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Clara: mujer y marginalidad Proposta di traduzione di una parte di Hay que sonreir di Luisa Valenzuela

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

Corso di Laurea Magistrale in

Traduzione Letteraria e Saggistica

Tesi di Laurea Magistrale:

Clara: mujer y marginalidad

Proposta di traduzione di una parte di

Hay que sonreír di Luisa Valenzuela

Candidata:

Relatrice:

Chiar.ma Prof.ssa

VERONICA MIELE

ALESSANDRA GHEZZANI

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INDICE

Premessa p. 7

Introduzione p. 8

1. Luisa Valenzuela – biografia ..…..………….……... p. 8 2. La produzione letteraria di Luisa Valenzuela…... p. 16

2.1 Il potere nella realtà argentina ………... p. 17 2.2 L’importanza del linguaggio: la búsqueda lingüística p. 27 2.3 Escribir con el cuerpo ... p. 32 Capitolo 1: Analisi di Hay que sonreír p. 39 1. Considerazioni preliminari ……….. p. 40 2. Struttura di Hay que sonreír ………... p. 47

2.1 La voce narrante ……… p. 47 2.2 La storia editoriale ………. p. 51 2.3 Titolo e struttura del romanzo……….... p. 55 2.3.1 Il corpo ………... p. 59 2.3.2 Transizione ………. p. 64 2.3.3 La testa ……….... p. 71

Proposta di traduzione di Hay que sonreír di Luisa Valenzuela p. 75

Commento alla traduzione ………... p. 219 1. Il Voseo ………... p. 220 1.1. Voseo pronominal ………... p. 220 1.2. Voseo verbal ... p. 223 2. Il registro ... p. 225 3. La morfosintassi in Hay que sonreír ... p. 228 3.1 Enunciados suspendidos ... p. 229 3.2 I marcatori del discorso ………. p. 230

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3.2.1 Formule di chiusura del discorso ……….. p. 231 3.2.2 Gli elementi fatici ………... p. 233 4. Classificazione e traduzione dei culturemi in Hay que sonreír…. p. 238

4.1 Elementi naturali: i fiumi ………..………... p. 239 4.2 Patrimonio culturale ……….……….... p. 240

4.2.1 Buenos Aires: i barrios, gli edifici e i luoghi emblematici ………... p. 241 4.2.2 Folklore e tradizioni argentine……... p. 246 4.3 Cultura sociale ………... p. 249 4.4 Cultura linguistica ………... p. 251 4.4.1 Espressioni linguistiche argentine.………. p. 252 4.4.2 Il lessico argentino e il lunfardo ……….... p. 255

Conclusioni……….. p. 260 Bibliografia……….. p. 264 Sitografia………. p. 268

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Premessa

In questo lavoro di tesi magistrale, mi propongo di presentare la figura e le opere di Luisa Valenzuela, autrice del romanzo oggetto della mia traduzione, Hay que sonreír. Innanzitutto, nel primo paragrafo, proporrò un excursus della vita della scrittrice, riflettendo su come le sue esperienze, i continui viaggi, il contesto socio-politico e i lunghi periodi vissuti lontana dalla sua patria abbiano contribuito alla sua formazione professionale. Mi concentrerò, successivamente, su alcuni aspetti della sua produzione letteraria, ponendo l’attenzione sull’influsso esercitato nella sua narrativa dalla problematica dell’abuso di potere e dalla politica in generale, sulle scelte linguistiche e sull’uso attento della palabra nei suoi scritti e, infine, sulla nozione di escribir con el cuerpo, con speciale riguardo al corpo femminile.

Dedicherò, in seguito, un intero capitolo all’analisi del romanzo su cui verte il mio lavoro di traduzione. In questa sezione, prenderò in esame, in primo luogo, le caratteristiche formali del romanzo, partendo da su un’analisi meramente narrativa, in secondo luogo, indagherò la personalità dei personaggi, che sono specchio, a mio avviso, della società argentina degli anni ’40. In particolare, rivolgerò lo sguardo al personaggio principale del romanzo, Clara, a cui la scrittrice lascia ampio spazio di parola, focalizzandomi sulla sua identità di donna. Infine, mi soffermerò sull’importanza del titolo e sulla struttura tripartita del primo scritto di Luisa Valenzuela.

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Seguirà la mia personale traduzione di Hay que sonreír, basata sull’edizione del 2007. In totale il romanzo consta di 175 pagine, suddivise in tre parti. Mi sono dedicata alla traduzione delle prime due parti, El cuerpo e Transición, che consistono complessivamente di 135 pagine, seguendo l’indice proprio del romanzo: El cuerpo – 11; Transición – 63; La cabeza – 137.

Nell’ultima parte di questo lavoro, affronterò l’analisi linguistica del romanzo in oggetto e commenterò le scelte traduttive che ho ritenuto opportuno prendere in determinate parti della narrazione, tenendo in attenta considerazione tanto la lingua di partenza quanto quella di arrivo.

Introduzione

1. Luisa Valenzuela - biografia

Scrittrice, giornalista e saggista di gran rilievo della letteratura argentina contemporanea e una delle voci più solide e originali dell’Argentina, Luisa Valenzuela nasce (1938) e cresce a Buenos Aires, circondata da scrittori che hanno fatto la storia letteraria della sua nazione. Sua madre, Luisa Mecedes Levinson, estremamente impegnata e appassionata di scrittura e di letteratura, riuniva in casa sua, in lunghe notti di tertulias, grandi scrittori e intellettuali del momento, tra i quali i rinomati Jorge Luis Borges, Ernesto Sábato e Eduardo Mallea: “esos célebres bohemios de las

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noches de Buenos Aires, los que vivían en los cafés llenos de humo1”.

Fin da bambina Luisa desiderava viaggiare, avventurarsi per il mondo e prospettava per sé un futuro diverso da quello letterario, non ritenendo che la scrittura fosse adatta a lei, perché vedeva “ese mundo como un mundo muy estático2”, che contrastava con la sua personalità dinamica. Nonostante ciò, già all’età di diciassette anni, inizia un’acclamata carriera di giornalista:

“[...] a través del periodismo que pude ir refinando el estilo, eso gracias a un jefe extraordinario que me tocó en suerte: Ambrosio Vecino. Él me corregía el estilo en las notas periodísticas, cosa excepcional, asombrosa. Así que aprendí no sólo la concisión y precisión del periodismo, sino que logré irme adentrado en la escritura literaria3”.

Le sue grandi potenzialità trovano, dunque, concretezza nelle collaborazioni alla rivista Crisis e, successivamente, al Suplemento Gráfico del giornale La Nación, con il quale tutt’oggi continua a cooperare.

Realizzò comunque il suo desiderio di viaggiare, sebbene non nella misura in cui lei desiderasse. Per ragioni politiche, infatti, poco più che ventenne, si sentì costretta ad abbandonare la sua nazione, in cui la realtà politica si stava

1

AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile, 1996, p. 38.

2 Ibidem.

3 Tennant, James (PEN International), Entrevista a Luisa Valenzuela durante el Hay Festival Cartagena de

Indias, Colombia, 2013. [ http://www.pen-international.org/newsitems/james-tennant-de-pen-international-entrevista-a-luisa-valenzuela-durante-el-hay-festival-cartagena-de-indias-colombia-enero-de-2013/?lang=es].

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piegando irreversibilmente al potere di un solo uomo, quello di Perón: “Eran los tiempos del segundo peronismo […], era una represión tenue, comparada con la que conocimos después, pero en aquel momento resultaba amenazante y complicada4”.

Nel 1958 si sposa e si trasferisce nel nord della Francia dove inizia a scrivere i suoi primi racconti, pubblicando il primo, Ese canto, nello stesso anno. Agli inizi degli anni Sessanta, si sposta a Parigi, città in cui maturerà tanto la sua figura professionale, sia come giornalista, lavorando come corrispondente argentina de “El Mundo”, sia come scrittrice di romanzi e racconti. Sono gli anni in cui viene a contatto con il movimento della Patafisica5 di Alfred Jarry, il cui utilizzo del gioco di parole e dell’assurdo svolgono un ruolo rilevante nella scrittura delle sue opere. L’artista argentina trova, nelle teorie del movimento, delle affinità con il suo modo di riflettere e di intendere la vita e il ruolo della scrittura. Il carattere ludico della parola e il gioco nella costruzione sintattica sono caratteristiche narrative che ricordano il celeberrimo Julio Cortázar e che ritroviamo anche nella scrittura della Valenzuela: si tratta di somiglianze che lei stessa nota e riconosce, anche se ne nega, in un certo senso, l’influenza dello scrittore. Infatti, pur ammirando la scrittura di Cortázar, la Valenzuela ammette di aver già messo in pratica nei suoi scritti molte delle teorie jarriane prima della pubblicazione di Rayuela (titolo italiano, Il gioco del mondo); inoltre ritiene di essere

4 AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés

Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile, 1996, p. 38.

5 Corrente artistica le cui prime manifestazioni risalgono allo scrittore francese Alfred Jarry (1873-1907),

ideatore della «scienza delle soluzioni immaginarie», per la quale non esistono verità assolute ma solo relative e sempre mutevoli, e tutti i principî possono essere affermati e contraddetti, in nome dell’assoluta libertà creativa dell’artista, fuori da schemi precostituiti. [Enciclopedia Treccani]

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una delle prime “en hablar de la Patafísica en la Argentina […] junto con Alvano Rodríguez y Juan Esteban Facio6”. In ogni caso, si possono considerare entrambi figli della Patafisica e grandi ammiratori l’uno dell’altra; infatti, quando avranno modo di conoscersi personalmente in Messico nel 1983, Cortázar leggerà e apprezzerà uno dei primi scritti della Valenzuela, El gato eficaz (1972).

A Parigi scrive anche il suo primo libro di racconti, Los Heréticos (1967), e il suo primo romanzo, Hay que sonreír, scritto all’età di ventuno anni (1958), ma pubblicato alcuni anni dopo, nel 1966.

Gli anni Settanta sono gli anni dei continui spostamenti: vive un anno a Barcellona e un altro anno in Messico, a Tepotzlán, dove viene a contatto con il misticismo, la superstizione e l’arte magica, caratteristiche che saranno alla base di Donde viven las águilas (1983).

Dopo tanti anni vissuti lontana dalla sua patria, nel 1976 ritorna in Argentina, trovandosi ad affrontare con grande forza d’animo uno scenario completamente diverso da quello che aveva abbandonato anni prima: “me encontraba totalmente fuera de ese país que era mío pero no era más el mío7”. Il paese viveva infatti in una situazione di caos totale, in cui vigeva la violenza più assoluta di un regime militare che cambiò progressivamente il volto della realtà e della storia argentina. Sono i primi anni del Proceso de Reorganización Nacional (1976-1983), della Guerra Sucia negli anni de plomo succeduti al golpe de Estado8; è l’epoca

6 AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés

Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile, 1996, p. 39.

7 FARFÁN CERDÁN, Gianmarco, Entrevista a Luisa Valenzuela, n. 12, México, Distrito Federal, 2008.

[http://www.destiempos.com/n12/luisavalenzuela_12.htm]

8

24 marzo 1976: il governo democraticamente eletto di María Estela Martínez de Perón, succeduta al marito Juan Domingo Perón, fu destituito da una giunta militare capeggiata da Jorge Rafael Videla.

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della dittatura di Jorge Rafael Videla, degli orribili atti di violenza, delle esecuzioni clandestine per mano dei militari, dei desaparecidos, dei quali, anni dopo, se ne contarono più di 30.000. Una decade di repressione che tocca ogni ambito della società, inglobando perfino la cultura e l’educazione, e immobilizzando la società in ogni ambito. La Valenzuela visse, tra il ’76 e il ’78, a stretto contatto con il pieno degrado della società argentina, una società paralizzata per mano di uomini che violarono i diritti inalienabili di vita, di libertà, di pensiero e di parola.

La Valenzuela cercò, per quanto fosse in suo potere, di aiutare, esponendosi in prima persona, nonostante l’atroce periodo di caos e violenza e la paralisi fisica e mentale che da esso derivavano: “[…] O sea que ese período atroz, cuando no se sabía lo que pasaba, lo viví muy de cerca. Yo me comprometí. Metí gente en la embajada de México y tuve una participación activa dentro de la pequeña medida en que uno puede 9”.

Quegli anni esasperanti costrinsero molti scrittori, ammutoliti dalla censura, a prendere una decisione: rimanere o andare in esilio. Inevitabilmente scattava l’accusa contro chi partiva: lasciare la madre patria significava perdere lentamente il contatto con le proprie radici fino a tagliarle completamente; un’accusa forte per chi, come la Valenzuela, aveva vissuto a stretto contatto con il Paese i peggiori anni della dittatura:

“A veces hay gente que me echa en cara el haberme ido, pero no se da cuenta que estuve en

9

DÍAZ, Gwendolyn Josie, Entrevista con Luisa Valenzuela in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa

Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile,

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mi país durante los peores años, el 76, 77 y el 78, además esas son opciones personales, cada uno hace lo que puede. Desgraciadamente había escritores como Walsh y Conti que debieron haberse ido y no lo hicieron. Yo conocía bien a Walsh y trabajé con Conti en Crisis.[...] yo era parte de un grupo de personas que estaba protegiendo a gente perseguida y tratando de hacer denuncias sobre los desaparecidos10”.

La scrittrice, inoltre, pubblicò in piena dittatura la raccolta di racconti Aquí pasan cosas raras (1976), tramite i quali denunciò gli atti di violenza che aveva avuto modo di vedere con i proprio occhi nelle strade di Buenos Aires.

Si espose, insomma, a tal punto che fu costretta ad esiliare, o meglio a espatriare (termine che lei stessa predilige), soprattutto per salvaguardare la propria incolumità e quella di sua figlia11. Nel 1978 colse l’occasione e accettò l’invito, in qualità di escritora en residencia, alla Columbia University a New York. Iniziò, così, un nuovo percorso in una realtà molto diversa e più cosmopolita rispetto a quella che aveva da poco lasciato.

I dieci anni vissuti a New York (1979 - 1989) furono proficui per la sua produzione letteraria, che dedicò principalmente alla sua nazione, non dimenticando mai le sue origini, perché “las raices te las llevás con vos”. Il suo scopo era scrivere dell’Argentina e scrivere per l’Argentina: scrisse per cercare di preservare la memoria del suo Paese, degli orrori che stava vivendo, e non lasciarsi attrarre da

10

Ibid., p. 33, p. 35.

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quel “magma del no decir” che stava spopolando fra gli scrittori del suo tempo, paralizzati dalla paura di dire.

“[...]pero el 79 cuando me fui a los Estados Unidos por diez años, tuve una cierta actuación política como francotiradora -además no pertenezco a ningún partido-. Estaba cerca de gente de izquierda y de escritores que desaparecían [...] entonces trataba de ayudar. Y ahí escribí una literatura que no se podía mostrar en ese momento, como Cambio de armas12”.

New York le fornisce la possibilità di esporsi più di quanto avrebbe potuto fare in Argentina o in qualsiasi altra città sudamericana; le dà modo di scrivere e denunciare i soprusi e gli orrori. Il caos politico e sociale di quel momento storico diventano oggetto della suo far letteratura: ne sono un esempio Cambio de armas (1981) e Cola de lagartija (1983). Grande è la tensione e la violenza psicologica, politica e sociale che si percepisce in queste sue opere che scrive per la propria nazione, ma anche per se stessa, per assimilare, in qualche modo, quegli eventi atroci.

Come la scrittrice stessa ha affermato, “los años pasados en esa ciudad paradigmática fueron los más ricos de mi vida13”. Fu scoperta, infatti, da Susan Sontag e si fece spazio nell’ambiente newyorkese, continuando a lavorare come scrittrice alla Columbia University, alla The City University of New York e al Center for Inter-American Relations. Divenne membro del New York Institute for Humanities, del

12

FARFÁN CERDÁN, Gianmarco, Entrevista a Luisa Valenzuela, n. 12, México, Distrito Federal, 2008. [http://www.destiempos.com/n12/luisavalenzuela_12.htm]

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Fund for free expression e del PEN American Center Freedom to Write Committee. Appartenendo a queste organizzazioni collaborò politicamente e socialmente a favore della sua patria “aportando datos y pasando informes sobre las desapariciones en Argentina, cosa que en mi País estaba tan acallada, negada y sobre todo ocultada por los representantes del poder y hasta de la iglesia14”.

Dall’83 al ‘90 si concentrò poco sulla scrittura, ad eccezione di qualche racconto. Si dedicò, tuttavia, all’insegnamento grazie a una cattedra in letteratura latinoamericana offertale dall’Università della Columbia. Le sue brillanti capacità furono premiate nel 1983 da una borsa di studio della Fundación Guggenheim e con una laurea honoris causa presso l’Universidad de Knox (Illinois).

Gli impegni accademici la trattengono a New York fino al marzo del 1989, anno in cui decide di tornare nella sua amata patria. L’Argentina in quegli anni era governata dal presidente Raúl Ricardo Alfonsín. Eletto nell’ottobre del 1983, il presidente si impegnò nel difficile compito di consolidare la democrazia argentina, smantellando la giunta militare del Proceso de Reorganización Nacional e condannando gli arresti arbitrari, gli assassini e le persecuzioni, ovvero tutti gli atti di violenza perpetrati dai gruppi paramilitari legati al governo degli anni precedenti. Tuttavia, anche gli anni del mandato di Alfonsín furono turbolenti: gli argentini, infatti, dovettero fare i conti con una delle più gravi crisi economiche che abbiano mai colpito il Paese. L’inflazione aumentò vertiginosamente,

13 TENNANT, James (PEN International), Entrevista a Luisa Valenzuela durante el Hay Festival Cartagena de

Indias, Colombia, 2013. [ http://www.pen-international.org/newsitems/james-tennant-de-pen-international-entrevista-a-luisa-valenzuela-durante-el-hay-festival-cartagena-de-indias-colombia-enero-de-2013/?lang=es]

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provocando una svalutazione del peso argentino, con conseguenti saccheggi e panico nella popolazione. Un momento storico critico in più da custodire nella memoria scritta della narrativa della Valanzuela con Realidad nacional desde la cama (1990).

Tra gli anni Novanta e i primi anni del ventunesimo secolo la scrittrice si dedica prevalentemente alla stesura di racconti, raccolti in volumi come Simetrías (1993), Cuentos completos y uno más (1999) e ABC de las microfábulas (2009). Pubblica, tuttavia, anche romanzi, quali Novela negra con argentinos (1990), romanzo che riflette la condizione di scrittrice argentina esiliata a New York, La Travesía (2001), El Mañana (2010), Cuidado con el tigre (2011), La máscara sarda: el profundo secreto de Perón (2012).

Attualmente Luisa Valenzuela vive a Buenos Aires, nella sua casa d’infanzia nel quartiere Belgrano, continuando a dedicarsi completamente alla scrittura, sia giornalistica che narrativa, arricchendo così la sua già notevole produzione letteraria. Continua ad essere acclamata e tradotta a livello internazionale, soprattutto nei paesi di lingua inglese, e occupa tutt’oggi un ruolo di prestigio nella letteratura argentina.

2. La produzione letteraria di Luisa Valenzuela

Come menzionato precedentemente, Luisa Valenzuela è, senza dubbio, una delle figure letterarie di grande rilievo del Cono del Sur. Abbraccia ogni ambito letterario dai microrrelatos, che predilige, ai racconti, che ritiene essere

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“la gloria de la prosa, su posibilidad de expresar la perfección". La sua produzione conta in totale dieci romanzi, dodici raccolte di racconti, opere teatrali, copioni cinematografici e una lunga serie di articoli e saggi, gran parte tradotti in inglese, in francese e in numerose altre lingue.

Si possono individuare, nel suo modus scribendi e nelle tematiche che predilige affrontare, delle caratteristiche comuni in gran parte delle sue opere. Sarebbe molto interessante e suggestivo analizzare nel dettaglio lo stile narrativo e i temi di ogni sua opera ma mi limiterò a presentare, in maniera generale ma comunque esaustiva, i tratti stilistici e tematici della nostra autrice argentina. Tra questi ho scelto di distinguere principalmente: il problema dell’abuso di potere; l’importanza e complessità del linguaggio; il concetto di escribir con el cuerpo: l’atto creativo della scrittura.

2.1 Il potere nella realtà argentina

“Yo creo que se necesita coraje para escribir y en eso yo reconozco mi valentía”.

Durante e dopo la dittatura degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, gli scrittori argentini cercano nuove strategie per nominare quello che in quegli anni era innominabile. La Valenzuela, da questo punto di vista, è una delle scrittrici più scomode per quello che decide di presentare al lettore e per il suo categorico rifiuto a imbavagliarsi. Infatti per lei l’arte “debe incomodar, para impulsar adelante”, non deve fornire

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al lettore una lettura “masticabile”15, bensì deve porre dubbi e far riflettere sulla società che circonda chi legge. Chi scrive deve mettere in scena le contraddizioni della realtà socio-politica, l’impatto che questa ha sull’individuo e le inevitabili trasformazioni interiori che essa provoca in lui. La Valenzuela ritiene, dunque, che la responsabilità dello scrittore sia quella di dire la verità che può conoscere, di cercare la sua verità e proporre nei suoi scritti una visione di essa: dire quello che sente di voler dire e, allo stesso tempo, rimanere fedele a se stesso.

La Valenzuela iniziò a scrivere pensando che la politica si situasse al margine della letteratura, ma poi, col tempo, si rese conto che cercava spesso la sua verità nel tema politico: non perché le sembrasse politicamente corretto, ma perché, purtroppo, vi era totalmente immersa e le sembrava non ci fosse altro su cui scrivere. Le tensioni sociali, i governi militari, le repressioni degli anni Settanta sono elementi che un lettore attento può individuare in gran parte dei suoi scritti. Sono svariati i modi in cui sceglie di denunciare gli orribili fatti di quella decade; ne presenterò di seguito alcuni. Nei racconti di Aquí pasan cosas raras (1975), scritti in tre mesi, il lettore può percepire il disorientamento e l’angoscia di un’argentina che sentiva di trovarsi totalmente fuori da un paese che “era mío [suyo], pero no era más el mío [suyo]16”; la grande tensione causata dalla realtà tremenda del Terrorismo de Estado, il caos di una società in cui accadevano, come si evince dal titolo stesso, cose strane e molto serie.

15

BURGOS, Fernando e FENWICK, M. J., En Memphis con Luisa Valenzuela: Voces y viajes (Entrevista), in “Inti: Revista de literatura hispánica”, n. 28, articolo 11, 1988. [http://digitalcommons.providence.edu/inti/vol1/iss28/11]

16 FARFÁN CERDÁN, Gianmarco, Entrevista a Luisa Valenzuela, n. 12, México, Distrito Federal, 2008.

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Con Cambio de armas (1982), altra raccolta di racconti, la scrittrice presenta l’oppressione, il potere e il dominio sull’altro in termini di relazioni interpersonali, a partire dal sesso fino a giungere all’amore; anche quest’ultimo viene trasformato in una scusa per opprimere, un po’ come accade nel contesto politico. La repressione tocca, quindi, diversi livelli e la denuncia dei tremendi anni della dittatura è così forte che la stessa scrittrice si rese conto che era uno scritto troppo intenso e tremendo per essere mandato in stampa, specialmente in quegli anni: avrebbe messo in pericolo non solo se stessa, ma soprattutto chi lo avrebbe letto.

Con Cola de lagartija (1983) la Valenzuela si espone ancora di più. La scelta del protagonista, che narra in prima persona una biografia fittizia, è, infatti, un azzardo, quasi un rischio: si tratta della figura di José López Rega, la personificazione del regime, colpevole di una delle persecuzioni più tenaci, capo della Triple A (grupo paramilitar Alianza Anticomunista Argentina), ministro del Bienestar Social prima con Juan Domingo Perón e poi con sua moglie, María Estela Martínez de Perón. Questa decisione fu presa non tanto per raccontare e comprendere quello spietato personaggio ma, come lei stessa ha affermato, per “comprender la estructura de esa feroz maquinaria que es el poder omnímodo y la gente que la alimenta17”. Rega, el Brujo nel romanzo, parla in prima persona, cresce molto come personaggio e prende il controllo della situazione più di quanto la stessa scrittrice avesse voluto. Tuttavia, questa scelta di lasciare la parola a un personaggio così perverso non è casuale: è un modo per

17

AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile, 1996, p. 52.

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assimilare in qualche modo quegli atti atroci, per affrontare di petto l’orrore; scrivere diventa un “reconocimiento del miedo y un enfrentamiento con él para ver de que se trata y de que está hecho18”.

In Realidad nacional desde la cama (1990) la Valenzuela presenta la realtà argentina come affetta da una enfermedad nacional, che si presenta, nel romanzo della Valenzuela, in modo allegorico: l’anonima protagonista, tornata nella sua nazione dopo aver vissuto dieci anni all’estero ed essere stata confinata a letto per un mal de sauce, risulterà essere l’allegoria della madre patria affetta dalla malattia nazionale dell’autoritarismo militare. È questo lo stratagemma con cui la scrittrice denuncia gli eccessi di potere che giungono ai limiti dell’infermità mentale: lo spazio dell’assurdo e del marcio personale corrisponde a quello politico.

Risulta chiaro, quindi, che la scrittura sia per lei una reazione contro la tortura, un esercizio di libertà: il linguaggio e la parola sono le sue armi; la finzione di gran parte dei suoi romanzi mette in scena la dura e cruda verità di una terribile realtà storica. Preferisce rischiare, osare, mettersi in gioco, piuttosto che imbavagliarsi e accontentare il lettore medio con letture meno impegnative:

“Creo que soy incómoda. No hago concesiones a nadie. Requiero gente que me lea con un criterio de lectura real. Pero hay lectores que precisan todo masticado. Escribir es arriesgarse. Ese riesgo siempre

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justificó mi escritura. Estoy siempre a dos aguas, y eso incomoda19”.

Lo scopo della sua scrittura è quello di interrogare e interrogarsi, smuovere le coscienze dei lettori e renderli partecipi nell’atto creativo della scrittura. L’intento dell’autrice non è quello di non offrire soluzioni alle situazioni problematiche, “dando nunca una única respuesta”, bensì di lasciare che il lettore attui una propria analisi su di esse. La scrittrice argentina rifiuta, in un certo senso, la passività di quest’ultimo, conferendogli, quindi, un ruolo attivo: deve essere in grado di indagare, decifrare, andare oltre a ciò che è scritto; desidera coinvolgerlo, trasformarlo in un lettore attivo, che partecipi alla finzione, che si lasci sconvolgere dalle parole, le quali devono smuoverlo e proporgli un nuovo punto di vista. L’abilità dello scrittore sta nel dire senza dire tutto, nel sapere lasciare quella sottile ambiguità nella scelta della parole, nella quale il lettore possa muoversi, tentare di capire e forzare i limiti del non-detto.

“Se trata de un continuum: el escritor lee una realidad y la traduce, luego el lector interpreta y relee esa lectura transformándola a su vez; yo espero mucho del lector en este sentido. El lector consciente puede enriquecer muchísimo el texto. El texto sólo vive en la medida en que es leído con cierta forma de rebeldía20”.

19 REINOSO, Susana, Entrevista a Luisa Valenzuela, 2004.

[http://www.resonancias.org/content/read/369/luisa-valenzuela-es-mas-transgresor-escribir-sobre-politica-que-sobre-sexo-entrevista-por-susana-reinoso/]

20

BURGOS, Fernando e FENWICK, M. J., En Memphis con Luisa Valenzuela: Voces y viajes (Entrevista), in “Inti: Revista de literatura hispánica”, n. 28, articolo 11, 1988.

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Questo significa scrivere con il lettore e non per il lettore. La Valenzuela, inoltre, si guarda bene dall’esporre le proprie opinioni politiche e personali nei propri romanzi, fedele al principio con cui è cresciuta: “el arte por el arte, no el arte dirigido21”, e sempre fedele al fatto che i suoi romanzi non debbano rispondere a nessuna domanda ma, al contrario, come già accennato, porle, perché:

“Escribo contra aquellos que creen tener todas las respuestas. Espero que cada uno de mis libros sea un semillero de preguntas que genera más preguntas y por suerte casi ninguna respuesta. Pienso que se escribe siempre desde una carencia, y no para colmarla- esa sería una pretensión vana y pretenciosa -sino para interrogarla22”.

Lo scrittore deve interrogare, quindi, sulla carencia e, facendolo, compie anche una funzione importante, quella di nombrador, ovvero, quella di testimoniare e arricchire la memoria collettiva, perché, come la stessa scrittrice ha affermato, molti dei tremendi mali nel mondo sono causa del “olvido o un embellecimiento del pasado23”.

La búsqueda è un’altra caratteristica fondamentale della sua vita e della sua narrativa: “no creo en una verdad monolítica en absoluto, no creo en nada monolítico. Me

21

AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile, 1996, p. 35.

22VALENZUELA, Luisa, Escribir, in “Letras de Chile”, 1991.

[http://www.letrasdechile.cl/Joomla/index.php/microcuentos/108-108]

23 BURGOS, Fernando e FENWICK, M. J., En Memphis con Luisa Valenzuela: Voces y viajes (Entrevista), in

“Inti: Revista de literatura hispánica”, n. 28, articolo 11, 1988. [http://digitalcommons.providence.edu/inti/vol1/iss28/11]

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interesa la corriente de búsqueda24”. Lo definirei un motore che l’ha sempre spinta, e continua a farlo, a vivere, a scrivere e a viaggiare. Oltre a ciò, ritengo che il carattere nomade della sua vita, i numerosi viaggi, abbiano formato questa sua personalità dinamica. Il viaggio, infatti, è sempre stato presente nella sua vita, per scelta o per necessità, ed è logico ritenere che scrivere e viaggiare siano profondamente relazionati nella scrittrice:

“Soy nómada como el gaucho y lo reconozco, y pienso que el viaje es una forma insaciable de la

búsqueda. Porque en definitiva uno no se aleja de

su punto de partida, tan sólo intenta verlo mejor, por dentro y por fuera, de lejos y de cerca. Eso sin hablar de todo lo que los viajes aportan, los nuevos mundos que se abren, la riqueza humana... cuando el viaje es voluntario, cuando no ha sido impuesto por circunstancias ajenas a uno25”.

È dal viaggio infatti che deriva l’irrefrenabile desiderio di scoperta, di indagare sulle cose, e la stessa scrittrice ammette che, fondamentalmente, è quello che fa anche nella sua narrativa: “Yo no me propongo decir algo, propongo descubrir lo que estoy diciendo mientras lo digo26”. A questo proposito, la critica Sharon Magnarelli descrive la narrativa della Valenzuela con il termine di “búsqueda eterna27”. Per la scrittrice, infatti, la letteratura

24FARFÁN CERDÁN, Gianmarco, Entrevista a Luisa Valenzuela, n. 12, México, Distrito Federal, 2008.

[http://www.destiempos.com/n12/luisavalenzuela_12.htm]

25 LUISELLI, Alessandra, Luisa Valenzuela: desgarrada entre la poesía y la antropofagia (entrevista, 1981), in

Norma Clan y Wilfrido H. Corral, Los novelistas como críticos, FCE, México, 1991. p. 453. [corsivo mio]

26AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz y María Inés

Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile, 1996, p. 43.

27

MAGNARELLI, Sharon, Reflections/Refractions, Reading Luisa Valenzuela, Peter Lang Pub Inc, New York/Frankfurt, 1988, p.3.

(24)

deve sperimentare, ricercare e, pertanto, evolversi: così come l’essere umano è spinto, dal suo naturale desiderio di scoperta, a indagare, cercare di capire ciò che ignora e ricercare soluzioni, allo stesso modo la sua narrativa pone, a se stessa e al lettore, dubbi e domande irrisolte, alle quali entrambi tenteranno di cercare di dare nuove risposte e nuove soluzioni. Come accennato precedentemente, nel rapporto comunicativo scrittore-lettore, anche quest’ultimo copre, e deve coprire, un ruolo attivo: deve impegnarsi e portare avanti il desiderio di scoperta, che per sua natura possiede.

Nella narrativa della Valenzuela, dunque, nulla è prefissato. La scrittrice stessa scopre il testo man mano che lo elabora e opera in lei una trasformazione:

“Cuando la escritora trabaja un texto, la transformación también opera en ella, como ocurría con los antiguos alquimistas: a medida que se va transformando la materia se transforma el espíritu, se transforma la persona que escribe. Espero que lo mismo ocurra con quien lee28”.

La letteratura, oltre ad essere un atto comunicativo-divulgativo, risulta essere anche un atto trasformativo, che coinvolge sia lo scrittore, sia la scrittura e sia il lettore.

Si tratta quindi di una narrativa diversa, a volte eccentrica, ma soprattutto sensibile a certi tipi di temi e soggetti. Diventa, in questo senso, uno spazio di resistenza al potere patriarcale, rappresentato tanto a livello di relazioni

28 BURGOS, Fernando e FENWICK, M. J., En Memphis con Luisa Valenzuela: Voces y viajes (Entrevista), in

“Inti: Revista de literatura hispánica”, n. 28, articolo 11, 1988. [http://digitalcommons.providence.edu/inti/vol1/iss28/11]

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interpersonali, nella relazione erotica uomo-donna, quanto a livello politico, nell’opposizione del singolo individuo al perverso potere di un sistema socio-politico repressivo29. Oltre a denunciare i terribili atti di violenza e le torture da parte del governo militare, da un’ulteriore analisi di gran parte dei suoi scritti, risulta evidente l’attenzione a una particolare dialettica che sconvolge ancora i nostri giorni: quella tra individuo oppresso e individuo oppressore. È quest’ultima che innesca nella narrativa della Valenzuela la sua denuncia dell’abuso di potere, che causa la sottomissione e fa soccombere soggetti oppressi, localizzati al margine della società: i torturati, i dissidenti, gli esiliati, i desaparecidos, ma, soprattutto, le figure femminili.

Un’attenzione, dunque, a lo marginal, ad individui ingiustamente oppressi dalla società, discriminati per origine o genere. La rabbia e il sentimento di impotenza che scaturiscono da queste ingiustizie trovano spazio e voce nella letteratura della Valenzuela. Scrivere diventa una delle poche possibilità per reagire a una paralisi imposta dalla società, è l’unico contrattacco possibile al terrore e all’oppressione:

“Si al detener mi mano pudiera detener otras manos. Si mi parálisis fuese, al menos, un poco contagiosa, pero no, yo me detengo y los otros siguen implacables, haciendo desaparecer a la gente, sin descanso, sin justificación alguna porque de eso se trata, de mantener el terror y la

29 MEDEIROS-LICHEM, María Teresa, El inexorable oficio de nombrar: Cambio de Armas de

Luisa Valenzuela, E.I.A.L., Vol. 12:2, 2001.

(26)

opresión para que nadie se anime a levantar la cabeza30”.

Per la Valenzuela, la scrittura è l’unico modo per dare voce e forma a quegli anni tremendi e per conservare nella memoria collettiva quegli atti atroci affinché, in futuro, i lettori possano ricordare o, per chi non ha vissuto il periodo, immaginare.

Rimanendo in contesto di marginalità, ritengo che la Valenzuela volga in particolar modo il suo sguardo a una figura discriminata dalla società argentina, particolarmente in quegli anni. Parlo della donna, della mujer latinoamericana, costretta a lottare contro i tabù, i pregiudizi e le disparità imposte da una società machista, retta da una radicata ideologia cattolica e da un sistema patriarcale. La scrittrice denuncia come la donna sia stata costretta a vivere in continua oppressione, legata alle convenzioni sociali di un sistema fallocentrico, piegata al dominio maschile e, a volte, trasformata in mero oggetto sessuale. Come oggetto sessuale, inoltre, la donna è stata inserita in un’ideologia di mercato: se ne è fatta una merce di scambio, obbligata alla mercificazione e alla prostituzione del proprio corpo. Tuttavia, nonostante la sottomissione, le donne della Valenzuela non sono deboli, ma, al contrario, possiedono una considerevole forza interiore: cercano, infatti, di reagire e resistere ai meccanismi repressivi machisti. Ne sono un esempio Bella di Cuarta versión, Laura in Cambio de armas, Roberta in Novela negra con argentinos e, a suo modo, Clara in Hay que sonreír. Tuttavia, nella relazione uomo-donna, a tratti erotica, la Valenzuela, in un efficace

30

(27)

gioco di voci narrative e di focalizzazioni, stando sempre attenta a non esprimere mai la sua opinione personale, lascia che il personaggio femminile ricerchi la propria verità più profonda, il senso della propria vita e analizzi la propria interiorità: attui, insomma, una búsqueda de su ser, della propria autenticità personale per riscoprire la propria identità soppressa, oppressa, quasi annullata e mutilata dalla struttura di potere.

Il linguaggio è una delle armi più potenti per la búsqueda interior e per giungere alla conoscenza: “mis novelas son búsqueda del conocimiento con el lenguaje y dentro del lenguaje. Miro dentro el lenguaje para ver qué hay allí.31”.

2.2 L’importanza del linguaggio: la búsqueda lingüística

“Adentrarse en el lenguaje es cabalgar las líneas de fuerza que surcan el universo”.

Il linguaggio nella narrativa della Valenzuela copre un ruolo fondamentale. Anche da questo punto di vista, la Valenzuela si muove su un terreno di búsqueda, di sperimentazione linguistica. Indaga sulla versatilità di quella che lei ritiene essere una vera e propria arma capace di colpire e ferire. Il linguaggio, la parola in particolare, è un grande strumento di potere, è un “arma blanca de doble filo” che, se usata bene e in modo cauto, come la stessa Valenzuela ha affermato, ha il potere di manipolare, ma anche di creare o decostruire la realtà circostante:

31 AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés

(28)

"A través del lenguaje se puede someter y manipular al otro. Yo tengo una atracción muy fuerte por el peligro y, por lo tanto, por las palabras. Por eso las manejo como si estuviera trabajando con material explosivo, lo hago con la mayor responsabilidad y cuidado32".

Il linguaggio è stato e continua ad essere oggetto della sua ricerca narrativa e delle sue sperimentazioni stilistiche: scopre nuovi cammini linguistici e, grazie a questi, scopre nuovi modi per denunciare la realtà circostante, scavalcando astutamente i limiti della censura. Julio Cortázar, recensendo Peligrosas palabras, apprezzò molto la sua personalità e affermò:

“Los mejores escritores argentinos trabajan en la búsqueda y muchas veces el hallazgo de un difícil equilibrio del que siempre ha surgido la gran literatura. Luisa Valenzuela me parece un acabado ejemplo de lo que afirmo. Valiente, sin autocensuras ni prejuicios; cuidadosa de su lenguaje, exorbitado cuando es necesario pero maravillosamente refinado allí donde la realidad también lo es33".

La sottile complessità del linguaggio, il suo carattere polivalente e l’astuta ambiguità nella scelta delle parole attraggono inevitabilmente il lettore in un gioco di

32

NOGUEROL JIMÉNEZ, Francisca, Luisa Valenzuela. Baile de máscaras in VALENZUELA, Luisa,

Generosos inconvenientes, Menoscuarto, Palencia, 2008, p. 12.

(29)

molteplicità di piani che rimangono aperti a differenti interpretazioni.

La parola è, prima di tutto, un’arma con la quale la scrittrice sviluppa una denuncia della realtà socio-politica argentina con la conseguente riflessione sul processo psicologico dell’individuo. Tuttavia, il modo in cui la usa è semplicemente astuto: gioca con la qualità ludica della parola, colorandola di ironia e di umore e prediligendo tratti come l’assurdo e il grottesco.

La devozione per quest’ultimi risale, come ho già anticipato, alla sua formazione letteraria nell’ambito della Patafisica e sono elementi che la accomunano al famoso Cortazár. La Valenzuela ha la grande capacità di saper affrontare tematiche serie con un l’humor che rompe il patetismo e la drammaticità della narrazione, presentando, tra sorrisi e profonde riflessioni, quella che è la tragicommedia della vita quotidiana, che è per lei, allo stesso tempo, patetica, comica, assurda e sublime. In questo sta la sua grande creatività stilistica: utilizzare il grottesco, l’iperrealismo letterario, l’humor negro come strategie per narrare gli avvenimenti tragici degli anni Settanta (come in Cambio de armas), superando così le barriere della censura imposte dal governo per riuscire a dire quello che in quegli anni era impossibile sostenere apertamente. In più, l’ironia, o humor negro che dir si voglia, offre una visione duale nella percezione delle cose.

"Se necesita una mirada dual para ver las cosas. Y la ironía te permite ver las cosas desde otro ángulo. Si estamos instalados siempre en el drama, nos perdemos la mitad

(30)

de la luz de la situación, o mejor dicho, los claroscuros. La ironía, el humor negro, macabro, rompen el patetismo y te permiten abrir una compuerta hacia otro lugar para ubicar la mirada. [...] Ni siquiera mi vida la separo del lenguaje. Somos seres estructurados por las palabras que nos connotan y que nos salvan de nuestra comprensión del mundo34”.

Se l’ironia risulta un ottimo escamotage per affrontare tematiche importanti, lo è ancora di più l’uso di quella che la scrittrice definisce la mala palabra, “las palabrotas. Esas tan sabrosas al paladar, que llenan la boca” che “las nifias buenas no pueden decir; las señoras elegantes, tampoco, ni las otras35”. Un linguaggio, insomma, considerato dalla società non del tutto appropriato al genere femminile e che, se utilizzato, portava a punizioni corporali quali lavare la bocca col sapone. Quello che propone la Valenzuela è il deliberato utilizzo di palabrotas da parte di personaggi femminili, andando contro la vecchia e sbagliata opinione che la donna dovesse avere un certo decoro nell’uso del linguaggio e che l’utilizzo di parole scurrili fosse prerogativa maschile. Pertanto, incita le scrittrici a lei contemporanee a non scrivere come storicamente hanno loro detto di fare, come signore, cioè graziosamente, soavemente e senza malas palabras, ma a scrivere con ferocia, aggressività: “con

34 NOGUEROL JIMÉNEZ, Francisca, Luisa Valenzuela. Baile de máscaras in

VALENZUELA, Luisa Generosos inconvenientes, Palencia, Menoscuarto, 2008, p. 10.

35

VALENZUELA, Luisa, La mala palabra, in “Revista Iberoamericana” Vol. LI, n. 132-133, 1985.

(31)

fuerza y subversión, con furia si es necesario36”. La bocca femminile non deve essere più un semplice orifizio da tener tappato e da lavare con il sapone ma, al contrario, deve essere il canale “más amenazador del cuerpo femenino”, attraverso il quale dire quello che non si deve dire, rivelare gli oscuri desideri andando contro le convenzioni sociali, imposte da un sistema paternalista e fallocentrico.

“Olvidarse de las bocas lavadas, dejar que las bocas sangren hasta acceder a ese territorio donde todo puede y debe ser dicho. Con la conciencia de que hay tanto por explorar, tanta barrera por romper, todavia37”.

Pertanto la donna deve far proprie quelle palabrotas e imparare ad usarle con la stessa libertà maschile, rompendo le barriere della censura e del pregiudizio, trasgredendo i canoni sociali alla ricerca di “esa voz propia contra la cual nada pueden ni el jabón ni la sal gema, ni el miedo a la castración, ni el llanto38”.

Il linguaggio, in questi termini, diventa una strategia di ribellione a un sistema maschile, perché los bajos fondos della parola, a volte, possono trasmettere più di quanto le “belle parole” possano fare. La Valenzuela ha dichiarato di essere fermamente convinta dell’esistenza di un linguaggio femminile, anche se non è stato ancora completamente definito e anche se la frontiera con l’altro, ovvero il linguaggio quotidiano di stampo maschile, è troppo sottile e

36 MAGNARELLI, Sharon, Luisa Valenzuela: cuerpos que escriben in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa

de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de

Chile, 1996, p. 60.

37

Ibidem.

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ambigua per essere tracciata39. La costruzione di tale lenguaje hémbrico presuppone la trasgressione di cui parlavo prima: la donna deve riorganizzare il proprio territorio, scavare “con las propria varas, escarbar profundo hasta llegar a las verdaderas raíces”; deve reinventare e ricostruire il proprio linguaggio, partendo dalla decostruzione di quello segnato nel profondo dall’uomo e destabilizzando i significanti fallocentrici.

Con questo tema ci addentriamo in un nuovo concetto postulato dalla Valenzuela, quello di escribir con el cuerpo. Il linguaggio risulta essere strettamente vincolato alla concezione del desiderio e del corpo, data la carica sessuale e erotica della parola.

2.3 Escribir con el cuerpo

“Escribiendo con el cuerpo textos que digo sin decir”.

In questa sezione mi propongo di presentare una delle estetiche fondamentali su cui si concentra la narrativa della Valenzuela. La stessa ha affrontato il concetto in numerose conferenze, interviste e saggi per spiegare cosa intendesse con queste tre, apparentemente, semplici parole. In questa paragrafo, mi propongo di fare altrettanto, cercando di cogliere gli aspetti principali della sua estetica.

Con il termine escribir con el cuerpo, la scrittrice argentina fa riferimento a un suo personale modo di intendere non solo la letteratura, ma anche la vita40, che

39 VALENZUELA, Luisa, La palabra: esa vaca lechera (Peligrosas palabras, 1983) tratto da

MEDEIROS-LICHEM, María Teresa, La voz femenina en la narrativa latinoamericana: una relectura crítica, Editorial

Cuarto Propio, Santiago de Chile, 2006, p.202.

40

“Pero esa es mi manera de ver no solo la literatura, sino la vida. Me interesa la idea de escribir con el cuerpo, en el sentido de que estás comprometiendo el deseo en la escritura. Es una forma de la sinceridad.”, da REYES,

(33)

implica la compartecipazione tanto del corpo quanto della mente. Normalmente, nell’atto dello scrivere, uno scrittore predilige la mente sul corpo, separandola da esso. Per la Valenzuela, al contrario, nell’atto di scrittura non c’è separazione, ma unicità; ritiene infatti che non si scriva solo con la mente, ma che tutto reagisca, tutto agisca, tutto scriva. “Yo escribo porque cuando el cuerpo está implicado lo pongo en palabras para sentirme menos vulnerable.41” Afferma, inoltre, per rendere ancora più chiara la distinzione, che, scrivendo con la mente, domina il logos ma non l’eros, mentre facendo l’amore, implicando il corpo, domina l’eros sopra il logos. Scrivendo con il corpo, logos e eros sono quindi integrati, unificati, compresenti nell’atto creativo della scrittura, in un equilibrio che può continuare a esistere solo tramite quella che lei definisce la liberazione del discorso. In poche parole, bisogna lasciarsi andare con corpo e mente a una scrittura senza censura, dove anche quella interiore si annulla completamente, facendo dell’atto narrativo una continua scoperta. La scrittrice esprime così tutto il suo essere:

“Yo siento físicamente cuando estoy escribiendo con el cuerpo. Es como si corriera una electricidad. Salto, me levanto, hay una excitación casi erótica con la

Dean Luis, Entrevista con Luisa Valenzuela, 2002.

[http://laventana.casa.cult.cu/modules.php?name=News&file=article&sid=22]

41REINOSO, Susana, Entrevista a Luisa Valenzuela, 2004.

[http://www.resonancias.org/content/read/369/luisa-valenzuela-es-mas-transgresor-escribir-sobre-politica-que-sobre-sexo-entrevista-por-susana-reinoso/]

(34)

escritura, con el verbo. El verbo es acción, entonces el verbo es cuerpo42”.

La razionalità nella scrittura non può dare buoni frutti perché risulta essere statica, pensata, prefissata e senza emozione. Si scrive bene solo quando c’è il desiderio, c’è una passione, un desiderio erotico che spinge a farlo, perché è l’unico modo per dare sfogo all’emozione che si sente e che si intende trasmettere. Scrivere con il corpo significa necessariamente dar corpo alle parole.

Sharon Magnarelli, studiosa e critica della Valenzuela, distingue nella sua narrativa due modi distinti di “escribir con el cuerpo”: uno può essere visto in forma positiva, quando i personaggi scrivono con il corpo, e l’altro in forma negativa, quando si scrive sul corpo di questi. Differenza di stili, alla cui base vi è la distinzione, proposta da Diana Fuss, tra il corpo, che connota l’astratto, il generico, il categorico e il metafisico, e il mio corpo, che connota il particolare, l’empirico, l’autoreferenziale, il materiale43.

“El secreto es res non verba” dice Roberta, personaggio femminile di Novela negra con argentinos (1990), al suo amico romanziere Agustín. La parola è, quindi, corpo e scrittura, ma non un corpo qualsiasi: è il nostro corpo, portatore di testimonianze, che genera la parola. Scrivere con il proprio corpo significa portare i segni del vissuto, le cicatrici delle proprie esperienze, testimonianze di atti atroci

42 DÍAZ, Gwendolyn, Entrevista con Luisa Valenzuela in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa

Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile,

1996, p. 41.

43 MAGNARELLI, Sharon, Luisa Valenzuela: cuerpos que escriben in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa

de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de

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di violenza e di aggressione. “Donde pongo la palabra pongo mi cuerpo”, dice la stessa Valenzuela:

"la palabra es cuerpo y escritura [...] es un cuerpo, nuestro cuerpo, y lo producimos con nuestros propios jugos, a veces llamados saliva, otras no [...]44".

Ma torniamo alla distinzione della Magnarelli, ponendo l’attenzione sulla forma negativa che la critica ha individuato: scrivere sul corpo a tal punto da trasformare, con la tortura e la violenza, il mio corpo in un corpo astratto: mutilazione del corpo che implica la mutilazione dell’identità. Nei suoi scritti, il più delle volte, è il corpo femminile ad essere vittima della violenza, a subire tale mutilazione. Ne è un esempio il personaggio femminile del racconto Cambio de armas. Laura, vittima di ripetute torture, sente il suo corpo non appartenerle più e con esso anche la sua identità: è oggetto di un marito militare oppressore e possessivo, che prova un piacere depravato nel percuoterla e nel sottometterla, mutilando non solo il suo corpo, ma, soprattutto, la sua anima. In questo racconto il corpo femminile può essere considerato il simbolo dell’organizzazione politica del corpo sociale; rappresenta, dunque, la voce di resistenza tanto all’oppressione sessuale quanto alla repressione statale e, in questi termini, il discorso erotico si mescola a quello politico. Il marito rappresenta il governo militare degli anni Settanta, che violenta e tortura un innocente corpo “nazionale” privandolo della sua identità

44 VALENZUELA, Luisa, La palabra: esa vaca lechera (Peligrosas palabras, 1983) tratto da AA.VV., La

palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial

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fino ai limiti dell’anonimato. È un corpo che, tuttavia, è in grado di resistere, per quanto sia paralizzato e incapace di ribellarsi.

Il corpo femminile diventa, dunque, metafora del corpo del terrore. Un ulteriore scritto in cui la Valenzuela metaforizza il terrore e la violenza è Cola de lagartija, ma in questo caso il protagonista, el Brujo, oltre ad essere un aberrante, sadico ed egocentrico personaggio maschile, è anche il colpevole, e non la vittima, di atti perversi e violenti. La mutilazione del corpo viene presentata, dunque, da un’altra visuale, quella di chi la pratica in prima persona.

Per la Valenzuela “escribir con el cuerpo” è anche espressione del deseo. Ritiene, infatti, che il linguaggio sia strettamente vincolato alla concezione di desiderio, possedendo allo stesso tempo una carica assolutamente erotica, come lei stessa ha affermato in un’intervista con Gwendolyn Díaz:

“El deseo es una de las mayores cosas que no pueden ser dichas y en ese aspecto yo creo mucho en la carga absolutamente sexual del lenguaje. [...] Ese decir tu deseo es muy difícil porque, como sabés, el deseo no quiere ser dicho, entonces va a luchar y ésa es una manera de dominar al otro, que el otro diga su deseo. En ese juego, en esa intención no podés separar el erotismo del lenguaje. Eso estructura mucho mi obra45”.

45DÍAZ, Gwendolyn, Entrevista con Luisa Valenzuela in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa

Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile,

(37)

È dal desiderio di fare e di dire che nasce la scrittura. In questi termini l’estetica della Valenzuela si fa ancora più chiara: scrivere con il corpo significa dare libertà alle proprie sensazioni, ma anche e soprattutto al proprio desiderio. Il deseo è strettamente connesso all’erotismo, che è espressione del desiderio erotico. E l’erotismo femminile, come la mala palabra, non deve essere censurato; essendo espressione del corpo, bisogna scrivere con esso e su di esso. Scrivere con il corpo diventa, in questi termini, un atto sessuale. La Valenzuela ritiene ancora che le scrittrici, in quanto donne, devono “defender el erotismo de nuestra propia literatura y dejar de ser el espejo del erotismo de los hombres46"; devono essere coscienti del proprio corpo inteso non solo come costrutto biologico ma, soprattutto, come costrutto storico, sociopolitico e discorsivo47, attraverso il quale affermarsi individualmente e socialmente.

Dunque, l’attenzione della scrittrice verte, in particolare, sulla figura femminile. Questa caratteristica farebbe pensare alla Valenzuela come una fervente femminista, ma in realtà la stessa rifiuta di essere etichettata, encasillada nella cerchia delle scrittrici femministe, perché questo significherebbe per lei essere obbligata a rivolgersi al mondo con un'unica ottica. Non si può negare una prospettiva femminista alla base delle sue opere, ma è un’ideologia che la Valenzuela ha in sé e che non manifesta volontariamente. Appare nei suoi scritti perché appartiene al suo essere, e perché no, anche al suo essere donna: “creo que con esas

46VALENZUELA, Luisa, La palabra: esa vaca lechera (Peligrosas palabras, 1983) tratto da AA.VV., La

palabra en vilo: narrativa de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial

Cuarto Propio, Santiago de Chile, 1996, p.71.

47

MAGNARELLI, Sharon, Luisa Valenzuela: cuerpos que escriben in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa

de Luisa Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de

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cosas uno nace, no se hacen48”. Rifiuta, dunque, qualsiasi “ismo” possibile, perché ritiene che ogni ideologia, per quante buone intenzioni abbia, rischia di cadere nel dogmatico: “Yo pretendo en lo posible ser abierta. Libre49”.

Sebbene il libro oggetto della mia traduzione e della mia analisi, Hay que sonreír, sia il primo romanzo della Valenzuela, scritto quando era poco più che una ventenne, un lettore attento può individuare alla base di gran parte delle sue opere, seppur in maniera accennata, l’estetica sopra commentata. Clara, la protagonista del romanzo in questione, vive sul proprio corpo e sulla propria pelle la vita de los bajos fondos di Buenos Aires e si ritrova, non per costrizione, tantomeno per volontà, ma quasi per caso, a prostituirsi. La Valenzuela lascia ampio spazio alle riflessioni e alle parole della protagonista ed è tramite questa che presenta, e forse a modo suo denuncia, la condizione della donna all’interno del sistema patriarcale argentino, resa una merce dell’uomo. Tuttavia, Clara, come le altre donne degli scritti della Valenzuela, pur essendo una donna-oggetto dei desideri dell’uomo, è in grado di trovare l’allegria e la voglia di vivere nelle più piccole cose, come il semplice addobbare un albero di Natale.

Ritengo sia opportuno sottolineare la differenza con le opere che seguiranno. Hay que sonreír è il frutto degli anni parigini, dunque dei primi anni Sessanta, pertanto non ha nulla a che vedere con le violenze e le atrocità dei terribili anni Settanta e, dunque, non si può ascrivere a un contesto storico-politico come quello dei successivi romanzi e

48 REYES, Dean Luis, Entrevista con Luisa Valenzuela, 2002

[http://laventana.casa.cult.cu/modules.php?name=News&file=article&sid=22]

49

DÍAZ, Gwendolyn, Entrevista con Luisa Valenzuela in AA.VV., La palabra en vilo: narrativa de Luisa

Valenzuela a cura di Gwendolyn Josie Díaz e María Inés Lagos, Editorial Cuarto Propio, Santiago de Chile,

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racconti prodotti dalla necessità di mantenere viva la memoria di quegli anni. L’attenzione è rivolta in quest’opera, come già anticipato, al corpo e alla personalità del personaggio femminile; la Valenzuela si concentra sul processo di costruzione della soggettività e sulla búsqueda de su ser, strettamente connesse alle esperienze che la donna vive con e sul proprio corpo.

CAPITOLO 1: Analisi di Hay que sonreír

Nel precedente capitolo introduttivo, ho fatto un excursus sull’attività letteraria della Valenzuela e mi sono soffermata sui principali aspetti della sua narrativa; vorrei ora dedicare questo capitolo al romanzo oggetto della traduzione, con il fine di presentare e distinguere le principali caratteristiche del primo scritto della Valenzuela, Hay que sonreír.

In primo luogo inserirò il romanzo nel contesto letterario in cui nasce che, come ho già anticipato, è totalmente diverso da quello degli scritti della decade successiva al romanzo in questione.

In secondo luogo, accennerò alle caratteristiche tematiche e narrative di Hay que sonreír, indagando l’importanza di focalizzare l’attenzione su un personaggio femminile ed emarginato dalla società, sulla sua interiorità e sulla forza

(40)

interiore che il soggetto ha nell’affrontare le esperienze di vita bonaerense.

Infine, proporrò una breve analisi formale e narrativa del libro. Per quanto riguarda l’analisi stilistica e del linguaggio del romanzo, darò ampio spazio a questi aspetti nella sezione dedicata al commento alla traduzione che seguirà il lavoro traduttivo.

1. Considerazioni preliminari

In questa sezione il mio interesse è volto a inserire il primo romanzo della Valenzuela, e allo stesso tempo la scrittrice stessa, all’interno del contesto culturale degli anni in cui si dedica ad esso, ovvero il periodo tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi dei Sessanta. Sono anni importanti per la formazione di un nuovo modo di far narrativa, che rivolge lo sguardo sia all’utopico che alla sconfitta dell’individuo, frustrato e assoggettato dalla realtà in cui vive. Gli scrittori di questa decade sperimentano una realtà che è da poco presente negli spazi letterari, quella urbanizzata delle grandi metropoli sudamericane; e se le realtà concrete non riescono a incasellare le frustrazioni dell’individuo, gli autori tentano con quelle immaginarie.

Un esempio di ciò è riscontrabile negli scritti di Juan Carlos Onetti, in particolare in La vida breve (1950). In questo romanzo Onetti si concentra sulla sofferenza e sulla frustrazione di Brausen, il protagonista, che, per sfuggire alla terribile realtà metropolitana, si rifugia nella sua

(41)

immaginazione. Con un nuovo nome e nella piccola città immaginaria di Santa María, il protagonista conduce la sua vita su una linea immaginaria tra realtà e fantasia che porterà, inevitabilmente, a un finale tragico. La stessa città immaginaria si ritrova in uno scritto posteriore, Juntacadáveres (1964), in cui l’interesse per la grande metropoli è accompagnato a quello verso figure emarginate dalla società come la prostituta. L’attenzione per questo soggetto non è nuovo; al contrario, la figura della prostituta ricopre un ampio spazio nella letteratura argentina di quegli anni, come già nel panorama letterario dei primi anni del Novecento. I romanzi naturalisti di quegli anni, come Juana Lucero (1902) di Augusto D'Halmar, Santa (1903) di Federico Gamboa e Nacha Regules (1919) di Manuel Gálvez offrono un quadro verista del postribolo e, come spiega Rodrigo Cánovas, il romanzo diventa così un “espejo enrevesado de la nación”, un’allegoria della nazione. Cánovas sottolinea, ancora, il modo in cui, tramite l’erotismo e i legami amorosi, i problemi etnici, ideologici, economici e regionali si risolvono in questo ambito postribolare50. In questo modo il postribolo diventa un modello in miniatura in cui si ricostruiscono, per analogia, gli spazi sociali sterili e regressivi51.

Lo spazio postribolare e la figura della prostituta sono presenti, seppur non occupando uno spazio ben definito, in scritti degli anni Sessanta: nel già citato Juntacadáveres (1964), in El lugar sin límites (1965) di José Donoso, in La casa verde (1966) di Mario Vargas Llosas e in altri. Nello scritto di Onetti il postribolo è un luogo utopico "al cual los

50

CÁNOVAS, Rodrigo, Sexualidad y cultura en la novela hispanoamericana. La alegoría del prostíbulo, Lom, Santiago de Chile, 2003, p.15

(42)

hombres acuden para recordar lo que se anheló52", e in cui gli uomini ritrovano un po’ della perduta felicità. Negli altri due scritti citati Cánovas nota come il postribolo sia “un escenario enigmático”, dove riflettere sulla marginalità, sui fondamenti dell’esistenza, e in cui analizzare i fallimenti umani. Sono opere che, tramite un linguaggio grottesco, che deforma corpo e anima per captare l’essenza stessa della realtà, forniscono attraverso il postribolo un’allegoria del bene e del male.

Linda Craig, in un suo saggio, nota come Onetti e Valenzuela propongano una visione differente della prostituzione. Ricollega quella presentata da Onetti al contesto sociale, inserita in una società fortemente cattolica e alla sua legalizzazione, altrettanto paradossale, a partire dal 1875.53 Ricorda, inoltre, come l’Argentina, agli inizi del Novecento, costituisse una delle principali nazioni in cui la prostituzione era in forte aumento. Questo fenomeno è riconducibile a due motivi principali: all’ondata migratoria, la cui forte componente maschile portò all’apertura di molti altri postriboli, e alla trata de las blancas, altro importante fatto del passato argentino, che consisteva nel traffico di donne europee per mano di gruppi criminali. Buenos Aires diventò inevitabilmente la città della prostituzione, dove le donne, perlopiù vergini, strappate via dalla proprie origini, erano costrette a vendere il proprio corpo e a soddisfare i clienti dei locali a luci rosse. Un altro dato da sottolineare, per comprendere il proliferare di opere sulla prostituzione, è

52

Ibid., p.70.

53

CRAIG, Linda in Gustavo San Roman, Onetti and Others: Comparative Essays on a Major Figure in Latin

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