinire la dimensio- ne mentale del cambiamento evolutivo in risposta alla sfida weismanniana (Ceccarelli 2018a).

Tanto le premesse quanto le articolazioni dei loro lavori mostrarono però divergenze rilevanti. Morgan e Baldwin, entrambi vicini alla concezione se- lezionista, utilizzarono la selezione organica per contrastare la nozione dell’i- stinto come “lapsed intelligence” promossa da Spencer e dai neo-lamarckiani (D.J. Depew 2003, pp. 7–10). D’altro canto, Osborn, maturando nel corso degli anni dubbi sulla cinetogenesi quando applicata a strutture non plastiche quali denti e corna (Osborn 1890a, p. 111)7, vide nella selezione organica

uno strumento ausiliario per superare le difficoltà del neo-lamarckismo senza pregiudicare la componente ortogenetica dell’evoluzionismo di Cope e Hyatt ( J.M. Baldwin 1902, p. 336).

In misura e con obiettivi diversi, Baldwin, Morgan e Osborn preserva- rono alcuni lineamenti teorici del lamarckismo, delineando una terza via fra l’idea che gli organismi subissero passivamente i loro ambienti e la dottri- na dell’archestetismo. Come Cope, Baldwin avrebbe rimarcato il ruolo della

7Osborn approfondì questa linea critica confrontandosi con il biologo inglese Edward Bagnall Poulton, H.F. Osborn 1907a, p. 235. Proprio nel 1891, Poulton, Alfred Russel Wallace e il medico Charles S. Tomes avrebbero elaborato una dura critica all’interpretazione neo-lamarckiana dell’o- rigine dei denti, A. Weismann 1891, p. 437.

coscienza nell’impartire una direzione all’evoluzione. Al contrario del pale- ontologo, respinse l’idea che la riorganizzazione delle connessioni nervose acquisite durante l’ontogenesi potesse essere trasmessa ai discendenti. Per i coautori della selezione organica, gli accomodamenti ontogenetici acquisiti socialmente potevano influenzare l’azione della selezione naturale in modo indiretto, il che rendeva superfluo il passaggio ereditario di comportamenti acquisiti invocato dai «trasmissionisti» (C.L. Morgan 1896; H.F. Osborn 1897a). Il lamarckismo diveniva un’ipotesi accessoria come forse non lo era mai stato prima, il che allarmò profondamente Cope.

Il 23 agosto 1895, Baldwin avrebbe pubblicato su “Science” un articolo sui fondamenti psicologici della cinetogenesi, attaccando Cope per aver definito il neo-lamarckismo come l’unica posizione teorica in grado di esaltare il ruolo della mente nell’evoluzione. La critica di Baldwin era, di fatto, la diretta con- seguenza della sempre più oltranzista difesa del neo-lamarckismo da parte di Cope. Solo un mese prima, il paleontologo aveva dichiarato sulla rivista “The Monist” che «sensazioni o stati di coscienza» giocavano un ruolo centrale nei soli processi «epigenetici» dovuti alla trasmissione di cambiamenti ontogene- tici alla discendenza (E.D. Cope 1895, pp. 572–573).

Lo scontro fra i due esplose pubblicamente in occasione dell’incontro annuale dell’American Psychological Association tenutosi a Filadelfia nel dicembre 1895. Cope e Baldwin parteciparono nella sezione Consciousness

and Evolution del 28 dicembre, aperta da William James. Cope fu il secon-

do relatore della giornata e presentò una relazione sul ruolo della coscienza nel neo-lamarckismo. Intervenne poi Baldwin, il quale non perse l’occasione di sferrare un attacco diretto alle tesi del paleontologo, sottolineando come le nuove ricerche sullo sviluppo infantile rendessero superflue le sue ipote- si (W.R. Newbold 1896, p. 159). Non era necessario invocare l’eredità dei caratteri acquisiti per spiegare il modo in cui il bambino apprendeva dal suo ambiente sociale. Allo stesso modo, il progresso morale e intellettuale pote- vano essere considerati come accomodamenti sociali ( J.M. Baldwin 1895b). Lo scontro si concretizzò in un contraddittorio che animò le pagine dell’”American Naturalist” fino all’estate del 1896. Agli occhi di Cope (1896b, 1896c), la selezione organica dissolveva l’ereditarietà dei caratteri acquisiti nella fin troppo vaga nozione di eredità sociale. Questa nozione, oltre che mi- nare «l’intima connessione fra la mente e la sua base materiale» (Cope 1896c, p. 430), poteva essere tuttalpiù rintracciata negli animali superiori e, in ogni caso, andava rigidamente distinta dall’eredità biologica (Cope 1896b, p. 345).

I lavori di Baldwin non erano altro che il riflesso della teoria di Weismann sulla psicologia: «[Baldwin] non ha chiaro il lamarckismo nella sua testa, è un puro neo-darwiniano. Le sue concezioni psicologiche ne sono condizionate in conseguenza» (Cope-Osborn, 9/4/1896, cit. in Osborn 1931, p. 459). L’e- redità sociale giocava certamente un qualche ruolo negli organismi complessi. Il problema, insisteva Cope, era considerare l’apprendimento sociale come la

vera causa della differenziazione filogenetica.

Nelle sue repliche (1896a, 1896b, 1896c), Baldwin attaccò il retroterra metafisico della teoria archestetista. In linea con la tradizione psico-fisiologi- ca anglosassone, egli sosteneva che qualunque movimento finalizzato doveva essere considerato come risultato di una selezione “intelligente” di comporta- menti inizialmente trial-and-error.

Nonostante le critiche di Cope, il celebre articolo di Baldwin A New Fac-

tor in Evolution fu pubblicato nei numeri di giugno e luglio dell’ “American

Naturalist”. Dal 1897, le divergenze fra i sostenitori della selezione organica divennero però esplicite. Fu in particolare Osborn a distaccarsi dal program- ma di ricerca di Lloyd Morgan e Baldwin rilevando nella teoria della sele- zione organica la persistenza di problemi che avevano afflitto tanto il neo-la- marckismo quanto il neo-darwinismo. L’idea che certe strutture ossee fossero emerse dall’accomodamento individuale, precisava ora H.F. Osborn (1897b, p. 951), reiterava l’errore principale di Cope e dei paleontologi neo-lamarckia- ni, ovvero che l’uso delle strutture ossee comportava il loro deterioramento progressivo. Sia Baldwin che Lloyd Morgan interpretavano poi la capacità di rispondere all’ambiente attraverso comportamenti adattativi come il risultato della selezione naturale, il che, secondo Osborn, non era affatto dimostrabile.

Come rilevò lo stesso Baldwin (1902, p. 163), dietro le critiche di Osborn vi era il tentativo di individuare un meccanismo alternativo con cui riaffer- mare la direzionalità intrinseca della variazione, in linea con la sua filosofia anti-darwiniana. Come vedremo nel capitolo successivo, tale atteggiamento teorico fu altrettanto significativamente esito del sistema di classificazione che Osborn utilizzò nella ricostruzione delle serie fossili e nello studio del polifiletismo.

4. L’evoluzione ortogenetica negli anni