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CAPITOLO 1: Analisi di Hay que sonreír

2. Struttura di Hay que sonreír

2.1 Voce narrante

Il romanzo si apre con la prima riflessione di Clara “qué opio esperar” e con la successiva descrizione di movimenti fisici che comunicano determinati significati: “con el pie izquierdo se rascó la pierna derecha con un gesto que quería decir resignación60”. Il corpo è qui utilizzato, come suggerisce Sharon Magnarelli, come elemento semiotico che esprime la rassegnazione della protagonista. Clara comunica le sue emozioni e sensazioni con il linguaggio gestuale (“Clara se mordió los labios con fuerza para contener su decepción61”) e la libertà di opinione e parola le è stato gradualmente sottratto da uomini egoisti, egocentrici come Víctor, con il quale “jamás se tenía razón”, “más valía darle la razón hasta en el pensamiento” e con il quale “no valía la pena abrir la boca”. La donna perde l’uso della sua voce convivendo con un uomo incapace di comunicare con nessuno al di fuori di se stesso. Tuttavia, “nadie le impediría continuar un diálogo interno silencioso pero vehemente62”. Padroneggia con destrezza la sua 60 Ibid., p.11. 61 Ibid., p. 128. 62 Ibid., pp.13-28-29.

immaginazione ed è proprio ai sogni, ai desideri e alle riflessioni personali della protagonista che la scrittrice lascia ampio spazio, mediante un gioco di prospettive che arricchisce l’interno romanzo.

In termini narratologici, la narrazione è gestita da un narratore eterodiegetico che non è coinvolto nella trama e che propone la sua narrazione dal punto di vista di Clara, non giudicando né offrendo mai una sua opinione in forma diretta. Il narratore, dunque, cede la parola ai personaggi in tutte le forme del discorso: diretto, indiretto e indiretto libero. Predilige quest’ultima perché grazie ad essa il personaggio parla con la voce del narratore63, e quello che Genette definisce discorso immediato.64 Parlo del monologo interiore, un forma di autoanalisi e di rappresentazione della coscienza del personaggio, tramite la quale il lettore viene direttamente introdotto nella sua vita interiore, senza alcuna anticipazione o avviso, e in cui l’istanza narrativa è momentaneamente annullata. Già nelle prime pagine la scrittrice propone questa alternanza di voci mediante l’utilizzo delle varie forme del discorso:

Monologo interiore:

“Qué opio esperar. [narratore  ]Con el pie izquierdo se rascó la pierna derecha en un gesto que quería decir resignación. Se llamaba Clara y ya estaba harta. [Clara  ]También, a quién se le ocurre ponerse zapatos nuevos para esperar, y citarse en un

63

MARCHESE, Angelo, L’officina del racconto. Semiotica della narrativitá, Mondadori, Milano, 1983, p.178.

lugar donde no se puede estar sentada. Y ese Víctor, que me hizo venir antes de las ocho para evitar el gentío y son casi las ocho y media y él ni señales de vida. Eso que yo ya debería conocerlo: se la pasa hablando de tranquilidad y aspira lo que dice como si fuera el humo de un cigarrillo fino, pero nada de tranquilidad. Porque él, mientras tuvieses a quién imprecar, ni se acordaría de la cita. [narratore ]Y la pobre Clara, ya demasiado agotada de luchar contra sus propios defectos, no iba a ponerse ahora a atacar las pocas virtudes que le quedaban65”.

Si noti come, dalla quarta riga, cambi la persona verbale e il lettore si trovi quasi catapultato nel pensiero della protagonista, per poi essere attratto nuovamente dal narratore nel procedere della diegesi. In altri casi il narratore assume il punto di vista anche di altri personaggi, come quello di Alejandro nell’esempio seguente:

“Además se estaba bien con ella en la cama y hacía todo lo que se le pedía, y no hablaba hasta por los codos como las otra mujeres que había conocido. Y una vez casados estaría obligada a seguirlo; podría abandonar tranquilamente el Parque Retiro e irse por el mundo a buscar algo que le diera la medida de sí mismo66”.

65

VALENZUELA, Luisa, Hay que sonreír, Fondo De Cultura Economica, Buenos Aires, 2007, p. 11.

La scrittrice rimane fedele a questa alternanza tra voce narrante e voce del personaggio tanto che riempirà gran parte delle pagine di Hay que sonreír fino al finale stesso:

“Clara vio el brillio en los ojos de él y sintío que la amenaza iba más allá de su garganta: Es mi destino, después de todo. No vale la pena escapar, ni gritar ni defenderme. Voy a ser la cabeza sin cuerpo, sin trucos ni espejos67”.

In questo modo pare che il narratore proponga nuovamente al lettore il punto di vista dei personaggi e che assuma, dunque, una focalizzazione interna variabile, provandone empaticamente le stesse sensazioni. Tuttavia, vi sono alcuni punti nella narrazione in cui si nota che il narratore ne sa più del personaggio. Si osservi:

“El anunciador no dejaba de vociferar y ella tendió el billete tímidamente. Desde su pedestal el hombre del turbante la miraba de reojo, pero ella no pudo notarlo68”.

Clara non sa che l’uomo con il turbante rosso la sta osservando, è il narratore che lo fa notare. E ancora:

“El hindú no dejaba de mirarla de reojo, pero ella lo creía tan indiferente que ni se preocupó que podía causarle su presencia fiel69”.

67

Ibid., p.176.

68

Ibid., p. 96. (corsivo mio)

La focalizzazione, in questi due esempi, come in molti altri punti del romanzo, è al grado zero. La scrittrice alterna così l’onniscienza del narratore al punto di vista della protagonista e la diegesi, ricca di per sé per la sua trama e i suoi personaggi, è arricchita da un’alternanza di voci e di prospettive.

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