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Il conflitto di interessi. Un bizantinismo tutto italiano?

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Academic year: 2021

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TESI DI LAUREA IL CONFLITTO D’INTERESSI

Relatrice Candidato

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Premessa

Il tema oggetto della nostra ricerca deve, necessariamente, essere inserito nel contesto problematico del funzionamento di un sistema democratico, e dei suoi fondamenti. Nella fattispecie non possiamo non riferirci alla nostra Carta costituzionale, per individuarne alcune caratteristiche specifiche rispetto al nostro tema.

Il nostro sistema si caratterizza come ‘democrazia rappresentativa’, con la centralità del Parlamento, costituito da due assemblee elettive, deputate a legiferare congiuntamente.

La Costituzione non ha alcun riferimento specifico al problema del ‘conflitto d’interessi’, che non pare sia stato in alcun modo tematizzato: essa agli artt. 65 e 122 fa solo riferimento ai casi di ineleggibilità e incompatibilità. In effetti il tema pare lontano dall’orizzonte storico in cui è nata la nostra Carta: essa pare molto più attenta a rimuovere le incrostazioni di un passato illiberale, che non garantiva la piena libertà dei cittadini. Di fatto il problema si è posto, in modo eclatante, con l’ingresso nell’agone politico dell’on. Berlusconi, fondatore e capo di un suo partito, proprietario della più importante azienda privata di telecomunicazioni, con vasti interessi anche nel settore finanziario e distributivo.

A noi appare singolare, anche, che i Costituenti non si siano posti neppure il problema dell’influenza di poteri economici forti sull’azione politica, che pure nel regime fascista, così come nell’Italia liberale, avevano avuto un ruolo non secondario nel determinare scelte importanti, anche in politica estera. Nei fatti pare

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quasi che il gioco delle forze economiche sia stato dato per ovvio o, comunque, come uno dei fattori ‘naturali’ dell’interazione politica, come campo di scontro e incontro di interessi legittimamente costituiti1.

L’impianto originario della nostra Carta si rifaceva ad una tradizione che attribuiva allo Stato un potere di supremazia (essa tematizza esplicitamente la nozione di ‘interesse legittimo’, tutelabile giurisdizionalmente, dinanzi ad una magistratura ad hoc, nei confronti dell’Amministrazione). Il lungo dibattito su questi temi ha avuto alcuni esiti significativi con le “Leggi Bassanini”, e con successivi provvedimenti, tra i quali spicca la L. 241/90. Resta, tuttavia, fondamentale l’art. 97 della Costituzione, ove si sottolinea ‘l’imparzialità dell’amministrazione’. Ciò, ovviamente, significa che l’Amministrazione non può operare nell’interesse del singolo, ma deve attenersi a principi che siano generalizzabili nel concetto (sicuramente vago e poco definibile) di interesse generale.

Astrattamente, comunque, è sicuramente corretto sostenere che l’azione amministrativa, a tutti i livelli, ed a fortiori a quelli più alti, debba essere immune da interessi particolari, che configgano con aspettative che possano limitarne altri, ugualmente tutelabili da gruppi più ampi.

La trasparenza delle procedure che conducano all’emissione di atti amministrativi è finalizzata, infatti, proprio a rendere accessibili

1 E ciò è sicuramente un punto di vista genuinamente liberale, conforme all’impianto

complessivo della nostra Costituzione, anche se le componenti ideali e ideologiche che confluiscono nel testo costituzionale sono molteplici, e vanno dalla diverse tradizioni del pensiero sociale cattolico a quelle del socialismo, soprattutto riformista.

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tutte le motivazioni che soggiacciono all’esercizio di un potere che incide, necessariamente, sulle prerogative di singoli o di gruppi.

La questione centrale da affrontare, pertanto, è quella del rapporto tra interesse pubblico e interesse privato, sì da delimitarne le rispettive sfere d’influenza.

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1.1 Interesse pubblico e interesse privato

Assumiamo come definizione generale d’interesse quella che lo definisce come il rapporto tra un soggetto e una cosa per la

soddisfazione delle proprie esigenze2, comunque determinate.

Nell’ottica giuridica è necessario analizzare l’azione determinata dalla sfera degli interessi del soggetto, con tutte le sue determinazioni positive sul reale3. L’interesse pubblico è un

costrutto astratto, non determinabile mediante la semplice somma degli interessi particolari4.

La nozione di interesse dal punto di vista sociologico riguarda i singoli o i gruppi che ne sono portatori, mentre, da una prospettiva storica si può cogliere come gli stessi, in analoghe situazioni, si siano comportati.

Ove la disciplina giuridica individua i comportamenti che i consociati devono tenere, e li scandaglia in relazione alle norme, l’analisi storico - sociologica privilegia la dimensione descrittiva.

La collettività umana è divisa in individui, gruppi, associazioni, categorie, che sono in vario modo coordinate o subordinate l’una all’altra; queste due ultime aggregazioni, essendo una pluralità di persone, esprimono degli interessi che possono definirsi comuni.

Se il gruppo è la risultante di una scelta funzionale, la categoria racchiude una comunità indefinita, in divenire, espressione di un

2Cfr. Pertici A., Il conflitto di interessi, Giappichelli, Torino, 2002, p. 14 ss.

3 Cfr. Migliorini L., Alcune considerazioni per un’analisi degli interessi pubblici, in Riv. trim. dir.

pubbl., 1968, p. 274 ss.

4 Cfr. Pugliatti S., voce Diritto pubblico e privato, in Enc. dir., vol. XII, Giuffrè, Milano, 1964, p. 740

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bisogno che può essere sia individuale che collettivo, con la caratteristica comune dell’altruistica soddisfazione.

Possiamo quindi distinguere tra interesse comune e collettivo, ove il primo è perseguito dai singoli appartenenti ad un insieme, comunque definito, e il secondo è perseguito, in forme diverse e condivise, con azione organizzata.

Lo Stato, con i suoi ordinamenti, si propone di ricondurre ad unità gli interessi scaturiti dai bisogni dei cittadini, perseguendo, ovviamente, all’interno di una dialettica sociale complessa, il raggiungimento di un punto di equilibrio, accettabile da tutte le componenti. L’equilibrio tra vantaggi e svantaggi, di fatto, trova il suo fondamento nel concetto di bene comune5.

I bisogni dei cittadini trovano espressione all’interno dell’ordinamento statale, interessato alla loro composizione: in questo modo può essere evitata la disgregazione dell’intero sistema. L’intervento dello Stato non è diretto, ma, comunque, finalizzato al beneficio complessivo derivante dalla tutela di bisogni, non riferiti al

5 Questa definizione di ‘bene comune’ è pragmatica, ancorché astratta, e richiama il lungo dibattito sul

significato ‘autentico’ della democrazia e dei suoi ordinamenti. Il punto critico è proprio la definizione di “bene comune”, che può essere inteso, nella tradizione che fa capo a quella inglese, come armonizzazione degli interessi diversi della società civile, rendendo il meno invasiva possibile la presenza dello stato e delle sue istituzioni. In sostanza va preservata, per quanto possibile, la libertà individuale, che trova un suo limite in quella dell’altro. Nella tradizione francese, invece, spicca la presenza di Rousseau, e della nozione di volontà generale. Il suo prevalere, in contesti più ampi, ha significato aprire la strada a molte esperienze autoritarie, ogni qual volta i detentori del potere si sono autoproclamati interpreti della volontà del popolo. In questo contesto, anche ai fini della nostra ricerca, è importante sottolineare che l’investitura popolare, di per sé, non può sostituire il rispetto delle norme fondamentali che sostanziano le istituzioni dello Stato.

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caso concreto e individuale di soggetti non necessariamente consapevoli6.

Le istituzioni giuridiche rappresentano esse stesse un interesse nei confronti delle varie collettività, anche minori, con cui hanno dei rapporti. Quindi anche i conflitti di interessi più vari come, ad esempio, quelli di attribuzione o di pubblica utilità, di cui siano portatrici, vanno composti per mantenere l’equilibrio nelle relazioni sociali.

D’altronde la rete di interessi delle collettività maggiori, costituita dalla somma delle comunità di estensione inferiore, è un insieme interrelazionale di scambio. Gli interessi pubblici, quindi, sono quelli della società generalmente intesa, come la somma di tutti gli enti esponenziali dei bisogni di coloro che ne fanno parte. Va sottolineato, ovviamente, come ogni interrelazione non possa sottrarsi al contesto sociale in evoluzione: gli interessi variano in rapporto alle modifiche delle strutture sociali riguardanti la politica, l’economia, interessi pubblici, privati e ogni settore che risulta di utilità.

Nello stesso tempo, tuttavia, non tutti gli interessi possono essere tutelati allo stesso modo: alcuni di essi devono essere sacrificati per la scarsità di mezzi o per incompatibilità con eventi esterni. La valenza è soggettiva se la scelta per i prevalenti si riferisce alla sfera

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interna dei singoli, e intersoggettiva se ricade su quelli che si misurano nelle relazioni tra più individui.

La dimensione soggettiva non ha sempre la consapevolezza dell’oggettività dell’interesse. Non sempre il singolo avverte la necessità di tutelare un proprio interesse socialmente rilevante: ad esempio un padre può non avvertire l’oggettività, socialmente rilevante, di provvedere all’istruzione del proprio figlio.

Ề evidente, quindi, che il giurista può tutelare interessi oggettivamente rilevanti per il contesto sociale, al di là della valenza soggettiva: sono i valori attuali del contesto sociale che orientano l’azione classificatoria in campo giuridico.

Il metodo utilizzato dall’ordinamento per il perseguimento degli interessi pubblici consiste, perciò, nel riferirli a comunità omogenee, aperte nel tempo, e non ai soggetti singoli.

Gli interessi comuni, esistenzialmente rilevanti per la loro stessa definizione, sono variamente connessi. Viceversa, nel caso in cui siano riferibili ad una specifica fascia di persone, possono scontrarsi e porsi in contraddizione gli uni agli altri, e hanno la necessità di essere regolati su basi ideologiche. Il Lavagna chiama tali connessioni “bisogni di convivenza” opposti ai “bisogni di cooperazione” che hanno come presupposto proprio la collaborazione, non intesa come mediazione al fine di comporre i conflitti.

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Spesso, l’opinio dominans di un insieme umano definisce pubblici quegli interessi socialmente rilevanti sulla base di valori condivisi: però la categoria che si riconosce portatrice di essi non può essere circoscritta ad un preciso e unico periodo storico. L’ordinamento giuridico si fonda su un compromesso ideologico, e tutela gli interessi privati secondo una comparazione per cui alcuni di essi risultano prevalenti: il presupposto è che lo stato consideri rilevanti quegli interessi della comunità esplicitati mediante l’opera delle forze politiche dominanti in un certo periodo storico.

Gli interessi pubblici sono, quindi, soddisfatti solo dallo Stato persona o dagli enti pubblici ad esso collegati e una volta ancora si definiscono così “Quando possono ricollegarsi agli interessi tutelati in modo diretto dallo Stato”.

Gli interessi economico - sociali sono il substrato su cui poggia il contesto dell’ordinamento giuridico, attivando una feconda interazione dialettica che, in sostanza, fonda l’evoluzione stessa del sistema. Tale tipo di interesse è un criterio di comportamento il cui contenuto potrà essere desunto soltanto dalla realtà fattuale da cui deriva la tipizzazione. Perciò esistono degli interessi pubblici non valutati tali a livello normativo, ma socialmente avvertiti, da cui risulta una varia influenza sulle scelte singole discrezionali che, tuttavia, sono solo uno spunto per l’adeguamento normativo.

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L’ordinamento giuridico indica ai soggetti che hanno interessi anche i modi per realizzarli. Un esempio sono le situazioni individuali di bisogno per le quali si può fare ricorso ad una struttura pubblica: un tipico caso è l’assistenza pubblica sanitaria. Quest’ultimo differisce dal criterio di opportunità che permea il primo esempio.

La tutela degli interessi pubblici può avvenire a vari livelli all’interno della struttura statale, a prescindere dalla loro importanza: quelli generali potrebbero essere curati dagli enti locali, mentre i particolari dallo stato. Se siano coinvolti più enti minori a regolare la stessa materia, per non creare disparità di trattamento sarà necessario un coordinamento a livello statale.

Il legislatore delimita gli interessi in contrasto e, mediante le norme, enuclea quelli che sono gli obiettivi che vuole siano perseguiti: se le stesse non esprimono i modi con cui farlo, chi si trova ad operare nell’ambito della fattispecie può scegliere i più idonei7.

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Ad esempio l’art. 840 c.c. sulla estensione della proprietà nello spazio aereo e nel sottosuolo rende parzialmente discrezionale la scelta del proprietario in ragione delle sue esigenze. L’art. 2441 fa riferimento all’interesse della società per la valutazione della liceità nella esclusione o delimitazione del diritto di opzione. Questa prospettiva era chiaramente dal lato del diritto privato. Viceversa nel diritto pubblico è più frequente, come si può ricavare dalla Costituzione, la libertà di comportamento per gli interessi.

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1.2 Il conflitto d’interessi e il diritto privato

Valutando in concreto la questione del conflitto d’interessi nell’ottica del diritto privato è opportuno prendere in considerazione il contrasto tra quelli intersoggettivi: acquirenti di cose mobili, creditori, titolari di diritti personali di godimento sulla medesima res. Si può essere titolari di poteri giuridici per difendere i propri o gli altrui interessi: sono le fattispecie rispettivamente del rappresentante e del rappresentato, del tutore e del curatore, dell’amministratore alle dipendenze di una società. Nel c.c. si trova una definizione dell’argomento indicato per ultimo all’art. 2391, inserito nel libro V del lavoro.

Sebbene faccia riferimento esclusivamente agli interessi di un amministratore di società, la ratio della norma, per analogia, può estendersi ai casi in cui una decisione possa altresì favorire oltre al pubblico interesse la sua sfera privata. Gli altri amministratori, a garanzia di una corretta condotta, nonché il collegio sindacale devono ricevere notizia della natura, dei termini, dell'origine, della portata dell’interesse in una determinata operazione della società. Vi sono inoltre delle soluzioni specifiche per l’amministratore delegato che ha l’obbligo di astenersi dall’esecuzione della delibera relativa e deve informare l’organo collegiale. Infine l’amministratore unico fornisce la presente notizia alla prima Assemblea utile.

Qualora si sia verificata un’omissione da parte dei destinatari delle norme, vi sono delle tutele previste sia per gli amministratori

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che per il collegio sindacale: hanno la possibilità di impugnare dalla loro data le deliberazioni a detrimento dell’ente, ma soltanto se non siano stati in precedenza comunicate le situazioni di cointeressenza. Il funzionario risponde dei danni subiti dalla società per le azioni e le omissioni citate, e per l’utilizzazione e la diffusione non autorizzata di dati, notizie, opportunità d’affari nell’espletamento delle attività da cui abbiano tratto vantaggio.

Valutando le diverse figure professionali, quelle che risaltano maggiormente, per la disomogeneità tra i fini privati eventualmente perseguiti, in costanza dell’incarico pubblico ricoperto, sono le cariche governative. Nel diritto privato invece il conflitto si verifica semplicemente nella contrapposizione tra due interessi, entrambi tutelabili, ma la cui soddisfazione è simultaneamente incompatibile. Giuridicamente però non rileva che un amministratore abbia favorito contemporaneamente se stesso e la società.

Il titolare di una carica di Governo è limitato nella sua libertà d’azione dall’incompatibilità e dall’ineleggibilità che favoriscono l’esclusività dei fini a cui il suo ruolo è diretto ed è peraltro tutelato dalle garanzie di imparzialità: tale ultima condizione, oltre che

sostanziale deve apparire all’esterno8. Per l’influenza e la

conseguente visibilità, sicuramente le cariche governative destano le

8 Cfr. Colavitti G., Il trattamento normativo del conflitto di interessi tra ragionevolezza e imparzialità,

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maggiori attenzioni nell’opinione pubblica, che è portata ad osservare criticamente gli eventuali interessi privati coinvolti.

La carenza di una normativa organica che sia in grado di prevenire eventuali conflitti tra gli scopi dei funzionari acuisce la curiosità negli elettori. Per quel che riguarda l’opposizione agli atti amministrativi, anche dal lato dei cittadini, vi sono gli strumenti come il diritto di accesso, e la partecipazione al procedimento amministrativo prima della sua definizione, nonché l’autotutela amministrativa interna, la giurisdizione penale per i casi come quelli in esame, in cui vi sia stata la deviazione dall’interesse generale stabilito ex lege , la tutela giurisdizionale contro quegli atti che hanno leso i diritti soggettivi e gli interessi legittimi, infine la Corte dei Conti per i danni erariali.

Nell’art. 97 della Cost. è enunciato il principio di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione che cura per settori e nel relativo dispiegamento territoriale dei propri uffici i bisogni della comunità: a sua garanzia l’ordinamento prevede delle incompatibilità; in via preventiva quindi dovrebbe essere salvaguardata la correttezza e l’imparzialità del soggetto agente. Quest’ultimo, quindi, ha come obiettivo non solo l’armonizzazione degli interessi pubblici e privati, ma anche la prevenzione del pericolo di sviamento.

La sua discrezionalità è circoscritta dallo svolgimento di una attività imparziale evitando l’eccesso di potere: nel particolare caso

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del conflitto di interessi riguarda il rappresentante che utilizza la propria autorità a proprio favore o di persone a lui collegate. I ministri sono il raccordo tra il legislatore e la stessa amministrazione pubblica, che, non si può sostituire nell’individuare gli interessi. Infine, in tale contesto anche l’autorità giudiziaria conserva una importanza rilevante: specifica l’interesse pubblico quando le norme non lo abbiano già fatto e sanziona i funzionari pubblici quando le abbiano violate.

La soddisfazione delle implicite richieste della società, basilari per una civile convivenza, sono, pertanto, oggetto della attività amministrativa mediante l’immedesimazione organica con la quale, chi agisce, lo fa in nome e per conto dell’ufficio da cui dipende: si tratta dell’imputazione diretta degli effetti. La competenza ex lege indica com’è organizzato l’ente pubblico in cui si individua l’organo stesso nonché il titolare, unico legittimato alla rappresentanza. I terzi nel caso in cui la legge sia deputata a stabilirla possono invocare a proprio favore la tutela nelle situazioni di violazione. Nella distribuzione di esse c’è tanto la valutazione tecnico - organizzativa che quella politica, riguardante i molteplici interessi contrastanti nella società e la loro tutelabilità. Dal punto di vista di quest’ultima, stabilito un interesse bisogna trovarne dei rimedi per le eventuali violazioni. La garanzia deve essere già assicurata nel momento in cui è attuato il conferimento della funzione. Il diritto privato può avere dei compiti nella realizzazione: gli uffici in cui l’ente è diviso possono avvalersi della collaborazione di altri esterni sempre informati al principio di imparzialità e buon andamento.

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Il loro ambito di operatività è limitato, in quanto non individuano gli interessi, né sono funzionali alla loro tutela essendo loro affidati compiti di indirizzo: dovrebbe essere una garanzia per il mantenimento dell’imparzialità.

Il vizio di competenza salvaguarda gli interessi individuali. In ambito pubblicistico però vi può essere per l’esecuzione delle pratiche burocratiche l’affidamento delle regolamentazioni a fonti normative inferiori.

Nel testo costituzionale, inoltre, si ricava, all’art. 21, un principio applicabile ai membri del Governo che contemporaneamente possiedano e/o gestiscano un’attività economica nel settore dell’informazione, manifestazione e diffusione del pensiero: sebbene infatti sia tutelata la libera manifestazione di quest’ultimo, non si può sottovalutare il principio di uguaglianza con il quale è connesso. Nell’ambito governativo risulterebbe infatti evidente la sperequazione insita nella possibilità di diffusione a fini ideologici del pensiero con l’ausilio di strumenti, quali giornali e televisioni, se non tutti i partecipanti alla vita politica avessero il privilegio di possederli.

Il principio di pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, secondo i requisiti di legge è garantito dall’art. 51 Cost. La previsione dell’incompatibilità dovrebbe persuadere coloro che sono consapevoli di potersi trovare in una tale situazione,

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dopo l’elezione, a non candidarsi. Di fronte alle critiche mosse contro l’interpretazione dei requisiti richiesti dalla norma, come i fattori economici, si può obiettare che non è negata la libertà garantita in altre disposizioni dalla Carta fondamentale, ma si tratta soltanto di un adeguamento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità. Sono quindi contemperati diversi valori. La natura della funzione giudiziaria è emblematica del ruolo di imparzialità: per l’autonomia professionale dei giudici sono previste nei codici di procedura delle soluzioni: l’astensione e la ricusazione. Tale richiamo alla figura del giudice è utile a segnalare la necessità di correttezza nel suo comportamento tutelata con l’incompatibilità di sede per parentela o affinità con professionisti (art. 18 ord. giud.): la caratteristica della sua funzione serve a chiarire che ex art. 97 Cost. è favorito l’esercizio virtuoso dei pubblici poteri9.

9 Cfr. Colavitti G., Il trattamento normativo del conflitto di interessi tra ragionevolezza e imparzialità,

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CAP. II

L’ottica ordinamentale

1.1 Interessi e ordinamento

L’individuazione degli interessi all’interno dell’ordinamento fornisce elementi concettuali importanti: il pubblico interesse riferito ai cittadini dello Stato, si reperisce in itinere seguendo l’evoluzione della società, ma, anche dagli esempi fatti, non perdendo di vista il criterio dei valori espressi dalla carta costituzionale, cioè i più condivisi. A tempi diversi possono corrispondere infatti diversi interessi. L’aggettivo pubblico, ricorre diverse volte e in molti ambiti della vita sociale: diritto pubblico, ente e persona giuridica pubblica, servizio pubblico, pubblico ufficiale, solo per citare alcuni esempi. I diritti - doveri dei cittadini rilevano a livello statale, e non solo nella sfera individuale di coloro che ne ricevono tutela: infatti il loro rispetto è foriero di benefici anche per l’interesse pubblico. La sua individuazione merita di essere considerata dal punto di vista della tutela: un atto può essere indirizzato alla protezione di uno in precedenza già fissato oppure a verificarlo, e solo in seguito garantirlo, con attività distinte e successive. Per quanto riguarda la prefissione, si concreta in un’attività normativa, o di indirizzo che prende a suggerimento esperienze passate o funzioni attuali che gli organi giuridici svolgono.

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Nel primo caso va effettuata un’interpretazione dei fatti e degli atti giuridici anteriori così da estrapolarne gli interessi sottesi. Nel secondo invece la tecnica consiste in giudizi di opportunità o valore della realtà analizzata dal giurista. Peraltro, quest’ultimo, esaminando il diritto contemporaneo, può trarre le indicazioni per adattare eventualmente gli interessi emersi dal passato al contesto in cui opera. Si può prendere a modello l’attività amministrativa per la quale gli scopi prefissati sono vincolanti, al fine di evitare un annullamento per eccesso di potere, anche se, ad esempio, in casi precedenti e simili, trattati da altri giudici, non si è verificata. Infatti la giurisprudenza precedente era solo di indirizzo e, se il giurista la riterrà confacente alla situazione attuale, la utilizzerà per enucleare nuovi interessi pubblici. Diversamente, se ritiene che non favoriscano il suo lavoro, li disattenderà.

Da ciò risulta che la funzione degli interessi pubblici ha come caratteristica, in alcuni casi, di essere di pura indicazione di scopo mentre, in altri, un vincolo all’attività: come si evince ex art. 11 comma 2 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, riguardante l’adempimento dei propri doveri, sia per la pubblica amministrazione, sia per il bene pubblico. Altresì, l’art. 324 c.p. punisce il pubblico ufficiale che direttamente o per interposta persona o con simulazioni persegue un interesse privato nell’esercizio di qualsiasi atto dell’amministrazione dalla quale dipende. Sostanzialmente i pubblici poteri sono funzionali

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all’interesse pubblico e devono esserlo in quanto attività imparziali o neutrali.

Non a caso, viceversa, sono considerati non neutrali i ruoli di elettore, deputato, gruppi parlamentari, e le cariche di Governo, benché abbiano come scopo il perseguimento degli interessi pubblici: vi contribuiscono però secondo le posizioni di cui sono titolari. Questo è certamente un terreno di scontro tra l’interesse, per così dire privato e il pubblico: l’impegno delle categorie che abbiamo enumerato tiene conto sì del pubblico interesse, ma non tenendo sempre conto della prevalenza dei consensi. Infatti il mandato conferito al Governo è libero nonostante sia stato affidato sulla base di un programma che gli elettori hanno giudicato positivo per il Paese. Nulla impedisce di modificarlo in corso d’opera ma fa parte della visione dell’interesse pubblico che è fisiologica nel panorama politico. L’interesse infatti è ritenuto pubblico, ma il riconoscimento come tale nell’opinione sociale non è ancora avvenuto. Non sono quindi imparziali quelle attività degli enti ed organi pubblici che presentano interpretazioni divergenti del pubblico interesse, perché generano conflitti fisiologici finalizzati ad una loro composizione.

Anche nelle deliberazioni collegiali vi sono attività combinate dei membri con scopi contrastanti e soggettivi. Se un privato controverte con la pubblica amministrazione sull’interpretazione del pubblico interesse, quest’ultima è rappresentata da un soggetto che

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non agisce in modo neutrale. Negli uffici pubblici , ad esempio, può verificarsi una commistione tra imparzialità e attività di parte; il giudice, caso esemplare di terzietà, può ricadere nelle situazioni in cui sia parte, allorché sorga un conflitto di attribuzione o di competenza. Al contrario, il pubblico ministero, pur essendo una parte, svolge una funzione neutrale volta alla tutela di interessi pubblici. La neutralità della funzione deve persistere fino alla conclusione dell’attività, per trasformarsi successivamente in parziale, con l’unico intento di far eseguire in concreto la decisione : emblematico è ancora una volta il ruolo del giudice10.

I partiti politici, attraverso i propri esponenti eletti dal popolo, rappresentano interessi comuni, potendo chi gli ha dato fiducia esprimersi negativamente nelle tornate elettorali successive. I partiti sono quindi delle associazioni per il perseguimento degli interessi generali, avvertiti dagli elettori. Per legittimare la propria funzione, il finanziamento pubblico fu abrogato e successivamente la contribuzione fu dichiarata volontaria. Ciò per slegarli da interessi economici privati, per i quali si sarebbe potuto concretizzare il sospetto di un utilizzo distorto. I partiti enucleano proprie ideologie, cioè modalità di raggiungimento dei propri scopi, e gli elettori si orientano in base ad esse. Partendo però dalla tutela di interessi di gruppi particolari, mirano alla produzione di effetti benefici per tutto lo Stato in generale, considerando che non limiteranno i loro effetti in quella cerchia ristretta.

10 Cfr. Pizzorusso A., Interesse pubblico e interessi pubblici, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1972, p. 57

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In uno Stato vi è una società politicamente omogenea quando gli interessi sono ampiamente condivisi, differendo soltanto nell’attuazione. Viceversa se non vi sia una tale comunità di bisogni, il compromesso tra coloro che sono stati eletti e i cittadini, sarà essenziale per un Governo duraturo, e per evitare una disgregazione a livello generale nell’indirizzo del Paese. Inoltre, i partiti assolvono ai compiti di selezionare il personale politico, integrare la popolazione. Tuttavia, focalizzando una deviazione, sicuramente negativa, possiamo accennare agli effetti della corruzione: una delle ipotesi per sviarli dalla funzione che gli è propria. Quando subentra la corruzione, cambiano le regole e gli obbiettivi della classe politica. Infatti l’iscrizione alle organizzazioni partitiche ha come scopo principale il raggiungimento di posizioni di interesse privato, per effettuare scambi illeciti e raccogliere risorse ulteriori. I posti nell’amministrazione occupati da determinati esponenti prescindono dalle loro reali competenze, ma possono conseguire alla suddivisione delle tangenti11.

11Anche i partiti politici, attraverso i propri esponenti eletti, devono operare a beneficio dello Stato:

sono infatti associazioni, connotate ideologicamente, portatrici di interessi, prevalentemente settoriali, anche se qualificati, autoreferenzialmente, come generali. La definizione funzionale di “partito politico” è, nella teoria, non unanime; tuttavia è innegabile che il dato fondamentale sia rappresentato dalla conferma elettorale.

In quanto associazioni volontarie i partiti, in astratto, sono sostenuti finanziariamente dai propri aderenti: questo pone notevoli problemi, e non solo in Italia. Il nostro Paese ha, tuttavia, alcune particolarità storiche: esso ha occupato un ruolo centrale nel secondo dopoguerra, nel contesto della “Guerra fredda”. In sostanza i diversi partiti hanno fatto ricorso, più o meno surrettiziamente, a fonti di finanziamento “altre”.

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1.2 Controllo democratico dell’azione amministrativa

Come affermava Don Luigi Sturzo “Bisogna che la prima ad essere corretta sia la vita pubblica: ministri, deputati, sindaci, organizzatori sindacali diano l’esempio di un’amministrazione rigida e di osservanza fedele ai principi della moralità”. In quel periodo si credeva che fosse possibile la realizzazione di una gestione corretta della cosa pubblica. Prendendo nuovamente spunto da una sua affermazione possiamo rammentare quanto asserì nel 1902: “Chi è troppo attaccato al denaro non faccia l’ uomo politico, né aspiri a posti di Governo. L’amore del denaro lo condurrà a mancare gravemente ai propri doveri12”. Sarebbe certamente utile a

tale scopo che la stampa assolvesse il compito di controllare e informare sull’operato dei Governanti, in modo obiettivo, l’opinione pubblica diventando cogerente della democrazia. I titoli non dovrebbero perciò essere inquinati dal desiderio di spettacolarizzare la realtà, adulterando la percezione del lettore. Credo si possa parlare a tal proposito di mancanza di senso dello Stato13 che peraltro si avverte tramite gli stessi mezzi di comunicazione di massa che ci riferiscono gli scandali di sperperi di denaro pubblico a fini clientelari e privati e per compiere viaggi di lavoro che in realtà risultano vacanze.

Ci si può riferire non solo alle cariche di Governo, e ai relativi scandali emersi da tangentopoli, ma anche ad altre istituzioni

12 Cfr. Garancini, Avvenire, 10/03/1988

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pubbliche fondamentali. Basti pensare agli scandali sull’uso privato di strutture pubbliche quali le A.S.L., o le aziende ospedaliere. Questo certamente allontana l’opinione pubblica dal fare affidamento su una classe dirigente che si lascia coinvolgere in simili scandali, in una democrazia in cui gli esponenti principali dovrebbero dare il buon esempio, senza fare ricorso alle proprie capacità di corruzione, disinvoltura, uso improprio della carica. Il controllo democratico passa, necessariamente, attraverso la consapevolezza dei problemi da parte dell’opinione pubblica, che ha il diritto di essere informata correttamente, limitando le possibilità di manipolazione e di orientamenti fuorvianti.

1.3 Televisione e politica

In tempi recenti il mezzo televisivo ha assunto tra tutti gli altri una posizione dominante, grazie al progresso della tecnologia che investe la quotidianità: i suoi costi relativamente contenuti e l’ampia gamma di programmi che trasmette attraggono un numero di utenti elevatissimo. Mediamente un famiglia italiana possiede almeno un televisore. Nella maggior parte dei paesi industrializzati, anche in Italia come nel resto d’Europa, per evitare un uso improprio del potere mediatico, e per garantire il corretto funzionamento del mercato televisivo, alcuni studiosi preferiscono una regolamentazione di diritto pubblico: non bisogna dimenticare infatti che tramite questa tecnologia, ormai alla portata di tutti, si

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diffondono valori sociali e democratici; senza una vigilanza attiva potrebbe esserne fatto un uso più che nocivo.

Una considerazione specifica va fatta circa la pervasività e lo status mediologico della televisione e della carta stampata. In Italia, in sostanza, non esiste una situazione che possa definirsi di ‘libero mercato’. La concentrazione delle frequenze , di fatto, costituisce una barriera all’ingresso di nuovi soggetti in grado di competere con quelli già presenti: molti parlano di duopolio. La televisione è soggetta a regolamentazioni che paiono assenti nella stampa e, quindi, da un punto di vista schiettamente liberale, esse non trovano un posto adeguato in un contesto democratico.

Se associamo il concetto di democrazia a quello di libera concorrenza, secondo il modello statunitense, le regole di natura privatistica a sostegno di una concorrenza libera assicurano costi più bassi per le imprese, prezzi più favorevoli per gli utenti, la qualità dei prodotti. Il servizio pubblico, con i contributi esclusivamente pubblici oltre a sponsorizzazioni volontarie di sottoscrittori e donatori, è dominante in tali Paesi nelle televisioni commerciali. Il libero mercato, pertanto, sarebbe in grado di garantire un corretto processo democratico: la manifestazione del pensiero è certamente libera, ma a sua volta non ostacola il perseguimento di altri interessi e quelli di altri individui, che di tale mezzo non possono avvantaggiarsi.

Negli ultimi venti anni il dibattito sul potere mediatico di diffusione delle idee si è esteso vertiginosamente, perché è stato

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riconosciuto il diritto alla tutela del pubblico interesse che ne deriva. La riforma del sistema televisivo ha avuto uno sviluppo in Italia nel 2004 con la L. 112 “Norme di principio in materia di riassetto del sistema RTV e della RAI Radiotelevisione italiana S.P.A” dopo la liberalizzazione delle telecomunicazioni: vi è comunque chi sostiene una deregolazione a vantaggio di un assetto in grado di stabilirsi in modo autonomo.

Quanti sostengono la necessità di regole precise, fanno riferimento, contrapponendola a quella economica, alla teoria del valore che costituisce il substrato delle trasmissioni: quello culturale, politico, sociale. Con l’introduzione della tecnica digitale di trasmissione, il numero delle frequenze è aumentato e il problema di evitare una eccessiva concentrazione proprietaria e di garantire la concorrenza, come salvaguardia del pubblico interesse, ha acquistato un nuovo vigore: il vantaggio, oltre alla qualità delle immagini, è l’interattività con lo spettatore che può fruire di una più estesa scelta di programmi a pagamento.

Il tentativo più recente, e ancora in discussione, di riordinare l’intero sistema televisivo è rappresentato dal D.D.L. di riforma del mercato televisivo (Consiglio dei Ministri del 12 ottobre 2006, Schema di disegno di legge recante "Disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale."). Nelle dichiarazioni alla stampa del ministro Gentiloni l’intento della proposta è quello di liberalizzare il mercato televisivo, e di creare un sistema concorrenziale in quel settore, anche in previsione delle innovazioni tecnologiche già oggi utilizzabili, quali la trasmissione in digitale o la trasmissione in banda larga sulla rete Internet.

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Nella fase di transizione dalla tecnologia analogica alla tecnologia digitale, al fine di evitare la costituzione di posizioni dominanti nel nuovo contesto, la disciplina del sistema televisivo via etere terrestre è ispirata alla progressiva separazione tra operatori di rete e fornitori di contenuti.

1. Limiti alla raccolta pubblicitaria nel settore televisivo

Costituisce posizione dominante vietata (ex art. 43 decreto legislativo 177/2005), il conseguimento di ricavi pubblicitari superiori al 45% del totale dei ricavi pubblicitari del settore televisivo.

2. Uso efficiente dello spettro elettromagnetico e accesso alle

infrastrutture a banda larga

Le frequenze televisive analogiche ridondanti dovranno essere liberate e restituite. I soggetti titolari di più di due emittenti televisive, in ambito nazionale, via etere terrestre, su frequenze analogiche, dovranno trasferire i palinsesti delle emittenti eccedenti la seconda, su frequenze terrestri in tecnologia digitale, ovvero su altra piattaforma trasmissiva in tecnologia digitale.

Le frequenze in tal modo resesi disponibili verranno cedute ai soggetti che ne facciano richiesta, sulla base di un'offerta pubblica, incentivando progetti che assicurino la più ampia copertura, nel rispetto dei criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità previsti dall'ordinamento, e con la previsione di quote di riserva a favore dell'emittenza locale. I soggetti autorizzati a fornire contenuti in ambito nazionale che svolgono anche attività di operatore di rete saranno tenuti alla

separazione societaria. I fornitori di contenuti in ambito nazionale non potranno utilizzare

più del 20% della capacità complessiva di trasmissione. 3. L’attività' di rilevazione degli indici di ascolto

L’attività' di rilevazione degli indici di ascolto e di diffusione dei

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interesse generale a garanzia del pluralismo e della concorrenza nel sistema della comunicazione.

4. Sanzioni

Diviene reato manipolare i dati concernenti gli indici di ascolto e diffusione.

1.4 La par condicio

L’interesse del mondo politico per le possibilità offerte dal medium televisivo è testimoniato dalle prescrizioni della par condicio. L’espressione14 si riferisce all’insieme delle norme che si

propongono di garantire, soprattutto in periodi elettorali, la pari opportunità di accesso dei soggetti politici ai mezzi di informazione15. L’attuale legge che disciplina la materia è la n. 28

del 22/02/2000: esplica i suoi effetti in modo permanente, non solo nei periodi elettorali.

La campagna elettorale è divisa in due parti: la prima va dalla convocazione dei comizi elettorali alla presentazione delle candidature; la seconda dalla presentazione delle candidature al termine.

Nella prima fase gli spazi di informazione sono distribuiti tra i partiti che siedono in almeno un ramo del Parlamento italiano o in quello europeo. Nella seconda16 sono ripartiti tra le liste o le coalizioni antagoniste che presentino i seguenti requisiti: candidati in collegi o circoscrizioni i cui elettori ammontino ad almeno ¼ di quelli interessati dalla votazione.

14 Le leggi susseguitesi in Italia in tema di par condicio, prima di giungere a quella attuale, sono le

seguenti: l. 4/4/1956 n. 212 che limitava le affissioni nei 30 giorni precedenti la data elettorale; l. 14/04/1975 n. 103 che delegava la disciplina delle trasmissioni di contenuto politico alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi; l. 10/12/1993 n. 515 che disciplinava le campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, ancora vigente con alcune modifiche apportate dalla legge in esame.

15 Cfr. L. n. 28 del 22/02/2000. art 5 c. 3: anche i registi e i conduttori di programmi che trattano

argomenti politici non devono sfruttare il loro ruolo per influenzare gli ascoltatori e i telespettatori.

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La libertà di espressione politica è tutelata in primo luogo nelle trasmissioni nazionali radiotelevisive: le relative emittenti, nella fase elettorale, sono obbligate a mandare in onda programmi di contenuto politico come tribune, dibattiti, tavole rotonde, contraddittori sui programmi elettorali, confronti, interviste ai diversi esponenti di partito17. Non sono invece sottoposti a tale obbligo i mezzi di diffusione locale.

L’attuale normativa prevede la possibilità di trasmettere messaggi autogestiti18, della durata da 1 a 3 minuti, per i soggetti politici che

facciano parte di organi elettivi o regionali, degli enti locali, che siedano nel Parlamento italiano o in quello europeo19.

L’informazione istituzionale è strettamente vincolata a proporre esclusivamente quanto attiene allo svolgimento delle operazioni elettorali, e deve essere assolutamente impersonale20.

L’attività giornalistica21 è considerata separatamente, rispettando l’autonomia delle relative testate: le disposizioni si limitano a stabilire il rispetto della parità trattamento, dell’obiettività, dell’imparzialità e della completezza nell’informazione.

Le funzioni di controllo sono esercitate dalla Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi e dall’Agenzia

garante delle comunicazioni. Devono informare22 le emittenti

pubbliche e private, entro cinque giorni dall’indizione dei comizi elettorali, sui criteri specifici da seguire nelle trasmissioni23.

Le violazioni della normativa sono così punite dall’AgCom , ex art. 10: sospensione delle trasmissioni contra legem, obbligo di

17

I sondaggi sono vietati nei quindici giorni precedenti il voto. Prima invece devono essere disponibili integralmente in un sito informatico del dipartimento per l’editoria della presidenza del consiglio e indicare: i soggetti che hanno realizzato il sondaggio, il committente e l’acquirente, i criteri di formazione del campione, il metodo utilizzato per la raccolta delle informazioni e per la raccolta dei dati, il numero delle persone interpellate e l’universo di riferimento, il testo delle domande sottoposte al campione, la percentuale delle persone che hanno risposto a ciascuna domanda, la data di realizzazione del sondaggio.

18 Il modello dei precedenti spots elettorali era quello della pubblicità commerciale. Gli spazi ad essi

appositamente dedicati sono chiamati contenitori. Non devono né interrompere altre trasmissioni, né esserlo essi stessi.

19 Le televisioni e radio di partito non possono cedere spazi per tali messaggi. 20 Anche sugli orari di operatività dei seggi.

21 Ex art. 6 l. 28/2000

22 Dalla candidatura delle liste, i mezzi radiotelevisivi possono permettere la diffusione di messaggi

non in contraddittorio suprogrammi e liste secondo le modalità indicate dai due enti di garanzia.

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concessione di spazi gratuiti o a pagamento per messaggi autogestiti, al fine di ripristinare la situazione di equilibrio tra le forze politiche precedente alla violazione.

Nel complesso la legge, in special modo per la televisione, propone numerose prescrizioni analitiche, giudicate da alcuni eccessivamente farraginose24.

24Basti ricordare le dichiarazioni critiche di molti uomini politici che la definiscono"legge bavaglio",

ben sintetizzate da una dichiarazione dell’on. Berlusconi, che sostiene: ''Non e' giusto che un partito come Forza Italia possa avere in tv lo stesso spazio di un partito che si presenta magari con un nuovo simbolo e per la prima volta''. Cfr. archivio rassegna stampa nel sito www.internazionale.it. Il quadro seguente esemplifica la minuziosità delle prescrizioni.

Radio - TV Comunicazione politica in periodo non elettorale

Rai Obbligatoria e gratuita

Emittenti nazionali Obbligatoria e gratuita Emittenti locali Facoltativa e gratuita

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2.1 La regolazione del medium televisivo: elementi del dibattito I Paesi maggiormente industrializzati ritengono più positiva la legislazione sulla concorrenza, mentre si indirizzano verso una deregolamentazione delle strutture proprietarie e dell’utilizzo delle frequenze: il finanziamento pubblico non favorisce uno sviluppo

Radio - TV Comunicazione politica in periodo elettorale Rai Obbligatoria e gratuita

Emittenti nazionali Obbligatoria e gratuita Emittenti locali

Facoltativa e gratuita

Radio - Tv Messaggi autogestiti in periodo non elettorale

Rai • 25% dell’informazione politica max 2 contenitori al giorno; • 1 messaggio per soggetto politico per contenitore; • obbligatori e gratuiti.

Emittenti nazionali • 25% della comunicazione politica e max 2 contenitori al giorno; • 1 messaggio per soggetto politico per contenitore; • obbligatori e gratuiti.

Emittenti locali

• Tempo pari a quello della comunicazione politica; • max 4 contenitori al giorno;

• max 2 messaggi per soggetto politico;

• facoltativi e a pagamento con il 50% di sconto sulla tariffa degli spots commerciali.

Radio - TV Messaggi autogestiti in periodo elettorale. Rai

• Max 4 contenitori al giorno; • 1 messaggio in ogni contenitore;

• max 2 messaggi al giorno per ciascun soggetto politico; • obbligatori e gratuiti.

Emittenti nazionali

• Max 4 contenitori al giorno; • 1 messaggio in ogni contenitore;

• max 2 messaggi al giorno per ciascun soggetto politico; • facoltativi e gratuiti.

Emittenti locali

• Max 6 contenitori;

• 1 messaggio gratuito per giornata;

• max 2 messaggi a pagamento per soggetto politico; • 1 messaggio gratuito rimborsato dallo Stato;

• 2 messaggi a pagamento la cui tariffa e scontata del 50% rispetto agli spot commerciali;

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concreto del settore. Anche la U.E. ha preso questa strada; le ragioni risiedono nella perdita di efficienza che si verifica con limiti troppo rigidi alle concentrazioni proprietarie. Frequente è il dibattito sulla divergenza con i valori costituzionali di libertà di espressione e di iniziativa economica e privata, restando fermo il mantenimento del pluralismo dell’informazione e delle idee, senza alcuna ingerenza diretta del potere politico: il conflitto di interessi potrebbe oltrepassare i limiti del mero vantaggio economico per assumere i caratteri di una vera e propria egemonia culturale, sorretta e giustificata esclusivamente dalla potenza del medium.

Le norme privatistiche, garantiscono primariamente il corretto gioco economico: non perseguono direttamente il pubblico interesse ma, disciplinando i rapporti tra le imprese, generano principalmente benefici al mercato. È poi da valutare effettivamente se ciò costituisca un beneficio generale. In realtà il libero mercato non può soddisfare la richiesta di beni immateriali democratici e valoriali. Il pluralismo dell’informazione a tal proposito, pur nella diversità delle fonti, non assicura semplicemente con le regole del mercato l’equa presenza delle varie voci: alla pluralità di emittenti non corrisponde necessariamente la polifonia dell’informazione. Si tratterebbe di una diversità di fonti tra cui i cittadini possono liberamente scegliere in base al proprio orientamento ideologico. Naturalmente la visione del mercato non si interessa di un certo tipo di prodotto come quello in esame in quanto non costituisce un elemento economico. Pertanto è

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necessaria un’entità regolatrice che sia in grado di favorire equamente gli interessi di tutti i cittadini: informazioni commerciali, programmi di varietà, cinematografici, culturali, politici, di informazione quotidiana. Ad esempio nella dottrina anglosassone il pubblico interesse al processo democratico va perseguito sia dalle istituzioni che dal mezzo25: essi contribuiscono insieme alla formazione dell’opinione pubblica, in cui un ruolo attivo è affidato allo spettatore26. Da questo ragionamento affiora l’importanza di una

normativa di carattere pubblicistico, nonostante, negli ultimi tempi, siano aumentate le occasioni di pensare ad un ruolo non prevalentemente costruttivo delle trasmissioni che hanno assunto una connotazione commerciale, relegando quelle culturali in secondo piano. La legge del mercato, il profitto, determina infatti i suoi attori, cioè le imprese televisive, a preferire un programma di basso contenuto culturale ma seguito dal pubblico: il rischio è un livellamento che non è indirizzato alla varietà dei programmi ma ad una loro marcata somiglianza. Del resto il finanziamento di cui gode la televisione è formato o da un canone imposto agli utenti, a prescindere dal loro reale utilizzo, o da una quota periodica per la visione dei canali tematici: questi ultimi possono certamente esprimere dei valori democratici, ma la loro fruibilità è condizionata. Alcuni non ritengono che sia l’unico modo in prospettiva per la loro diffusione, ma certamente l’altro richiede un canone annuo più

25 Cfr. Monroe E. Price, Television, the Public Sphere and National Identity.

26 Cfr. Habermas J., The Structural Transformation of the Public Sphere: An Inquiry into a Category

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costoso dell’attuale. Quindi più sono gli spettatori, maggiori sono i costi che dovranno affrontare gli inserzionisti per la loro pubblicità.

Una possibile definizione di servizio pubblico dovrebbe prevedere diversi concessionari, pubblici o privati, in grado di soddisfare le richieste, variegate, degli utenti. Sullo sfondo dovrebbe ispirarsi agli ideali democratici propri della società civile, ed in questo contesto sarebbe possibile prevedere finanziamenti pubblici, svincolati dalle semplici esigenze del budget, indipendentemente dalla qualità dei vari programmi: l’audience, non pare il mezzo più adatto allo scopo.

Utile parrebbe quindi, vista la quasi certa impossibilità di un regolatore pubblico, la presenza di una televisione commerciale con una misura standard di trasmissioni culturali: mantenendo sempre l’autonomia che le è propria nella ricerca del profitto. Questa funzione potrebbe essere incentivata o sanzionata economicamente.

Anche la self-regulation ha dato esito positivo: i codici di auto regolamentazione, chiamati codici etici, elaborati dalle imprese stesse. Vi possono essere dei rappresentanti di categoria, scelti dalle imprese stesse, ai quali viene affidata la stesura degli stessi codici e una successiva sottoposizione all’approvazione delle autorità indipendenti di regolazione: con la supervisione di queste ultime è sancita l’ufficialità delle regole e la possibilità di sanzioni per la loro violazione.

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Tutto ciò servirebbe anche a tutelare le categorie deboli: i minori dai programmi violenti, e il pubblico in generale dalla pubblicità ingannevole, lasciando lo spazio necessario alle minoranze linguistiche ed etniche.

L’impresa che ottiene l’abilitazione commerciale, assumendosi gli obblighi di diritto pubblico, essendo fondata sulla concessione, rende più accettabile le limitazioni: queste sono rese meno invasive se operate da un soggetto indipendente delegato dallo Stato, formando quindi una linea di demarcazione più morbida tra il potere pubblico e le libertà dei privati.

Infine, le norme di diritto comune prevalgono sulle altre, tutelano la concorrenza e il corretto sviluppo del mercato, ma non tutelano l’interesse degli spettatori. Gli spettatori - consumatori sono i beni venduti agli inserzionisti, e il servizio televisivo sia pubblico che privato si assume l’onere di supplire alle lacune delle trasmissioni, favorendo il processo democratico27.

Il consumismo che caratterizza la nostra società, la teatralizzazione della vita e la stampa contribuiscono, spesso, a distorcere il quadro complessivo della nostra vita quotidiana, col rischio di sovvertirne parzialmente i valori. La voglia di successo, e di ricchezza senza fatica, può condurre dunque all’uso spropositato delle istituzioni.

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2.2 Individuazione e definizioni del concetto di interesse

Il termine “interesse” è equivoco, e può riferirsi a svariati campi della vita individuale e sociale. Ề essenziale, in questa sede delimitarne, con precisione, lo spettro semantico. Introduttivamente possiamo definirlo come l’azione di un soggetto volta a qualificare il suo atteggiamento nei confronti di un oggetto a lui esterno. Essa, in quanto tesa a soddisfare esigenze proprie, può essere determinata da svariati fattori: emotività, suggestione o obbedienza a comandi morali. Nell’ottica giuridica è rilevante solo la qualificazione della volontà ad agire, con le sue conseguenze fattuali: le circostanze attuali della sua realizzazione sono accidentali.28.

Gli individui e le formazioni sociali in cui è divisa la società sono tutti portatori di interessi: gruppi, associazioni, categorie, che sono in vario modo coordinate o subordinate l’una all’altra. Gli interessi si definiscono immediati quando, per la loro realizzazione, un’azione sia autonomamente volta a soddisfare un bisogno. Sono, invece, interessi mediati se la soluzione attuata possa costituire un presupposto per il raggiungimento dello scopo finale: sarebbe infatti necessaria la partecipazione di altre concause29.

Gli interessi che gli individui esprimono si definiscono soggettivi se riguardano esclusivamente la loro sfera interna, invece intersoggettivi se sono in relazione con quelli altrui. Se i singoli

28 Cfr. Migliorini L., Alcune considerazioni per un’analisi degli interessi pubblici, in Riv. trim. dir.

pubbl., 1968, p. 274 ss.

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perseguono gli stessi interessi e involontariamente collaborano alla loro soddisfazione questi ultimi si dicono comuni, al contrario collettivi se la cooperazione sia organizzata: è il caso delle formazioni sociali. Queste ultime, peraltro, manifestano degli interessi pubblici attraverso gli enti esponenziali: le loro esigenze, variabili nel tempo, che lo Stato riconosce a tutti i cittadini, e non esclusivamente a comunità settoriali. Sono infatti aggregazioni omogenee e variabili nel tempo e nella composizione.

L’ordinamento giuridico, quindi, prevede degli organismi al fine di perseguire gli interessi e tutelarli, cercando di evitare delle situazioni che ne impediscano la realizzazione: ad esempio le cariche politiche e gli enti pubblici la cui attività deve avere esclusivamente tale scopo.

Il titolare di una carica di Governo, infatti, è limitato nella sua libertà d’azione al solo raggiungimento del bene pubblico: fondamentale è l’imparzialità che, oltre ad essere sostanziale

dovrebbe apparire anche all’esterno30. Ciò favorirebbe il

mantenimento della fiducia nei cittadini che si affidano alla loro attività di primaria importanza, non rivolta ad interessi privati: la visibilità conseguente al loro ruolo, desta infatti un’attenzione rilevante nell’opinione pubblica, che è portata ad osservare gli eventuali interessi particolaristici coinvolti.

Nel contesto politico determinatosi con la caduta del muro di Berlino, vi fu una forte richiesta “dal basso” di rendere trasparente, sul piano finanziario, l’attività dei partiti.

30 Cfr. Colavitti G., Il trattamento normativo del conflitto di interessi tra ragionevolezza e

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Sull’esempio di altre grandi democrazie occidentali si decise di abrogare il finanziamento pubblico, sostituendolo con altri

meccanismi che, comunque, si richiamavano all’intervento pubblico (in aggiunta alle contribuzioni volontarie).

In uno Stato vi è una società politicamente omogenea quando gli interessi sono ampiamente condivisi, differendo soltanto nell’attuazione. Viceversa se non vi sia una tale comunità di bisogni, il compromesso tra coloro che sono stati eletti e non solo, sarà essenziale per un Governo duraturo, e per evitare una disgregazione a livello generale nell’indirizzo politico del Paese.

Anche ad un livello inferiore è prevista comunque la tutela di alcuni interessi, rivolti a comunità più piccole, che hanno come destinatari un insieme omogeneo di individui.

L’art. 97 della Cost., a tal proposito, enuncia il principio di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione a cui è infatti demandata la cura per settori, e nel relativo dispiegamento territoriale dei propri uffici, dei bisogni della comunità. La sua discrezionalità trova una specifica limitazione nella riserva di legge: la species dell’eccesso di potere è oggetto di tutela giurisdizionale.

Il personale che da essa dipende, agisce secondo l’immedesimazione organica ossia in nome e per conto del proprio ufficio con l’imputazione diretta degli effetti.

Il riconoscimento di un potere di supremazia dello Stato, come portatore unico del “bene comune”, con tutte le conseguenze autoritative di questa concezione pone, nel nostro ordinamento,

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anche il problema di un’altra categoria di diritti: quelli legati agli interessi legittimi31.

Su questo tema vi è un ampio dibattito, e in definitiva il punto su cui tutti concordano è che i soggetti, variamente interessati al procedimento amministrativo, hanno come aspettativa il legittimo comportamento dei titolari dei pubblici poteri, dal quale dipende la loro utilità. Non si tratta soltanto di un atteggiamento inattivo da parte dei titolari dell’interesse, subordinato esclusivamente ad un potere discrezionale, ma di una possibilità di intervento nella fase preparatoria dell’atto finale. Le facoltà attribuite agli interessati sono di iniziativa, di intervento, di documentazione, di collaborazione;

31 Tre articoli della Costituzione fanno esplicito riferimento agli interessi legittimi: il 24,

il 103, il 113. Il primo configura la loro tutela mediante la giurisdizione e affiancandoli ai diritti soggettivi, il secondo specifica che interessano il principale ambito della giustizia amministrativa, infine l’ultimo dispone sulla loro idoneità ad essere lo strumento per opporsi agli atti della pubblica amministrazione contra legem. Il loro ruolo è infatti quello di consentire la difesa degli interessi dei privati rispetto agli effetti dei poteri pubblici in eccesso. Sono collegati ad una situazione giuridica soggettiva consentendo un dialogo tra i cittadini e l’amministrazione durante i procedimenti di formazione degli atti. Questo quadro concettuale è stato preceduto in dottrina da un acceso dibattito, in particolare dopo che nel1865 una legge abolì il contenzioso amministrativo: la tutela era possibile soltanto per i diritti soggettivi e non per gli interessi. Verso i primi soltanto l’amministrazione aveva degli obblighi derivanti dalla sua funzione pubblica: poteva adoperare quegli atti che fossero stati consentiti dalla legge e che non avessero configurato un eccesso di potere, come del resto attualmente. Un’apertura al riconoscimento degli interessi semplici si è avuta nel 1889 ma la popolazione poteva reagire unicamente col ricorso alla Quarta Sezione del Consiglio di Stato: un mezzo poco efficace visto che la sua utilizzazione era consentita occasionalmente.

L’interesse in questione era infatti definito occasionalmente protetto, non sempre violabile. Questo filone venne però abbandonato. La polemica degli studiosi proseguì nella direzione che inquadrava l’interesse difendibile contro la violazione della legge, ma esclusivamente dopo la formazione dell’atto, negando sostanzialmente la possibilità di influire su di essa. Considerava infatti l’interesse dalla prospettiva di quello pubblico, secondo il quale poteva esservi un suo sacrificio, una sua coincidenza o una sua parziale realizzazione: quest’ultima ipotesi nel caso vi fosse stata una pluralità di aspiranti ad essere soddisfatti ma non tutti in ugual misura. Il privato, secondo l’orientamento prevalente, dipendeva dall’amministrazione sia per ottenere un’autorizzazione o per evitare un provvedimento a sé deteriore.

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come ultima possibilità, in caso di insoddisfazione vi è il ricorso amministrativo.

3 Alcuni problemi legati al conflitto d’interessi 3.1 Magistrati e politica

Durante l’Età liberale, l’appartenenza ad una magistratura rappresentava un titolo per entrare a far parte del Senato regio. Anche nel periodo repubblicano però essa ha avuto un suo peso32 per partecipare alla vita politica: la presenza dei magistrati era stata auspicata sia dai partiti, sia dall’opinione pubblica.

Dopo le inchieste degli anni ’90 del secolo scorso, vennero però avanzate svariate proposte tese a limitare la loro candidatura alle elezioni: la politica voleva, in una certa misura, neutralizzare una presenza potenzialmente pericolosa per l’imparzialità richiesta dalla funzione giurisdizionale33.

Nel 1996 il ministro di grazia e giustizia Flick presentò un d.d.l. con restrizioni ancora maggiori per l’elettorato passivo34, laddove anche gli organi di autogoverno della magistratura si pronunciarono contro un’eccessiva esposizione pubblica dei magistrati, nella ricerca di un consenso presso gli elettori in ragione dell’autorevolezza e credibilità legata alla funzione; di fatto la forza

32 Sebbene in una percentuale minima rispetto al numero dei componenti totali del Parlamento. 33 Cfr. anche l’art. 98 della Costituzione.

34 D.d.l. n. 1247, presentato al Senato il giorno 11/09/1996: “Norme in materia di

responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, di incompatibilità e di incarichi estranei ai compiti di ufficio”.

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elettorale del singolo candidato è sempre legata alla specifica influenza del partito di riferimento35.

Il VII comma dell’art. 125 del progetto datato 4 novembre 1997, tra i testi approvati dalla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, presieduta da D’Alema, sanciva l’ineleggibilità dei magistrati nelle regioni in cui avevano esercitato le loro funzioni negli ultimi cinque anni. Inoltre non potevano essere assegnati per un uguale periodo alle sedi regionali in cui erano stati candidati o eletti. Ancora più stringente era l’art. 127 ult. c. del testo presentato il trenta giugno, con la previsione dell’obbligo di dimissioni prima dell’inserimento nelle liste di qualsiasi competizione elettorale.

3.2 L’ineleggibilità

La funzione dell’ineleggibilità è di prevenire le indebite influenze sull’elettorato da parte di poteri privati costituendo, quindi, uno degli elementi per creare la par condicio tra i candidati. Nel rapporto tra affari e politica l’ineleggibilità ha prevalso sull’incompatibilità: si tratta dell’ineleggibilità d’affari, di cui l’Assemblea Costituente era consapevole per la maggior efficacia dell’incompatibilità nel contrasto alla illegittima influenza elettorale.

L’art. 2 della legge 60 del 1953 considera l’ineleggibilità, prevista dall’art. 10 del T.U., come incompatibilità, supplendo alla non conversione che il legislatore avrebbe potuto effettuare. Diverse critiche sono state formulate per la disparità di trattamento tra quanti

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non sono ritenuti idonei alla candidatura per rapporti d’affari di modesta entità, e coloro che possiedono le azioni di maggioranza di società titolari di concessioni televisive nazionali36.

Come si può ricavare anche dalla sentenza n. 46 del 26 marzo del 1969 della Corte Costituzionale37, la natura dell’ineleggibilità ha come elemento caratteristico l’eccezionalità e la riserva di legge tassativa: anche la Giunta delle elezioni del Senato della V legislatura sostenne che un tale strumento fosse utile per contrastare le indebite ingerenze nell’espressione del voto.

Ai primi del ’900, l’ineleggibilità e l’incompatibilità, sulla base della giurisprudenza costituzionale, avevano due diversi scopi: la prima era già uno strumento per contrastare il condizionamento della libera volontà di voto da parte di particolari individui, e il verificarsi di un ingiusto vantaggio nella competizione elettorale a loro favore, con la presunzione di un utilizzo distorto dei propri poteri. La previsione del conflitto di interessi ha alla base il dubbio che, ad esempio, l’azionista di maggioranza di una società, risultato eletto, eserciti i poteri di indirizzo e controllo in contemporanea alla carica ottenuta. La seconda causa ostativa era già considerata utile per eliminare i conflitti di interessi dell’eletto. Rispettivamente, devono essere rilevate prima e dopo l’elezione: infatti l’ineleggibilità ha lo scopo di assicurare il regolare procedimento elettorale, ossia evitare

36 Cfr. Pizzorusso A., Intervento alla tavola rotonda “Una democrazia anomala: conflitto di

interessi e ineleggibilità parlamentare”, in Il Ponte, n. 11-12, novembre-dicembre 1999, pp. 51-52.

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una possibile posizione turbativa dell’espressione della volontà popolare, e perciò deve necessariamente precederlo.

Al contrario l’incompatibilità va rilevata successivamente, perché concerne il cumulo di cariche: quella ottenuta con la vittoria nel voto potrebbe infatti essere pregiudicata dall’impegno dell’altra. Per quanto riguarda l’importanza della sua fattispecie concreta i casi sono svariati: per esempio in una società controllata a cui l’ente locale abbia contribuito, una lite pendente, ex art. 63 T.U. Enti Locali, che costituisce una spia di rapporti scorretti con l’amministrazione. Inoltre la presenza di affini o parenti durante l’incarico ricoperto sarebbe un’apparenza di favoritismi e di irregolarità.

Successivamente con l’art. 88 T.U. del 30 marzo 1957 n. 361, vi è stato un ripensamento dell’istituto, con l’applicazione del rimedio dell’aspettativa, per ovviare alle cause ostative. Anche il d.lgs. 165/2001, peraltro, all’art. 68, coordinato all’art. 51 c. 3 Cost., ha previsto per i dipendenti dell’amministrazione pubblica il tempo necessario all’adempimento della carica elettiva col diritto alla conservazione del posto38.

3.3 Incompatibilità ed ineleggibilità parlamentari

Per molto tempo la dottrina ha ritenuto le due fattispecie accomunate tra loro: erano considerate inscindibili perché avevano bisogno l’una dell’altra. Per alcuni autori, la confusione poteva

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derivare dallo scopo di eliminare le pressioni esercitabili dai candidati sugli elettori, per dirigere il voto a proprio vantaggio. Questa considerazione non costituisce la ratio di entrambi gli istituti. Mentre l’incompatibilità riguarda la fase successiva alle elezioni, l’ineleggibilità contempla più strettamente la fase del voto: siamo in presenza di quest’ultima quando l’aspirante alla carica abbia degli impedimenti rimovibili preventivamente alla fase di apertura dei seggi elettorali. L’altra invece mira a risolvere il problema della contemporaneità di due attività che, per le loro caratteristiche, non è idonea ad un corretto svolgimento di entrambe. Per rimediare l’eletto deve fare ricorso al diritto di optare per uno dei due incarichi.

L’ineleggibilità costituisce l’eccezione al diritto di partecipare come soggetto passivo alle votazioni: le fattispecie concrete a cui può essere applicata non devono essere estese analogicamente in ragione proprio della riserva di legge per essa stabilita.

L’incompatibilità in quanto risolutrice di contrasti tra cariche ricoperte può avere le seguenti motivazioni:

ƒ Etiche, in relazione all’accumulo della titolarità di diverse attività che prevedono una retribuzione;

ƒ Funzionali, laddove sono previsti per evitare il conflitto tra il controllore e il controllato: l’esercizio di una carica di Governo sulla quale il titolare abbia un ruolo di vigilanza. Si ha una medesima conseguenza se l’incarico viene ricoperto in un ente sovvenzionato dallo Stato.

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ƒ Materiali se concernono una quantità di ore e di energie tale da poter essere spese per una sola occupazione.

L’art. 48 della Costituzione prevede che l’elettorato attivo possa essere eliminato solo per incapacità civile o indegnità morale.

L’art. 51 Cost. si concentra sul diritto di tutti i cittadini, di entrambi i sessi, di accedere ai pubblici uffici, o alle cariche elettive, in condizioni di uguaglianza e secondo i requisiti di legge. Discende che la sua giustificazione sussiste unicamente per motivi ragionevoli che non violino il diritto di eguaglianza e che siano volti alla tutela dei fini costituzionali, ritenuti più importanti rispetto al diritto di partecipare attivamente all’elezione.

A queste ipotesi è da aggiungere anche una situazione personale, o uno status, rimovibile dall’interessato all’atto dell’accettazione della candidatura; viceversa non si potrebbe parlare di ineleggibilità ma di incompatibilità elettorale. L’art. 65 c.2 della Costituzione vieta l’appartenenza contemporanea alle due camere ma non la doppia candidatura. La normativa ex art. 16 della L. 29/1948 per le elezioni del Senato risolve i casi in cui le elezioni siano stabilite nella stessa data: colui che dovesse risultare vincitore in entrambi i rami del Parlamento avrebbe l’onere di scegliere in quale collocarsi entro il giorno precedente alla sua convocazione. Qualora non optasse per la Camera, di regola sarebbe destinato al Senato ex art. 28. Se i giorni delle votazioni non coincidessero, il parlamentare ancora in carica che accettasse la candidatura nell’altra Camera decadrebbe dal mandato.

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