• Non ci sono risultati.

Esame di un preteso caso d’incompatibilità

2. Uso efficiente dello spettro elettromagnetico e accesso alle

4.1 Esame di un preteso caso d’incompatibilità

Negli anni scorsi da più parti è stato sostenuto che Silvio Berlusconi fosse ineleggibile, ed un ricorso in tal senso è stato anche presentato alla Giunta per le elezioni della Camera. Ci si richiama all’art. 10, c. 1, n. 1, d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, secondo cui non sono eleggibili “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o l’autorizzazione è sottoposta”.

La Giunta sostenne che la norma non fosse applicabile perché l’imprenditore non era titolare in nome proprio di concessioni radio - TV, ma solo azionista: situazione non contemplata dall’articolo richiamato. Il motivo per cui fu domandata l’applicazione

47 In quel sistema, colui che avesse ottenuto il maggior numero di voti, dopo il parlamentare non più in

dell’istituto risiedeva nel ruolo ricoperto da Berlusconi all’interno della società Mediaset di cui anche a quel tempo era proprietario e azionista di maggioranza. Peraltro rientrava nella polemica anche il controllo su parte della carta stampata. La conseguenza della possibilità di usufruire di una posizione dominante nel settore dei media fu quella di poter influenzare, a proprio vantaggio, i cittadini nell’espressione del voto. Proprio il risultato della volontà popolare fu invocato a sostegno della regolarità delle elezioni, la cui contestazione era incentrata sull’alterazione della par - condicio tra i candidati: nel caso in esame, non tutti ebbero a disposizione i consueti mezzi di diffusione dei propri programmi elettorali; è ovvio che con essi risulti più semplice l’effetto della captatio benevolentiae e del metus publicae potestatis.

Il problema fondamentale è che in quel momento, come adesso, la Costituzione ammette soltanto cause tassative per impedire l’esercizio dell’elettorato: uno dei diritti fondamentali, quindi inviolabili, in una democrazia. Tra queste non rientrava la posizione dei concessionari pubblici48. Neanche l’incompatibilità fu ritenuta applicabile: anche se, contrariamente all’altra, è rimovibile perché non invalida l’elezione.

48 L’ineleggibilità ex Cass., 28 novembre 1981, n. 6337 è rivolta a chi sia titolare di

funzioni nelle quali possa influenzare la volontà degli elettori e turbare potenzialmente, quindi, il risultato elettorale.

4.2 Alcuni problemi connessi all’incompatibilità

Anche l’incompatibilità è volta a garantire l’indipendenza e un corretto esercizio del potere da parte di colui che sia titolare di una funzione pubblica. I tre saggi nominati dal Governo per dirimere la questione nel 1994 dissero che nella Costituzione non era possibile rinvenire cause ostative per i membri dell’esecutivo. Frequenti astensioni, nel caso fossero previste come rimedio non definitivo, andrebbero contro la responsabilità per gli atti ministeriali o del Governo. All’estremo, per rivestire la carica pubblica potrebbe essere prevista la dismissione delle attività private o la vendita delle proprietà rilevanti nel giudizio del conflitto di interessi, come negli U.S.A.

Non sarebbe quindi un obbligo ma un onere di alienazione a prezzo di mercato. Sono queste alcune delle soluzioni che il legislatore ha proposto nell’ultima legislatura e ha ripetuto nella presente. Dal momento che la normativa si basa sulla correttezza nell’esercizio delle proprie funzioni49, pare avere ad oggetto l’etica e in sostanza la deontologia di coloro che siano eletti per servire il Paese: avrebbe dovuto essere un deterrente per coloro che avessero invece l’intenzione di servire esclusivamente i propri interessi50.

49 Chi risultasse in conflitto di interessi, secondo la normativa attuale, non potrebbe

mantenere l’incarico. La valutazione è diretta agli interessi che contrastano tra loro di cui uno sia privato e l’altro pubblico: il sospetto riguarderebbe lo sfruttamento da parte dell’interessato del potere acquisito con la carica pubblica per favorire in primo luogo la propria attività privata e in secondo luogo, ma non per minore importanza, un altro soggetto a cui fosse legato da vincoli di stretta parentela.

50 Purtroppo la legge 215/2004, come preciseremo nella successiva analisi, non ha le caratteristiche

per potersi definire un deterrente: non prevede alcuna sanzione importante. Ci pare che un giudizio condivisibile sia stato espresso, tra gli altri, da. G.B. Mattarella che afferma testualmente :”Per i

4.3 Ipotesi di regolazione

La rappresentanza degli interessi pubblici, quindi della comunità, potrebbe essere pregiudicata o quanto meno apparire tale, proprio da parte di coloro che siano stati eletti per gestirli ove prevalessero i propri interessi privati. In primo luogo si può considerare l’amministrazione politica, per la capillarità della sua azione nel Paese. Nel diritto pubblico non era prevista fino a poco tempo fa una fattispecie che prendesse in considerazione questa possibilità: prima della legge 215/2004 il conflitto di interessi era stato solo oggetto di accesi dibattiti51.

Nell’anno dell’elezione a Presidente del Consiglio dei Ministri dell’imprenditore Silvio Berlusconi, invece, le preoccupazioni emersero con maggior vigore per il potere mediatico ed economico che, potenzialmente, avrebbe potuto esercitare a livello politico. Dopo la costituzione del proprio partito, infatti, ottenne la maggioranza di Governo alleandosi con altri schieramenti.

Da tale momento furono avanzate proposte di soluzione del problema come la garanzia, da parte di un soggetto politico, della separazione delle due specie di interessi in oggetto, e

membri del Governo, vi è la legge Frattini, approvata nel 2004: legge votata all’inefficacia, che ricorre alla seconda tecnica [neutralizzazione del conflitto attraverso obblighi di astensione, NdR] ma rende impossibile la prova della violazione; e ad ogni buon conto, prevede sanzioni ridicole.” Cfr. Il Mulino, 1/2007, p. 37.

51 Anche se i conflitti d’interesse che riguardavano importanti imprenditori, quali Cecchi Gori o

successivamente un Comitato di studio per l’integrazione della normativa vigente nominato dallo stesso Presidente, col consenso del Presidente della Repubblica52. Incentrandosi in questo caso

particolare sulla proprietà di imprese esercenti nel settore dei mezzi di comunicazione di massa, per risolvere la questione, il Comitato cercò delle disposizioni che salvaguardassero sia i diritti di partecipazione politica, sia il diritto di proprietà e di iniziativa economica privata: l’art. 97 e 21 della Costituzione. Il Comitato ipotizzò che andasse prevista l’incompatibilità tra cariche di Governo e la gestione diretta di attività economiche. La soluzione venne scartata.

Nel 1997 la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, che non ebbe esito positivo, avrebbe voluto che l’art. 73 Cost. facesse riferimento alla legge approvata dalle Camere sull’incompatibilità tra le cariche di Governo, gli uffici, le attività, pubbliche o private, per evitare un conflitto tra interessi particolari e pubblici. L’art. 68 Cost. avrebbe dovuto prevedere che non entrassero in contrasto gli interessi pubblici e quelli privati del Presidente della Repubblica, mentre l’art. 92 Cost. l’incompatibilità tra le cariche di Governo e la titolarità, o il controllo, di imprese individuali, o società o gruppi con una rilevante consistenza economica.

Il Comitato di studio trasmise i propri risultati al Presidente del Consiglio dei Ministri che presentò un disegno di legge: si rivolgeva

52 Cfr. i brani estratti dal documento conclusivo del comitato di studio sulla questione del conflitto di

interessi, in Cassese S. – Mattarella G.B., a cura di, Democrazia e cariche pubbliche, ineleggibilità incompatibilità conflitto d’interessi: un problema di etica pubblica, Il Mulino, 1996 p. 131.

allo stesso Presidente, ai Ministri e ai sottosegretari di Stato per l’incompatibilità con le altre cariche pubbliche; dovevano evitare, se proprietari o controllori di attività economiche imprenditoriali, ogni rapporto conflittuale con la loro attuale situazione. Le attività avrebbero dovuto avere, comunque, un patrimonio almeno pari a 50 miliardi di lire, o appartenere al settore dei mezzi di comunicazione di massa. Era previsto, inoltre, l’istituzione di un trust, o la presentazione di un piano per la dismissione, all’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato che, dopo aver eventualmente consultato l’Autorità garante della radiodiffusione e dell’editoria, avrebbe approvato o indicato le modifiche da apportare.

Sempre secondo questa proposta, le due Autorità infine potevano segnalare alle massime cariche dello Stato le leggi, i regolamenti o i decreti amministrativi non di interesse generale o con la partecipazione o su iniziativa del titolare della carica.

I provvedimenti non potevano essere presi dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, non avendo la competenza a far decadere dalla carica l’interessato: solo il Presidente della Repubblica, quello del Consiglio, e quelli delle Camere la avevano, e la esercitavano dopo una valutazione politica. La proposta venne approvata nel 1998 dalla Camera e nel 2001 dal Senato con alcuni emendamenti: uno consisteva nella delimitazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri, sottosegretari e ai commissari straordinari. Inoltre furono attribuiti alla suddetta Autorità i poteri sanzionatori per coloro che non avessero provveduto alla separazione degli interessi in conflitto: l’incompatibilità e una

sanzione pecuniaria amministrativa tra il 2 e il 50% del fatturato delle imprese attualmente detenute come titolari, o su cui esercitavano il controllo nell’anno precedente o nell’anno in corso. La partecipazione necessaria e sufficiente per l’applicazione di queste misure equivaleva al 2%. Invece del trust, era previsto un contratto di gestione mediante il quale trasferire le partecipazioni ad un soggetto individuato. Sussistevano comunque degli elementi negativi, come la non obbligatorietà di alienazione, se non fosse stato sufficiente il trust. Dal momento che il Senato decise di approvarla solo alla fine della legislatura, non fu possibile l’altro passaggio definitivo in sede parlamentare per renderla legge.

Nel 2001 venne presentato un disegno di legge del Governo, prendendo spunto dall’ultimo bloccato in Parlamento: a livello soggettivo le modifiche prevedevano il Presidente del Consiglio dei Ministri, i Ministri, i sottosegretari e i commissari straordinari, i Viceministri, i presidenti delle province, delle regioni nonché i sindaci delle città metropolitane. Per quanto riguarda l’approccio alle soluzioni vi era una semplificazione: non il trust ma l’astensione dagli atti in conflitto, e la comunicazione ad una autorità di nuova creazione dei dati patrimoniali di cui fossero o fossero stati titolari nei 3 mesi precedenti. La stessa avrebbe così potuto indicare le soluzioni e riferire al Parlamento delle situazioni di possibile contrasto con il pubblico interesse o di privilegio agli interessi privati della carica di Governo, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado. La novità pareva molto fragile per diversi motivi: il primo consisteva nelle soluzioni possibili del nuovo ente garante,

che potevano essere o la dismissione di alcune partecipazioni in attività economiche o il loro conferimento in un blind trust, che non erano imponibili. La seconda negatività era che i componenti dell’istituto sarebbero stati nominati dai Presidenti dei due rami del Parlamento, espressione della maggioranza di Governo. Quindi anche quest’ultima proposta pareva inadeguata.

Nel gennaio del 2002 uno schieramento politico propose un rimedio preventivo con l’istituzione dell’Autorità garante dell’etica pubblica e della prevenzione dei conflitti di interessi: ogni carica di Governo sarebbe stata soggetta alla gestione fiduciaria o all’alienazione, nel caso di un contrasto con il fine pubblico, sulla base di una dichiarazione patrimoniale53.

Il problema è, comunque, esportabile all’intero comparto della funzione pubblica, poiché l’esercizio, anche in posizioni non di vertice, del potere amministrativo deve garantire il cittadino da ogni possibile abuso o eccesso, come esplicitato nella nozione di imparzialità.

53 Pertici A., Il conflitto di interessi, ne “L’attuazione della costituzione”, a cura di Saulle Panizza -

CAP. III

COSTITUZIONE E FUNZIONI PUBBLICHE 1.1 Il problema

Il pubblico funzionario esercita un potere, spesso molto forte, sui cittadini e sui gruppi sociali in genere e, quindi, da sempre, si è posto il problema di assicurarne l’imparzialità e l’indipendenza da interessi che non siano riconducibili a quelli generali54. Nel nostro

paese il dibattito sul conflitto d’interessi si è focalizzato sui media, poiché molti ritengono che la presenza nell’agone politico dell’on. Silvio Berlusconi costituisca un’anomalia. Chi può sfruttare indiscriminatamente il potere mediatico, ad esempio, è certamente favorito rispetto a quanti non abbiano gli stessi mezzi economici: l’influenza sull’opinione pubblica risulterebbe sicuramente più forte.

54

Max Weber ha elaborato un modello influente dello stato moderno come organizzazione burocratica, che egli costruì mediante un’analisi storica comparativa. Il 1789 è una cesura importante, poiché dai suoi sviluppi nasce il modello organizzativo dello stato napoleonico, che codifica le spinte borghesi opposte a quelle dell’ancien regime, legittimando la costruzione di apparati amministrativi espressione esclusiva di un potere fondato sulla volontà dei cittadini non più sudditi. Secondo Weber, l’amministrazione di uno Stato che si definisca moderno, deve basarsi su un apparato pubblico e non di ceto, sull’impersonalità dell’azione. Inoltre l’intervento degli organi preposti non deve fondarsi sullo scambio fedeltà - protezione feudale. I suoi dipendenti devono avere il diritto a mantenere il proprio posto di lavoro a garanzia dell’indipendenza e dell’efficienza. Il pensiero di Weber è opposto al modello fondato sul ceto che comprendeva i rapporti di scambio feudali e un modo di operare frammentario e dispersivo. Il Medioevo infatti era caratterizzato dalle pattuizioni tra i cittadini più facoltosi, unici titolari di diritti soggettivi e di privilegi: non esistevano ordinamenti per la regolazione oggettiva dei rapporti tra gli individui. Invece, con la nascita della città come associazione istituzionale di individui, viene a configurarsi il diritto che ogni individuo acquisisce in quanto cittadino. Si sviluppa, quindi, un’amministrazione burocratica: benché ancora nella fase iniziale; l’intenzione era quella di redigere una normazione obiettiva e non arbitrariamente discriminante. La razionalità istituzionale fu costruita con l’espropriazione del potere politico alla frammentata amministrazione divisa in ceti.

Il punto di riferimento dell’organizzazione territoriale diventò quindi unico. Infine, l’ulteriore passaggio verso l’età moderna fu il superamento delle pretese individuali dell’aristocrazia, del giudice come unico strumento per riconoscere di volta in volta le varie posizioni giuridiche soggettive e con la previsione di ordinamenti che definivano i vari diritti e i doveri.

Il problema è molto delicato, poiché coinvolge diritti garantiti costituzionalmente oltre a corposi interessi economici.

1.2 La prospettiva dell’articolo 21 della Costituzione

La libertà di manifestare il pensiero, tutelata da quest’articolo, può essere esercitata con la parola, con lo scritto55, e con tutti i mezzi legittimamente consentiti56. Si tratta di un diritto inviolabile e

limitabile soltanto sulla base del dettato costituzionale. L’analisi e la dottrina si è applicata molto estesamente, ad esempio, al contesto elettorale. Secondo la giurisprudenza della Corte Cost., il legislatore può dettare norme atte a parificare la condizione dei candidati durante la campagna elettorale, garantendo la possibilità di esprimersi anche alle formazioni minoritarie57:

Il tema è diventato di grande attualità nell’ultimo decennio del secolo scorso, allorché anche in Italia, come già da decenni era accaduto negli Stati Uniti, il mondo politico ha scoperto il potere della televisione. La situazione oggettiva di duopolio, con uno dei due poli nato come servizio pubblico, pone però problemi inediti, da

55 Come ricordato dalla sentenza n. 1/1956, Corte Cost.

56 Paladin L., Libertà di pensiero e di informazione, in Quad. cost., 1987, p. 17 ss., la Sentenza n.

105/1977 e 94/1977, Corte Cost.

57 La norma prevede, ad esempio, una disciplina specifica relativa alla propaganda elettorale nelle

affissioni pubbliche. La legge n. 166/1961 indica che la superficie degli impianti destinati alle affissioni pubbliche deve essere stabilita nel regolamento comunale, in maniera minima e proporzionale al numero degli abitanti. La sentenza n. 48/1964 della Corte Cost. respinse la questione di legittimità della tuttora vigente disposizione sul periodo di campagna elettorale: per l’affissione dei giornali murali e dei manifesti, la superficie disponibile è solo quella degli spazi destinati dal Comune. Non è violato un diritto costituzionale ad libitum ma per garantire la par condicio tra i candidati, i quali non devono avere strumenti diversi in rapporto alla diversa disponibilità privata di denaro, o a

quello dell’apertura ad altri soggetti a quello della definizione dei contenuti che i vari agenti devono, o possono, proporre. In ogni caso va garantita la pluralità delle fonti e l’assenza di posizioni dominanti, ma viene anche ravvisata la necessità, ad esempio, di contribuire al libero sviluppo psichico e morale dei minori58, e dei

cittadini in genere, nel rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico del buon costume. Fatte salve queste limitazioni nulla può essere imposto sui contenuti dell’informazione, né sull’utilizzo dei media, ove non se ne abbia la disponibilità. Ma il tema del corretto uso del medium televisivo, soprattutto per il suo potere di orientamento dell’opinione pubblica, amplificato dal fatto che l’on. Berlusconi è il proprietario di una delle aziende che costituiscono, di fatto, il duopolio dell’emittenza televisiva in Italia, non esaurisce lo spettro dei possibili conflitti di interessi. Una legge che voglia essere efficace deve affrontare il problema in toto, al di là delle contingenze, fissando principi generali che, almeno nelle intenzioni, diano strumenti per una regolazione complessiva del problema.

2. La l. 215/2004

2.1 La nozione generale e l’oggetto della legge

La legge 215/2004 ha colmato, dopo molti anni di dibattito, un vuoto normativo, disciplinando il conflitto di interessi dei membri del Governo. Essa persegue l’intreccio tra interessi pubblici e

situazioni politiche di minoranza. Può essere sostenuta la legittimità di una tale limitazione riferendosi all’art. 42 Cost. per la potestà pubblica di disciplinare l’utilizzo della relativa proprietà.

privati, prevedendo nel cosiddetto statuto giuridico dei titolari di cariche di Governo, l’astensione nei consessi collegiali in cui si decida su materie che rientrino nella fattispecie del conflitto59.

La l. 215, a differenza del Codice Civile, copre uno spettro più ampio di previsioni normative. In primo luogo stabilisce l’incompatibilità tra le attività extra - istituzionali e l’adozione di un atto o la sua omissione ( o anche la sola proposta), laddove si possa ravvisare un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado o sulle imprese e società da essi controllate, con danno acclarato per l’interesse pubblico60.

L’astensione è prevista anche quando la deliberazione a favore dei soggetti interessati al conflitto61 sia ex lege, ma non è rilevante allorché il beneficio sia occasionale e conseguente ad adempimenti istituzionali62.

Tali disposizioni si affiancano alla previsione dei casi di incompatibilità63 e ineleggibilità per i parlamentari. L’estensione a

58 Cfr. la Sentenza 112/1993 Corte Cost.

59 Cfr. Corriere giuridico n. 10/2004, pp. 1271-1272; 1/2005, p. 9 ss.

60 Cfr. Corriere giuridico 1/2005, p. 10. Per danno all’interesse pubblico si intende l’alterazione del

corretto funzionamento del mercato, oltre che l’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare o delle persone a lui collegate.

61 Cfr. Corriere giuridico 1/2005, p. 10. .Il ruolo svolto nell’impresa non è rilevante, basta la

sussistenza di un interesse de facto.

62 Cfr. Corriere giuridico 1/2005, p. 10. L’art. 6, comma 8, della legge 215/2004 richiede che

l’adozione dell’atto sia stata effettuata con la consapevolezza del conflitto di interessi, che l’Autorità ex lege 689/1981 può sanzionare in via amministrativa.

63 Il titolare di una carica di Governo può ricoprire incarichi nelle amministrazioni locali, ma gli è

interdetta ogni attività imprenditoriale (e anche di sola gestione) o la partecipazione a collegi sindacali. Ex art. 2, comma 1, lettera d della legge 215/2004, può percepire proventi derivanti solo da mansioni svolte precedentemente, e non può esercitare professioni libere comunque connesse con la sua funzione pubblica. Restano escluse dall’elenco delle attività vietate le cariche in enti culturali, assistenziali, di culto, quelle elettive nelle Università e nelle scuole di istruzione superiore, insegnamento temporaneo per un numero limitato di ore, convegni, seminari, collaborazioni giornalistiche. Anche l’iscrizione ad un albo professionale non comporta l’immediata incompatibilità: infatti, l’art. 2, comma 1, lettera d vieta soltanto l’esercizio di attività professionali.

quest’ambito dei principi della correttezza nell’esercizio del potere pubblico, e dell’equa distribuzione delle risorse economiche, facendola derivare dai valori costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, rappresenta un decisiva innovazione.

2.2 I destinatari, l’interesse esclusivo, l’omissione.

Il capo I della legge definisce le modalità di accertamento dell’incompatibilità e del conflitto di interessi.

L’art. 1, comma 1 ribadisce il principio che quanti occupano cariche governative (Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministri, Vice Ministri, Sottosegretari di Stato Commissari straordinari del Governo) debbano occuparsi esclusivamente degli interessi pubblici64. Anche gli organi di governo di regioni e province autonome devono adottare normative conseguenti65.

Documenti correlati