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“Escribiendo con el cuerpo textos que digo sin decir”.

In questa sezione mi propongo di presentare una delle estetiche fondamentali su cui si concentra la narrativa della Valenzuela. La stessa ha affrontato il concetto in numerose conferenze, interviste e saggi per spiegare cosa intendesse con queste tre, apparentemente, semplici parole. In questa paragrafo, mi propongo di fare altrettanto, cercando di cogliere gli aspetti principali della sua estetica.

Con il termine escribir con el cuerpo, la scrittrice argentina fa riferimento a un suo personale modo di intendere non solo la letteratura, ma anche la vita40, che

39 VALENZUELA, Luisa, La palabra: esa vaca lechera (Peligrosas palabras, 1983) tratto da MEDEIROS-

LICHEM, María Teresa, La voz femenina en la narrativa latinoamericana: una relectura crítica, Editorial

Cuarto Propio, Santiago de Chile, 2006, p.202.

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“Pero esa es mi manera de ver no solo la literatura, sino la vida. Me interesa la idea de escribir con el cuerpo, en el sentido de que estás comprometiendo el deseo en la escritura. Es una forma de la sinceridad.”, da REYES,

implica la compartecipazione tanto del corpo quanto della mente. Normalmente, nell’atto dello scrivere, uno scrittore predilige la mente sul corpo, separandola da esso. Per la Valenzuela, al contrario, nell’atto di scrittura non c’è separazione, ma unicità; ritiene infatti che non si scriva solo con la mente, ma che tutto reagisca, tutto agisca, tutto scriva. “Yo escribo porque cuando el cuerpo está implicado lo pongo en palabras para sentirme menos vulnerable.41” Afferma, inoltre, per rendere ancora più chiara la distinzione, che, scrivendo con la mente, domina il logos ma non l’eros, mentre facendo l’amore, implicando il corpo, domina l’eros sopra il logos. Scrivendo con il corpo, logos e eros sono quindi integrati, unificati, compresenti nell’atto creativo della scrittura, in un equilibrio che può continuare a esistere solo tramite quella che lei definisce la liberazione del discorso. In poche parole, bisogna lasciarsi andare con corpo e mente a una scrittura senza censura, dove anche quella interiore si annulla completamente, facendo dell’atto narrativo una continua scoperta. La scrittrice esprime così tutto il suo essere:

“Yo siento físicamente cuando estoy escribiendo con el cuerpo. Es como si corriera una electricidad. Salto, me levanto, hay una excitación casi erótica con la

Dean Luis, Entrevista con Luisa Valenzuela, 2002.

[http://laventana.casa.cult.cu/modules.php?name=News&file=article&sid=22]

41REINOSO, Susana, Entrevista a Luisa Valenzuela, 2004.

[http://www.resonancias.org/content/read/369/luisa-valenzuela-es-mas-transgresor-escribir-sobre-politica-que- sobre-sexo-entrevista-por-susana-reinoso/]

escritura, con el verbo. El verbo es acción, entonces el verbo es cuerpo42”.

La razionalità nella scrittura non può dare buoni frutti perché risulta essere statica, pensata, prefissata e senza emozione. Si scrive bene solo quando c’è il desiderio, c’è una passione, un desiderio erotico che spinge a farlo, perché è l’unico modo per dare sfogo all’emozione che si sente e che si intende trasmettere. Scrivere con il corpo significa necessariamente dar corpo alle parole.

Sharon Magnarelli, studiosa e critica della Valenzuela, distingue nella sua narrativa due modi distinti di “escribir con el cuerpo”: uno può essere visto in forma positiva, quando i personaggi scrivono con il corpo, e l’altro in forma negativa, quando si scrive sul corpo di questi. Differenza di stili, alla cui base vi è la distinzione, proposta da Diana Fuss, tra il corpo, che connota l’astratto, il generico, il categorico e il metafisico, e il mio corpo, che connota il particolare, l’empirico, l’autoreferenziale, il materiale43.

“El secreto es res non verba” dice Roberta, personaggio femminile di Novela negra con argentinos (1990), al suo amico romanziere Agustín. La parola è, quindi, corpo e scrittura, ma non un corpo qualsiasi: è il nostro corpo, portatore di testimonianze, che genera la parola. Scrivere con il proprio corpo significa portare i segni del vissuto, le cicatrici delle proprie esperienze, testimonianze di atti atroci

42 DÍAZ, Gwendolyn, Entrevista con Luisa Valenzuela in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa

Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile,

1996, p. 41.

43 MAGNARELLI, Sharon, Luisa Valenzuela: cuerpos que escriben in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa

de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de

di violenza e di aggressione. “Donde pongo la palabra pongo mi cuerpo”, dice la stessa Valenzuela:

"la palabra es cuerpo y escritura [...] es un cuerpo, nuestro cuerpo, y lo producimos con nuestros propios jugos, a veces llamados saliva, otras no [...]44".

Ma torniamo alla distinzione della Magnarelli, ponendo l’attenzione sulla forma negativa che la critica ha individuato: scrivere sul corpo a tal punto da trasformare, con la tortura e la violenza, il mio corpo in un corpo astratto: mutilazione del corpo che implica la mutilazione dell’identità. Nei suoi scritti, il più delle volte, è il corpo femminile ad essere vittima della violenza, a subire tale mutilazione. Ne è un esempio il personaggio femminile del racconto Cambio de armas. Laura, vittima di ripetute torture, sente il suo corpo non appartenerle più e con esso anche la sua identità: è oggetto di un marito militare oppressore e possessivo, che prova un piacere depravato nel percuoterla e nel sottometterla, mutilando non solo il suo corpo, ma, soprattutto, la sua anima. In questo racconto il corpo femminile può essere considerato il simbolo dell’organizzazione politica del corpo sociale; rappresenta, dunque, la voce di resistenza tanto all’oppressione sessuale quanto alla repressione statale e, in questi termini, il discorso erotico si mescola a quello politico. Il marito rappresenta il governo militare degli anni Settanta, che violenta e tortura un innocente corpo “nazionale” privandolo della sua identità

44 VALENZUELA, Luisa, La palabra: esa vaca lechera (Peligrosas palabras, 1983) tratto da AA.VV., La

palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial

fino ai limiti dell’anonimato. È un corpo che, tuttavia, è in grado di resistere, per quanto sia paralizzato e incapace di ribellarsi.

Il corpo femminile diventa, dunque, metafora del corpo del terrore. Un ulteriore scritto in cui la Valenzuela metaforizza il terrore e la violenza è Cola de lagartija, ma in questo caso il protagonista, el Brujo, oltre ad essere un aberrante, sadico ed egocentrico personaggio maschile, è anche il colpevole, e non la vittima, di atti perversi e violenti. La mutilazione del corpo viene presentata, dunque, da un’altra visuale, quella di chi la pratica in prima persona.

Per la Valenzuela “escribir con el cuerpo” è anche espressione del deseo. Ritiene, infatti, che il linguaggio sia strettamente vincolato alla concezione di desiderio, possedendo allo stesso tempo una carica assolutamente erotica, come lei stessa ha affermato in un’intervista con Gwendolyn Díaz:

“El deseo es una de las mayores cosas que no pueden ser dichas y en ese aspecto yo creo mucho en la carga absolutamente sexual del lenguaje. [...] Ese decir tu deseo es muy difícil porque, como sabés, el deseo no quiere ser dicho, entonces va a luchar y ésa es una manera de dominar al otro, que el otro diga su deseo. En ese juego, en esa intención no podés separar el erotismo del lenguaje. Eso estructura mucho mi obra45”.

45DÍAZ, Gwendolyn, Entrevista con Luisa Valenzuela in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa

Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile,

È dal desiderio di fare e di dire che nasce la scrittura. In questi termini l’estetica della Valenzuela si fa ancora più chiara: scrivere con il corpo significa dare libertà alle proprie sensazioni, ma anche e soprattutto al proprio desiderio. Il deseo è strettamente connesso all’erotismo, che è espressione del desiderio erotico. E l’erotismo femminile, come la mala palabra, non deve essere censurato; essendo espressione del corpo, bisogna scrivere con esso e su di esso. Scrivere con il corpo diventa, in questi termini, un atto sessuale. La Valenzuela ritiene ancora che le scrittrici, in quanto donne, devono “defender el erotismo de nuestra propia literatura y dejar de ser el espejo del erotismo de los hombres46"; devono essere coscienti del proprio corpo inteso non solo come costrutto biologico ma, soprattutto, come costrutto storico, sociopolitico e discorsivo47, attraverso il quale affermarsi individualmente e socialmente.

Dunque, l’attenzione della scrittrice verte, in particolare, sulla figura femminile. Questa caratteristica farebbe pensare alla Valenzuela come una fervente femminista, ma in realtà la stessa rifiuta di essere etichettata, encasillada nella cerchia delle scrittrici femministe, perché questo significherebbe per lei essere obbligata a rivolgersi al mondo con un'unica ottica. Non si può negare una prospettiva femminista alla base delle sue opere, ma è un’ideologia che la Valenzuela ha in sé e che non manifesta volontariamente. Appare nei suoi scritti perché appartiene al suo essere, e perché no, anche al suo essere donna: “creo que con esas

46VALENZUELA, Luisa, La palabra: esa vaca lechera (Peligrosas palabras, 1983) tratto da AA.VV., La

palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial

Cuarto Propio, Santiago de Chile, 1996, p.71.

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MAGNARELLI, Sharon, Luisa Valenzuela: cuerpos que escriben in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa

de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de

cosas uno nace, no se hacen48”. Rifiuta, dunque, qualsiasi “ismo” possibile, perché ritiene che ogni ideologia, per quante buone intenzioni abbia, rischia di cadere nel dogmatico: “Yo pretendo en lo posible ser abierta. Libre49”.

Sebbene il libro oggetto della mia traduzione e della mia analisi, Hay que sonreír, sia il primo romanzo della Valenzuela, scritto quando era poco più che una ventenne, un lettore attento può individuare alla base di gran parte delle sue opere, seppur in maniera accennata, l’estetica sopra commentata. Clara, la protagonista del romanzo in questione, vive sul proprio corpo e sulla propria pelle la vita de los bajos fondos di Buenos Aires e si ritrova, non per costrizione, tantomeno per volontà, ma quasi per caso, a prostituirsi. La Valenzuela lascia ampio spazio alle riflessioni e alle parole della protagonista ed è tramite questa che presenta, e forse a modo suo denuncia, la condizione della donna all’interno del sistema patriarcale argentino, resa una merce dell’uomo. Tuttavia, Clara, come le altre donne degli scritti della Valenzuela, pur essendo una donna-oggetto dei desideri dell’uomo, è in grado di trovare l’allegria e la voglia di vivere nelle più piccole cose, come il semplice addobbare un albero di Natale.

Ritengo sia opportuno sottolineare la differenza con le opere che seguiranno. Hay que sonreír è il frutto degli anni parigini, dunque dei primi anni Sessanta, pertanto non ha nulla a che vedere con le violenze e le atrocità dei terribili anni Settanta e, dunque, non si può ascrivere a un contesto storico-politico come quello dei successivi romanzi e

48 REYES, Dean Luis, Entrevista con Luisa Valenzuela, 2002

[http://laventana.casa.cult.cu/modules.php?name=News&file=article&sid=22]

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DÍAZ, Gwendolyn, Entrevista con Luisa Valenzuela in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa

Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile,

racconti prodotti dalla necessità di mantenere viva la memoria di quegli anni. L’attenzione è rivolta in quest’opera, come già anticipato, al corpo e alla personalità del personaggio femminile; la Valenzuela si concentra sul processo di costruzione della soggettività e sulla búsqueda de su ser, strettamente connesse alle esperienze che la donna vive con e sul proprio corpo.

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