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Forme del desiderio nella narrativa di Walter Siti

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Academic year: 2021

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Le forme del desiderio nella narrativa di Walter Siti

Indice

Tavola delle abbreviazioni p. 4

Introduzione p. 5

I. Scuola di nudo. Il desiderio d’Infinito

1. I desideri di un guardone

1.1 Il genere di Scuola di nudo p. 13 1.2 Desiderio d’infinito e dualismo gnostico p. 16

1.3 «penetrare» il reale p. 21

1.4 Il desiderio di riconoscimento p. 24

1.5 Il desiderio mimetico p. 26

1.6 I successi del mediatore p. 28

1.7 Desiderio di verità come pretesto di riconoscimento p. 31 1.8 Motivi leopardiani di Scuola di nudo p. 33

1.9 Lotta signoria-servitù p. 37

2. L’Eros contro la malattia del mondo

2.1 La nudità maschile come luogo dell’assoluto p. 42

2.2 I corpi «troppo pieni» p. 45

2.3 Il consumo dei culturisti p. 50 2.4 Impotenza e desiderio di penetrazione p. 56 2.5 Il desiderio è insaturabile p. 61 2.6 Desiderio d’integrazione: Eros e Agape p. 63

2.7 Ancora culturisti: Steve p. 69

3. Istituzioni di inesistenza

3.1 Dal desiderio d’integrazione al desiderio del nulla p. 73

3.2 Esaurimento dell’Eros p. 76

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2 II. Un dolore normale. Un percorso di conversione

1. «Non ne posso più dell’altrove»: tentativi di normalizzazione

1.1 Esperimento d’amore p. 83

1.2 Mimmo: un desiderio troppo umano p. 88

1.3 La contaminazione p. 94

1.4 Amore falso, desideri mediocri p. 100

2. L’Eros coniugale

2.1 Il corpo p. 106

2.2 Il desiderio sessuale p. 109

III. Troppi paradisi. Le mutazioni del desiderio 1. La fine del desiderio?

1.1 Walter Siti, come tutti p. 120

1.2 Normalizzazioni familiari p. 122

1.3 Mutazioni del desiderio p. 124

1.4 Le saturazioni (im)possibili: merci, immagini, corpi p. 128 1.5 Gli omosessuali maestri d’Occidente p. 134 1.6 Le saturazioni (im)possibili: la televisione p. 137

2. L’Eros di un mostro occidentale qualunque

2.1 Il sesso coniugale p. 143

2.2 Il sesso triangolare p. 148

2.3 Il ritorno dei culturisti p. 152 2.4 Marcello, il Galata decadente p. 157 2.5 Marcello: androginia e «Immagine» p. 160

IV. Bruciare tutto. La pedofilia come ultima metafora del desiderio

1. Don Leo: l’obbedienza verso Dio, il richiamo di Satana p. 166 2. La pedofilia: un desiderio controverso p. 171

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4. Espiazione finale p. 182

Conclusioni p. 185

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Tavola delle abbreviazioni

W. Siti, Scuola di nudo, Milano, BUR, 2016 = SN Id., Un dolore normale, Milano, BUR, 2016 = DN Id., Troppi paradisi, Milano, BUR, 2015 = TP Id., Bruciare tutto, Milano, BUR, 2018 = BT

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Introduzione

Il presente lavoro ha lo scopo di indagare le forme del desiderio in Il dio impossibile, la trilogia che Siti costruisce a posteriori riunendo i romanzi Scuola di Nudo (1994),

Un dolore normale (1999) e Troppi paradisi (2006), e in uno dei suoi ultimi romanzi, Bruciare tutto (2017). L’idea alla base dell’analisi è quella di dimostrare come Siti

utilizzi i più intimi e scomodi desideri umani, persino quelli ossessivi e perversi, per raccontare il proprio tempo da prospettive disturbanti. A partire dal primo romanzo

Scuola di nudo, tutto in origine nasce da un’ossessione dell’autore per i nudi maschili,

che lui stesso ha identificato più volte come caratteristica personale che ha poi attribuito al Walter romanzesco della trilogia.1 Proprio il desiderio erotico, infatti, sarà uno dei temi chiave di tutti i capitoli del lavoro.

Nel corso di un seminario tenutosi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa nel 2015, Siti ha dichiarato di aver cercato di attrarre i lettori tramite una certa «stranezza»: la stranezza dei personaggi, del particolare inaspettato, di tutte quelle rappresentazioni del vizio e del desiderio anche più scandaloso, potremmo aggiungere, che come lui stesso nota «costringono a spostare l’asse del proprio ragionamento».2 Quello che Siti

riesce a proporre nella sua letteratura è insomma una «critica del desiderio», così come la definisce Simonetti nella Letteratura circostante,3 per cui anche il contenuto più osceno – per esempio il desiderio erotico reso esplicito nelle descrizioni pornografiche – non è un vuoto momento di (finta) trasgressione ma anzi la rappresentazione del Desiderio di un altrove, una dimensione anche sacrale che consenta al soggetto di non esaurirsi in un mondo sempre più annichilito e ipocrita.

Il desiderio, del resto, è connaturato all’arte. Alcuni teorici hanno riflettuto in particolare sul fatto che la rappresentazione artistica, cioè, risponde innanzitutto all’esigenza di manifestare i più intimi desideri e in alcuni casi cerca una dimensione assoluta, d’infinito. Riguardo alla letteratura, lo ha dimostrato Girard con Menzogna

romantica e verità romanzesca,4 in cui analizza a fondo come il desiderio triangolare

sia uno dei cardini del romanzo – e della realtà –, dove i personaggi modellano sé

1 Mi riferisco per esempio a un intervento di Siti alla rassegna “I giovedì Rossettiani”, Vasto, Palazzo D'Avalos, 28 aprile 2011. https://www.youtube.com/watch?v=j4ltMVCsPoA&t=448s.

2 Intervento di Walter Siti presso la Scuola Normale Superiore il 5 e 6 marzo 2015.

https://www.youtube.com/watch?v=P3DS5x-WwiQ&t=6153s. 3 G. Simonetti, La letteratura circostante, Bologna, il Mulino, 2018.

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6 stessi, più o meno consciamente, su un rivale desiderato e invidiato insieme. Lo dimostra Francesco Orlando con Per una teoria freudiana della letteratura,5 in cui sostiene che la letteratura sia il luogo per eccellenza in cui sublimare i desideri, cioè il luogo in cui riemerge il represso collettivo in senso freudiano. E ancora ne parla per esempio Recalcati nei suoi studi sul desiderio. In Ritratti del desiderio lo psicanalista innanzitutto ricorda che «la “mancanza a essere” […] è il motore del desiderio» perché «si desidera sempre quello che non si ha, quello che manca»6 e che il desiderio è dunque «capacità di slancio, di creatività, di invenzione, […] di generazione»7 che nasce da un vuoto da riempire, da un’angoscia, riferendosi anche all’arte nello specifico.8

A premessa di questo lavoro prendiamo soprattutto lo studio di Simonetti, che ha analizzato a fondo come la letteratura contemporanea tratta il desiderio «forte per eccellenza, il più incline a raccontare l’assoluto»: il desiderio erotico.9 Per quanto

l’erotismo sia stato da sempre oggetto artistico, è stato a partire dagli anni Sessanta del Novecento che la liberazione dei costumi sessuali ha progressivamente fatto cadere censure e repressioni. Nel Secolo breve, Hobsbawn descrive quel momento con le parole del poeta Larkin: «Il rapporto sessuale cominciò nel 1963»,10 a intendere naturalmente non che il sesso fosse da scoprire, ma che «il sesso cambiò il suo carattere pubblico» e divenne un mezzo per «compiere gesti di rottura verso le vecchie tradizioni».11 Le giovani generazioni promuovevano relazioni libere dal vincolo matrimoniale e le stesse lotte politiche diventavano una proclamazione di desideri privati: «Fare l’amore e fare la rivoluzione non potevano essere disgiunti con chiarezza».12 Dopo che insomma il sesso è stato prima “liberalizzato” e poi sempre più normalizzato – in particolare grazie alla tivù – è esplosa nella narrativa degli ultimi

5 F. Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino, Einaudi, 1973. 6 M. Recalcati, Ritratti del desiderio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2012, p. 43. 7 Ivi, p. 12.

8 Durante la conferenza intitolata “La creatività come manifestazione del desiderio” presso il festival “Dialoghi sull’uomo” tenutosi a Pistoia il 27 maggio 2018, Recalcati ha utilizzato un esempio efficace riferendosi a come il pittore Emilio Vedova, quando i suoi allievi non avevano l’ispirazione, usasse dare un colpo ad uno spazzolone immerso in un secchio pieno di colore col solo scopo di creare un primo movimento, una macchia sulla tela bianca che avrebbe innescato la creatività attraverso il desiderio di riempire proprio il vuoto della tela. https://www.dialoghisulluomo.it/it/la-creativita-come-manifestazione-del-desiderio.

9 G. Simonetti, La letteratura circostante, Bologna, Il Mulino, 2018, p. 229. 10 E. J. Hobsbawn, Il Secolo breve, Milano, BUR, 2016, p. 391.

11 Ivi, p. 392. 12 Ivi, p. 391.

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7 anni una tendenza a esibire contenuti estremi e sempre più osceni. Tuttavia, proprio perché è ormai disinnescata la carica scandalosa dell’erotismo, queste rappresentazioni spesso valgono soltanto come manierismi estetici e finte trasgressioni.

Nello specifico, Simonetti individua alcune tipologie di letteratura che interpretano il desiderio secondo diversi parametri. La modalità più scadente di rappresentare l’erotico è quello della debole «paraletteratura», il cosiddetto romanzo «rosa», che propone una «cattiva infinità del desiderio». La narrativa di consumo si distingue innanzitutto per una rappresentazione stereotipata dei conflitti e dei sentimenti, dunque del desiderio: tutto è costruito sull’intreccio avvincente e i contenuti erotici non sono che puro intrattenimento. I protagonisti di questi romanzi ripetono meccanicamente il sistema della fiaba, in cui all’incontro segue il desiderio di possesso dell’altro e infine il congiungimento. Come nota Simonetti, non esiste il confronto con il mondo dei «limiti, dei divieti e dei tabù»13, tutto scorre lineare e senza ambiguità. È il caso di

romanzi come Il Giorno in più di Volo, o le saghe di Moccia, non a caso tutti diventati film di successo. Il modello stesso che questi autori seguono implicitamente è a alla base cinematografico, non letterario: i dialoghi sono poco naturalistici, le descrizioni erotiche sono esercizi estetizzanti e l’eros in sé viene sempre definito come un sentimento ineffabile, incommensurabile. Anche quando il romanzo presenta una narrazione praticamente pornografica, infatti, la carica trasgressiva prima o poi viene ricondotta nell’istituzione: Fifty shades of Grey, caso prima letterario e poi cinematografico, racconta di un rapporto sadomasochista che si risolve in un matrimonio e dei figli.

Ci sono altri romanzi, poi, da Simonetti definiti di «nobile intrattenimento», in cui il desiderio è più problematico ma comunque autoreferenziale. In Non ti muovere di Margaret Mazzantini, per esempio, vediamo come la sessualità quasi brutale della relazione extraconiugale si contrappone all’opaco matrimonio borghese. L’evasione rispetto alla norma, tuttavia, si rivela soltanto provvisoria e non aspira a modificare veramente il reale: l’amante del protagonista scompare e lui rimane con la moglie.14

13 Ivi, p. 233.

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8 Infine, esiste una letteratura «in senso forte» ancora in grado di proporre una «critica del desiderio» che, senza sottostare alle regole della letteratura commerciale, mostri come il desiderio si sia integrato nella logica consumistica:

[L’erotismo] è forma di quieto vivere per eccellenza: un’anestesia, un antidoto a ogni possibile velleità di trasformazione radicale di sé e del mondo. Una precisa strategia di integrazione, dal decorso ordinario, quotidiano, borghese.15

Autori come Siti, Nove o Piccolo, fanno dell’eros non già un momento singolo di vitale intensità ma anzi costruiscono l’intero personaggio sulle proprie ossessioni sessuali: prostituti, pornoattrici e descrizioni pornografiche si dimostrano normali attributi del mondo contemporaneo annichilito dal consumismo. Solitamente, poi, il desiderio ossessivo di possesso non è rivolto al singolo oggetto (come potrebbe essere l’amante nella paraletteratura) ma è desiderio di «possedere tout court».16 Nella letteratura «forte» cioè la critica del desiderio si esprime attraverso una rappresentazione “integrata” dell’erotismo nella logica consumistica, ma allo stesso tempo questo tipo di erotismo funziona da spinta alla sacralizzazione del reale: penetrare dei corpi per possedere un mondo sempre più sfuggente a causa della sua frammentazione.

È sulla base di queste fondamentali distinzioni che va intesa tutta la poetica del desiderio in un autore come Siti. Nel presente lavoro, discuteremo proprio di come Siti proponga una critica del desiderio e non già una rappresentazione d’intrattenimento. L’erotismo, innanzitutto, è sempre un’intima ossessione, perturbante rispetto alla norma sociale. In Scuola di nudo, per esempio, i compulsivi rapporti sessuali con dei culturisti considerati divini rispondono al bisogno di Walter di lenire la propria insoddisfazione, nonché di trovare l’Infinito e rifiutare un mondo al quale sente di non partecipare. Come scrive Walter, «Il desiderio nel suo livello più profondo ha sempre a che fare con grandezze infinite» (SN, p. 17).

Inoltre, nonostante la trilogia Il dio impossibile proceda progressivamente verso un tentativo di normalizzazione del soggetto, proprio nell’ultimo Troppi paradisi Walter approda veramente a un risultato che distrugge l’istituzione della coppia: dopo aver

15 Ivi, p. 259. 16 Ivi, p. 265.

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9 lasciato il compagno, ritrova la passione sessuale con degli escort che finalmente lo soddisfano sia nella carne che nello spirito. Di più: Walter finisce per innamorarsi di uno di loro, Marcello, consacrandolo come il definitivo raggiungimento dell’Assoluto. A tal proposito, Casadei ha notato che il percorso della trilogia di Siti si può considerare come «un passaggio dall’astrattezza del “desiderio del Desiderio” sino alla concretezza di una nascita psichica e non solo fisica di un sé (pseudo)autobiografico»:17 in effetti, Siti parte da una condizione di profondo turbamento in cui desidera soprattutto essere riconosciuto dagli altri – l’inferno di

Scuola di nudo – per giungere alla formazione della propria identità in Troppi paradisi.

Il meccanismo è opposto al romanzo rosa in cui l’equilibrio iniziale viene turbato dall’amore e poi ricomposto nel lieto fine. Inoltre, quello che veramente fa la differenza è il metodo con cui la «nascita» viene raggiunta; nell’ultimo capitolo Siti sancisce l’unione tra desiderio e consumismo, l’assoluto da sempre ricercato come condizione oltremondana infine si trasferisce in terra, acquistabile al prezzo di un escort:

L’assoluto del Nudo Maschile e la possibilità dell’appagamento grazie all’acquisto, la modalità generale su cui si fonda il sistema economico-sociale dell’Occidente, si uniscono nel corpo realizzato e vendibile degli escort-culturisti, valutati e provati in serie fino alla scoperta dell’unico e perfetto. Dunque, l’ottenimento di Marcello, sia da un punto di vista erotico che da uno psicologico-interiore, rappresenta un unicum, il raggiungere in terra ciò che dovrebbe costituire il premio finale, il paradiso della visione/unione con Dio.18

È proprio questa ricerca profonda di un oltremondo che caratterizza la letteratura «forte», dove la pornografia non è falsa trasgressione ma anzi serve proprio a connettere il soggetto con una dimensione altra. In Troppi paradisi in particolare si nota questo meccanismo: l’ossessione sessuale di Walter da una parte è inserita in un

17 A. Casadei, Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 247.

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10 mondo privo di qualsiasi scandalo, dall’altra proprio per questo è il mezzo con cui dare nuova sacralità alle cose.

A partire da quello che anche Simonetti individua come un gusto contemporaneo di «esotismo»19 possiamo poi considerare il viaggio: se nella cattiva letteratura i personaggi desiderano un «altrove» in senso consumistico e là rinvigoriscono le passioni, inclusa quella sessuale, in Siti accade che spesso il viaggio vorrebbe essere piccola fuga, antidoto per sopportare meglio il mondo, ma tuttavia finisce per rivelare quanto sia tutto relativo e connesso alla realtà anche a molti chilometri di distanza. È il caso per esempio del lungo viaggio in Sudamerica in Scuola di nudo: partito per conoscere un mondo più povero e “autentico”, Walter si innamora di un giovane che, una volta in Italia, si rivela un prostituto da due soldi. Ancora in Troppi paradisi, una vacanza di Walter e Sergio diventa conferma dello squallore della relazione di coppia, ma soprattutto il turismo in sé diventa oggetto di alcune pagine saggistiche: secondo Walter, il consumismo crea degli interi sistemi di desiderio per cui gli occidentali ricercano il luogo esotico solo come merce, non come momento di conoscenza. Infine, in alcune delle opere di Siti compare uno dei desideri più indicibili: la pedofilia. Per la prima volta appare brevemente in Scuola di nudo: in questo caso l’autore non tratta il fenomeno in sé e la molestia, interrotta, verso un bambino piccolo rimane subordinata all’ossessivo desiderio del protagonista di essere padrone su qualcuno. Sarà invece in Troppi paradisi e poi in particolare in Bruciare tutto che Siti ci costringe a riflettere sulla pedofilia innanzitutto come desiderio umano: l’autore sfida il lettore a pensare ogni desiderio come legittimo nella sua “potenza”, cioè se non diventa “atto”, tramite l’esibito immoralismo dei suoi personaggi pedofili. In questo caso il contenuto osceno non solo non è presentato come momento eversivo destinato a ricomporsi nella norma – Bruciare tutto si costruisce interamente sulle ossessioni contorte di don Leo – ma neppure è sottoposto a un giudizio morale. Siti indaga il “male” in quanto componente necessaria alla conoscenza degli uomini, i cui desideri passano anche attraverso quelli che comunemente consideriamo impronunciabili tabù. La differenza con una letteratura debole, quindi, sta nella prospettiva mai moralistica: Siti costruisce personaggi volutamente immorali, che possano raccontare in prima

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11 persona tutte le forme delle loro perversioni, proprio in reazione alle semplificazioni della letteratura di consumo e di tanto moralismo di ritorno.

Due sono le grandi direttrici che attraversano allora questo lavoro: da una parte l’idea che la narrazione pornografica non sia insomma un manierismo estetico al fondo sterile, ma anzi la cifra del rapporto tra io e mondo, proprio perché l’io esprime attraverso l’erotismo tutto il proprio desiderio d’assoluto e di possedere il mondo stesso; dall’altra, l’analisi del desiderio di riconoscimento, soprattutto in relazione alla teoria mimetica di Girard.

In particolare, il primo capitolo è dedicato a Scuola di nudo, opera prima di Siti nonché della trilogia. Da una parte, l’analisi si focalizza sul desiderio erotico verso i culturisti, non semplici corpi ma entità pneumatiche che manifestano una dimensione altra e trascendente. Tramite questi rapporti sessuali Walter desidera infatti congiungersi con l’Infinito, un oltremondo totalizzante che lo liberi dalle insoddisfazioni terrene. Dall’altra, discuteremo del violento desiderio di riconoscimento del protagonista: Walter sente di non partecipare al reale, è costretto in una condizione di minorità secondo la dialettica signoria-servitù e desidera fortemente sia essere come gli altri che sfuggire al mondo. Per questo il riconoscimento può essere interpretato in chiave girardiana: Walter subisce un profondo desiderio mimetico nei confronti dei propri rivali, sentiti come nemici ma intimamente presi a modello.

Il secondo capitolo è dedicato a Un dolore normale, romanzo il cui la carica distruttiva dell’erotismo come mezzo per fuggire il reale si esaurisce e la rappresentazione sessuale si appiattisce all’interno di una relazione monogamica. Walter infatti sta tentando una conversione verso il reale attraverso una storia d’amore “coniugale”, in cui tuttavia non è possibile mantenere la spinta vitale dell’eros. Analizzeremo nel dettaglio il ruolo del corpo, in particolare il corpo difettivo del compagno, un essere «troppo umano» per poter essere veramente desiderabile.

Nel capitolo successivo concluderemo poi l’analisi della trilogia con Troppi paradisi. In questo romanzo riscontreremo una sorta di mutazione del desiderio, che dalle sublimazioni freudiane si è trasformato ormai in puro bisogno consumistico. A tal proposito, confronteremo questa rappresentazione del desiderio con le teorie di Massimo Recalcati sul godimento, analizzando poi i nuovi desideri contemporanei che Siti inserisce nel libro: l’ossessione per la merce, la realtà televisiva, le immagini.

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12 Un’ampia parte del capitolo sarà dedicata al desiderio erotico, in particolare alla trasformazione della sessualità dalla relazione di coppia fino all’incontro di Walter con vari escort: se all’inizio il sesso col compagno è “anestetizzato”, tiepido, sarà poi l’escort Marcello a incarnare, finalmente, il Desiderio.

Il lavoro si conclude con un capitolo dedicato a uno degli ultimi romanzi di Siti,

Bruciare tutto: il desiderio, in questo romanzo, si manifesta nella forma estrema della

pedofilia. Tenteremo in questo caso di mostrare come Siti scelga forse l’ultimo tabù del nostro tempo come metafora di un desiderio ancora radicale, non annacquato dal mero bisogno capitalistico. Il protagonista del romanzo è il giovane don Leo, che lotta intimamente con le sue perversioni, tenta di reprimerle, odia e desidera insieme i bambini perché garanti della sopravvivenza di un mondo corrotto.

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Scuola di nudo

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Il desiderio d’Infinito

Questo capitolo discute le molteplici forme che il desiderio assume in Scuola di nudo. Il romanzo si costruisce nello specifico su una direttrice fondamentale: il desiderio come tensione verso un Infinito da ricercare tramite il consumo sessuale di corpi “gnostici”, ovvero culturisti assimilati ad esseri divini. Questa spinta, tuttavia, è in un rapporto costantemente ambiguo con la realtà: Walter Siti vuole fuggire il mondo in cui si rende conto d’essere un fallito e insieme desidera intimamente di farne parte. Come ha notato Casadei, su Walter operano due coordinate: «in verticale, il Desiderio» che conduce al nudo maschile, «in orizzontale, la società moderna» contro la quale Walter si pone in maniera antagonistica e che si fonda sulla dialettica servo-padrone.21 L’attributo principale di questo personaggio è l’impotenza: reso incapace di esistere fin dall’infanzia a causa della mancata elaborazione edipica, rimane bloccato tra il risentimento per tutti i vincenti e il desiderio bruciante di essere come loro.

Nella prima sezione del capitolo mi occupo soprattutto del dualismo gnostico, di come il desiderio d’Infinito e quello di riconoscimento operano nel personaggio e dei motivi leopardiani del romanzo. Nella seconda, invece, analizzo le forme del desiderio erotico: dalla pornografia ai culturisti fino alle speculazioni su Eros e Agape. Infine, un’ultima sezione è dedicata alla trasformazione finale di Walter che da individuo “inesistente” andrà verso la normalizzazione.

1. I desideri di un «guardone»

1.1 Il genere di Scuola di nudo

Scuola di nudo è un testo che consegna ai lettori la storia di una profonda sofferenza.

Il protagonista Walter Siti è un professore universitario trentacinquenne che si rende conto di aver vissuto «come un cane ammaestrato» (SN, p. 11): la sua identità non esiste, l’azione appartiene solo agli altri, dall’esistenza si sente tagliato fuori. Quello che più caratterizza questo soggetto è infatti una bruciante consapevolezza di non

20 W. Siti, Scuola di nudo, Milano, BUR, 2016.

21 A. Casadei, L’autobiografia e il desiderio in Walter Siti, in Stile e tradizione nel romanzo

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14 essere dentro la vita, ma di rimanerne alla porta. Più precisamente, Walter vive tra due dimensioni: da una parte, la vita “reale” delle persone comuni, mediocri, degli ipocriti che abitano l’Università di Pisa e di tutti quelli che da sempre lo fanno sentire in una condizione di minorità; dall’altra, un Assoluto a cui Walter vorrebbe ricongiungersi, convinto che solo in una dimensione oltremondana ci sia l’autenticità della vita. L’impianto del testo si regge, in effetti, sull’idea freudiana dello scontro irriducibile tra Es e civiltà, consegnandoci un personaggio scorticato dal suo dissidio col mondo e le sue regole. L’io appare incapace di sottostare alle norme della civiltà e si rifugia in eccessi e ossessioni personali. La narrazione che ne deriva è spesso un flusso di coscienza in cui tutto è ricondotto a un soggetto che per questa incapacità di aderire al reale non può che parlare di sé, peraltro mentendo o fingendo di mentire. Walter Siti infatti si dichiara autore e protagonista, ma le vicende biografiche dell’autore non coincidono completamente con quelle del personaggio. Questo utilizzo della menzogna e della verità è una cifra del genere cui appartiene Scuola di nudo, che Siti contribuito a fondare in Italia nei primi anni Novanta: l’autofiction. In Ipermodernità Donnarumma definisce così questo genere:

Chiarisco da subito che per autofiction intendo con prudenza una narrazione in cui, come in un’autobiografia, autore, narratore e protagonista coincidono; ma in cui, come in un romanzo, il protagonista compie atti che l’autore non ha mai compiuto, e ai fatti riconosciuti come empiricamente accaduti si mescolano eventi riconoscibili come non accaduti.22

In questo tipo di narrazioni l’autore incrocia vicende realmente vissute e fiction, dando vita a quello che lo stesso Siti ha definito «un’autobiografia di fatti non accaduti».23 Siti afferma di aver voluto innanzitutto parlare di ciò che conosce, cioè di sé, per rinforzare una narrativa italiana poco avvezza dell’«autoanalisi», che anzi è spesso

22 R. Donnarumma, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, Bologna, il Mulino, 2014, p. 130.

23 W. Siti, Il romanzo come autobiografia di fatti non accaduti, in «Le parole e le cose2», 31 ottobre 2011. http://www.leparoleelecose.it/?p=1704. [Ultimo accesso 29/03/20]

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15 considerata «un eccesso di narcisismo e di egoismo».24 La storia personale doveva in qualche modo colpire la dilagante «inoffensività» dei romanzi contemporanei: secondo Siti la maggior parte dei testi letterari pubblicati fa parte di un «unico flusso» narrativo che riunisce indistintamente fiction e storie di cronaca e per questo non scandalizza più. Allora, per non aggiungersi alla massa indistinta di «casi che i media ci propongono ogni giorno» Siti ha scelto di confessare verità miste a menzogne per colpire il lettore nella sua «indifferenza», per costringerlo cioè a pensare che le cose meschine contenute nel romanzo potrebbero essere state veramente vissute:

Mi ero accorto che leggevo una storia con più interesse, e ne ero più colpito, se sapevo che era una storia realmente capitata a persone vere; allora ho pensato di utilizzare i meccanismi dell’autobiografia […], i suoi trucchi anche formali […] per minare l’indifferenza del lettore. Volevo fargli sparire dalla faccia quel tranquillo sorriso con cui si appresta, di solito, a leggere una storia anche atroce, ma che porta sul frontespizio la rassicurante scritta ‘romanzo’. Poi c’era un desiderio più profondo, e morboso: volevo colpire l’inoffensività del racconto anche dentro di me, volevo mostrare che con una storia ci si può far male. 25

Per ottenere questo risultato Siti sceglie di confessarsi solo in parte e inventare il resto, «costretto» a mentire quando la realtà non avrebbe retto la narrazione letteraria e viceversa dicendo il vero quando l’invenzione avrebbe minato la coerenza del soggetto.

Ancora in Ipemodernità Donnarumma nota che l’«esibizione di ambiguità e la mostra di realtà» tipiche dell’autofiction di Siti sono l’«eredità di Svevo», che faceva della

Coscienza di Zeno un modello di «letteratura come bugia che dice il vero e che sul

vero va misurata».26

24«Scrivere di sé è considerato moralmente riprovevole, come se fosse un eccesso di narcisismo e di egoismo; come se bastasse, per eliminare questi difetti, tradurre tutto in terza persona. Rinunciare a capire, compiacersi del proprio punto di vista, questo è moralmente riprovevole. Non è poi così idiota, quando capire è difficile, partire dall’altro che si conosce meglio, cioè se stessi. Nella letteratura italiana ce n’è talmente poca di autoanalisi che non è poi un gran peccato aumentarne la dose», Ibidem. 25 Ibidem.

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1.2 Desiderio d’infinito e dualismo gnostico

In generale, Scuola di nudo comunque risponde ancora all’idea di romanzo “totale” che sia teatro della lotta titanica tra soggetto e mondo. Lo chiarisce bene Lorenzo Marchese in L’io possibile:

[…] perdura in Siti la vecchia idea flaubertiana, che abbiamo già incontrato, della scrittura romanzesca in odio alla realtà e a ciò che essa rappresenta. Perciò, il romanzo in Siti nasce rivendicando un’inesistenza ontologica del narratore-personaggio, e una correlata inconsistenza morale in sfregio a una realtà “normativa” che il protagonista sente di dover trasgredire, attanagliato da un complesso edipico di dimensioni abnormi e da un risentimento dostoevskiano […]. 27

Innanzitutto, indagando la sofferenza di Walter ci si rende conto che lui desidera

un’altra dimensione rispetto a quella del reale nella quale non trova nessuna

realizzazione. Walter infatti vive sapendo che esiste un’altra dimensione: l’Assoluto. Lui, intanto, è invece costretto a terra, fisicamente; è incatenato all’incrocio tra giovinezza e età adulta, e più precisamente al trentacinquesimo anno d’età, in dovere di un bilancio: è nel mezzo del cammino della vita, decisamente smarrito. Il primo romanzo di Siti inizia con un’allusione dantesca che colloca Walter nel pieno di un cammino infernale. Sarebbe però semplicistico registrare il riferimento e tracciare una corrispondenza precisa tra Walter e Dante: quello di Dante è un cammino dal basso verso l’alto in direzione di un Assoluto che sa essere salvifico per sé e per gli uomini tutti in senso cristiano. Dall’altra parte, Walter è innanzitutto un uomo moderno, che non ha intenzione di farsi testimone di nessuna salvezza, poiché la terra lo schiaccia completamente: la forza a cui Walter risponde è una forza centrifuga, che lo porta di necessità a tentare l’evasione dall’inferno nel quale si trova, un inferno reale, vissuto sulla pelle, di prepotenze universitarie, insoddisfazioni sentimentali, desideri e ossessioni. Nessuna missione di testimonianza. Nessun dovere verso gli uomini, che anzi rifugge e disprezza. Se Dante condannava certe caratteristiche dell’uomo del suo

27 L. Marchese, L’io possibile. L’autofiction come paradosso del romanzo contemporaneo, Massa, Transeuropa, 2014, posizione 4347 dall’edizione digitale in formato Kindle.

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17 tempo, Walter vorrebbe non conoscere il Tempo, né la Storia, il suo è il desiderio di un viaggio che possa eliminare le categorie terrene e che lo collochi in una dimensione veramente altra. Questo è il suo Assoluto ed è un concetto che se da una parte non ha niente a che vedere con il Dio cristiano di Dante, dall’altra possiede una sua sacralità. L’Infinito ricercato da Walter appare cioè una sorta di oltremondo, che non corrisponde però al Paradiso perché non si ottiene con azioni pie, o con la grazia, oltreché non essere dimora o ricompensa di nessun santo. Il mondo conosciuto, infatti, non è secondo Walter opera di un Dio creatore, bensì la copia sbagliata dell’altra dimensione:

Il Cosmo è una contraffazione più maldestra che demoniaca di un mondo più alto; il dio creatore inganna uomini e arconti facendosi passare per un Dio vero, uno di quelli che stanno oltre l’essere e il non essere – in realtà è soltanto un povero dio invidioso che si è sforzato di imitare qualcosa che non conosceva. (SN, p. 27)

Straniante è il tono con cui Walter descrive la creazione, che diventa qui addirittura l’errore maldestro di un Demiurgo «cattivo»: il termine è di per sé indicativo di una dimensione sacra tutt’altro che cristiana, Walter stesso definisce piuttosto questa sua “religione” come vicina allo gnosticismo. La dottrina gnostica fa parte delle eresie cristiane e si costruisce su un dualismo di fondo che vede contrapposto un «chaos», ovvero il mondo corrotto degli uomini, a un «archè», o «Illimitato», dimensione preesistente e perfetta. Nello specifico, il «chaos» è un prodotto formatosi per «devoluzione» del primo “universo” a causa dell’insubordinazione della dea «Sophia» che soffiò sulla materia con il proprio spirito contravvenendo alle gerarchie celesti. A sua volta, Sophia delegò la reggenza del nuovo mondo a uno dei suoi figli, il Demiurgo. Quello che ne consegue è la creazione di un mondo caratterizzato in negativo e fondato su principi quali «invidia, collera, materia» e diviso dal mondo celeste da una «cortina» che sancisce il limite e insieme il punto di contatto tra i due mondi.28

28 Per la ricostruzione della dottrina gnostica mi sono servita dello studio di G. S. Gasparro, La

conoscenza che salva, Lo Gnosticismo: temi e problemi, Soveria Mennelli, Rubbettino, 2013, pp.

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18 In Scuola di nudo Siti recupera soprattutto il dualismo oppositivo tra una condizione celeste e una mondana corrotta. Riguardo alla creazione sceglie in particolare la versione degli Ofiti, una delle scuole gnostiche:

Gli Ofiti raccontano che il più debole degli dèi generò figli e nipoti senza il permesso di sua madre e cominciò a pavoneggiarsi per quel che aveva fatto: «io sono il signore Dio vostro e non c’è altro Dio all’infuori di me. Dal cielo allora sua madre gridò: «non dire bugie, Ialdabaoth!» – lui, colto in fallo, ebbe voglia di morire. Per darsi un contegno raccolse un pugno di polvere, ci soffiò sopra e piagnucolò: «la luce sia». (SN, p. 27)

Come risulta evidente dal passo citato, l’idea di fondo rimane quella di una creazione che degrada la dimensione originale, perché viene addirittura realizzata per dispetto. Quello che interessa maggiormente per l’analisi del personaggio Walter è proprio lo stato di «devoluzione» che lui attribuisce alla realtà terrena, sentita costantemente come una prigione falsa dalla quale l’anima deve trovare la via di fuga. Dante crede in un Dio perfetto e potente che ha creato il mondo in ragione della sua magnanimità, un mondo che per l’idea dogmatica e verticale che ne ha il poeta è nei fatti limitato ai confini dati dalla divinità: di per sé un Cosmo ordinato e già perfetto, non imitazione di altri mondi ma di Dio medesimo, nel quale semmai gli uomini devono adoperarsi per conoscere tutte le sue caratteristiche. Walter, di contro, degrada in maniera radicale il valore del mondo: è una imitazione sbagliata, arrangiata, fatta per dispetto da uno dei tanti dèi capricciosi che abitano l’iperuranio. Inoltre, questa creazione non riflette la Bellezza di un Dio, ma l’idea di imitazione vale solo in senso negativo, in quanto finzione, per giunta costruita per ripicca. Il mondo è nato cioè già impestato da una «malattia» originale che, anche in questo caso, non risponde alla logica del peccato cristiano,29 ma corrisponde semmai a una idea di contraffazione, ipocrisia e mediocrità.

Il mondo è per Walter un posto tremendo e privo di autenticità, per questo la sua spinta può essere solo verso il vero mondo, quello iperuranico. Senza voler proporre paragoni

fondamentale nei paganesimi antichi, ma come corruzione successiva a una dimensione ordinata e assolutamente perfetta.

29 Gli Ofiti, anzi, sono identificati come la scuola gnostica che venera il Serpente che risvegliò Adamo ed Eva e li avviò verso la conoscenza.

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19 impropri con la Commedia, la prospettiva con cui guardare all’iniziale allusione dantesca potrebbe appunto essere questa. Insomma, per Walter la realtà non può essere salvata in alcun modo perché non conosce autenticità, e soprattutto lui non conosce estensione dentro questo reale: Agostino definiva il tempo come una dimensione soggettiva, una distensio animi attraverso cui lo spirito si dilata e riesce a percepire la profondità temporale (che non esiste di per sé come scansione presente-passato-futuro).30 Poiché Walter vive di riflesso sembra proprio non conoscere questa dilatazione:

Dappertutto sono famoso per la puntualità “agghiacciante”; [...] forse il punto è proprio che un tempo mio non esiste, che io non ho alcuna estensione e i ritardi me lo rivelano con evidenza crudele: per gli altri gli impegni con me sono segmenti da intrufolare tra molti, per me gli impegni con gli altri sono i soli appigli di un intervallo che altrimenti è vuoto. (SN, p. 135)

La nevrosi ossessiva di Walter lo costringe a sentire, fisicamente, il muro che lo separa dalla vita di tutti gli altri, e, in questo quadro, la causa originale dello scollamento va individuata in primo luogo nella castrazione freudiana. Walter è, nei fatti, un adulto che non ha elaborato il complesso di Edipo, e risente ora della mancanza fisica di un attributo: l’amore per la madre durante l’infanzia lo ha trattenuto accanto a lei, sotto all’imperativo della frase che era solita ripetergli: «Non toccare niente». Mentre sviluppava la venerazione per lei, perdeva la lotta con il padre, elemento nemico nel complesso freudiano: l’altro uomo rappresenta colui che insidia il legame con la madre. Lo stesso gnosticismo evocato attraverso le parabole degli Ofiti descrive un Demiurgo frustrato dalla presenza materna, che addirittura crea un mondo per affermare la sua volontà in maniera individuale: la madre, però, tuona subito contro di lui e lo ridimensiona nella sua ridicolezza. La madre di Walter appare spesso come una figura soffocante, che ha controllo sul figlio nonostante i tentativi di quest’ultimo di conoscere il mondo senza di lei, e che pure è spesso dura, probabilmente per insoddisfazioni profonde che la abitano. Quello che la donna ha consegnato al figlio è

30 S. Agostino, Le Confessioni, XI, 29, 39.

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20 certamente una paura intima di avvicinarsi agli altri, per il terrore di essere visto nella sua identità individuale. Allo stesso tempo però, questo bambino tenuto lontano dal resto del gruppo sociale sviluppa dentro di sé un desiderio ossessivo di partecipare anche lui ai «giochi» di tutti. Sebbene i complessi infantili siano limitati a una fase della vita, sembra che Walter conservi su di sé il timore di essere visto. Durante una cena con dei colleghi in cui non riesce a partecipare alla discussione, evoca questo preciso momento dell’infanzia:

Mi vergogno, come quando tiravo giù le mutande al meccanico addormentato nel frumento, mi masturbavo contro la mangiatoia e mia madre, dopo, mi diceva «t’ho visto sai, che facevi sgugnìn». (SN, p. 170)

Due sono le ossessioni evidenti: il desiderio di «smutandare» il mondo, per vedere cosa ci sia veramente sotto al velo, e l’impressione che ci sia sempre qualcuno che lo vedrà come incapace di riuscirci. Walter è un inetto dell’esistenza, non agisce mai fino in fondo, e quello che si rimprovera di più è proprio questa ignavia di fronte a un mondo che invece andrebbe smascherato: la sua grande condanna sta soprattutto nell’aver intuito la costruzione del mondo. Se la realtà come tutti la conoscono non è altro che un’imitazione sbagliata del Demiurgo, solo “smutandandola” se ne troverebbe la ragione e se ne potrebbe infine ridere per la parodia che è. Tuttavia, l’irrisolutezza dell’io in questo caso è fatale: Walter è bloccato dalla castrazione in un limbo di in-esistenza e impotenza, simbolica e, come vedremo, persino fisica.

A tal proposito, da subito è chiara l’altra ossessione che da sempre lo accompagna: quella sessuale. Senza dubbio questa risponde proprio alla caduta del fallo e alla mancata riappropriazione della sua virilità: sfogare la frustrazione con il piacere sessuale è la cifra della sua esistenza. Chiaramente, non si tratta soltanto del trauma materno, sul quale torneremo ancora più avanti; la sconfitta di Walter come uomo non può prescindere dalla sconfitta come maschio. Lo stesso complesso di Edipo qui evocato presuppone la lotta con il padre, con l’altro maschio che osteggia il figlio nella conquista della prima donna, ovvero la madre. Walter sente di aver perso il fallo proprio nel momento in cui il padre ha marchiato su di lui la sua vittoria, peraltro escludendo così qualsiasi tipo di rapporto tra i due:

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21 Il caldo alzava le finestre: a una / tra le picche verdi della ringhiera /

la testa mozza di mia madre. Il sole / vorticava in cortile, dove un babbo / e il suo bimbo erano intenti / alla partita. Complici, dapprima / ben educati, amici. Poi la ventata sbieca / dell’appena e del quasi, decretò / una lotta all’ultimo sangue. / Vinceva il padre, ma con l’acume / di chi schiaccia per spingere avanti [...]. / [...] e fu cattivo, volle / umiliare il figlio a cui dall’alto / giungeva la voce della strega: / «vieni, mio omìno di mela, vieni / qui non potremo perdere, perché / non c’è gara» e il bimbo entrò. / Da allora vide solo schiene in fuga / canne cedere, e tutto che perdeva / forza, e il mondo sempre più lontano. (SN, p. 115-16)

Durante l’infanzia a un certo momento si è interrotto l’idillio inconsapevole del bambino che si è reso conto di essere figlio perdente; la madre sta alla finestra e addirittura lo chiama con voce di «strega» invitandolo a rifugiarsi in casa, è un richiamo ingannevole che lo ridurrà ad una condizione di minorità, sotto la protezione attanagliante e severa di questa donna. Da quel momento, Walter ha potuto conoscere gli altri solo da lontano.

1.3 «penetrare» il reale

Walter manifesta gran parte del suo rimosso proprio nelle evocazioni dei genitori e in generale nel rapporto ambivalente con il mondo. Nello specifico caso del padre arriva un momento in cui lo psicanalista chiede: «Perché non ha mai parlato di sesso con suo padre?» (SN, p. 279). Il nodo centrale è raggiunto: la sessualità era inaffrontabile perché il padre stesso l’aveva eliminata, vincendo contro di lui nella conquista della donna. Il fatto stesso che Walter sia omosessuale sembra per lui derivare da questo fallimento originario. Come nota Simonetti in Lezioni d’inesistenza, «amare “contro natura” diventa un modo per combattere la natura medesima»:31 non potendo

conquistare la prima donna né le altre donne, come natura vorrebbe, ha dovuto rivolgere la conquista verso gli uomini. C’è un’impotenza sostanziale che lo mortifica,

31 G. Simonetti, Lezioni di inesistenza. Scuola di nudo di Walter Siti, in «Nuova corrente», 42, 1995, p. 115.

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22 ed è quella di aver perso la capacità di erezione una volta sconfitto dal padre: da quel momento, non solo fu impossibile possedere le donne, ma anche il mondo:

Quell’uomo attraente che era mio padre giovane, simile a un attore americano dell’epoca che si chiamava, credo, Joel McCrea. «Tu non ricordi, ma per me il tempo/ si fermava alla tana sul canale/ quella mattina, ai campi rossi/ il giorno delle tue nozze./ Sempre mi ha tenuto a distanza/ quell’aria di marzo leggera,/ il tuo piolo ritto, / sfidando la legge di gravità». (SN, p. 280)

Questi versi che Walter indirizza al padre spiegano bene il meccanismo che lo ha costretto nell’inconsistenza: il Tempo si è fermato già nel momento in cui i genitori si sono sposati, nel momento cioè in cui il padre era nel pieno della sua giovinezza, bello, «ritto» di fronte alla vita. L’erezione qui evocata in metafora si riferisce proprio alla capacità del padre di stare dentro al mondo; nello specifico il «piolo» è infatti un termine usato per quei bastoncini di legno dalla punta aguzza adatti per penetrare il terreno, o per il piccolo cilindro metallico che costituisce il maschio di una connessione elettrica.32

Per “erigersi” insomma, bisognerebbe avere la capacità di penetrare la vita, forza che Walter non possiede. Ecco come si è costituita la castrazione: Walter è stato reso socialmente impotente fino a rimanere fuori dal reale e ha coltivato dentro di sé il disprezzo verso tutti coloro che riuscivano ad avere ciò che lui stesso intimamente desiderava. Il fatto che lui si ritragga come un «mostro» è dovuto al disprezzo profondo nei confronti di un mondo che invece vorrebbe possedere: la mostruosità deriva dalla consapevolezza della meschinità di quel mondo e dal desiderio di avere una parte nel gioco nonostante questa meschinità. Odiando il mondo, non può che odiare sé stesso.33 Nel romanzo, quindi, tutta la sua sofferenza ruota intorno a questo dissidio: la volontà di entrare nel reale e il contrapposto desiderio di trascendere verso un Assoluto autentico e non degradante.

32 Vocabolario Treccani.

33 A. Grilli, «Scuola di nudo» di Walter Siti: genere e scrittura, in Inquietudini Queer.

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23 I rapporti con gli altri sono del tutto compromessi da questa dicotomia. A partire dall’Accademia. Walter insegna letteratura italiana all’Università di Pisa e proprio i suoi colleghi sono i principali destinatari di questa commistione di odio e profonda invidia. Walter ha l’impressione costante di non riuscire a stare dentro al gruppo degli altri: ad esempio, a una delle solite cene tra docenti si trova in disaccordo con loro su alcune questioni trattate, è sul punto di rispondere, ma rinuncia: «ma come mi ritiro subito. Non posso giudicare le azioni buone o cattive finché qualunque azione per me rimane un miraggio» (SN, p. 165). Le stesse allucinazioni possono essere lette appunto come una risposta aggressiva nei confronti del reale che tutti sembrano dominare per quello che è. Durante un’escursione in bici all’Isola d’Elba, si materializza la sua esclusione:

Parlano del rettore, provo a stare attento, per lo sforzo di penetrare in una dimensione che lo respinge il mio corpo si appiattisce: striscio di sguincio tra gli alberi come una sagoma di carta. (SN, p. 182)

Pedalano in gruppo ma di fatto Walter non riesce a fare parte della brigata. La sua dimensione non è quella del gruppo, ne può solo stare ai margini, e anzi ne è violentemente respinto. D’altronde, quello che Walter sa benissimo è di essere il primo responsabile di questo scollamento:

Anni fa mi vantavo di essere invisibile nei miei rocambolismi di guardone, ma non mi accorgevo del terribile prezzo, se non posso essere visto, non posso nemmeno essere udito. Chissà cosa c’è adesso, nella vita reale, lì dove mi sembra di vedere loro che confabulano e sghignazzano. (SN, p. 188)

La mancata partecipazione alla vita da parte di Walter di cui lui stesso si dice responsabile ha però un prezzo, ed è quello di aver perso i diritti sul mondo: la sua mancanza di incisività nelle discussioni con i colleghi dipende proprio dalla sua invisibilità. Gli altri, intanto, hanno guadagnato anche quello che avrebbe potuto essere suo. Walter, insomma, sta continuando a perdere non solo contro il padre, ma anche

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24 contro tutto il resto degli uomini. Nello specifico, subisce la sconfitta da due figure precise che rappresentano tutto il reale amato e odiato: il Padre e il Cane.

1.4 Il desiderio di riconoscimento

Alfredo Ritter, preside della facoltà di Lettere, assume il nome di “Padre” perché da lui Walter cerca costantemente un’approvazione non solo come docente, ma come uomo e dunque come figlio. Alfredo è un uomo dal profilo forte, assai temuto e rispettato, capace di cambiare e controllare qualsiasi equilibrio in università; si fa paladino di una morale integerrima, ma i suoi principi di equità confliggono con un uso arbitrario e nei fatti poco democratico del potere personale. Walter proietta su quest’uomo più grande e autorevole il bisogno intimo di un padre che lo accolga, che colmi cioè l’irreparabile separazione dal padre biologico, peraltro ormai morto. L’atteggiamento di Walter oscilla costantemente tra il disprezzo e la piaggeria, altalena inevitabile di un io che ossessivamente vorrebbe disfarsi degli altri “cattivi”, ma che non ha la spina dorsale necessaria per prendere alcuna decisione. Se è in disaccordo con Alfredo su qualcosa, finge solo di contraddirlo, senza che i suoi giudizi si mutino mai in azioni concrete: troppo è il bisogno profondissimo di approvazione. Walter è in questo senso ancora bambino, incastrato nel punto dell’infanzia in cui ha perso suo padre:

Se all’età giusta mi fossi ribellato a mio padre, non sarei indotto a ribellarmi adesso

a lui che dentro di me ho sempre chiamato “il Padre”. (SN, p. 13)

Nelle occasioni in cui si trovano insieme, Walter rappresenta la figura del Padre come protettore e antagonista, costantemente impaurito dalla possibilità di deluderlo. Durante un improvviso blackout, il primo a reagire è Alfredo: «sempre lui nei momenti di emergenza prende il comando delle operazioni, distribuisce i compiti: a me nessuno, ovviamente» (SN, p. 161). La delusione di Walter è perenne e bruciante, perpetua quella infantile. Alfredo è il maschio che riesce a intervenire, sa cosa fare e non teme di affrontare il reale. Walter, non a caso, lo descrive con le parole che Monaldo Leopardi usava per giustificare i suoi metodi educativi:

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25 “Il fatto sta che la natura o l’abitudine di sovrastare mi è sempre

rimasta, e mi adatto malissimo anzi non mi adatto in modo veruno alle seconde parti. Non vorrei adularmi, [...] ma in verità mi pare che il desiderio di vedere seguita la mia opinione non sia tutto orgoglio, bensì amore del giusto e del vero.” (SN, p. 13)

Alfredo è nei fatti la negazione di Walter: la sua natura è quella di vincente, non conosce la subalternità, il mondo è un’arena in cui domina con un’innata leadership. Quello che più sconvolge Walter è che il potere e l’autorevolezza del Padre provengano da una padronanza di ciò che è «giusto» e «vero», proprio come scriveva Monaldo: per Walter il mondo non è che una finzione e tuttavia tutto quello che vorrebbe è poterci credere anche lui. Anche in questo caso, il desiderio di sentirsi in qualche modo amato da questo surrogato del padre traditore, non è immune dall’erotismo: Walter trasferisce sul maschio l’attrazione sessuale che Edipo ha per la madre. L’amore qui ricercato non è completamente simbolico, ma anche fisico:

Un giorno l’ho spiato mentre faceva il bagno. [...] Finalmente potevo vederlo nudo, sotto la camicia avevo sempre indovinato pettorali robusti, avanzo di una sua antica attività di pugile, e cosce forti sotto i calzoni. (SN, p. 13)

Su Alfredo vengono proiettate emozioni diverse: invidia atavica, necessità di amore, desiderio sessuale. Il suo corpo è descritto con la minuzia e il tono riservato agli altri amanti, Walter ne osserva con attenzione il fisico «muscoloso e bassino» mentre sta appostato dietro la porta, sbirciando come un ladro dalle fessure di alcune travi in legno. L’immagine suggerisce qualcosa di incestuoso, eppure Walter rappresenta questo momento come spersonalizzandosi: «dovete sapere che in quei momenti io non mi muovo su questa terra (non lo dico per scherzo) [...]» (SN, p. 14). Lo scandalo viene disinnescato perché l’episodio non ha niente a che fare con la trasgressione di principi morali, né con la depravazione più spicciola. I muscoli si delineano come un potente tramite con quell’Assoluto che tanto ricerca; il fatto che quelle desiderate siano le cosce del padre è dovuto proprio alla castrazione: una volta persa la condizione di

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26 maschio vincente sulla donna, non può che trasferire il suo desiderio di possesso su un altro maschio. Alfredo lo affascina, lo tiene sotto scacco, nonostante i tentativi di Walter di credersi persino migliore di lui. Quando poi lo vede masturbarsi rivolto alla foto della moglie, si rende conto che Alfredo può godere di una soddisfazione a lui negata, cioè la conquista della donna. Non solo, rivolgendosi a lei, si nega a Walter. Nella pratica il loro rapporto è comunque solitamente visto da un punto di vista filiale: Alfredo lo rimprovera per il troppo idealismo e tenta di svegliarlo dall’immaturità, lo accusa di intendere la vita come «un cartone animato» e di «trasformare tutto in letteratura»; dall’altra parte, Walter si preoccupa di alcuni problemi di salute del Padre. Alfredo, tuttavia, non ha intenzione di accettare queste premure. «La testardaggine» di questo Padre nel rifiutare le cure di Walter si rivela la stessa del padre vero, tanto che Walter si preoccupa soprattutto di non «ripetere lo sbaglio di allora» (SN, p. 323) lasciando che non si curi. Insomma, la matrice di questo rapporto è un profondissimo desiderio di riconoscimento, cioè il desiderio di diventare desiderato dall’Altro per essere confermato nella propria esistenza di figlio e di uomo. Per questo lo sguardo di Walter sul reale non può mai essere nitido, perché concepisce sé stesso di riflesso e mai direttamente.

1.5 Il desiderio mimetico

Il campo di battaglia più sanguinoso è, chiaramente, l’università. Più precisamente, l’università è il luogo in cui Walter entra in competizione con un terzo soggetto, il Cane, ovvero il collega Matteo Casimbeni. Il bruciante desiderio di riconoscimento che governa i sentimenti di Walter verso Alfredo si unisce alla competizione verso un Rivale, il suo «Walter-ego» fratello (SN, p. 43), che ha invece l’onore di essere prediletto dallo stesso Padre:

è lui il nemico di cui non volevo parlare, anche perché non mi riesce di convincere nessuno che siamo nemici. Tutti anzi ci considerano poco meno che gemelli, ci scambiano addirittura: stessa età, stessa città di provenienza, stessa professione. [...]

Lo chiamo “il Cane” perché ha l’abitudine di mordere solo le parti basse e perché è fedele ai padroni: ma anche perché il cinismo è la sua primaria caratteristica intellettuale. [...] L’ho invidiato da sempre,

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27 fin dai tempi del liceo [...]: disinvolto, con l’aria dello scavezzacollo

che studia il minimo indispensabile ma sempre con voti altissimi, brillante quanto io ero imbranato. (SN, p. 43)

Matteo è un doppio, un antagonista, è l’Altro che ha rubato a Walter tutte le donne nonché il Padre. Interessante è questa asimmetria tra la percezione del rapporto tra Walter e Matteo da parte degli altri e l’odio che contraddistingue questo rapporto. Da una parte una comunione di vita professionale, la stessa età anagrafica e una crescita avvenuta sostanzialmente in parallelo. Dall’altra invece alcune differenze fondamentali che hanno contribuito a schiacciare Walter nella sua minorità: la città natale è la stessa, ma Matteo «naturalmente è ricco», mentre la famiglia di Walter ha origini assai modeste; Matteo si circondava di «figlie di industriali e chirurghi» al circolo del tennis, mentre l’altro giocava solo nelle campagne emiliane. Il temperamento è completamente diverso, uno è cinico, cioè domina le cose con distacco e «scioltezza», sembra che neppure fatichi e intanto quasi senza spiegazione ottiene tutti successi; l’altro è goffo, nevrotico, si rifugia nei film porno per possedere almeno una realtà surrogata (SN, p. 43). Il disprezzo di Walter per questo nemico mortale è tale che per il suo corpo prova «schifo», i suoi muscoli sono «linee rette» prive di rotondità, i calzoni di dietro «gli cadono piatti», sulla pelle ha «pelacci neri» (SN, p. 42). Incredibile è infatti soprattutto che le donne trovino attraente un corpo simile, che

desiderino lui, che appare invece così sgraziato secondo il giudizio di Walter. Lo

scandalo vero di Matteo è che ha l’arroganza di sporgersi, di agire, di essere vincente. Matteo ha la capacità d’erezione nei confronti della vita che a lui manca. La capacità del Cane di stare «dentro e fuori» alle cose è il chiaro segno della sua potenza sessuale di maschio che non ha bisogno di rendere conto a nessuno e potrebbe tirarsi fuori da tutte le situazioni scomode se lo volesse. L’insistenza sulle caratteristiche di Matteo, tuttavia, non può che destare il sospetto che nel fondo di questo disprezzo risieda soprattutto una profonda invidia e dunque, allo stesso modo che col Padre, anche un qualche desiderio dell’altro. La conferma arriva proprio da Walter: «Lo disprezzo, ma se qualcuno dice “è inutile che insistiate a voler essere amici, siete troppo diversi” mi ribello come davanti a un’ingiustizia: ci si capisce con un’occhiata, lui è incuriosito dalle mie stranezze» (SN, p. 42). Impossibile non cogliere il filo doppio che lega Walter a quest’uomo, ne prova disgusto ma intimamente l’odio porta con sé anche

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28 dell’ammirazione: precisare agli altri che loro due hanno una qualche complicità fa rimanere Walter più vicino al campo dei vincenti. D’altra parte, l’ammissione arriva chiara

: «

ma [Matteo] può fare a meno di me più di quanto io possa fare a meno di lui» (SN, p. 43).

Walter sostanzialmente fa del Cane un mediatore del suo desiderio, inteso qui secondo la logica del desiderio mimetico girardiano. René Girard, nel suo saggio Menzogna

romantica e verità romanzesca, parla di un meccanismo per cui i desideri rappresentati

nella letteratura romanzesca moderna non sono rivolti solo all’oggetto che vorremmo ottenere, ma anche al soggetto che solitamente lo possiede. Ogni spinta ideale, ogni tensione, risente cioè del modello di un mediatore al quale si vuole assomigliare, anzi del quale si vorrebbe prendere il posto. Il desiderio si costruisce così non su due poli, ma su tre: il soggetto, l’oggetto e il mediatore. Nell’analisi girardiana, il desiderio triangolare produce una competizione inevitabile tra soggetto e mediatore, il quale diventa nemico e rivale per eccellenza. Quando Walter tratteggia così ferocemente il profilo del Cane, lo fa perché ne disprezza i successi che lui stesso avrebbe voluto per sé, dunque perché vorrebbe essere lui. Di conseguenza, l’insofferenza nei confronti di sé stesso non è altro che la punizione sia per non essere come il Cane, sia per volergli intimamente assomigliare. Se Walter si definisce «mostruoso» è solo perché consapevole di far parte lui stesso del mondo tanto odiato e di non potersene veramente emancipare: se avesse un’identità, sceglierebbe quantomeno una direzione, anche quella della ribellione totale. Invece, la sua identità si definisce solo in confronto all’Altro. Parlando della trasferta all’Elba, Walter ammette: «Il Cane, quello vero, non c’è: per questo sono venuto. (Ma no, anzi, sono venuto per godermi la sua assenza, quindi continua ad essere al centro delle mie preoccupazioni)» (SN, p. 181).

1.6 I successi del mediatore

Nel romanzo il Cane è sempre il rivale vincente: Matteo, innanzitutto, è il preferito di Alfredo. I due sembrano avere un’intesa sconosciuta agli altri, ogni loro complicità è per Walter lo scrigno di segreti inaccessibili. Loro sanno qualcosa che lui certamente non capisce. Per questo Matteo diventa «fratello», perché si contende la figura paterna e la conquista costantemente. Esiste un solo momento di riscatto all’interno di Scuola

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29 mentre Alfredo accorda un pubblico favore alla relazione di Walter. L’entusiasmo per questa vittoria è grande:

Mi ha dato ragione davanti a tutti. Tutti hanno sentito che dava ragione a me. Tra me e lui ha scelto me. (SN, 321)

Walter intende tutta la sua esistenza come una competizione, come una lotta per vincere finalmente un posto tra gli altri. Proprio per questa lettura del reale, lo scontro si rivela sempre in perdita: il cinismo del Cane tronca ogni entusiasmo: «sei invecchiato se pensi che qui ci siamo venuti per Leopardi» (SN, p. 321). Il fratello cattivo ha rotto i balocchi regalati dal babbo e ha ricordato al bambino qual è il suo posto. Il fratello, cioè, sa attribuire alle cose il loro peso reale, considerandole pressoché tutte ridicole, e quindi non diventando mai dipendente da nessuna.

In secondo luogo, il Cane vince subito la cattedra dopo il concorso al quale entrambi hanno partecipato, mentre il giudizio di Walter rimane sospeso per equilibri interni poco chiari:

Matteo invece ha stravinto [...] quando ho saputo della sua vittoria ho reagito come se avessi perso io. [...] Sono cominciate delle fitte anali fortissime, l’unico palliativo è un rinfrescante raccomandato per l’igiene intima femminile. La sensazione che ho da quand’ero adolescente, di essere un’immondizia (senza mai riuscire a capire davvero perché) ora ha ricevuto una sanzione ministeriale: se mi chiederanno perché sono un’immondizia potrò sempre rispondere «perché Matteo ha vinto il concorso».

(SN, p. 282)

Il dolore e la frustrazione per la vittoria dell’altro sono così forti che si manifestano fisicamente e soprattutto significano l’inconsistenza di Walter: i rapporti personali, e gli eventi ad essi collegati, sono ancora una volta intesi come basati su un desiderio di riconoscimento. L’Altro è riuscito a trionfare, dunque ha perso lui, pur non avendo (ancora) perso ufficialmente: la sconfitta consiste nella vittoria stessa del Cane, che afferma sé stesso sopra la vita di un soggetto che non ne possiede veramente una sua.

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30 Per sentire dolore, e gioia, a Walter serve sempre qualcun altro. Interessante è poi l’immagine del «rinfrescante per l’igiene intima femminile»: localizzare questo dolore nell’ano significa connetterlo alla sconfitta originaria contro il padre, che lo ha reso peraltro omosessuale; l’unico «palliativo» è dunque un prodotto riservato alle femmine, che notoriamente, secondo un’idea machista della vita, non possiedono questa potenza di erezione, né fisicamente né simbolicamente. In effetti, spesso la prospettiva di Walter è reazionaria anche quando rivolta a sé stesso: l’omosessualità come perdita di virilità, la conquista della donna come penetrazione del mondo. È lo stesso Matteo a ammonirlo su questo, quando Walter lo rimprovera per la tresca con la moglie di Alfredo: «è impressionante il maschilismo di voi froci. Secondo te è stata una faccenda tra noi due eh, Olga è stata lì ad aspettare» (SN, p. 359). L’ideologia sitiana è difficilmente etichettabile, quello che mi sembra evidente è che da una parte la forza della rabbia di questo io insista sulla propria meschinità per tentare di definirsi almeno in negativo, mentre dall’altra probabilmente la mancata elaborazione del rapporto con la madre sia in effetti sentita come una mancata conquista, secondo delle categorie freudiane abbastanza tradizionali, commiste ad una frustrazione reale per l’ambiente non favorevole all’omosessualità, in cui sicuramente l’autore ha vissuto da giovane. Ancora, Matteo vince in un’altra occasione esemplare: il rapporto con Fausta. La collega dattilografa è una dei pochi affetti sinceri di Walter, anche lei fallita e segnata fisicamente dal fallimento, che si è materializzato nella forma di un cancro. Fausta è una «mezzana degli amori altrui, vampira della vita che non ha vissuto» (SN, p. 297): anche lei ha tentato a suo modo di annullare la realtà di un’infanzia in cui ha rifiutato i propri talenti e si è ritirata nella propria solitudine. Quando vive, lo fa per interposta persona. La malattia è una condizione che accompagna la vita di Walter in molte forme, dalla nevrosi, alle malattie dei suoi cari, tra cui Fausta e il compagno Ruggero. La malattia è, in generale, una condizione del mondo, che la restituisce ai suoi abitanti. Nel caso di Fausta peraltro il male risulta l’unica azione possibile: «Il suo cancro, [di Fausta] perfino, è stato un risultato dell’autorepressione, un riscatto delle sue cellule narcisiste» (SN, p. 297). Nello specifico, anche il rapporto tra Fausta e Walter ha un fondo erotico, ma i teneri scambi si riducono ai baci affettuosi di chi condivide una sofferenza. Quando Matteo inizia una relazione con lei, Walter vive di nuovo lo smacco originario. Non solo perché il Cane gli dimostra di poter possedere

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31 tutte le donne che vuole, ma anche perché Fausta si presta sommessamente a giochi violenti, in balia di quest’uomo che si sente in diritto di fare qualunque cosa. Il tentativo di incastrare Matteo davanti alle sue meschinità, però, fallisce miseramente: è la stessa Fausta a volerlo, a desiderare il sadismo per combattere un altro tipo di sofferenza. Tutti sembrano ammaliati da questo pifferaio nel quale vedono ciò che desiderano.

Infine, lo smacco finale arriva quando Matteo mette incinta una donna: ecco quello che Walter non potrà mai fare, generare un figlio. La paternità rimane costantemente una presenza fantasmatica in Scuola di nudo, una condizione irraggiungibile, ricercata di conseguenza nei rapporti con i partner.

Nel caso di Matteo, la donna dalla quale avrà un figlio non è una qualunque, bensì la moglie del Padre. Il tradimento di Olga verso Alfredo viene ammesso direttamente da Matteo, che proprio così ha ottenuto la vittoria al concorso. Walter, umiliato da questa sconfitta, quasi gioisce dopo una minaccia di aborto:

Ho tremato di gioia apprendendo che c’era stata una speranza d’aborto e anche adesso sinceramente prego che possa nascere handicappato. [...] ma non potrò restituire a Matteo il male che m’ha fatto, un male tanto più terribile quanto meno riesco a precisarlo. Nemmeno se uccidessi suo figlio, non ci tiene abbastanza. (SN, p. 396)

La conquista di Olga, il concepimento di questo figlio e infine l’elezione del Cane a Preside al posto di Alfredo sanciscono la vittoria definitiva di Matteo: aggirando lo stesso Padre, il figlio prediletto si emancipa e la fa franca, schiacciando per sempre l’altro «gemello». Quella che rimane a Walter è la consapevolezza che l’ossessione di sconfiggere il Cane deriverà sempre dalla proiezione dei suoi desideri su di lui.

1.7 Desiderio di verità come pretesto di riconoscimento

A conferma dei meccanismi del desiderio fin qui trattati, è necessario porre l’attenzione su un un’ultima questione. Nelle prime pagine del romanzo Walter sostiene che tutta la sua opera si regge su uno scopo preciso: sputtanare i suoi rivali:

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32 Sputtanarli. Voglio vederli annichiliti domandare pietà, voglio

trafiggere con spilloni i loro fantocci di cera (per ora mi sono limitato a bucare gli occhi del Cane in una foto del liceo). Non credano, loro che hanno posseduto una donna e l’hanno sottomessa ai loro voleri, che hanno desiderato una donna e sono diventati ciò che una donna desidera, non credano che io sia innocuo. (SN, p.115)

La missione di Walter è quella di smascherare il Padre e il Cane nella loro ipocrisia e insieme tutte le ingiustizie dell’accademia: fortissima è la spinta del risentimento nei loro confronti per non considerarlo un pari, per averlo sempre visto come uno «fuori dal mondo». Il desiderio più grande che Walter sembra porre a fondamento dalla sua opera è insomma la verità, una denuncia che possa finalmente renderlo consistente: per questo sceglie di abbandonare ben presto gli pseudonimi e rivelare i nomi veri dei suoi nemici (che tuttavia non corrispondono a quelli effettivamente reali). Alfredo Ritter il preside che vanta virtù morali granitiche ma che è invece connivente con sistemi incancreniti di favoritismi e ingiustizie, Matteo Casimbeni il gran critico letterario che sibila intorno ai potenti e non ha alcuna passione autentica per il proprio mestiere se non quella di fare carriera. Tutta la narrazione di Scuola di nudo sarà votata a denudarli nelle loro magagne pubbliche e private. Tuttavia, il desiderio di verità che lo abita si rivela assai più debole del più autentico desiderio riconoscimento: Walter desidera essere finalmente visto. Per esempio, una volta scoperti alcuni appalti truccati orchestrati dal Cane, Walter decide di confessarli ad Alfredo con la speranza che questo gli valga la sua fiducia: come un bambino corre a fare la spia al babbo nel tentativo di accaparrarselo per primo. La realtà, tuttavia, gli presenta il conto: Alfredo non ne vuole sapere niente e Walter, quasi disperato, ammette quale sia l’unica spinta che lo costringe in questo servilismo: «non me ne importa niente delle lottizzazioni e degli appalti, voglio solo sapere se mi vuoi bene» (SN, p. 200). Sincero fino a scoprirsi meschino, la verità non è stata dunque che un pretesto per potersi portare più vicino al Padre, e alla linea di quelli che esistono davvero, perché sono uomini «d’azione»: in realtà, non si tratta tanto di un giudizio sui comportamenti negativi dei rivali, quanto sul fatto che loro sono in grado di agire, in un modo o nell’altro. Walter smania per delle attenzioni che gli dimostrino che una sua identità esiste, e prova a convincere Alfredo ad ascoltarlo, ma il Padre gli serve l’ennesimo, esistenziale, rifiuto:

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