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CAPITOLO 2: WANG XIAOBO E ITALO CALVINO

2.3. Due mondi letterari a confronto: Wang Xiaobo e le Lezioni di Calvino

2.3.3. Esattezza

Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.172

Italo Calvino

Il terzo valore prospettato da Calvino all’interno del ciclo delle sue Lezioni è l’esattezza. L’autore denuncia una diffusa malattia di linguaggio, utilizzato approssimativamente e sempre più in maniera casuale nell’era moderna, senza la dovuta attenzione di cui invece necessiterebbe. Questa mancanza è tanto più grave perché, nelle parole di Calvino stesso, una tale inconsistenza non è ravvisabile solo nel linguaggio, ma nelle immagini che tutti i giorni ci vengono sottoposte e, ancor più, nell’intero mondo che ci circonda. Una tale epidemia è naturale, secondo Calvino, dal momento che si è persa la qualità dell’esattezza di linguaggio che permetterebbe, invece, di nominare le cose in maniera giusta e, per questo, avvicinarsi a una loro comprensione. “Il giusto uso del linguaggio per me è quello che permette di avvicinarsi alle cose (presenti o assenti) con discrezione e attenzione e

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cautela, col rispetto di ciò che le cose (presenti o assenti) comunicano senza parole”173

sostiene infatti l’autore ligure, che prospetta un’unica risposta alla pestilenza che colpisce l’uomo e la società moderni: la letteratura, la sola forza in grado di “creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio”.174 E nel richiamare il valore della

letteratura come unica arma con cui difendersi dall’inconsistenza cui va incontro l’età moderna, egli si rivolge alla poesia, “una tensione verso l’esattezza”,175 e alla scienza, in

quanto per Calvino “la letteratura è scienza dei possibili”.176 Si è infatti già visto nella

trattazione della Lezione precedente come l’opera prosastica di Calvino utilizzi un linguaggio poetico, considerando la ricerca del giusto termine in un’opera narrativa alla stregua della riflessione che sottostà alla creazione poetica. È infatti caratteristica intrinseca della poesia la scelta minuziosa dei termini che lo compongono, ed è proprio qui che risiede l’esattezza del testo poetico, nella cui direzione anche la narrativa e il linguaggio tutto dovrebbero volgere lo sguardo. Inoltre, l’esattezza può essere ravvisata nella scienza, una disciplina da cui Calvino ha attinto diverse volte per trarre ispirazione per le sue opere, a cui non viene attribuita meno importanza che alla letteratura stessa. Nelle parole di Domenico Scarpa, infatti, per Calvino “scienza e letteratura, obbediscono a una doppia e reversibile polarità: […] il razionalismo scientifico è una passione e il mito è un linguaggio tecnico da decifrare. Calvino scrive e osserva il mondo in base a questo medesimo principio”.177 Se la letteratura ha quindi la funzione di indagare il reale per meglio comprenderne le assurdità, la scienza risponde alla medesima tendenza razionalizzatrice della mente umana, dal momento che per Calvino l’opera letteraria stessa costituisce un vero e proprio organismo vivente.178

Come si è visto nel primo capitolo del presente elaborato, anche Wang Xiaobo fa largo uso della scienza e della tecnologia, nonché del linguaggio logico-scientifico, all’interno dei propri testi. Va ricordato che la pratica utilizzata dall’autore cinese di attingere immagini e ragionamenti dal mondo scientifico è dovuta, con tutta probabilità, all’ambiente familiare in cui egli è cresciuto. Il padre studioso di logica, il fratello

173 Ivi, p. 85. 174 Ivi, p. 67. 175 Ivi, p. 75.

176 SCARPA, op. cit., p. 245. 177 Ivi, p. 251.

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studioso di matematica, oltre all’educazione di tipo scientifico ricevuta, hanno infatti senza dubbio influenzato Wang Xiaobo nella propria concezione di scienza e realtà, oltre che nell’utilizzo di un linguaggio non esente da tecnicismi e sillogismi logici. Dunque, anche se il ruolo della scienza nella letteratura di Wang Xiaobo non sia da ascrivere all’influenza esercitata su di lui da Calvino, pare opportuno mostrare come, anche in questo ambito, i due autori siano portatori di una visione comune, che non esclude l’universo scientifico da quello letterario. I due scrittori, infatti, si servono della scienza all’interno della propria produzione letteraria, ma entrambi – ognuno a suo modo – ne mettono anche in luce i limiti. Wang Xiaobo condivide principalmente con il mondo scientifico un approccio empirico alla realtà e una visione scettica del mondo, in accordo con la massima socratica secondo cui “saggio è colui che sa di non sapere”. La reale conoscenza (zhihui 智慧) è quindi, per Wang Xiaobo, irraggiungibile.179

Lo stesso Calvino, in un’intervista del 1968, aveva dichiarato:

In qualche situazione è la letteratura che può indirettamente servire da molla propulsiva per lo scienziato: come esempio di coraggio nell’immaginazione, nel portare alle estreme conseguenze un’ipotesi ecc. E così in altre situazioni può avvenire il contrario. In questo momento, il modello del linguaggio matematico, della logica formale, può salvare lo scrittore dal logoramento in cui sono scadute parole e immagini per il loro falso uso. Con questo lo scrittore non deve però credere d’aver trovato qualcosa d'assoluto; anche qui può servirgli l’esempio della scienza: nella paziente modestia di considerare ogni risultato come facente parte di una serie forse infinita d’approssimazioni.180

Se dunque la scienza può servire allo scrittore nell’utilizzo di un approccio differente alla realtà, è poi attraverso la scrittura che egli può dare un senso al caos del mondo, servendosi del valore dell’Esattezza di cui Calvino parla all’interno della propria Lezione. E se, come si è visto, tale esattezza può essere ottenuta solo avvicinandosi a un linguaggio quanto più poetico possibile nella scelta ponderata e precisa dei termini, anche Wang Xiaobo si rivolge ai poeti come coloro che hanno creato la vera lingua del cinese moderno. Nel saggio “Wo de shicheng” 我的师承 [I miei maestri] tradotto all’interno del primo capitolo del presente elaborato, infatti, egli sostiene di aver imparato la miglior lingua letteraria proprio grazie al lavoro di traduttori quali Mu Dan 穆旦 e Wang Daoqian 王道

179 Sebastian VEG, Minjian: The Rise of China’s Grassroots Intellectuals, New York, Columbia University

Press, 2019, p. 60.

180 Italo CALVINO, “Due interviste su scienza e letteratura”, in Italo Calvino, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Milano, Mondadori, [1968], 2012, p. 231.

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乾, poeti prima di rivolgere le proprie doti alla traduzione. A tal proposito, lo studioso Zou Hongjin, cita il seguente brano tratto da Wanshou si 万寿寺 [Il Tempio della Longevità], a esemplificazione della tendenza poetica della prosa di Wang Xiaobo:

In inverno, a Chang’an nevicava spesso. La neve cadeva a fiocchi grandi come la coda di uno scoiattolo, profumati come fiori di gelsomino. Quando nevicava a lungo, in città si diffondeva un aroma floreale ancora più intenso. Quei fiocchi soffici e umidi scendevano dolcemente dal cielo, cadevano sulle mura di Chang’an, sulle sue pagode finemente lavorate, sui padiglioni di cui era costellata, cadevano sui canali che la attraversavano in lungo e in largo, fattisi lastre di ghiaccio bucherellate. Non importava per quanto nevicasse, il terreno era perennemente coperto da un sottile strato di neve.181

Una simile descrizione della città di Chang’an innevata può rendere più chiaro nella mente del lettore l’ideale di un linguaggio poetico all’interno della composizione narrativa, non per svalutare l’importanza della poesia in sé, ma per attribuire alla prosa proprio quel principio di esattezza cui si rifà Calvino. Wang Xiaobo scriveva infatti: “Se questa vita non ci basta, abbiamo ancora il mondo della poesia a cui rivolgerci”,182 a

dimostrazione di quella medesima concezione calviniana di “letteratura come funzione esistenziale”, l’unica risposta “al peso di vivere”.183