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CAPITOLO 1: Analisi di Hay que sonreír

2. Struttura di Hay que sonreír

2.2 La storia editoriale

Con Hay que sonreír la Valenzuela muove i primi passi nel mondo della scrittura narrativa e della letteratura. Prima di questo prodotto letterario, fin dall’età di diciassette anni, si era già dedicata alla scrittura, perlopiù di racconti e di articoli di giornale. Come la stessa scrittrice ha affermato, il progetto iniziale prevedeva la scrittura di un racconto e, pertanto, differentemente da come accadrà con i romanzi successivi, conosceva già quale finale avrebbe dato alla storia. Per qualche strano motivo il personaggio cominciò a prendere forma, quasi a prendere possesso della sua scrittura, portando a questo risultato.

“Ya sabía cómo iba a terminar. En realidad no sabía qué pasaba en el medio porque creí que iba a escribir un cuento -tenía la idea del principio y el final-. Después, de alguna extraña manera empezó a crecer ese personaje en mí, a tomar posesión de su personalidad y entonces se fue desarrollando la novela. Creo que es la única vez -tengo

siete novelas escritas, cuentos y todo- que supe cómo terminar70”.

Al fine dell’analisi che affronterò nelle prossime pagine, è opportuno ricordare che, sebbene Luisa Valenzuela lo abbia scritto in giovane età e sia il primo scritto narrativo, possiede già alcuni di quei tratti che caratterizzeranno la sua produzione letteraria. Hay que sonreír, in questi termini, offre le prime riflessioni circa la figura femminile assoggettata alla società in cui vive e al potere, di qualsiasi forma esso sia. Questa attenzione al soggetto femminile, per di più prostituta, genererà l’empatia verso lo marginal, verso esseri umani solitari, emarginati dalla realtà circostante, sottomessi a un potere sociale o politico. Clara, oggetto del desiderio maschile, è paragonabile a Laura di Cambio de Armas, racconto in cui la sottomissione diventa vera e propria oppressione sessuale, oltre che politica.

Il tema dell’oppressione, in primis sociale, sempre più incalzante nei suoi romanzi e racconti, e l’attenzione verso il personaggio oppresso e ai suoi pensieri, possono essere individuati, seppur in misura meno cruenta, proprio in Hay que sonreír. Inoltre, è importante sottolineare che questa attenzione verso la figura femminile implica una riflessione su come questa si impegni nella búsqueda della sua identità, della sua verità più profonda e, pertanto, della sua felicità. L’unico aspetto che differenzia Clara dalle altre donne delle opere della Valenzuela è il fatto di non essere inserita in nessun contesto politico repressivo. Di conseguenza, manca quel la relazione tra oppressione sessuale e oppressione politica presente, ad esempio, in Cambio de armas. Tuttavia,

il contesto sociale patriarcale fa da scenario all’interiorità, alla sensibilità, ai pensieri della sua protagonista.

Gli anni in cui la Valenzuela scrive quest’opera sono quelli parigini, quando il suo stile è ancora lontano dai giochi di parole e dall’ambiguità del linguaggio che caratterizzeranno il resto della sua narrativa. Pertanto si potrebbe considerare questo romanzo come quello in cui, per la prima volta, la scrittrice si mette in gioco, sperimenta e inizia a formare il suo stile, prefigurando, come già accennato, alcuni temi, personaggi e presupposti che recupererà nelle opere successive. Sono, inoltre, gli anni in cui sperimenta per la prima volta la distanza dal suo paese natio, quella che, nel corso degli anni, le offrirà sempre una prospettiva diversa delle cose e, in particolar modo, de lo argentino. La Valenzuela stessa riconosce, infatti, che la distanza dalla sua patria, per quanto dolorosa sia stata, le ha fornito una prospettiva diversa per apprezzare, molto più di quanto già facesse, gli argentini, la sua patria e, soprattutto, la letteratura argentina per cui “en este país hay una identidad literaria muy fuerte.” La distanza, che le dà “una visión más integral”, diventa nella sua vita quasi una posizione necessaria: non è un caso che gran parte delle sue opere sull’Argentina siano state scritte quando lei era lontana da essa, perché, a detta sua, la prospettiva fornisce una maniera più ampia di vedere le cose: è un modo di essere in due posti nello stesso momento, e l’ubiquità è sempre stato uno dei suoi grandi sogni di vita71.

[http://www.destiempos.com/n12/luisavalenzuela_12.htm]

71

LEE, Sarah e BILBIJA, Ksenija, Interview to Luisa Valenzuela: Luisa Valenzuela, The Art of Fiction, n. 170

in “The Paris Review”, 2001. [http://www.theparisreview.org/interviews/449/the-art-of-fiction-no-170-luisa- valenzuela] “It’s a way of being in two places at the same time, ubiquity being one of my big dreams in life.”

Distanza implica, il più delle volte, nostalgia. È quest’ultima, forse, il motore di scrittura di Hay que sonreír. Avrebbe potuto scrivere di Parigi, dei bassifondi parigini, della realtà che la circondava negli anni in cui scriveva, ma la Valenzuela, spinta dalla nostalgia della sua patria, preferì racchiudere nel suo primo scritto il ricordo della sua adolescenza vissuta nella sua nazione e immaginare una bellissima e frenetica Buenos Aires, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. È un romanzo, infatti, che racchiude l’essenza stessa dell’Argentina, o meglio ancora, di Buenos Aires: los bajos fondos, la musica delle orchestre, i quartieri a luci rosse, i sensuali ambienti del tango e molto altro ancora. Insomma, un vero e proprio romanzo porteño, che regala una visione di Buenos Aires degli anni quaranta, delle sue strade e dei suoi locali e che dimostra il profondo legame che la scrittrice possiede con la sua patria.

La storia editoriale del romanzo Hay que sonreír inizia nel 1966, ben 5 anni dopo la sua stesura. Fu il romanzo- rivelazione della Valenzuela come scrittrice di romanzi e, nel corso degli anni, ottenne così tanto successo da essere tradotto in inglese nel 1976 con il titolo di Clara: Thirteen Short Stories and a Novel, in cui fu inserita anche la traduzione di una raccolta di racconti, anch’essi scritti negli anni parigini, Los Heréticos.

Il romanzo fu anche fonte di ispirazione per un cortometraggio e, per tale occasione, fu chiesto alla stessa scrittrice di scrivere un copione, premiato alcuni anni dopo dall’Instituto Nacional de Cinematografía.

Nel 1994, in un’intervista con Gwendolyn Díaz, la scrittrice rivela di voler nuovamente dare alle stampe Hay que sonreír assieme ad altre due opere scritte

posteriormente, Como en la guerra (1977) e Novela negra con argentinos (1990) poiché le tre opere sono accomunate da uno sguardo al marginal e a los bajos fondos:

“Creo que son una trilogía, no las escribí como tal, pero viéndolas con perspectiva son una trilogía de los bajos fondos de tres ciudades y de los bajos fondos propios del ser humano, del alma72”.

Nel 2004 riunisce le tre opere in un unico volume, pubblicandolo in Messico con il titolo di Trilogía de los bajos fondos.

Nel 2007, dopo ben 41 anni dalla prima edizione e dopo un’accurata revisione, Hay que sonreír ritorna alle stampe editata da Fondo de Cultura Económica. Segna, in un certo senso, un punto di riferimento nei suoi tanti anni di carriera letteraria e indica la maturità che ha acquisito nel suo percorso letterario e di vita. Dopo tanti anni questo tuffo nel passato, questo sguardo ai primi passi del suo cammino letterario, non provocano in lei rifiuto, come è successo ad altri scrittori argentini. Al contrario, apprezza ancora la candore della sua prima novela, che ritiene essere “curiosamente viva”, la sente “muy entrañable” e la sorprende ancora per “la frescura que tiene73”.

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