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L’Eros contro la malattia del mondo

2.1 La nudità maschile come luogo dell’assoluto

«Il desiderio nel suo livello più profondo ha sempre a che fare con grandezze infinite» (SN, p. 17): è questo principio leopardiano enunciato nelle prime pagine la grande direttrice su cui si sviluppa tutta la narrazione di Scuola di Nudo, che genera soprattutto una consapevole sofferenza. Se Walter concepisce l’Assoluto nei termini di un cosmos a cui tornare è soprattutto perché in quella dimensione esiste la totalità, cioè la non- finitezza delle cose, categoria impossibile tra gli uomini. Nello specifico, quello che manca agli uomini è la totalità del piacere: gli uomini desiderano, idealmente, che i loro piaceri non si esauriscano, dunque desiderano sempre, in fondo, l’Infinito, e non potendolo avere soffrono. Nel mondo creato dal Demiurgo, cioè, non ci sono entità infinite. Il desiderio però non è per Walter soltanto una categoria ideale sulla quale misurare la finitezza terrena, ma anzi trova una forte forma concreta nel desiderio

42 Citato in F. Fiorini, I figli della conoscenza. Storia critica dello gnosticismo e del neo-gnosticismo, Milano, Mimesis, 2018, p. 32.

43 sessuale. Esiste infatti un’eccezione, esiste qualcosa di infinito che è arrivato sino in terra: il nudo maschile. Poiché Walter è giunto a questa consapevolezza, ha deciso di dedicarsi ossessivamente all’unico esercizio possibile di infinito terreno.

Fondamentale è chiarire cosa si intende: Walter parla di corpi maschili scolpiti, erculei, muscolosi e possenti oltre le normali proporzioni anatomiche, che secondo lui sono in grado di squarciare la compattezza apparente del mondo e rivelare la presenza infinita dell’altro mondo iperuranico. Se la logica che guida il discorso sull’Assoluto non è mai quella propriamente cristiano-cattolica, non deve però essere sottovalutato il profondo bisogno di divinità di questo soggetto: Walter desidera degli idoli e ne ricerca bramosamente l’estensione terrena, cioè non fa mai collassare la componente trascendente del mondo, che si rivela anzi uno dei tratti distintivi di questa narrazione, nonostante le punte più materialistiche e le speculazioni profondamente razionali. Siti propone sempre un sottofondo mistico, si descrive come uomo votato alla carne ma, alla fine, la carne viene risacralizzata come segno di una dimensione spirituale. Solo in questo senso va inteso il valore mistico dei corpi maschili evocati. Walter, inoltre, attribuisce questo potere solo al corpo nudo. La vita vera che abita questi corpi sembra corrispondere alla «nuda vita», nell’accezione in cui ne parla Agamben nel suo saggio Nudità.43 Agamben analizza soprattutto il legame che nella nostra cultura

unisce il nudo ad una «inseparabile segnatura teologica»44, secondo l’idea unicamente in negativo che abbiamo dei corpi denudati a causa della morale cristiana: Adamo ed Eva vivono in completa nudità nel Paradiso terrestre finché non conoscono il peccato. La nudità diventa, a partire dalla cacciata, una condizione privativa, che mostra la perdita della «veste della grazia»45 che fino a quel momento aveva aderito ai corpi. Adamo ed Eva si rendono conto di essere nudi solo dopo aver commesso il peccato originale e da quel momento i corpi diventano persino scandalosi, insopportabili nella loro verità.

Per questo motivo la devozione ossessiva di Walter per i corpi può venarsi di perversione se letta secondo l’idea privativa del nudo, ma la ragione ontologica di questi nudi non è affatto perversa: il nudo è manifestazione della vita oltremondana, di quella dimensione in cui si è necessariamente e naturalmente scoperti, perché quella

43 G. Agamben, Nudità, Roma, Nottetempo, 2009. 44 Ivi, p. 85.

44 è la rappresentazione dell’essere. Proprio Agamben dice che «la natura umana è costituita già sempre come nuda, è già sempre ‘nuda corporeità’»46 e dunque la

condizione di questi corpi maschili è di nudità poiché rappresentanti della componente assoluta del cosmo, precedente a qualsiasi peccato e alla contingenza. Questa tesi, però, per Agamben è sempre intesa in negativo: la condizione di nudità così come si propone nella nostra cultura è un prodotto della denudazione originale, non esiste di per sé. O meglio, anche se nell’Eden Adamo ed Eva erano di fatto nudi, su di loro aderiva appunto la «veste della grazia». Nel caso di Walter potremmo dire che la nudità dei suoi culturisti si riferisce a uno stato di grazia precedente alla corruzione mondana che verrà invece prodotta dalla creazione sbagliata del Demiurgo. Il nudo maschile potrebbe essere il «corpo glorioso»47 di cui parla proprio Agamben, definendolo come un corpo che non presuppone la separazione tra corpo nudo e veste ma che anzi è un’entità assoluta e completa. Vedremo meglio più avanti come in Scuola di nudo i nudi contengano in sé addirittura sia il genere maschile che quello femminile. Infine, mi sembra interessante che Agamben parli di come in certa letteratura erotica tardo medievale, e più in generale nella mistica, il percorso di conoscenza si costruisse sul «denudamento» dell’«immagine», o «fantasma», delle cose.48 A questo proposito, il

rapporto “gnostico” di Walter con questi corpi si costruisce proprio sulla loro capacità di trasmettergli la conoscenza dell’infinito. Carlo Salzani in un saggio dedicato proprio a Nudità ricorda che Agamben aveva citato una parabola gnostica per commentare una performance di Vanessa Beecroft in cui si esibivano cento donne nude: nell’ultimissimo giorno del mondo i salvati si strapperanno anche l’ultima veste data da Dio e «si mostreranno gli uni agli altri in una nudità che non conosce né peccato né gloria».49 I corpi nella loro condizione primaria e pura non posseggono nessuna delle categorie contingenti, sono allo stesso momento privi di tutto, cioè nudi, e completi, totali. La nudità è per questo una condizione sacra: per Agamben la vita nuda è anche vita sacra perché esposta alla morte, «uccidibile ma insacrificabile»50 e per questo mai davvero raggiungibile. Anche l’Infinito di cui parla Walter, in effetti, risponde a

46 Ivi, p. 93.

47 Ivi, p. 129. 48 Ivi, p. 117-9.

49 C. Salzani, Nudità e nuda vita, in «Lo Sguardo - rivista di filosofia», n. 15, 2014 (II), pp. 145-6. 50 Ivi, p. 136.

45 un’idea di sacralità: a una tensione ascetica, iniziatica, verso una dimensione altra, nel cui desiderio si soffre perché la si scopre impossibile da possedere. La differenza con Agamben casomai è che per Walter esistono dei corpi che manifestano direttamente quell’Infinito:

Il nudo maschile rappresenta la sacralità non come un simbolo o come tramite dell’emozione ma attraverso l’immediata presenza materiale, numen tremendum, feticcio. (SN, p. 22)

Dunque, in Scuola di nudo il corpo è un «feticcio», desiderato e bramato, che denuncia la finitezza del mondo e richiama alla nudità dell’essere. Per questo funziona da surrogato per l’Assoluto. Lo spiega bene Grilli nel suo saggio su Scuola di nudo:

Essi [i nudi] però non si limitano a segnalare i limiti del mondo: ogni nudo maschile lo epitoma e si pone anzi come «sostituto del mondo».51

2.2 I corpi «troppo pieni»

Nel romanzo, tuttavia, non si tratta sempre di corpi necessariamente senza abiti, la nudità è anche una condizione metafisica: i “nudi” che suscitano il desiderio di Walter possono essere semplici passanti, ragazzi incontrati nei luoghi più vari. Per Walter il nudo è insomma una condizione che sembra esistere a priori, fatta risalire anzi all’oltremondo. In ogni caso, due sono le modalità di rivelazione: o l’uomo è avvistato casualmente e, dunque, pur vestito, per le forme del suo corpo corrisponde comunque a una nudità iperuranica; oppure, il corpo viene seguito durante l’effettivo gesto di svestirsi, che sia dal vivo o in un film erotico. Questi due esempi lo dimostrano:

Andando verso Roma, l’americano in shorts che ti siede di fronte si rivela un nudo solo quando noti che la pelle è meno abbronzata dove si perde sotto la stoffa dei calzoncini: una cicatrice interrompe il pelo

51 A. Grilli, Scuola di nudo di Walter Siti: genere e scrittura, in Inquietudini Queer. Desiderio,

46 biondo, il sospetto dell’infossatura al centro dell’adduttore interno

della coscia, un tremore tenerissimo e così rapido che forse non l’hai nemmeno avvertito… [...]. (SN, p. 18)

Un operaio tipografo viene in palestra [...] e mentre si spoglia provoca la moltiplicazione del corpo divino che è contemporaneamente in piedi, seduto nudo e riflesso dagli specchi. (SN, p. 29)

Ecco che in Scuola di nudo il desiderio di Assoluto assume una forma estremamente concreta, immaginabile, ma che pur essendo finita nella materia riesce a incarnare qualcosa di più alto rispetto al semplice peso dei muscoli. Questi corpi non sono solo corpi; certo, Walter ne descrive l’anatomia, le curve, con grande precisione, ma non può sfuggire alla loro risacralizzazione, quel grumo di muscoli non esiste solo da un punto di vista fisico, il soggetto elabora metafisicamente questi corpi. Per Walter il modello ideale non è un semplice bel corpo scolpito, ma un corpo esagerato, pompato, potente:

Passa un surfer, il rincorrersi azzurro dei dorsali come nuvole in tempesta – la cintura così stretta, così divergenti le spalle, così iperbolici i pettorali che pare l’animazione di un fumetto. [...] un culo così bianco che per guardarlo il mondo si gira di tre quarti: sferico con sbavature e grassezze come di panna che si forma alla superficie del latte, astuzia di grumi e ondicelle, tremolii d’eccedenza che rendono più soddisfatta e ilare, per minimi scarti, la perfezione della geometria. (SN, p. 30)

Spalle enormi, dorsali possenti, pettorali che palpitano: è questa la misura dell’eccezione, è questo cioè lo squarcio nella tela del mondo terreno. Il percorso che tuttavia Walter ha intrapreso è all’insegna del consumo di questo oggetto: Walter è un nevrotico moderno, ossessionato dai muscoli rotondi che gli consentono di lanciarsi verso un orizzonte diverso da quello frustrante della vita. Per questo i nudi sono l’unica eccezione possibile, perché sono identificati come messaggeri diretti, cioè abitanti,

47 dell’Assoluto. In quell’Assoluto, esistono da sempre dei corpi simili, e anzi lassù quei corpi costituiscono la regola:

Il primo significato costante del bel nudo maschile è la sua natura di corpo infinito: se guardo una foto di glutei e ne seguo la curva, capisco che infinite altre curve infinitamente vicine a questa potrebbero disegnare glutei attraenti [...] – ma nel momento in cui avverto la contrazione al basso ventre allora quella curva è la sola possibile. L’infinito si è condensato in quel solco. (SN, p. 17)

La potenza quasi miracolosa dei nudi divini è che possono condensare l’infinito nel solco delle loro natiche: non uomini, non personalità, neppure occhi o arti, ma un tutto che incarna una totalità e una perfezione non di questo mondo, ma dell’altro. Interessante è soprattutto l’apparente contraddizione che esiste tra la natura divina di questi corpi e quella terrena di palestrati. A ben vedere, la maggior parte degli uomini descritti da Walter sono giovani che lavorano ampiamente sul proprio fisico, e cioè non sono dei belli al naturale, ma corpi estremamente costruiti. I nudi rompono le proporzioni e diventano davvero insieme di forme geometriche, centimetri: non palestrati qualunque, ma culturisti. Siamo tra gli anni Ottanta e Novanta e in effetti i culturisti riempiono le riviste e certa cinematografia porno; tuttavia il tipo di ossessione sviluppata da Walter per questi corpi ha poco a che vedere con le mode, tanto che lui stesso riconosce che il culturista è mediamente ritenuto fuori dai canoni di bellezza: troppo grosso, troppo compatto, solitamente tozzo. Ecco, sono proprio queste le caratteristiche che invece fanno di questi corpi gli ospiti ideali dell’Assoluto: il nudo è necessariamente disarmonico, perché deve uscire «dalla materia che l’imprigiona»: «il suo torace troppo sviluppato rispetto alla parte inferiore del corpo, o le gambe un po’ corte e arcuate sono il segno che la sua perfezione appartiene a un altro ordine» (SN, p. 23). Non palestrati qualunque, ma iper-palestrati, eccessivi nel loro ricercare i muscoli sotto e oltre la pelle. Ebbene, non di poca importanza è il lavoro a cui questi uomini si sottopongono per raggiungere i loro obiettivi: non solo sedute di pesi, ma anche sostanze di tutti i tipi, estrogeni e anabolizzanti. Ora, di norma, una sostanza dopante sta all’opposto di tutto ciò che comunemente consideriamo autentico, eppure

48 solo questi corpi, di cui pure Walter conosce gli artifici, sono in grado di rivelargli la verità di una dimensione divina, e dunque vera:

Mi fanno ridere quelli che dicono che dicono «no, i culturisti non sono attraenti, hanno troppi muscoli, sembrano finti»; ma è proprio così che dev’essere, i nudi non devono apparire belli secondo il mondo, anzi il mondo in genere li trova sproporzionati. Il nudo divino è ospite in un corpo. (SN, p. 23)

I culturisti, dunque, sono divini in ragione della loro artificialità perché con il lavoro estenuante con cui modellano i loro corpi fino a renderli “innaturali” dimostrano di rifiutare le questioni terrene, cioè quel mondo dagli altri ritenuto “naturale”, ma in realtà finto e malato. Walter si chiede perché i pettorali dei corpi che desidera debbano sempre essere «così nettamente definiti, lucidamente rotondi»: la risposta è che «rappresentano la negazione del costato di Cristo» (SN, p. 27). Ecco che torna il nodo religioso: non solo Walter rifiuta l’idea della creazione cristiana da parte di un Dio misericordioso, ma ne vuole negare il fondamento attraverso l’immagine del corpo per eccellenza, quello ridotto all’osso di Cristo che mostra le costole sulla croce. Quell’idea di santità è davvero impossibile nella narrazione del desiderio di Scuola di

nudo, è impossibile l’idea di miseria, di amore santo, perché l’oggetto dei desideri di

Walter è rappresentato dal vigore, dai glutei carnosi. Come lui stesso afferma: «La religione del mio desiderio non è il cristianesimo ma lo gnosticismo» (SN, p. 27). Ancora, la «rotondità dei muscoli» di questi corpi non ha un semplice valore estetico, ma significa che un nudo è «“un essere troppo pieno” che respinge la vita da sé» (SN, p. 32). L’ossessione di Walter per questi fisici si chiarisce ancora di più: i pettorali che sembrano esplodere, tenuti in pressione da bombe estrogene, contengono in loro ogni altra cosa possibile e così «comunica[no] un’infinita voglia di non partecipare» (SN, p. 29), cioè di non appartenere alla vita. I nudi dunque manifestano l’entità divina in terra ma non si mischiano con gli uomini, ed esistono proprio per non compromettersi; corpi considerati dai più persino sgraziati sono invece portatori di una dimensione altra che la maggior parte delle persone non sa neppure che possa esistere. È per questo che Walter li considera fonte di salvezza, come l’unico tramite attraverso cui lenire il dolore per un mondo malato e difettoso che disprezza e da cui sembra disprezzato: «i

49 nudi e il mondo non sono equiparabili» ammette, e: «Come esiste una pomata spermicida, così i culturisti hanno una gelatina cosmicida spalmata su di sé» (SN, p. 36). Questi corpi da culturista sono addirittura dei repellenti per il mondo, non esistono sullo stesso piano e Walter tenta, attraverso una sorta di abbuffata (immagini e sesso consumato effettivamente), di accedere all’Infinito. I nudi sono corpi «senza buchi, convessità metallizzate», che gli consentono di dimenticare soprattutto la personale concavità irriducibile, sono «riproduzioni iperreali per disintossicarsi dalla realtà» (SN, p. 38): non sono ir-reali, ma appartengono a una dimensione di iper-realtà. Nudi e realtà sono del tutto incompatibili sui piani dell’essere, scegliere i nudi significa desiderare profondamente di rinunciare a quel reale costruito e ipocrita in cui sguazzano tutti gli altri. Scegliere i nudi sopra al mondo significa cioè attribuire all’Eros la capacità di trascendenza: il corpo di questi uomini viene esperito nel tentativo di raggiungere l’assoluto. È per questo che Walter li definisce corpi «pneumatici»: il termine πνεύμα significa in greco “spirito”, “soffio”, e si caratterizza fin dalla filosofia presocratica come identificativo del soffio vitale che governa il Cosmo.52 Ha una consistenza immateriale e tuttavia secondo gli stoici anche materiale,

essendo un fuoco caldo che ha animato tutta la materia del mondo.53 Inoltre, ancora Gasparro spiega come il concetto di pneumaticità sia fondativo della dottrina gnostica:

Di fatto […] lo gnostico […] è salvato nel momento stesso in cui la presa di coscienza del proprio «io» vero lo ricongiunge, ipso facto, alla sua sorgente divina, pneumatica […].54

Gasparro spiega come il percorso dello gnostico sia proprio quello di chi attraverso la «gnosi», intesa come conoscenza diretta del divino e dunque riservata solo a pochi, riesca a risvegliare «l’elemento divino» che pure esiste nel mondo corrotto del Demiurgo e infine si avvii verso la purificazione. 55

52 cfr. F. Giglio, Un'autobiografia di fatti non accaduti. La narrativa di Walter Siti, Bari, Stilo Editrice, 2008, p. 136.

53 Da N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1998, p. 823: «Il termine [pneuma] ha ricevuto un significato tecnico solo dagli Stoici che hanno inteso per esso quello spirito o soffio animatore mediante il quale Dio agisce sulle cose, ordinandole, vivificandole e dirigendole. “Pare agli Stoici, dice Diogene Laerzio, che la natura sia un fuoco artefice diretto alla generazione, cioè uno P. della specie del fuoco e dell’attività formativa” (VII, 156; PLUT., De Stoic. Repugn., 43, 1054». 54 G. S. Gasparro, La conoscenza che salva, cit., p. 39.

50 I nudi di Walter diventano in questa prospettiva proprio quel mezzo di purificazione.

2.3 Il consumo dei culturisti

Ma come avviene, nel romanzo, questo “consumo” smanioso di nudi? Il primo approccio che Walter ha con i corpi divini avviene attraverso le varie pellicole pornografiche che colleziona; è l’accesso più immediato, inesauribile e a portata di mano. Con la sua “cineteca” personale Walter gode di un consumo privato d’infinito che si libera attraverso quella che sarà, dalle prime pagine di Scuola di nudo e per tutta la trilogia, uno dei cardini della narrazione sitiana, cioè l’immagine:

Faccio una cernita accurata delle pellicole e video da mezzo pollice, [...] mi abbandono a piaceri di cinefilo, i primi nastri «Colt» e «Falcon» in bianco e nero [...] quando Bruno aveva meno di venticinque anni e pettorali da apostasia (The anatomy of an idol) e li confronto con Bruno’s Key; mi accanisco a cercare il superotto dove Bruno e Rod Mitchell si passano i bilanceri. (SN, p. 19)

Le immagini riescono a creare una dimensione diversa da quella cosiddetta reale perché annullano la realtà proprio attraverso quegli dei che si spogliano in video. Walter vive questi rapporti in maniera individuale, li utilizza per goderne direttamente attraverso la masturbazione, senza considerare però questo piacere momentaneo il fine ultimo: Walter usa i nudi «non per prendere o dare piacere ma per convincersi [...] di quanto la vita sia schiuma precaria, guittata estemporanea» (SN, p. 36). L’attore porno denuncia la totalità del cosmo e la sua non-appartenenza a questo mondo, tanto che «bastano quattro minuti di visione per compensare mesi di realtà». (SN, p. 35) Addirittura Walter gioca ad alternare la visione dei porno a programmi normali cambiando col telecomando a intervalli di pochi minuti: tra una notizia del telegiornale e l’altra, i nudi si inseriscono come una concreta finestra sulla verità, che non è quella che proviene dalla tivù. Non solo i nudi risultano profondamente autentici rispetto alle notizie che scorrono in televisione (in teoria, cronaca di vita reale), ma soprattutto sono le notizie a perdere di valore: «I Colt risultano più eccitanti lampeggiando così improvvisi tra uno sciopero e un servizio dalla Borsa di Francoforte; di rimbalzo, l’energia che mette Franco Rizzoli nello scopare Frank Vickers (disteso a pancia sotto

51 su una moto) comunica alle notizie dal mondo la sua celibe, indifferenziata lucidità» (SN, p. 35). La possibilità di accedere a questi piaceri è certamente una comodità moderna, ma per Walter assume la misura di una lotta perché quei film possono lenire la sua frustrazione e isolarlo in una dimensione scollegata dal reale. Meglio l’eros dei porno che la vita insoddisfacente che lo aspetta fuori dal video. Come spiega bene un saggio di Raffaele Donnarumma a tal proposito, la pornografia è «la contemplazione della propria morte»:56 il soggetto assiste alla rivelazione dei suoi idoli, entità che cozzano irreparabilmente con la vita reale e che mai potranno trovare una corrispondenza. Nel caso di Walter abbiamo infatti un soggetto che quindi guardando quei film contempla la sua divisione dalla vita. Nello stesso saggio l’autore evidenzia soprattutto come l’idea dell’hard in quanto perversione da censurare sia ingiusta,

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